IO SONO TEAM #PFITZER

Il mio V.Day è stato martedì. Ci sono arrivata con la mia cara amica, unite, ad affrontare una vaccinazione che, se non ci avessero costruito sopra un incredibile battage mediatico “contro”, sarebbe stato un (non) evento nella nostra vita, come un qualsiasi esame medico di routine.

Siamo arrivate al nostro centro vaccinale, in anticipo, nessuno in coda. Selfie scaramantico d’ordinanza prima di mettere piede dentro l’hub sorridiamo “Finché siamo vive”.

Organizzazione impeccabile, meccanismo oramai oliato da mesi di vaccini già inoculati.

Le scartoffie passano il primo controllo e pure al banchetto dove scopriremo quale tipologia di vaccino riceveremo: tutto ok.

Io sto nella squadra Pfizer (quindi vaccino su base RNA), la mia amica team Janssen (vaccino a vettore virale non replicante).

Siamo su due distinte file e, mentre aspettiamo il nostro turno, mi sento parte di una cosa grandiosa, epocale.

“Ti rendi conto che stiamo vivendo un momento straordinario della storia dell’umanità? Una vaccinazione di massa a livello planetario, ha dell’incredibile”, la mia amica replica con un pragmaticissimo “Ne avrei fatto volentieri a meno”, e come non darle ragione.

Vengo indirizzata al mio gabbiottino, dove un giovanissimo medico (credo) e un’altrettanto giovane infermiera o medico, mi intrattengono con battute ironiche “Vedrà come prederà bene il 5 G una volta a casa”, ridiamo e manco mi accorgo che la punturina era già fatta. Mi complimento per la mano piumata e procedo nella sala di decompressione, quella in cui, trascorsi 15′ e sei ancora vivo, puoi tornare a casa tranquillo.

Sentendomi bene, volevo uscire dopo i primi 5′ ma, la mia amica “Nonsisamai”, ha preferito attenersi scrupolosamente alla regola.

Una volta fuori, abbiamo festeggiato il salto del fosso, godendoci un aperitivo all’aperto.

Alla sera, un sacco di amici a chiedere come stavamo, se tutto era ok e, per nostra fortuna, tutto è andato nel migliore dei modi.

Il mio secondo appuntamento per concludere la profilassi, di qui a fine mese, dopodiché un foglio mi permetterà di andarmene tranquilla in giro per il mondo.

Come molti, ho avuto infinite perplessità, mi sono molto spaventata alle notizie dei media di persone che morivano dopo il vaccino, anche su di me il tam tam mediatico per un certo periodo ha fatto presa sulle emozioni.

Poi, mi sono detta: io credo nella scienza e, messi sulla bilancia i costi/benefici, ho ritenuto che i secondi fossero di gran lunga superiori.

Il rischio c’è, per ogni cosa. Ho scelto di rischiare per godermi una libertà di movimento alla quale non sono più disposta a rinunciare. Vaccinarsi per creare quella copertura di immunità di gregge è anche un dovere civico e, francamente, non mi sembra corretto aver messo “a rischio” gli anziani (vaccinati per primi) e poi tirarmi indietro proprio io.

Penso che a ciclo di vaccino concluso, potrò ribaciare e abbracciare mia mamma senza particolari patemi d’animo, così come godermi il mondo in tutta la sua meraviglia.

Agli indecisi dico: trovate la vostra personale motivazione per farla questa punturina e andate avanti convinti.

Pimpra

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IL TANGO AI TEMPI DI CORONAVIRUS

Certe epidemie ti sorprendono così, tra il lusco e il brusco, un giorno a caso mentre guardi il TG e ti avvisano che, in un luogo tanto lontano da casa tua, è in atto una virulenta epidemia.

D’istinto mi dispiaccio per le persone coinvolte ma, non mi agito, non mi faccio prendere dal panico.

Poi però il virus scorrazza a briglie sciolte per il pianeta e ti ritrovi casa infestata come quel paese tanto lontano che ne è stata la fonte.

