LA COPPIA NEL TANGO. Più costi o più benefici?

Argomento stuzzicante la coppia sentimentale nel tango.

Se ne vedono moltissime nell’ambiente, se ne formano altrettante e… per equilibrio cosmico, un buon numero scoppia.

È un bene o è un male essere una coppia e ballare il tango? È un rischio o un’opportunità?

La prima risposta che mi viene in mente è: ognuna di queste.

In prima battuta i vantaggi sono indubbi:

  • si frequentano insieme i corsi/stages/lezioni
  • ci si iscrive agli eventi e di solito si entra
  • si possono condividere le spese
  • si viaggia in compagnia

Poi però ci sono aspetti che cominciano a delinearsi e che, non sempre, vestono il rosa del “va tutto nel migliore dei modi”. Spesso, il tango per la coppia, è come un catalizzatore di quello che non funziona, a partire dalla comunicazione.

Si vedono a lezione le coppie che si prendono a male parole, che litigano per incomprensioni su un movimento, sulla sua esecuzione. E tornano a casa ancora più frustrati quando non arrabbiati, con i volti scuri.

L’altra faccia della medaglia è rappresentata dagli innamorati della prima ora che, a lezione pur non capendo una cippalippa di quanto richiesto, si guardano in faccia con gli occhi a forma di cuore. E se ne tornano a casa, ancora più contenti di come sono arrivati.

Ciò che fluisce o che trova ostacoli nella coppia tout court, il tango tira fuori. A quel punto non si può fare finta che tutto funzioni, perché non è così.

Inserisco questo aspetto in quelli che definisco “rischi” ma che, a ben guardare, risulta una incredibile “opportunità”: di riparlarsi, di trovare il modo di comunicare ancora, di ritrovarsi.

Avere un partner sentimentale con cui condividere la passione tanguera può sicuramente contribuire a scrivere la cifra stilistica della coppia tanguera: gli amanti danzano la loro relazione, le loro affinità, il loro modo di stare insieme. Esce tutto: l’energia vibra forte, l’abbraccio è catartico, l’espressione corporea esprime un sottile legame, una profonda complicità, una intimità radicata. Mi sembra indubbiamente meraviglioso ballare una tanda, esprimendo e godendo di tutto questo.

Possono, in taluni casi e circostanze, entrare dei rumori di fondo, come la gelosia, il fastidio come se qualcun* entrasse a casa nostra senza essere invitato. Lì la coppia deve essere forte, ben strutturata per affrontare questo genere di “sfide relazionali”.

Ne ho visti tantissim* cadere, sedott* da uno sguardo più torbido ed emozionante della loro quotidianità senza onde. Cedere alle sirene di un abbraccio sconosciuto ed avvolgente. Anche questa è vita, non resta che accettarlo. Il tango accelera i tempi: se la coppia è destinata a scoppiare, lo fa con anticipo.

Ho in mente meravigliose coppie che, al contrario, nel tango hanno trovato un cemento che ha reso ancora più solida la relazione, regalando momenti di gioia condivisa, di stimoli funzionali a nutrire un percorso insieme rendendolo nuovo ogni giorno.

Ho pure negli occhi molti tanguer*s rifiorit* dopo la chiusura di una relazione divenuta arida.

Concludendo, specie per tutte le amiche che non hanno mai provato il tango in coppia, credo che sperimentare cosa significhi ballare con il proprio partner sentimentale, sia un’esperienza potente, molto emozionante ma, aggiungo, non per tutti.

Pimpra

IMAGE CREDIT: UNUSUALLENS.COM

IO BALLO DA SOLA. Punti di forza, di debolezza, le opportunità e le minacce.

Che il tango non fosse un ambiente “democratico” l’ho sempre saputo, quando misi per la prima volta piede in una milonga. Passai molti anni di lotte interiori prima di accettare e comprendere le dinamiche dell’invito ed altrettanti anni a combattere con certe logiche non premianti, non meritocratiche che pure si esprimono in milonga.

Il mio ingresso nel mondo tanguero l’ho fatto con il ballerino di allora e l’ho continuato, per molti anni, con un successivo partner. La ruota del tempo gira portando con sé il cambiamento, massima espressione di vita, sono quindi diventata una ballerina senza partner.

