#ditantointango LE CHIACCHIERE CHE FANNO MALE.

Chi è assiduo frequentatore di eventi, specie di quelli più lunghi, da weekend come le maratone, i festival, sa benissimo che, tra le ciarle a margine delle tandas, ci sono sempre i commenti più disparati sui partecipanti.

“Quell* è brav* ma non mi invita, quell’altr* se la tira e balla solo con i suoi, non capisco perchè quella (i commenti sulle donne, espressi dalle donne, sono sempre i più tremendi) balli così tanto che è una principiante, ovvio perchè è giovane e figa e ha pure le tette in mostra (ecc ecc)” vi risparmio.

Una sorta di analisi sociologico/comportamentale/sputtanatoria dei tangueros/as in pista.

Non si dovrebbe mai cadere dentro questo genere di trappole perchè tornano indietro come un boomerang.

Innanzitutto ognuno di noi partecipa per stare bene, per divertirsi, per ballare, per socializzare, chi anche per trovare una nuova fiamma. Quale che sia la motivazione l’imperativo categorico rimane uno: godersela. Vivere il momento della socialità con gaia apertura, con animo e cuore leggero. Così facendo, ovvero impostando il proprio asset mentale su pensieri positivi “Oggi starò bene, ballerò bene, mi divertirò” la modalità energetica si predispone correttamente, facendoci diventare sorridenti, aperti verso l’altro senza giudizio, senza ansia, senza paure senza sentimenti di frustrazione e men che meno senza retropensieri negativi.

Provate, funziona!

La PNL insegna che per il nostro cervello realtà e immaginazione sono la stessa cosa, il cervello non distingue i pensieri prodotti da situazioni “reali” e quelli solo immaginati. Provate ad andare in milonga, la prossima volta, immaginando che ballerete assai, godendo assai. Vi stupirete dei risultati!

Troppo spesso ho sentito donne, solo perchè nell’attesa di una tanda mi trovo tra il pubblico femminile, lamentarsi per questo e quello, criticare questo e quello per poi ritrovarsi inchiodate alla sedia che quasi nessuno si accorgeva di loro.

Siamo tutti animali sociali e, specie in contesti legati al ballo, andiamo alla ricerca di leggerezza, desideriamo non pensare ai problemi, al lavoro e a tutto ciò che nella nostra vita è difficile e pesante.

Parola d’ordine: leggerezza.

A chi mi ribatte “io ci vado in milonga con i bei pensieri ma poi nessuno mi si fila” rispondo che crede di avere bei pensieri, invece c’è un forte rumore di fondo legato ad ansia, preoccupazione, frustrazione, paura dell’insuccesso e queste sensazioni, malgrado ciò che crediamo, vengono percepite all’esterno, producendo effetti contrari a quelli sperati.

Mi sto perdendo in questo pippolotto, ma era tanto che non ne scrivevo uno, per esortare TUTTI a vivere pensando al lato positivo dell’esistenza, sforzandosi di trovare ogni piccola scintilla di bene. In sala da ballo i risultati saranno immediati, lo garantisco, e porteranno una sferzata di benessere di cui tutti abbiamo bisogno.

Teniamo sempre a mente che noi meritiamo di essere felici.

AMEN.

Pimpra

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PROFUMO DI TIGLI, PROFUMO D’AMORE

Il profumo dei tigli in fiore mi accoglie nei diversi passaggi cittadini che da casa mi portano in centro, segnando senza dubbio l’arrivo dell’estate.

Il mio naso si perde nel loro aroma dolciastro come fossi un insetto alla ricerca del miglior nettare, mi inebria profondamente mettendomi in una dimensione dello spirito che può variare dalla pura estasi olfattiva, proiettandomi in un salto nella macchina del tempo alle estati della fanciullezza, o, semplicemente, mi rallegra facendomi sorridere.

La fioritura dei tigli dura solo qualche settimana. Quando inizia la fase più matura e si intravvedono dei piccoli bozzoli forieri di semi futuri, mi risveglio dal mio sonno profumato rendendomi conto che l’estate è già qui e con essa le imminenti vacanze, il mare aspetta. Il costume pure.