Continuo a restare serena anche se i mass media italiani fanno i peggio disastri (e come potrebbe essere diverso, considerato il nostro “spirito di popolo”?) provocando un panico irrazionale in troppe persone.

Resto calma ma cerco di riflettere e di informarmi.

Ho un’età e uno stato di salute che mi espongono a un rischio davvero lieve, alla peggio prenderei un’influenza, ma il problema non è questo, non è la MIA salute, è la salute degli altri, che potrei – anche inconsapevolmente – contagiare e, per effetto domino, il collasso a cui possono venire esposti i servizi sanitari di emergenza, le terapie intensive che non sono strutturate per simili emergenze.

La MIA influenza, non è il vero problema. E’ che posso contribuire, come untore (anche asintomatico) alla diffusione esponenziale del virus.

Sono una ballerina di tango, questo è il periodo in cui vengono organizzati eventi di tango che sono nel mio cuore.

Che fare quindi? Andarci, tanto per me il rischio è pressoché nullo o fermarsi a riflettere, pensando, per una volta, alle conseguenze su un sistema più grande?

Non è affatto facile prendere questa decisione, perché ballare è un’esigenza spirituale oltre che fisica.

Assisto a molti dibattiti in proposito, le fazioni si dividono sostanzialmente tra gli “allarmisti” e i “negazionisti”.

Credo non sia giusto giudicare le scelte di nessuno.

Siamo cittadini di un paese e, per una volta, siamo chiamati a dare una risposta – sicuramente – personale, a un’emergenza pubblica.

Io la mia scelta l’ho fatta.

Pimpra

Articolo di oggi

POST SESSISTA

Oggi mi concedo l’immenso piacere di lanciarmi in un post dichiaratamente sessista.

Uomini, siete avvisati.

L’argomento del contendere è la devianza comportamentale che il testosterone provoca su maschi cinquantenni e oltre. Su numerosi soggetti maschili, non su tutti, ovviamente.

Credo che si tratti di accettazione, o meglio del suo contrario: la non accettazione che il tempo passa per tutti, pure per gli uomini più virili.

Noi donne ci siamo abituate, come se la natura ci insegnasse, da subito, che abbiamo delle tappe fisiche che segnano, inesorabili, l’andamento verso la vecchiaia.

Per noi, si chiama menopausa. Mica facile eh, sia chiaro, a parte i fastidi fisici/umorali connessi a questo cambiamento, l’impossibilità dichiarata di non poter avere più figli, decreta, in una certo senso, una nostra “fine”, o meglio un limite, la soglia verso una nuova età.

Non è che ci buttiamo alle ortiche, per carità, ma, in coscienza nostra, sappiamo che si apre un nuovo capitolo ci piaccia o no. Impariamo che è nostro dovere quello di tenerci in forma per non svaccare, dobbiamo prestare più attenzione alla salute perché si fa più fragile, approcciamo il mondo con occhi diversi molto più ricchi di sfumature e di sensi.

Il post sessista che sto per buttare giù è questo: troppi uomini cadono malamente nella trappola dell’età, perché pure loro, sebbene non gli si fermi nulla nel corpo, come a noi le mestruazioni, invecchiano. Punto.

Ciò che noto è che, quando ne prendono consapevolezza – capelli bianchi o non capelli, muscoli molto meno guizzanti, rughe, bisogno di occhiali da vista da vicino e lontano anche se prima erano aquile, pelle che perde tonicità, doloretti in giro per il corpo, cose naturalissime ovviamente – in alcuni soggetti scatta qualcosa dentro.

Urge impellente la necessità di dimostrare al mondo e a se stessi di possedere lo stesso vigore degli anni verdi. Vigore che, ahimè, non si esprime in tutto il fascino dell’intelligenza, dell’esperienza, della maturità che la vita e le esperienze hanno dato loro ma… nel corpo.