All’inizio ho fatto fatica a riconoscermi nel mio nuovo status, dentro di me, da qualche parte, era come se avessi perso qualcosa. Non posso negare che l’abbraccio che mi aveva accompagnato per lunghi anni in molte ore di ballo, rappresentasse oramai la mia “casa” del tango e quindi, le prime volte, il distacco è stato piuttosto pesante. I nuovi abbracci però hanno fatto il loro dovere, ridefinendo la nuova tanguera che sono diventata: felice senza partner fisso.

A tutte le amiche che si riconoscono nella mutata situazione o che non hanno mai avuto un ballerino con cui allenarsi e ballare con assiduità, dico che non tutto il male viene per nuocere. Vi spiego il perché.

Partiamo dalle MINACCE. Che si intendono qui, ovviamente, in senso metaforico.

Non avere qualcuno con cui studiare/ballare con costanza può sicuramente limitare le possibilità di:

  • frequentare un corso con un partner di qualità (di solito sono già impegnati)
  • iscriversi ad eventi di livello più alto (mediamente finiamo in “waiting list“)
  • poter lavorare sulla definizione del proprio stile personale di ballo. (La ballerina tipicamente seguidora avrà probabilmente un po’ meno problemi di un ballerina dal carattere danzereccio più “spinto”).

Quanto ai punti di DEBOLEZZA, a mio parere, vanno a toccare maggiormente la sfera emozionale della donna, ovvero:

  • Non essere invitate perché ci “cade la faccia”, quando nessuno ci vede, ci nota, ci invita.
  • Non avere la possibilità di dimostrare le proprie capacità, l’espressività, la competenza, chi siamo in termini di tanguere perché balliamo con partner che non vogliono rischiare e quindi richiedono una personalità più delicata quando non accomodante
  • inutile aggiungere che a tutte sarà capitata almeno una volta la sindrome del “brutto anatroccolo” che sono brutto e nero e non mi vuole nessuno (e così restiamo per davvero a fare tappezzeria per l’intera serata).

Essere una ballerina senza partner offre, in realtà, delle incredibili opportunità.

Se saprò trovare la lezione in ogni brano ballato con ogni persona con cui intreccerò il mio abbraccio, diverrò sicuramente una tanguera migliore.

La motivazione (punto di forza) di crescere ed imparare mi porterà a cercare il miglior elemento per lo studio in quel momento storico della mia formazione.

La cerchia delle amicizie tanguere subirà un impulso notevole, regalando, oltre al piacevole momento della milonga, deliziosi e divertenti “fuori pista”.

Psicologicamente costringe a guardarsi dentro, costringe a tirare fuori l’energia vitale, obbliga al confronto con i propri demoni (se ci sono) per poterli rendere innocui. Rende la donna completamente indipendente, meravigliosamente avventuriera, libera come un refolo di bora.

Amiche care, mai mi stancherò di dire quanta fantastica vita c’è dentro il tango. Andiamo a prendercela tutta.

Lunga vita alla Giaguara!

Pimpra

IMAGE CREDIT: frame da foto di Mauro Tonkic

APPUNTI TANGUERI.

Il fine settimana lungo di aprile traghetta nello splendido mese di maggio, dove fioriscono rose e spose mentre la primavera ancora non ha fatto capolino.

Per quasi tutti la piccola sosta consente di aprirsi a una piacevole occasione di relax, di gite fuori porta e grigliate con amici.

Il concetto di “pausa” è ignoto al tanguero di tipo errante o stanziale: dove c’è un ponte o un fine settimana allungato, c’è una ghiotta occasione da non farsi sfuggire, un evento imperdibile, una milonga di quelle giuste.

Anche se l’armadio urla “cambio di stagione”, l’appartamento “mettimi in odine”, il balcone “occupati di piante e fiori”, la crew felina “vogliamo stare tutti in compagnia”, pure la sottoscritta non è sfuggita alla sacra regola: A BAILAR!

Con una organizzazione del mio tempo libero degna di una “bionda e svampita”, ho pensato bene di recarmi per due giorni di fila, a due eventi lontani 250 km da casa, facendo ritorno all’ovile dopo ogni serata. Due conti alla mano, circa 5 ore di macchina per ballarne al massimo 6. Irrazionalità allo stato puro. Ma tant’è.