Faccio i conti con la trascendente mutevolezza della Natura e con l’incessante fluire del Tempo.

Negli alberi gli anni si leggono nei cerchi concentrici che si creano nel loro tronco, per me è lo stesso anche se l’anno in più si posiziona, a seconda, in diversi punti del corpo.

Una volta è la spalla destra, il collo, il ginocchio e mi accorgo di non riuscire a leggere le etichette senza aiuto e così via, una serie di modifiche sostanziali della forma che segnano indelebilmente anche la sostanza.

Non è sempre una passeggiata di salute accettare mentalmente di essere in grado di fare la spaccata frontale ma non potersi godere una corsetta balsamica, piuttosto che una camminata vivacissima perchè il bastardissimo il nervo sciatico al momento lo impedisce.

Un corollario di piccoli fastidi che scoprono come una matrioska il degrado del corpo mettendo a nudo l’anima, basita, che deve prenderne atto.

Accanto a questo fastidio concettuale rappresentato dall’invecchiamento si svela al contempo un interessante risvolto della medaglia: la resilienza cementata a saggezza che, in realtà, permette agevolmente di superare gli ostacoli.

Si tratta di spostare semplicemente la lancetta su uno stato di maggiore e perdurante equilibrio, tra ciò che si fa e ciò che si pensa e, soprattutto, si impara a pensarsi bene, si apprende a volersi bene, ad apprezzarsi per ciò che si è diventati.

Forte dei miei pensieri positivi, m’incamminavo a fare delle commissioni gestendo l’acido lattico dell’allenamento del giorno prima, sorridendo ad ogni passo quando le fibre di qua e di là, in alto e in basso si lamentavano per qualcosa. Il corpo urla la sua esistenza, obbligandoci a tenerne conto, a curarlo, a proteggerlo come nessuno mai.

Diventare grandi, in fondo, ci costringe alla più grande dimostrazione d’amore, quella che dobbiamo a noi stessi.

A ben pensarci, non è affatto male.

Pimpra

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E BORA FU

foto dal web

L’aspettavo. Senza nemmeno rendermene conto. Una chiamata dal profondo, la mia personale nota d’inverno.

Trieste senza bora perde uno dei suoi colori più brillanti, i triestini la amano di un sentimento ondivago, a tratti scolpito da un profondo fastidio, per dimenticarsene poco dopo.

Mancano una manciata di giorni alla fine di questo anno orribile e ci stiamo chiedendo come ci destreggeremo tra i mille ostacoli dei DPCM che, come caselle del calendario dell’avvento, tracceranno la strada verso le festività.

Personalmente non ne faccio un problema, non fosse il fatto che gli spostamenti sono vietati e non sarà possibile ripetere il natale al sud dell’anno passato, uno dei più belli di questi ultimi anni.

L’importante è scollinare il 2020, credo sia il sentimento di tutti, in un modo o nell’altro, ritrovarsi nell’anno nuovo per ricominciare a sperare di avere una vita, se non proprio uguale a prima, almeno molto somigliante.

Credo che il 2020 sarà immediatamente rimosso dalla mia memoria, non c’è una cosa che voglio ricordare, non una.

Non amo guardare indietro, perciò mi sto preparando ad immaginare lo scenario migliore, quello più bello per l’anno a venire. Lo voglio positivo, risolutivo, pieno di carica vitale, radioso, brillante. Lo voglio immaginare così, senza soffermarmi sul dolore, sui problemi, su tutto quello che non va.

Finalmente bora fu.

È lei che ripulisce i miei pensieri, elimina la negatività, mi fa tornare la gioiosa bambina che amava stare all’aperto a sfidare le raffiche.

Aspetto la spruzzatina di neve per chiudere il cerchio in bellezza.

Pimpra

FACCIAMO IL PUNTO

Fine giugno.

Solstizio estivo: fatto.

Profezia Maya: scollinata senza effetti apocalittici.

Progetti per l’estate? M A H .

Tango in milonga? M A H. M A H .

Non so come state messi voi ma è giunto il tempo di fare il punto della situazione.

Personalmente sopravvivo con una discreta dignità a questo strano momento storico.