Il corpo è il più bel tempio che conosciamo, sono la prima a dirlo, ma ritengo non debba essere il solo motivo che dà senso alla nostra esistenza.

Li vedo, compiuti i 50, che decidono di andare in palestra, mai frequentata prima, nella vana speranza di rimettersi in forma, illudendosi di mettere su un fisico da paura, ricorrono ai peggiori artifici per arrivarci prima e senza fare troppa fatica.

Li vedo, compiuti i 50, risvegliarsi un giorno e rinnegare la donna che li ha accompagnati nella vita fino a quel momento, mentre loro lasciavano andare la relazione senza viverla e poi aprire gli occhi un giorno e dire basta.

Li vedo, liberi, ringalluzziti di questa nuova aria piena di profumi, a fare le fusa a donne troppo giovani per loro, per poterle portare a braccetto, manifesto della loro ritrovata virilità.

Sono crudele e per niente politically correct, lo so, ma vi avevo avvisato.

Ho una domanda per voi, Ragazzi anta anta, perché? C’è un universo ancora da scoprire, vita da vivere, esperienze da fare senza il bisogno di indossare gli abiti di un adolescente o poco più.

La vita nel suo scorrere è bella e pure voi lo siete, così come lo sono i giovani e pure gli anziani. Ogni istante ha un perché. E credo che armonia sia viverlo nel tempo sincronizzato con il proprio tempo.

Poi liberi di giocare come preferite, ma la tinta ai capelli, almeno quella, no.

Pimpra

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PENSIERO DI FINE ANNO

Mai come quest’anno il profumo di zucchero filato che le festività mi evocano alle narici è lontano.

Nessun richiamo, in questo senso, nessun dolce ricordo ma nemmeno triste o doloroso. Ciò che di bello è stato vive nel dorato libro della memoria e nessuno mai potrà cancellarlo.

Questo carrozzone imposto a chi non è permeato di fede religiosa per cui il momento è di topica importanza, diviene, con il passare del tempo, sempre più una grandiosa farsa.

Fino a pochi mesi fa nella mia famiglia era l’ultima tradizione che reggeva, la cena di veglione. Da quest’anno, l’ultimo baluardo è caduto. Al momento ci sono rimasta male, poi, ho pensato che è meglio la libertà di tutti di fare ciò che desiderano.

Però, festeggiamenti a parte, è bello soffermarsi a pensare che cosa è stato l’anno quasi concluso.

Lo ricorderò come una pietra miliare del mio cammino, sicuramente. Non fosse banale, meriterebbe di essere fissato con un tatuaggio della Fenice, ma, lo ripeto, è troppo banale. Il significato però resta quello.

Dal buio esistenziale dei primi – lunghissimi- mesi, all’alba e alla luce degli ultimi.

E’ questo che festeggerò. La rinascita.

Festeggerò che invecchiare diventando più consapevoli è bello, anche se il corpo non torna indietro e si sobbarca il peso del tempo. L’Anima no, lei resta nella sua dimensione senza tempo.

Alzo il mio calice simbolico a me, alle prove che ho superato, al coraggio che ho dimostrato a me stessa di voler mettere il naso in certe mie stanze buie, alla paura che ho superato, all’allegria che è tornata, alla gioia che sempre mi ha contraddistinto.

Il 2018 mi ha insegnato che non è egoismo prendersi cura di se stessi. Non lo è affatto.

Non è sbagliato dichiarare con onestà chi si è e come, senza voler modificare il prodotto per renderlo più piacevole al mercato della relazione umana. Sticazzi.

Così mi ritrovo e, dopo tanto, sorrido finalmente a quella faccia strana che mi accompagna da sempre, al mio naso poco aristocratico, alle rughe più profonde intorno agli occhi.

L’epifania è compiuta.

Come un videogioco, si passa allo schema successivo: le porte si aprono, perché il cuore le ha aperte. Ed ecco che l’Amicizia regala il meglio di sé, l’Amore che chiede non è più necessario perché ha imparato che la fonte non viene dall’esterno ma da noi stessi.