La prima pomeridiana qui, mi ha sorpresa per la spumeggiante offerta musicale che, per la prima volta, mi ha fatto soffermare sull’importanza delle cortinas a cui, in precedenza, non avevo mai dato particolare peso.

La musica, nella mia testa famelica di tango, partiva dall’inizio brano alla scansione delle tande previste, pausetta e via un nuovo giro, una nuova corsa. Il tempo in mezzo l’ho sempre vissuto come “funzionale a”: tornare al posto/cambiare posto/mirare/riballare.

Invece, nel dì del 30 aprile dell’anno del Signore 2023, ho capito che una cortina ben pensata, è un catalizzatore emotivo/energetico/d’atmosfera che prelude e prepara alla tanda successiva. La pomeridiana, benchè sovraffollata, con la pista che buttava in caciara per l’entusiasmo fuori controllo dei danzanti, ha regalato un su e giù energetico coinvolgendo i presenti in una buonissima onda come non ricordavo da tempo.

La cortina dava l’accordo, la tanda completava il movimento.

Il giorno successivo, nella mia personale maratona più chilometrica che tanguera, ho festeggiato il primo maggio, in quel luogo pazzesco che è lo spazio Orvett. Ogni volta che vi ho ballato, sono tornata a casa appagata, l’atmosfera del luogo unita alla cordialità del gruppo degli organizzatori, rende la festa una bellissima festa.

Inizio il mio martedì di maggio con un solo miraggio davanti agli occhi: una dormita di almeno 6 ore.

E da domani si ricomincia…

Pimpra

IMAGE CREDIT: GAZ BLANCO

Ps: l’abito dell’immagine un modello di Modecreator Quincedemayo Anita

RIPARTO DA ZERO. #ditantointango

Chi smette di studiare è perduto.

In ogni settore della vita, dal lavoro agli hobby, allo sport. La necessità di mettersi sempre in gioco per alzare l’asticella, non dando per scontate capacità o doti personali, senza sedersi mai su presunti allori di obiettivi raggiunti.

La vita è un lungo cammino da riempire di piccoli e grandi traguardi, di sfide accettate e vinte, costellato da cadute clamorose e da giorni zero, quelli in cui si tira una linea e si riparte.

Nei giorni scorsi, grazie a un incontro che ho fatto per caso, vedendo il video di una ballerina che mi piace molto, ho scoperto chi fosse la sua Maestra, la prima, quella che ne ha definito le fondamenta e l’ho contattata.

In realtà ci eravamo già incontrate in milonga ma non avevamo avuto l’occasione di parlarci, di conoscerci meglio.

Le domande che mi ha posto relativamente a cosa cercassi nella lezione mi hanno immediatamente fatto comprendere che ero nel posto giusto, con la persona giusta. “Sento che qualcosa non va, credo si tratti di questo e di quello, vorrei che il mio tango fosse così, ma non so esattamente. Ti chiedo solo la verità, non farmi sconti, anche se è tutto da ridefinire”.

Con tatto, maieutica, spiegazioni verbali e fisiche talmente chiare, mi ha fatto capire senza alcun dubbio su cosa devo lavorare.

Dopo quasi 20 anni, sono pronta a scavare nuovamente le fondamenta della mia casa, lo faccio con gioia, con umiltà e pure con gratitudine.

Il tema dell’esprimere un giudizio tecnico/artistico agli allievi è sempre piuttosto complesso per chi, nella professione, insegna una materia che rientra nel campo semantico del “tempo libero” si tratti di un hobby, di un passatempo o di una disciplina sportiva o artistica.

Quale è il limite in cui l’insegnante può spingersi a correggere gli errori?

Non è una questione di poco peso, poichè per il docente gli allievi sono fonte di entrate, di qui il rischio di esporsi con verità che potrebbero risultare sgradite.

Faccio parte di quella schiera di vecchi atleti abituati ad essere ripresi dai loro allenatori, perciò dal mio insegnante mi aspetto questo: che mi corregga e se devo ripartire da zero, riparto da zero.

Ancora una volta il tango mi insegna la vita.

Una nuova linea tracciata, un nuovo inizio. Nuove scoperte, nuove avventure.

Quest’anno mi sta insegnando che nello zero c’è l’infinito. L’infinito delle possibilità.

Che meraviglia!

Pimpra

IMAGE CREDIT: frame da immagine di Marco Piemonte

NO LEADER? NO PARTY! #ditantointango

La butto in caciara ma, in realtà, credo si tratti di un argomento pesante, specie per il pubblico femminile.