Lo definisco così perché tutto quello che ho e non ho intorno mi pare strano: la gente con le mascherine, il gel igienizzante ovunque, le regole dello stare insieme (sempre più lasse a dire il vero), il tango argentino ancora ghettizzato e quindi impraticabile nella sua veste più sociale, quella della milonga, lo smart working che amo, ma che mi sembra comunque legato alla calamità, il mare che ancora non ho raggiunto perché non riesco a immaginarlo con il distanziamento.

Non so come vi sentiate voi, io definirei il mio stato attuale STRANO.

La vita casalinga, leggi da smart worker, se da un lato mi rende una lavoratrice migliore – l’habitat consono e le relazioni sociali completamente assenti fanno bene al mio spirito – dall’altro mi ha resa la fotocopia della “zia Abelarda”.

Non ho più quella voglia insistente di uscire per il giro di vetrine e shopping connesso, sono diventata appassionatissima di verde e piante che curo con amore, il mio lato animalista è vieppiù rafforzato eppure…

Percepisco come una situazione di sospensione, come se i mesi da poco trascorsi non fossero completamente sotterrati e volutamente dimenticati, come se, poco più avanti, altre difficili prove ci stiano attendendo.

La mia è solo una sensazione “animalesca”, una specie di istinto, nessun pensiero razionale o ansia di fondo che non sono roba mia.

E comincio a sognare di quando ballavo, di quando tutti noi ballavamo e facevamo progetti meravigliosi e le vacanze estive erano il massimo per la programmazione di viaggi e di weekend da tango-dipendenti. Adesso percepisco silenzio, o piccole voci soffuse e mi sembra così strano, ai limiti del surreale.

La mia sarà un’estate scondita di viaggi e, probabilmente, di incontri, di persone, di quella vita caotica e colorata che tanto amo.

Mi auguro solo che la lupa che porto dentro si sbagli e che quella strana vibrazione di fondo che percepisco, si dissolva nell’alba del mattino.

Pimpra

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LA POETICA DELLA PANDEMIA

E’ una cosa che ho dentro, un senso di malinconia che mi riempie, una magica connessione con tutta me stessa.

Sto vivendo la prima pandemia della mia esistenza e sono un’adulta consenziente. Guai se tutto questo mi fosse accaduto anche solo 10 anni fa, non avrei retto alle emozioni, ne sono sicura, facendomi prendere da un panico irrazionale.

Oggi non è così, sono connessa, in tutti i sensi e con tutti i sensi, a quanto accade eppure, salvo piccoli momenti di scivolata, resto glaciale e fredda. Il mio modo di affrontare le prove più difficili. Mi congelo, da sempre.

La malinconia che mi parte dal ventre e sale fino alla testa, uscendo dagli occhi, nello sguardo che poso sul mondo. Il mio piccolo mondo, la città in cui vivo, resa deserta dall’ordinanza di contenimento, si mostra, in realtà, in tutta la sua bellezza che, oggi, ha una sfumatura quasi decadente.

Vibro forte e mi emoziono ad incrociare le persone con la mascherina, molto spesso indossata in modo inesperto. Inutile dire che questi strumenti di precauzione sono esauriti, presi d’assalto da tutte quelle e quei piccoli me di 10 anni addietro. Tutti coloro che fanno le scorte per se stessi, dimenticando che pandemia “pan- tutto; demos- popolo, in greco antico” non è cosa che li riguardi in esclusiva.

Non siamo fratelli e sorelle sotto lo stesso cielo e si evince dalla corsa al saccheggio dei beni primari che spariscono dai supermercati come fossimo in guerra.

Siamo in guerra, con il nemico invisibile ma, soprattutto, in guerra con l’irrazionale di noi stessi, con i mostri mai vinti che si sono rialzati più forti che mai.

Rientro in ufficio con due buste della spesa, così da non dovermi recare tra i pazzi che fanno le scorte contro la carestia. Ho già imparato che ci sono ore più propizie, dove le persone non si vedono, e le ore di punta. Ho già imparato, si chiama resilienza e adattamento.