A tutti coloro che passeranno per di qua mando un Abbraccio Universale di quella condivisione di Armonia che tanto mi è cara.

Spero che Babbo natale o chi per lui vi regali quella scintilla d’amore per voi stessi che, troppo di sovente, crediamo di non avere o di avere perduto.

In alto i calici e cin cin (analcolico per me!) 🙂

Pimpra

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INCLUDERE. NON ESCLUDERE.

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Ho un sapore amaro in bocca.

Osservo quanto accade nel mondo tanguero, notando un fenomeno che sta crescendo sempre di più: l’esclusione sociale di quanto è ritenuto “diverso”.

Il tango argentino sta, ahimè, perdendo sempre di più quella connotazione “sociale” che lo deve contraddistinguere, proiettandosi in una dimensione di “esclusività” legata a gruppi coesi e socialmente bene identificati.

Ricordo ai tempi maledetti dell’adolescenza, la separazione a camere stagne dei gruppi giovanili che identificavano i propri status in vessilli musicali, piuttosto che estetici o altro.

Tristemente anche il tango del mio cuore, si sta muovendo in questa direzione: dividere invece che unire, separare invece di mixare.

Provo un dolore immenso.

L’abbraccio che è sempre trasversale ai credo di ognuno, sta diventando un altro muro tra me e te.
Nella scelta dell’amalgama sociale, che amalgama non è più, contano elementi che non dovrebbero mai entrare nella dimensione tanguera: la politica, il giudizio stilistico, il prestigio sociale (vero o presunto).

Quando ero una giovane donna, per natura e per istinto (adesso mi dico “felino”) ho sempre sentito forte la spinta alla libertà, quel sentimento profondo che mi connetteva a me stessa, alla mia assoluta unicità nel mondo e che mi ha sempre regalato gioia, curiosità  e apertura verso l’altro essere umano.

Come ballerina di tango, posso dire la stessa cosa: aborro l’omologazione in stili/gruppi/mode/status, voglio mantenere sempre aperto il mio sguardo sul mondo,  il mio abbraccio sul mondo affinché possa essere sempre inclusivo e non esclusivo.
Voglio difendere la curiosità di scoprire le differenze tra il mio modo di ballare e il tuo modo, voglio che ciò che è altro da me possa trovare una strada per parlarmi, per connettersi per raccontarmi la sua storia.
Voglio fare parte di un mondo che si incontra grazie a una musica celestiale e che vive le emozioni che ne scaturiscono attraverso l’abbraccio che unisce due corpi.

Quando ballo voglio solo la gioia. Quando vado in milonga, a un festival, a un evento, a una maratona cerco emozioni belle, scambio, sorrisi aperti, voglio sentirmi a mio agio, serena nella mia differenza, felice di cogliere tutti gli stimoli che mi verranno proposti, specie se appartenenti a un mondo che non è il mio.

Ecco.

Pimpra

 

 

 

Ci sono persone, poi c’è Mina.

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Ci sono persone che illuminano la stanza in cui si trovano.

Ci sono persone che ti conquistano per la loro brillante intelligenza.

Ci sono persone di cui ti innamori al primo sguardo.

Ci sono persone che sanno come rendere speciale ogni piccola cosa.

Ho una carissima amica che ha la fortuna di avere la mamma che fa parte di queste categorie. Una mamma che oggi porta con disinvoltura civettuola i suoi quasi 90 anni. Lo so, di una signora non bisognerebbe dichiarare l’età, ma ci sono casi come questo che lo meritano: 89 primavere sulla carta di identità, 75 anni l’età percepita.

Lei si chiama Mina e se non fosse volgare e truculento, un bel “bomba” le sarebbe  più appropriato.