Non disporre di un partner di ballo. Praticamente l’80% delle donne danzanti che conosco vive questa condizione.

Non avere un parter fisso cosa comporta?

Sicuramente mette in gioco ed esalta le qualità di follower: ogni uomo un abbraccio, ogni uomo una lettura musicale diversa, con ogni uomo un mix fisico diverso. [BENEFICIO]

Starci, seguire, leggere tutte le sfumature, proprio perchè non si conoscono, non sono “casa”, di certo accresce molte qualità della tanguera: sensibilità, connessione. [BENEFICIO]

Ciò detto, mi vengono in mente cose:

  1. percorso di studio: sempre più complicato trovare qualcuno con cui studiare, e penso non solo ai corsi ma agli stages, alle private…
  2. stile personale: se la follower sente dentro di sè di avere qualcosa da esprimere come tanguera, chiamiamolo uno “stile personale” un po’ più spiccato che si distingue dal tipico canone di “seguidora”, fatta eccezione per alcune follower di dichiarato talento, per tutte le altre sarà ben difficile poter lavorare ed esprimere la loro cifra stilistica più personale
  3. la fame: le vedi in sala, in attesa di quello sguardo, di quel battito di ciglia che prelude una tanda. Affamate di tango, in perenne attesa di venir soddisfatte. Molto spesso se ne tornano a casa con le pive nel sacco, perchè… non abbastanza brave, non abbastanza seguidore, non abbastanza giovani, non abbastanza qualcosa.
  4. Eventi: no leader, (quasi mai) no party. Siamo troppe e loro, sempre troppo pochi. Liste di attesa, e tantissimi no.

Da 1 a 4 solo criticità.

Poi c’è tutta la sfera psicologica che si attiva negativamente quando la follower non fa parte della/e cerchie, perchè è una cosa che si sente sulla pelle appena metti piede nella sala che “stai fuori”. Puoi essere dannatamente brava ma se non fai parte del cerchio magico, avrai poche chances di giocarti delle tandas. Come si fa a dimostrare la propria bravura se non vi è l’invito.

Non si tratta di piangersi addosso, si tratta di trovare una soluzione.

Studiare, ma stavolta da leader. Studiare da paura in versione maschia. Le migliori lo fanno già da tanto tempo, sono ballerine di livello decisamente superiore, richieste dalle loro amiche follower e pure dai leader che ne riconoscono le indubbie qualità.

Ballare il tango non è un’attività democratica, non è come fare sport che se ti alleni migliori, magari solo rispetto a te stesso.

Ballare il tango ti sbatte in faccia la realtà della vita che se non sei in equilibrio sui tacchi e con te stessa, l’energia che emani è contaminata e tutti se ne accorgono, lasciando la malcapitata a fare da sfondo alla tappezzeria.

No leader, no party.

Non scambierei comunque, per nessuna ragione al mondo, il fatto di stare nel gruppo follower, non fosse per le mie amatissime scarpe con il tacco.

No leader? I’m the party!

Pimpra

ALLA RICERCA DELLA “FIRMA TANGUERA”.

Tra i molteplici benefici di avere una passione è quella di poterla condividere con gli amici. Se poi ci porta a spostarci, si creano delle situazioni da gita scolastica estremamente piacevoli, quando non esilaranti.

Nella macchinata che ha portato me e una coppia di meravigliosi amici, oltre che tangueros sopraffini, a raggiungere l’agognata meta della maratona, è stata occasione per ciarlare amabilmente di tango, ça va sans dire.

Le chiacchiere più interessanti sono sempre quelle che si fanno post evento dove si scambiano opinioni, esperienze e – normalmente- si condivide l’assoluta soddisfazione, unita al godimento, di avervi partecipato.

Il mio post maratona è come se avesse acceso tutte le lampadine del cervello, per gli enormi stimoli che ho ricevuto.

In questo articolo vi racconterò della “firma tanguera”, ovvero di quell’impronta assolutamente soggettiva e personalissima che ogni tanguer* lascia, o, a mio parere, dovrebbe lasciare.

Non si tratta della forma in cui si esprime la danza, non è questione di stile, non di preparazione tecnica, neppure di abbraccio è una sfumatura sottile, unica, personalissima che non tutti i danzator* riescono a scrivere.