La malinconia mi tiene compagnia anche adesso, mentre scrivo queste parole, nel mio ufficio semi deserto, accarezzata dalla luce primaverile che filtra dalle persiane già abbassate.

Una malinconia tiepida, come l’aria che si respira fuori e che sarebbe bene filtrare, ma io no, non sono tra coloro che ci hanno pensato da tempo, non ho fatto la corsa per proteggere me, non ci ho pensato, immaginando che, comunque, la priorità l’avessero i più deboli…

Quanta malinconia in questa solitudine, ma quanto calore sgorga. Sento nascere, anzi, risvegliarsi il mio guerriero, nomen omen, che mi dice “Sei nata per combattere, è questo quanto ti sei data per questa vita”. La battaglia più difficile, per me che sono una donna, è vincere le paure.

La malinconia riscalda anche quelle e me le serve come una tisana tiepida da sorseggiare prima di dormire.

La poetica della pandemia è anche questa.

Pimpra

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LEGGERE IL POST ASCOLTANDO QUESTA MUSICA

DALLA CRISI ALL’OPPORTUNITÀ

I guru del successo personale ne hanno fatto il loro mantra:

TRASFORMA LA CRISI IN UNA OPPORTUNITÀ

Più facile da dire che da fare, è la prima obiezione che mi è sempre salita alla mente quando – e quanto spesso! – ho vissuto le mie crisi. La prima istintiva reazione è sempre stata quella di sentirmi il Calimero della situazione, come se una sfiga appiccicosa come la pece si fosse attaccata alle mie vesti e non volesse lasciarmi.

Fortunatamente ci ho lavorato su parecchio e adesso, il più delle volte, riesco a scorgere quella piccola finestra che mi mette dinnanzi agli occhi un panorama diverso, dove riesco a vedere quasi sempre un piccolo fiore, la famosa “opportunità”.

Come recitava quella barzelletta: “Italiani, siamo nella merda! Ma di buono c’è che ce n’è per tutti!”, in questo periodo direi che siamo messi piuttosto male.

Sicuramente alcuni stanno messi malissimo e non penso alla loro salute, ma al lavoro a rischio a causa dell’emergenza.

Poi ieri sera, come per magia, mi compare il video in diretta di una coppia di maestri argentini di tango che, per ovviare al blocco delle loro attività, hanno condiviso una lezione in diretta FB.

Oltre ad ammirare la generosità nell’offrire una lezione di tecnica a gratis, ho apprezzato l’ingegno di usare un mezzo alla portata di tutti per diffonderla.

I vantaggi per loro? Evidenti.

Si sono fatti conoscere da un pubblico più ampio, nuovo, in crisi di astinenza da tango. Alla riapertura della vita sociale di noi tutti, sono certa che questa mossa porterà loro nuovi allievi e saranno chiamati a fare lezione in luoghi dove non erano ancora andati. Possiamo pertanto affermare che hanno fatto un investimento a medio (speriamo) lungo termine.

Questo esempio è la chiara evidenza di come si possa trovare l’opportunità nella crisi.

Un altro gruppo su FB a pura connotazione tango che organizza un suo ricorrente evento, non potendolo attualmente organizzare che fa? Propone ai suoi follower di scambiarsi ricette di cucina. Non possiamo ballare? Troviamo un modo per scambiarci qualcosa, creativamente.

Cosa porterà? Innanzitutto FIDELIZZA i propri iscritti, crea gruppo, crea condivisione alleggerendo lo spirito di questi difficili momenti.

Questi esempi pur molto “lievi” rispetto alla gravità di molte situazioni economico/lavorative italiane, possono comunque ispirarci e motivarci a cercare soluzioni alternative, a scovare le nostre opportunità.

Sono sicura che qualcosa ci verrà in mente per aiutarci a scollinare questo momento ed arrivare al “dopo crisi” senza esserci rotti proprio tutte le ossa.

CE LA SI PUÒ FARE!

Pimpra

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LA MILONGA FA IL TJ O IL TJ FA LA MILONGA?

A tutti voi sarà capitato di dover scegliere tra una milonga e un’altra, complice la grande offerta di questi ultimi anni e la sovrapposizione di eventi nella stessa serata.