Mina è una triestina purosangue, di quelle che rappresentano la bandiera dell’emancipazione come il vessillo più prezioso. Mina, in tempi non sospetti, nel lontano dopoguerra, è stata il primo ispettore capo di polizia femminile, quando le altre potevano sperare solo in un buon matrimonio per la loro realizzazione.

Mina è una donna al 100%, non assomiglia a una virago, a una di quelle donne che fanno di tutto per sembrare ed essere ciò che non sono. Lei è.

Scrivo tutto questo per raccontarvi come possa essere meraviglioso godersi la vita, in tutto e per tutto e non concedere al tempo e alla vecchiaia fisica sopravvenuta, di piegare la volontà di poter scegliere e di mettersi in gioco.

Lei e la sua amica coetanea, da brave triestine, volevano andare a Grignano a fare il bagno e a prendere il sole. Incuranti della canicola, incuranti della non più verde età, e volevano raggiungere lo stabilimento utilizzando ben 3 autobus.

La mia amica, unica figlia, per poco non andava fuori di testa, cercando di far ragionare la madre sul rischio di compiere tale impresa.

Certo impresa perché far uso dei mezzi di trasporto pubblici, oramai infestati di cittadini privi di senso civico, con il caldo che colpisce duro anche i più giovani, a quasi 90 anni, è come sfidare la sorte.

Ne parlavamo insieme a pranzo, quest’oggi, e mentre Alessandra esprimeva la sua preoccupazione per le idee della madre, io immaginavo la scena, vedendo me, alla stessa età (ci arriverò?), con la mia amica, due arzille vecchiette che, incuranti del mondo e dei limiti fisici dovuti all’età, organizzavano la loro giornata di mare.

La mente è volata via in un soffio e ho provato un senso di gioia e di pace così grande che ho capito, mi è stato chiaro perchè rischiare di cadere in autobus, di avere un colpo di calore e non so che altro.

Si chiama amore per la vita, amore per se stessi e per quell’Anima immensa che siamo che non conosce età, sesso, nazionalità, religione. E’ l’infinita Gioia che ci chiama, che fa muovere i nostri passi, tiene sveglia la mente e caldo il cuore.

Ho detto alla mia amica “Lasciala andare e se mai dovesse accaderle qualcosa, potrà dire di aver vissuto fino all’ultimo istante”.

E’ chiaro che è l’istante, oramai, la sola ragione che conta.

E poi, una triestina non può avere il guinzaglio al collo e men che meno la catena.

OLE’! Evviva la vita!

#STICAZZI!

Pimpra

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FORSE I BAMBINI NON DEVONO SEMPRE NASCERE. UN PENSIERO SULLA LIBERTÀ.

bebe

 

Ai tempi rimasi folgorata da una frase detta dal mio professore di filosofia “Dio è immensamente buono e immensamente giusto”.

Mi chiedevo “Ma come è possibile? Giustizia e bontà non corrono sulla stessa linea di significato. Se sono giusto, non è detto che possa essere buono e viceversa”.

Questo pensiero è riaffiorato alla mente in questi giorni a fronte del dibattito scaturito dal bando di concorso di un ospedale per la ricerca di due medici ginecologi non obiettori di coscienza, al fine di garantire il diritto, sancito da legge dello stato, di interrompere una gravidanza.

Come posso essere “giusto”, seguire la legge che permette alla donna che lo desidera di abortire, se nel mio cuore la penso diversamente, se credo fermamente al diritto alla vita?

Rispondere non è facile.

Da donna che, fortunatamente, non ha mai dovuto ricorrere a tale pratica, mi sembra incredibile che, specie al sud dell’Italia, la percentuale di medici obiettori si aggiri attorno all’80%.

Mi sembra folle che, chiunque, in uno stato laico e liberale, non possa esercitare un suo pieno diritto.

Sono fermamente convinta che per OGNI donna, mettere fine alla vita che porta in grembo sia choccante, doloroso, una ferita che porterà sempre dentro di sé, ma sono altrettanto convinta che non tutti i bambini dovrebbero nascere. A volte è meglio optare per una scelta radicale, dura e dolorosa che sia.