Cerco di spiegarmi meglio: vi sarà capitato di riuscire – dopo lunga attesa- a ballare la tanda con quel particolare ballerin* con il quale da tempo desideravate ballare. Ebbene, alla fine vi resta un’immensa delusione, non determinata dalla incapacità del soggetto ma, semplicemente, dalla mancanza di un colore personale della sua danza che, all’interno dell’abbraccio, non avete percepito.

Una tanda che definisco “neutra”, non cattiva ma nemmeno particolarmente saporita, una pasta al burro, per cercare la metafora culinaria. Anche qui si può aprire una discussione: moltissime persone adorano la pasta al burro, anche la pasta al burro ha una sua dignità e un suo senso. Certamente ma… nell’economia di uno scambio molto frequente con tantissimi soggetti, la pasta al burro ha un’intensità che, probabilmente, la nasconde, facendola passare in secondo piano.

Tornando al concetto della firma, mi sono fatta l’idea che sia un fattore legato al carattere: la firma racconta di noi, non come ballerini, ma come persone. Ci sono soggetti che detestano mostrarsi, far conoscere all’altro chi sono una volta smessi i panni del tanguer*. Timidezza, riservatezza, altre ragioni, li portano a darsi nelle tande in maniera più “neutra”, privando così l’altro del piacere di fare la conoscenza ANCHE della persona che sta dietro al ballerin*.

Per firmarsi serve l’esperienza, lo studio, la pratica, tutte cose che restano imprescindibili in un buon tanguer* ma entra forte anche la dominanza soggettiva: mi scopro veramente, fingo astutamente, resto in silenzio, parlo a voce alta, mi esprimo sottovoce.

Personalmente in pista adoro chi mi racconta anche altro, mi parla della sua vita in qualche modo, solo abbracciandomi e portandomi nell’incredibile viaggio che può essere ogni tanda.

Forse firmare è legato all’empatia, me lo chiedo.

Ad ogni modo, la prossima volta che ballerete, provate a percepire se quanto ho scritto in questo articolo vi risuona, mi piacerebbe sentire la vostra opinione, se vi va.

Vado a prendere la stilografica… 😉

Pimpra

#ditantointango LE CHIACCHIERE CHE FANNO MALE.

Chi è assiduo frequentatore di eventi, specie di quelli più lunghi, da weekend come le maratone, i festival, sa benissimo che, tra le ciarle a margine delle tandas, ci sono sempre i commenti più disparati sui partecipanti.

“Quell* è brav* ma non mi invita, quell’altr* se la tira e balla solo con i suoi, non capisco perchè quella (i commenti sulle donne, espressi dalle donne, sono sempre i più tremendi) balli così tanto che è una principiante, ovvio perchè è giovane e figa e ha pure le tette in mostra (ecc ecc)” vi risparmio.

Una sorta di analisi sociologico/comportamentale/sputtanatoria dei tangueros/as in pista.

Non si dovrebbe mai cadere dentro questo genere di trappole perchè tornano indietro come un boomerang.

Innanzitutto ognuno di noi partecipa per stare bene, per divertirsi, per ballare, per socializzare, chi anche per trovare una nuova fiamma. Quale che sia la motivazione l’imperativo categorico rimane uno: godersela. Vivere il momento della socialità con gaia apertura, con animo e cuore leggero. Così facendo, ovvero impostando il proprio asset mentale su pensieri positivi “Oggi starò bene, ballerò bene, mi divertirò” la modalità energetica si predispone correttamente, facendoci diventare sorridenti, aperti verso l’altro senza giudizio, senza ansia, senza paure senza sentimenti di frustrazione e men che meno senza retropensieri negativi.

Provate, funziona!

La PNL insegna che per il nostro cervello realtà e immaginazione sono la stessa cosa, il cervello non distingue i pensieri prodotti da situazioni “reali” e quelli solo immaginati. Provate ad andare in milonga, la prossima volta, immaginando che ballerete assai, godendo assai. Vi stupirete dei risultati!

Troppo spesso ho sentito donne, solo perchè nell’attesa di una tanda mi trovo tra il pubblico femminile, lamentarsi per questo e quello, criticare questo e quello per poi ritrovarsi inchiodate alla sedia che quasi nessuno si accorgeva di loro.