C’è chi decide privilegiando la comodità, il luogo più facilmente raggiungibile, chi il pavimento dove si balla, chi la gente che si aspetta di trovare, chi il costo dell’ingresso e quanto viene offerto …

Poi ci sono gli altri, quelli che scelgono in base al Musicalizador.

Figura di riferimento, giullare di corte che farà divertire gli ospiti, il deus ex machina della serata, ne è l’anima pulsante.

Credo sia praticamente impossibile razionalizzare, se non per tratti assolutamente approssimativi, le caratteristiche ideali che deve possedere colui o colei che tesseranno il canovaccio musicale della serata.

Di una cosa sono certa: ci sono troppi musicalizadores improvvisati in giro per milonghe. 🙂

Far divertire la gente è una grande responsabilità. Non basta avere una playlist sul pc, spesso scopiazzata qua e là sul lavoro di altri, e spararla nell’etere durante la serata. No.

La milonga è un animale vivo, vibrante, scostante, mutevole, bizzarro, capriccioso. Bisogna avere la capacità domarlo, di gestirlo, di renderlo felice di seguirvi e, magari, di chiedervene ancora.

Il TJ, per me, è un ipercreativo/reattivo/empatico.

E’ l’artista con il pennello in mano che è capace di usare la bomboletta spray se la tela la richiede. Metafora per dire che, se pure parte con un’idea di proposta musicale se l’animale pista non è ricettivo, cambia proposta, si adatta, insomma legge la pista.

La pista è il suo DIO, non lui.

Personalmente apprezzo molto quando in milonga mi vengono proposte una/due tande “sperimentali” con sonorità nuove o poco sentite, diverse. Lo apprezzo, è stimolante. Può piacermi o meno ma comunque mi apre orizzonti.

Personalmente faccio sempre più fatica a sopportare quei TJ che ti vogliono fare la leziuncella insegnandoti a colpi di tande inutili che la bella musica è solo quella, che se a te piace che so una “Merceditas” ti puoi buttare nel cesso dei tangueri ignoranti e involuti.

A questi Musicalizadores iper colti rispondo “sticazzi”. Non so voi, ma io vado in milonga per divertirmi che, se devo sentire messa, altri sono i luoghi da frequentare…

Ho, come immagino ognuno dei danzanti che stanno leggendo il post, una mia bella lista di apprezzatissimi TJ, uomini e donne di età, gusti musicali, creatori di buone onde, molto diversi tra loro.

A tutti riconosco l’intelligenza di sapersi connettere con la pista, la cultura musicale, intesa come profonda conoscenza e continua ricerca, la gioiosità implicita del loro carattere perchè se sono persone dal pensiero positivo, anche la pista lo annuserà godendone al massimo.

La predica è finita, andate in pace!

Pimpra

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BF E THANKSGIVING

Marte in scorpione fino al 3 gennaio 2020.

Fastidio, piacere di attaccare briga, sfanculamento beato alle convenzioni, “minni futtu” come se piovesse.

“Fai la brava Pimpra!”.

Tutto ciò detto e premesso, ho le scatole arcipiene di questo “black Friday” di noialtri, ho gli armadi della pazienza stracolmi di questo scimmiottare gli americani nelle loro tradizioni.

MI AVETE ROTTO.

Pochi di noi conoscono le ragioni storiche del “venerdì nero” che chiamarlo così nella nostra lingua ci si accappona la pelle. Checcifrega, sappiamo solo che ci sono gli sconti.

Mi chiedo: dove abbiamo nascosto la creatività tutta italiana che, per favorir l’economia e i consumi, non siamo capaci di inventarci una nostra, originale e vivida supercazzola?

Per gli americani si tratta di un episodio su base storica, leggete qui, che è diventato un evento di consumo entrato nella tradizione di popolo. Ma per noi? Non rappresenta nulla.

Halloween è già incamerato nei costumi, adesso aspetto che pure il Thanksgiving, per la cronaca precede di un giorno il black Friday, diventi una nostra festa popolare.

Siamo noiosi, copioni e stiamo diluendo quelle straordinarie caratteristiche creative che ci hanno sempre reso un paese unico al mondo.