Personalmente, non riesco razionalmente ad immaginare che nelle prime settimane di vita, grumi di cellule possano già di per sé esprimere un essere umano (benché la scienza affermi il contrario), come se, l’anima, quel particolare che rende ognuno di noi unico, arrivasse dopo. Ma è solo un mio pensiero, determinato, probabilmente, dalla totale mancanza dell’esperienza della maternità

Allo stesso momento, rispetto completamente chi, quella vita infinitesimale, vuole preservarla.

Resto comunque dell’idea che libertà, libero arbitrio, siano una dimensione estremamente soggettiva e intima. Pertanto, starò sempre dalla parte di coloro che vorranno agire un loro diritto, contro quelli che, per profonde convinzioni personali, tale diritto negano.

E torna la frase nella mente “Come si fa ad essere immensamente buoni ed immensamente giusti nel medesimo istante”?

Pimpra

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IN&OUT E WAITING LIST. IL TANGO MODERNO E’ ANCHE QUESTO

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A quanto pare, il post precedente ha toccato corde molto sensibili degli animi tangueri di entrambi i sessi. Affrontare argomenti “spinosetti”, a mio modo di vedere, fa bene, sempre e comunque. Perciò eccomi, di nuovo,  qui.

Parliamo di come ci si sente quando:

  1. si viene espressamente invitati ad un evento
  2. ci si iscrive ad un evento ma si viene messi in waiting list che, il più delle volte, significa starne fuori
  3. si viene, gentilmente, rifiutati.

L’argomento è vasto perchè implica diversi punti di osservazione: se sono donna o uomo, se ho un ballerino/a, se mi iscrivo direttamente in coppia.

Va detto che l’iscrizione in coppia è, di norma,  premiante. Nella difficile arte di creare un bilanciamento tra i sessi dei partecipanti, la coppia vale lo “zero neutro” e ciò è bene.

Ma non sempre va così. Non sempre si riceve l’attesa mail: “you are IN” che tanto ci piace leggere perchè, ammettiamolo, è come una carezza alla nostra autostima: significa che ci vogliono!

Nella mia decennale carriera di ballerina, mi sono cuccata tanti dinieghi che mi hanno fatto male. Molto male. Ancora oggi, ci sono delle maratone a cui vorrei partecipare che non mi aprono le loro porte. Mi dispiace, lo ammetto, ma mi sono data una spiegazione che mi rasserena.

La maratona (in particolare), ma lo stesso vale per un encuentro o un qualsiasi altro evento che duri più di una serata, è immaginato, costruito, pensato dal team dei suoi organizzatori.

E’ come quando decidiamo di dare una gran festa, pensiamo all’impatto che vogliamo creare, al tipo di sensazioni e di emozioni che desideriamo regalare ai nostri ospiti e vivere noi stessi.

Ecco, appunto, è la NOSTRA festa.

Da invitato posso solo essere felice di aver ricevuto la convocazione, o, nei casi in cui l’iscrizione è aperta, devo solo sperare che, per qualche ragione, sia essa emotiva e/o organizzativa, il  mio nome entri a far parte della lista dei SI’.

Certo che se mi arriva il due di picche ci rimango male, ma è necessario indossare i panni di chi sta dall’altro lato del bancone e comprendere quali siano le sue esigenze organizzative e le aspettative e i colori che desidera dare al SUO evento.

Forse noi ospiti, a volte, perdiamo di vista questo importante dettaglio, credendo che, se siamo belli e bravi e paghiamo la quota di ingresso, automaticamente siamo dentro per forza. Non è così!

La capienza delle sale che ci ospiteranno è un elemento logistico FON DA MEN TA LE per la buona riuscita dell’evento, e chi va spesso in giro lo sa bene. Nulla di peggio dell’organizzatrore che, per fare “cassetta”, infarcisce la sala di un numero disumano di ospiti, scontentando tutti.