Siamo tutti animali sociali e, specie in contesti legati al ballo, andiamo alla ricerca di leggerezza, desideriamo non pensare ai problemi, al lavoro e a tutto ciò che nella nostra vita è difficile e pesante.

Parola d’ordine: leggerezza.

A chi mi ribatte “io ci vado in milonga con i bei pensieri ma poi nessuno mi si fila” rispondo che crede di avere bei pensieri, invece c’è un forte rumore di fondo legato ad ansia, preoccupazione, frustrazione, paura dell’insuccesso e queste sensazioni, malgrado ciò che crediamo, vengono percepite all’esterno, producendo effetti contrari a quelli sperati.

Mi sto perdendo in questo pippolotto, ma era tanto che non ne scrivevo uno, per esortare TUTTI a vivere pensando al lato positivo dell’esistenza, sforzandosi di trovare ogni piccola scintilla di bene. In sala da ballo i risultati saranno immediati, lo garantisco, e porteranno una sferzata di benessere di cui tutti abbiamo bisogno.

Teniamo sempre a mente che noi meritiamo di essere felici.

AMEN.

Pimpra

Image credit da qui

3 GENERAZIONI E TANGO. LA CONVIVENZA CHE CI PIACE

Una volta in più, ce ne fosse mai stato il bisogno, la maratona di tango mi ha insegnato qualcosa. Non penso alle dinamiche evoluzioni dei tangueros, quanto agli altri insegnamenti che ne ho ricavato.

L’ho sicuramente già scritto in passato e lo ripeto oggi: ballare il tango è come rappresentare la vita, nel suo corso, nelle sue dinamiche, nelle sue relazioni. Ed è su questo ultimo aspetto che desidero soffermarmi.

Dopo due anni abbondanti di stop per pandemia, anche quando si poteva ballare con “con attenzione”, non mi sono affacciata alle milonghe, sono finalmente rientrata in pista direttamente in maratona (matta che sono!!!).

Riempiti gli occhi e il cuore di tutte le sfumature di emozioni, di stupore, di curiosità che potevo contenere, ho osservato le dinamiche relazionali perchè percepivo qualcosa di nuovo a cui non sapevo dare voce.

Al secondo giorno di ballo, tanto ballo, tanto bel ballo, ho capito: esiste una “frattura” abbastanza netta tra le generazioni che popolano la pista che, riassumo per brevità, in giovanissima, nuova e vecchia. La prima, arriva fino ai 30 enni, la seconda più o meno dai 30 ai 45, la terza dai 45 in poi.

Fascia 1 e 2 interagiscono discretamente, specie se i soggetti appartengono ai primi anni del secondo gruppo. Le cose diventano molto diverse con gli abitanti del terzo, i 45 enni e oltre, con una spaccatura decisamente evidente dai 50 in su.

Cosa significa?

Mirade che non arrivano o che scivolano via, scelte precise di campo: con la terza fascia no.

Se indossiamo gli occhi di un giovanissimo/a non è difficile immaginare come veda quelli più grandi: assolute mummie, sia in termini fisiologici che tangueri. Possiamo dare loro torto? Non credo, nel senso che anche noi a 20 anni e poco più non andavamo alla ricerca di un abbraccio così maturo, lontano dal nostro universo generazionale. Si sta con coloro che sentiamo “vicini” e, simpatia e bravura a parte, l’età è una discriminante potente.

Speravo in una maggiore democrazia tanguera nella relazione tra seconda e terza fascia, in special modo tra i più “vecchi” della seconda e i più “giovani” della terza. Anche in questo caso sono rimasta sorpresa. Certo l’interazione c’è, è più fitta che tra la prima e la terza, ma con riserve.

Uomini e donne volgono lo sguardo – preferibilmente – ai giovani che rappresentano la novità sia in termini di ballerini/e, sia in termini di “freschezza” fisica. E come fai a non accorgerti della bellezza ingenua e potentissima di un corpo non ancora segnato dal tempo, dell’energia vitale e sessuale che emanano i ragazzi/e? Come fai? La vedono tutti, i coetanei, e quelli più grandi.

Far parte, oramai, della “vecchia guardia” temevo diventasse un problemone difficile da gestire psicologicamente nel senso che a nessuno piace essere trasparente, non essere quello scelto o prescelto, insomma diventare parte della tappezzeria della sala. E sticazzi!