Pensateci.

“Fai la brava Pimpra!”.

Pimpra

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VORREI VIVERE A LUNGO

Vorrei vivere a lungo.

Non perché mi interessi vedere il mio corpo disfarsi sotto le picconate del tempo, vorrei vivere a lungo per dare un senso al viaggio.

In Giappone, questo senso, lo chiamano Ikigai, il senso della vita, quel fuoco sacro che brucia dentro di noi facendoci attraversare tempeste pur di realizzare il fine per il quale sentiamo di esistere.

Vorrei vivere a lungo perché il mio Ikigai si è nascosto sotto il tappeto. Ma io non ho nemmeno un tappeto perciò provo un discreto imbarazzo quando pongo a me stessa la domanda “Pimpra ma il tuo scopo quale è?”

I giapponesi sono un popolo gentile e saggio, perciò ti offrono la soluzione a questo tuo problema esistenziale dicendoti “Il tuo ikigai è TROVARE il tuo ikigai” che, a pensarci bene, è una proposta assolutamente intelligente.

I creativi e gli artigiani e tutti coloro che sentono di avere una forte motivazione a percorrere una strada, a realizzare un progetto, hanno la mia profonda stima. E pure la mia (sana) invidia.

E provo a ricordare se per un istante una specie di senso da realizzare lo avessi avuto pure io. Cerco nel tempo passato, cerco nella mia infanzia e scopro alcune interessanti cose.

Volevo andare alle olimpiadi per salire sul podio e sentire il mio inno nazionale indossando la medaglia più preziosa. Poi ci ripenso e mi accorgo che quello era il sogno di mio padre. Io volevo fare la ballerina classica e lui mi ha buttato in piscina.

Cresco e capisco che il mio paese d’elezione, quello in cui avrei voluto vivere era la Francia ma mi manca il coraggio di fare il salto, e mi faccio convincere che partecipare ai concorsi pubblici sarebbe stata la panacea lavorativa, così faccio, li vinco pure e sottoscrivo con il sangue la mia condanna a morte cerebrale.

Non faccio figli, ma forse meglio così. Ah sì, da oggi sono ufficialmente divorziata. Ecco meglio non averli fatti.

Nel frattempo invecchio, di brutto. Ma la mia testa, incredula, pensa sempre di aggirarsi tra i 20 e i 30 anni di età.

I miei anni si vedono tutti, da qualunque parte li osservi.

E questo dannato ikigai ancora non si palesa, ancora non lo so leggere, ancora non so dove si sia nascosto.

Però i giapponesi mi dicono di mantenere il sorriso, di accettare il cambiamento, di diventare “antifragile” che vuol dire che le avversità mi rendono più forte, insomma resilienza come se non ci fosse un domani.

E ci provo, e trovo il sorriso dell’accettazione quando, al lavoro, i miei superiori mi affidano compiti equiparabili a “Scava la fossa, riempi la fossa”, e io porto a termine con precisione e accuratezza quanto richiesto, senza perdere la testa, senza diventare una furia umana, senza entrare nel tunnel della frustrazione più nera.

Sii un’artigiana, una takum, cura il dettaglio e trasforma ciò che puoi in qualcosa dalla sofisticata semplicità. Il concetto mi pare molto bello e mi permette di entrare nel flusso che mi connette con il senso, con quel viaggio di cui, alla nascita, ho staccato il biglietto, ma di cui ancora non conosco la destinazione…

Ecco, vorrei vivere a lungo per scoprirlo.

Pimpra

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VOLA BASSO

L’amico e grande tanguero Bobo, ieri ha pubblicato una personale riflessione sul tango che riporto integralmente qui e che mi ha fatto tanto pensare:

VOLA BASSO, e vedi di ballare meglio!

All’ultimo festival di tango, forse il più famoso in Europa, sicuramente tra i più importanti, non ho ballato con chi avrei desiderato, specie con ballerine davvero bravissime che conosco anche personalmente, professioniste o meno, argentine italiane o di qualsiasi altro paese: un dramma, o quasi.