Dentro la mia capienza di sala posso e devo fare entrare coloro che, secondo me, offriranno, con la loro presenza, le sensazioni e le emozioni che avevo in mente all’inizio.

Mettiamoci il cuore in pace.  I dinieghi, non sono insulti al nostro valore umano e di ballerini, sono, semplicemente, delle scelte basate su dei perchè.

Certo, a tutti piace essere considerati quelli cool, quelli “famosi“, quelli che, con la loro sola presenza, apportano un plus all’evento. Ma non è così. Mettiamocela via. Non siamo tutti “fighi” abbastanza, per entrare da tutte le porte.

Detto questo, faccio pace anche io con il mio Narciso che moltissime volte è uscito bastonato, quando la sospirata email del sì si, non è arrivata.

Epperò, senza perdere il sorriso e la voglia di riprovarci, ho ricevuto anche tantissimi sì, che mi hanno resa immensamente felice.

La vita è fatta a scale. A volte si scende, a volte si sale…

Pimpra

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LIBERI. FINO ALLA FINE.

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E’ così strano anche solo riuscire a pensare a qualcosa di diverso, di intenso e, per certi versi, pesante, in questi giorni.

Le città sono uno sfavillio di luci, la gente corre indaffarata portando in giro quintalate di pacchetti colorati. Ci si saluta, come mai durante l’anno, quando siamo  delle figure trasparenti agli occhi del nostro prossimo.

Ma è (quasi) Natale, allora tutti a scimiottare sentimenti, comportamenti richiesti da copione.

Poi, lì fuori, c’è la Vita Vera, quella delle persone che ne vivono ogni singolo respiro e quella di coloro che stanno morendo.

Oggi, mentre surfavo leggera sui pixel, incontro, come un tronco portato dalla marea, un video. Non li guardo mai, i video, che mi annoiano, ma questo ho dovuto. Il link qui .

Dominique oggi lascerà questa dimensione, per sua scelta, aiutata da una équipe di medici svizzeri. Forse, a quest’ora, è già volata via.

Mi sono commossa davanti al pc, ascoltando la storia di questa signora che, a tre mesi dalla scoperta della inguaribile malattia, ha deciso, consapevolmente, di mettere fine alla sua vita.

I medici le aveano prospettato da 1 anno a 3 anni di aspettativa, a fronte di trattamenti chemioterapici molto forti. E Dominique  ha detto di no, che non lo voleva fare. Che tutto il dolore che avrebbe dovuto sopportare, le era troppo.

Provo un senso di reverenziale rispetto per coloro che hanno un simile coraggio, non so se ne sarei capace e, allo stesso momento, sono fermamente convinta che non sia giusto dover emigrare in altro paese per decidere di percorrere la strada dell’eutanasia.

Dovremmo poter essere liberi di morire in casa nostra o, comunque, nel nostro paese. Anche il solo viaggio per raggiungere il ponte del non ritorno in un altro dove, è una sofferenza in più che il futuro “suicida” dovrà sopportare.

“Suicida” perchè l’atto finale di staccare la presa di corrente con la vita, lo si deve attuare in assoluta autonomia.

Non mi piace questo termine, per definire chi, costretto (da una malattia inguaribile o da una depressione insostenibile) sceglie l’ultima via.

Sono persone coraggiose ed estremamente determinate che hanno saputo accettare il loro destino, la malattia, senza rimanerne completamente intrappolati.

La morte, in fondo, è solo un cambiamento di stato.

Vorrei, da cittadina del mondo, poter vedere garantita a tutti gli effetti la mia libertà personale di essere umano. Togliersi la vita in una struttura che accompagna, non è divenire peso sociale, non è tradire la civiltà, non è atto di follia premeditata. E’ pura espressione del Libero Arbitrio.

In un mondo globale inquinato di trappole che ingannano e imprigionano, vorrei poter immaginare, al contrario, la libertà di essere umano.