L’insegnamento che ho colto è agire un sano distacco dalle dinamiche che mortificano la propria autostima, le mirade che non vanno a segno non sono un fallimento di tutto, la “Waterloo della tanguera”, nel mio caso, ma semplicemente una delle possibilità che accadono in milonga.

In maratona ho mirato incuriosita dei ballerini che nemmeno se fossi caduta tra le loro braccia, si sarebbero accorti di me, e infatti non si sono accorti di me, allora? dove sta il problema? Ho scambiato altri sguardi andati a segno che mi hanno portato a tandas che mi hanno felicissimamente sorpresa, divertita e fatta emozionare.

Ognuno di noi, se messo nella possibilità e ribadisco “possibilità” di scegliere, lo fa secondo criteri unici, individuali, personalissimi: chi cerca un corrispondente tecnicamente affine, chi predilige la sensualità della persona, chi la simpatia, chi vuole quello/a “famoso/a” ecc ecc. Quindi se, malauguratamente, non siamo destinatari di “attenzioni” leggi mirade, non siamo noi ad essere “sbagliati” in alcun modo, semplicemente non corrispondiamo alla sfera del gusto dell’altro. Facile no?

Nel tango, come nella vita, è chiaro che bisogna viaggiare leggeri, rimanendo fluidi e resilienti. E così, dal nulla, arriva la tanda della serata, quella che aspettavi da anni e oramai non ci speravi più. Invece arriva…

Concludo dicendo che “Fin che c’è vita c’è speranza, fin che c’è il tango, c’è vita” e se in più ci aggiungo un sorriso è tutto ancora più bello!

Pimpra

IMAGE CREDITS MARCO VAGHESTELLE

ANCHE IL TACCO FA LA TANGUERA

Sto per scrivere un concetto che sicuramente cozza con quanto espresso tempo addietro, mi prendo il sacrosanto diritto di cambiare idea ma, preciso, mi piacerebbe avere uno scambio di opinione con altre donne.

Ho visto ballare il tango da tangueras in infradito, scarpe da ginnastica, scarpettine da jazz, salva piedi insomma senza indossare le tradizionali calzature con il tacco e il loro tango poteva esprimersi come se nulla fosse. Fluido dalla terra al cielo, sgorgare nel loro abbraccio, risplendere nel volto.

Anche a me è capitato di darmi a pazze danze indossando inappropriate sneakers, quando non sono stati addirittura gli anfibi, l’ho fatto, ma si trattava di puri attimi di follia o di necessità mediche.

Mi sto convincendo che la tanguera è anche i tacchi che indossa.

Quasi tutte le balleirne in erba, una volta scoperti i meravigliosi sandali dall’altissimo stiletto, sono cadute nella trappola di volerli indossare come a sancire con la loro altezza l’ingresso nel mondo della milonga. Ex (danzatrici) classiche a parte, dotate del famoso “collo del piede” formato dalla durissima disciplina, per la quasi totalità della platea di praticanti la nuova arte, i tacchi altissimi sono stati una vera e propria tortura, salvo casi rarissimi, conducendo le addette a notevole sofferenza fisica delle estremità.

Studiando e crescendo nel tango, ognuna di noi ha saputo fare i conti con i suoi limiti adattando il tacco alla ballerina e non il contrario. Aggiungo: meno male. Meno armadi appesi alle braccia del povero leader, maggiore dinamica, equilibrio e asse mantenuti con più costanza.

Ma il punto della questione non è questo.

Il tacco per la tanguera è il catalizzatore della sua “giaguara” interiore, dentro e fuori dalla pista. Essere oramai capaci di portare i tacchi e camminarci veloci, come si trattasse di indossare sneakers, perchè il corpo ha appreso l’arte di cercare il suo asse anche quando la superficie d’appoggio è più ridotta, rende la donna più sicura di sè, più elegante nell’incedere, più sexy se lo desidera.

Fate questa prova, amiche tanguere, nel corso della vostra giornata, passate da scarpe basse a un paio con il tacco e poi mi raccontate come vi sentite cambiare dentro, come se quella donna sempre presa da millemila cose da fare, pensare, organizzare, ad un tratto si fermasse mostrando attenzione a se stessa.

Un vero miracolo, una dedica d’amore rivolta a noi stesse.