Pensiero ricorrente, sia maschile che femminile:

ballano tra di loro, se non sei nella cerchia eletta non ti cagano, sono snob, fino a qualche anno fa ti chiedevano loro di ballare, oggi che sono in tour quasi non ti salutano ed hanno l’ansia di guardarti, sia mai tu fraintenda che vogliano ballare con te.

Ecco, in questo festival a me è successa sta cosa e devo dire che ci ho pensato e pensato, ed alla fine sono giunto alla conclusione che segue:

caro bobo, vuoi ballare con quelle brave? Quelle bravissime? Bene, studia di più, forse ci ballerai, forse.

Vola basso e balla meglio!

Da domani intensifico il mio studio del tango, forse mi sono accontentato un po’ troppo di me stesso, avallando una considerazione più alta del mio tango effettivo, che forse è un po’ noioso o certamente di livello inferiore a quello che ho visto ballare dai ballerini con cui le mie desiderate ballerine stavano ballando, che ballavano in maniera incredibile.

SOTTOLINEO: non è solo tecnica e livello, ma condivisione di un tango che forse è diverso dal nostro!

NON BALLANO TRA LORO, è che condividono un tango diverso da quello che puoi offrire tu.

E poi oh, la verità è che magari a quel Tango tu non ci arriverai mai, il che non ti deve far smettere di criticare te stesso e provare a migliorare.

Ora cerchiamo uno stage adeguato 🙂

e W il tango.

P.S.

Le ballerine con cui ho ballato SONO BRAVISSIME! E pure professioniste, ecco…. non vorrei essere frainteso da loro; infatti non è solo una riflessione sul livello di tango e di tecnica, spero si sia inteso, ma di condivisione di certo tango.

VOLA BASSO E STUDIA DI PIU’.

In senso assoluto, condivido il postulato al 1000% e lo estendo a più settori della vita. Cercare di perfezionarsi ed avere contezza che ci sarà sempre qualcuno migliore di noi. Accettarlo e continuare a lavorarci su. Tutto positivo, costruttivo, molto formativo.

Ma non è questo il fulcro: dopo anni e anni passati a calcare le piste, qualcosa nell’animo del tanguer@ si modifica.

Da una parte ci sono coloro che si sentono arrivati, quelli che sono persuasi di avere conquistato la vetta e di rimanerci issati che di meglio non si può fare.

Dall’altra parte ci sono coloro che continuano a studiare e mantengono una sorta di “basso profilo”, perché la consapevolezza intellettualmente onesta racconta che nella danza e nella vita non si arriva mai. E fanno pace con questa idea.

Sono assolutamente convinta che noi i “non argentini” e dico TUTTI, abbiamo storpiato il significato originario del tango: il piacere, il divertimento, un momento da dedicare a noi stessi e da condividere con l’altro.

Noialtri, i non nativi, abbiamo portato dentro l’abbraccio le nostre frustrazioni.

Fatico a comprendere perché un tanguero di indiscusso talento si senta a disagio verso un modo di leggere, interpretare il tango che è diverso dal suo “(cit.) condivisione di un tango che forse è diverso dal nostro! “.

Se accettiamo il fatto che si possa associare a un linguaggio, la bellezza sta nella differenza, perché funziona da stimolo, ci si può avvicinare e comunicare a gesti, oppure non ci si guarda neppure perché troppo simbolicamente “distanti”. Non è sempre possibile entrare in relazione con tutti, anche se siamo innegabilmente bravi e talentuosi.

Non possiamo pretendere di “abbeverarci con la vita tanguera” di un’altra persona. Il percorso di ognuno di noi è quanto di più soggettivo, unico, assoluto, possa esistere.

Parlo di frustrazione perché stiamo troppo spesso perdendo di vista il puro divertimento, quello leggero, soave.

Forse per le ballerine donne è più facile da comprendere poiché il gioco del tango prevede l’attesa, il rifiuto, o, meglio, l’impossibilità di esercitare una persuasione con lo sguardo. La situazione ci è nota e così impariamo da subito a convivere e a sopportare la frustrazione.

Le donne che non ce la fanno, dopo un po’ abbandonano. Le altre imparano, milonga dopo milonga, a divertirsi sempre di più.