Libera di vivere, se riesco. Libera di morire, se non ce la faccio più.

Cara Dominique, fai un buon viaggio.

Pimpra

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LIBERTA’, BUON GUSTO, ESPRESSIONE DEL SE’

rosa rosaeViviamo in un mondo globale che ci mitraglia gli occhi e il cervello di stimoli visivi. Di solito per farci venire una voglia matta di possedere quel particolare bene, senza il quale le nostre vite sono più grigie, tristi e spente.

Siamo bersagli fissi (o target) del consumismo che ci divora, privando la nostra essenza di quell’integrità di vedute che, probabilmente, il più delle volte, ci salverebbe da errori madornali, i primins verso noi stessi.

In questo magma movimentato di stimoli, abbiamo, come contropartita, l’illusione di esercitare il nostro libero arbitrio, o la nostra soggettiva libertà, che dir si vuole.

L’argomento vuole essere leggero: analizziamo che succede sulla superficie, sul manto delle cose, sull’esterno del nostro corpo, su quello che ci mettiamo addosso.

Ho preso spunto da una discussione nata su Fb a proposito di un certo modo di abbigliarsi di talune ballerine (o sedicenti tali) che, a quanto pare, risulta essere più una “svestizione”, una messa in mostra dei peggiori “difettucci” fisici, che un reale “abbigliamento”.

Inutile dire che la discussione si è fatta vivace, con i fautori della modernità: minigonne a gogo, leggins a chiappa al vento, scollature abissali dietro/davanti/ove possibile e, di contro, i sostenitori di un certo “aplomb” anche nel rispetto di un ballo “tradizionale” che prevede un uso più “morigerato”, signorile dell’abito.

La sostanza dei fatti, a mio  modo di vedere, assume una connotazione ben più profonda del “cosa mi metto stasera?”, nel senso che, accettando il postulato che “tutto comunica”, non è casuale la scelta di coprire o di mostrare, di rendere manifesto o di celare una o più parti del proprio sè fisico.

Il problema n. 1 si pone immediatamente: portare verso se stessi un sano giudizio sulle qualità del proprio corpo in modo da valorizzare i doni e celare i difetti, piuttosto che accettarlo nella sua totalità, nel suo bene e nel suo male, permettendosi di indossare qualsiasi cosa piaccia, a dispetto della resa “estetica”?

Problema n. 2: tutto ciò che è riconducibile alla sfera dell’ estetica è aleatorio per definizione. Pertanto, risulta difficile sceglierlo come categoria per evitare pericolose cadute nel “cattivo gusto” (e siamo daccapo: chi può definirne i confini?)

E dove la mettiamo la libertà individuale di affermare, con decisione, i tratti di personalità che, tra le altre, si manifestano anche nella scelta dell’abito?

La mia personale opinione è che la verità sta dentro ciascuno di noi.

L’errore, la caduta di stile, così come la sublimazione del proprio corpo in un abito che ci sta d’incanto, altro non sono che nostre emanazioni, di quello che siamo, di quello che sentiamo, della nostra visione del mondo, nulla più.

C’è chi è narciso, chi esibizionnista, chi timido e riservato, chi vuole farsi notare, chi vuole confondersi, chi sedurre il mondo, chi scappare… non ci sono atteggiamenti giusti nè atteggiamenti sbagliati.

L’importante è restare fedeli a se stessi, per come si è capaci, per quanto la società ci permette di farlo.

Ciò detto, alla sottoscritta, farà sempre orrore vedere chi penalizza se stesso (secondo la mia personalissima visione del mondo, ovviamente), proverò imbarazzo anche, ma non vorrò giudicare.

Il mondo e i  modi sono sfumature di una palette di possibilità infinite. Ed io ringrazio il cielo per questo, altrimenti sarebbe tutta noia.

Pimpra

 

 

IMAGE CREDIT: PIMPRA_TS

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