E’ primavera, il cambio di stagione degli armadi è imminente, il cambio di attitudine mentale è atto dovuto: apriamo le porte a tutte le sfumature possibili delle donne che sappiamo di essere.

Buon divertimento a tutte!

Pimpra

NELLA PENOMBRA, MI ASPETTA

credits Ludovica Paloma

Questo lunghissimo periodo di astinenza tanguera ha tolto moltissimo, specie nel corpo, e nello stesso tempo ha fatto ordine in certi pensieri arruffati, in alcune credenze sbagliate facendo spazio a una profonda e vivida riflessione.

E’ facile intuire come il corpo risenta dello stop.

La tradizione popolare argentina deifnisce i movimenti dei tangueros come la cosa più naturale del mondo “bailar el tango es como caminar“, omettendo il trascurabile dettaglio che si tratta di una camminata ad elevatissimo indice di complessità. La scelta soggettiva sta nell’altezza in cui si vuole posizionare l’asticella della propria goffaggine.

Non aprirò il mio sermone su quanto sia fondamentale dedicarsi alla “long life learning tanguera“, assioma fondamentale di ogni soggetto danzante: non si deve mai smettere di studiare per migliorarsi o, semplicemente, per non peggiorare (troppo), ne va del gusto che si può offrire e ricevere nel corso della milonga.

La sosta forzata mi ha costretta a prendere atto di taluni aspetti che non mi ero mai data il tempo di analizzare, di assumere e di metabolizzare poi.

Nei discorsi sul tango si parla sempre dell’abbraccio, uno dei cardini di cui si ammanta la connessione, magica parola che ci proietta immediatamente dentro il cuore sacro del tango.

Questi mesi protratti di buio e di silenzio però, mi hanno offerto una chiave di lettura che non avevo trovato in precedenza.

IL TANGO E’ LO SPECCHIO.

Un tempo, il mio asse corpo/sensazioni, era tarato per dare una risposta immediata all’abbraccio che ricevevo. Abbraccio morbido=”devo essere più flessuosa e docile possibile”; abbraccio presente ma non costrittivo=”yuppy qui si va via dinamici”; abbraccio destrutturato=”povera me!”, abbraccio stretto che non respiro=”fatemi uscire subito dalla gabbia!” e così per le millemila sfumature dell’abbraccio ricevuto e, spero, donato a mia volta.

Io ero una ballerina “fuori”, nel senso che cercavo un dialogo verso l’altro, a volte perdendo di vista chi fossi o, se per qualche ragione non riuscivo ad andare verso, diventavo una ballerina “aggressiva”, prendendomi ciò che desideravo, proponendo assertivamente al leader, il quale, se molto evoluto in termini di preparazione e apertura mentale, accoglieva con piacere questo impeto. Ma sempre di “impeto” si trattava. Azione/reazione.

Questi lunghi mesi di buio mi hanno costretto dapprima, insegnato, poi, a riconsiderare tutto, me per prima.

Mi appare chiaro, oggi, che essere soddisfatta del “mio tango”, non significa prioritariamente aver “ballato bene” in senso “fisico”, ma piuttosto aver ballato bene con la parte più vera di me che balla con l’altro.

Ho capito che mentre ballo il partner è il mio specchio, un medium che riflette me stessa, aiutandomi a vedere, a sentire, a vivere le emozioni: la paura (di sbagliare il movimento), la dimensione del mio abbandono (quel lasciarsi andare totalmente all’ascolto), la frustrazione di percepire gli ostacoli che inconsciamente frappongo per giustificare un “non riesco a farlo/sentirlo, a farlo/sentirlo come vorrei, a farlo/farlo sentire bene”.

Ho compreso che lo specchio mediato dall’altro, il più delle volte in modo inconsapevole, è un bene preziosissimo. Posso e devo fare i conti su ciò che non desidero affrontare, devo guardare e starci in quella sensazione sgradevole, per capire che sono anche quella tanguera, quella donna.

Accettato il rimando, il tango si libera e diventa espressione leggiadra, passionale, fluida, timida, delicata, forte, allegra, struggente, melanconica, dolorosa … di ciò che siamo.

Mi ci sono voluti tantissimi anni per arrivarci, per capire fino in fondo l’impatto di questo ballo immenso che vive dentro di me e sa aspettare che io torni. Sempre.

Pimpra

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