A chi non piacerebbe essere l’interesse tanguero indiscusso, l’idolo della pista quello con il quale tutti/e vogliono ballare, quello che quel tango è solo suo? Certo tali fenomeni esistono ma, attenzione, durano lo spazio della loro generazione. Ne ho visti tantissimi passarmi sotto agli occhi, sbocciare, fiorire e spegnersi, come essiccati dalla loro stessa fama.

A conclusione di questo infinito pippolotto, sento di dire, a me stessa in primis, di cercare il divertimento quando ballo e di farlo con lievità e la generosità di donare al mio partner la versione migliore di me come ballerina. In questo scambio a due, quello che più conta, secondo me, è regalare all’altro qualcosa, sia un’emozione, un sorriso, un momento di sintonia e rilassatezza, di gioco. Ricordiamoci che, per noi, non è un lavoro.

Tutto il resto sono sovrastrutture che ci fanno male. Inquinano il nostro tango e l’atmosfera magica della milonga.

AMEN.

Pimpra

PS

Ritengo doveroso riportare una chiosa che lo stesso Roberto Bobo Corsano ha fornito su FB che chiarisce, in termini inequivocabili, la sua posizione e che, a mia volta, sento di condividere assolutamente. Buona lettura.

Grazie per avermi condiviso, Pimpra 🙂 forse il mio post necessita una riformulazione necessaria a sgomberare il campo da possibili fraintendimenti che, evidentemente, si sono creati tra i lettori tangueri 🙂 Il focus del mio post non era precisamente sulla mia crisi, quello era il pretesto. Ora, mi fa piacere che ci siano persone che mi considerano vivente nello spazio e che con il mio post sono sceso sulla terra, ma mi piacerebbe che Elisabetta conoscesse un po’ della mia storia tanguera e forse capirebbe che sulla terra ci sono fin dai miei primi passi, quando per un uomo privo di alcuna cultura propriocettiva e di danza in generale, non più giovanissimo e molto grasso, ho dovuto passare anni a bordo pista con l’ansia di ballare ed entrare in pista come il più grasso di tutti, con la certezza che nessuna donna avrebbe mai accettato di ballare con un uomo grasso con la pancia perché proprio non si poteva immaginare che uno con questo fisico potesse ballare.

Quindi sulla terra ci sono da molti anni, ed il mio focus era proprio dalla terra, è proprio da lì che l’ho scritto.

Il focus del mio post, infatti, non era il livello di ballo ma la riflessione su sé stessi, che secondo me manca nel tango, e non solo nel tango, poiché il tango è vita reale, almeno per me.

Il focus era proprio incentrato su quelle che Pimpra chiama “sovrastrutture” a cui lei pare non essere interessata, ed invece per me fanno la differenza, e mi spiego.

E’ ricorrente il lamento a bordo pista di chi non balla, sia uomo che donna, ed è rivolto sempre a chi non ci invita ed a chi non ha accettato il nostro invito, sempre, sempre e sempre; questa situazione non ha mai esiti di riflessione sul proprio tango, mai e, secondo me, come ha detto Fernando Sanchez, manca proprio tanto nel tango.

Ognuno ha le difficoltà a bordo pista, questo era il focus, a tutti i livelli, il punto è che, e riporto una mia frase scritta in un’altra mia riflessione, dopo molti anni di tango la verità vera è che “smetti di giudicare il tango altrui e giudichi solo il tuo tango”.

Il mio post voleva ribadire questo; null’altro. Non il livello, non la bravura, il punto è che non potremmo ballare tutti con tutti,certo, ma non è così banale; il mio anelito non è quello di migliorare il mio tango, ma di allargarne la comprensione, il suo linguaggio, dominarne ogni aspetto, aumentare il mio lessico tanguero per poter meglio “parlare/ballare” di tango.

Invece non riesco mai a condividere questa cosa con nessuno, perché tutti ogni volta vomitano addosso ad altri le loro frustrazioni, tanguere e non, ed anche a Porec ho sentito questi lamenti, insistenti ma aridi perché autoreferenziali.

Temo dovrò riscrivere il mio post 🙂

Roberto Bobo Corsano

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