DIARIO DI UNA QUARANTENA

Siamo alla terza settimana, credo, o poco più, e comincio, mio malgrado, ad abituarmi. A pensarci bene, l’essere umano è ben progettato, questa capacità manifesta di adattarsi ci rende abbastanza impermeabili alle difficoltà. Quindi: mi adatto.

Siamo giunti a fine mese. Passando la vita chiusa in casa, mi sono imposta di provvedere unicamente a: igiene personale, cura della pelle, immancabile riga sugli occhi, una passata giornaliera di lip gloss.

Punto. Nessun altro cedimento all’effimero richiamo della vanità, non perché non vorrei caderci, quanto perché non posso farlo.

In questo nuovo modo di trascorrere le giornate ho già notato come moltissime delle mie abitudini pre-epidemia siano cambiate.

La prima, quella sicuramente molto positiva è che NON SPENDO.

A parte quelle 4 o 5 spese alimentari deliranti che ho fatto a inizio clausura, causa il profondo malumore provato che si è riversato poi sul quantitativo di generi ripetutamente riposti nel carrello, una volta a regime (ricordo che è scientificamente provato che servono 3 settimane per far propria un’abitudine), ho imparato a vivere di quello che ho.

Gli economisti all’ascolto si staranno strappando i capelli che proprio adesso in clima di crisi mondiale, in realtà bisognerebbe spendere e rilanciare i consumi, invece a me è scattato il comportamento inverso, virtuoso direi.

Di sicuro, nelle millemila ore che spendo davanti al pc, sono messa sotto assedio – e lo capisco!- da tutte le aziende che cercano disperatamente di fronteggiare la crisi, buttandosi sull’e-commerce, eppure niente, non mi faccio tentare.

Le giornate trascorse in tuta è come se avessero appoggiato il saio della rinuncia al frenetico desiderio di spendere. Abiti, scarpe, borse, accessori, profumi, belletti, creme cremine oggi, marzo 2020 di coronavirus, hanno perso tutta la loro seduzione su di me.

I primi giorni dicevo a me stessa “Evviva la tecnologia, compro tutto on line, non cambia quasi nulla”, poi, con il passare dei giorni, è come se fosse avvenuto improvviso il risveglio del Maestro interiore a dirmi “Che te ne fai di una borsa nuova? Di un paio di scarpe, di un abito che tanto ti tocca restare a casa?”

Le prime volte ho distolto il pensiero, mettendo nelle varie wishlist i desideri del mio shopping compulsivo, poi, poco a poco, ho cancellato tutti gli articoli ben consapevole che non avevo bisogno di nulla di tutto ciò.

Se mi chiedessero oggi cosa vorrei veramente comprare, risponderei senza esitazione: la mia libertà. Quella di poter uscire a godermi su Molo Audace questa violenta e giocosa bora, i mercatini primaverili di fiori, una passeggiata in riva al mare con mia madre, una cena con gli amici, una milonga…

Questa epocale batosta a qualcosa e a qualcuno servirà. Romperà gli occhiali di tutto ciò che è troppo sterile, della vanità esponenziale di cui ci siamo ammantati, del narcisismo fine a se stesso.

E chissà che le librerie/caffè non torneranno ad aprire i loro battenti, perché sarà bello leggere in compagnia, scambiare parole e pensieri guardandoci negli occhi consapevoli che una delle ricchezze più preziose sta ben incastonata nelle “piccole cose”.

VI ABBRACCIO

Pimpra

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PROFESSIONE? INFLUENCER

Chiara Ferragni, campagna Pomellato, ph P. Lindbergh

Da ieri, sul social dei vecchi, FB, leggo il grande sconcerto per la nuova laurea on line a tema come diventare “influencer”. Sgomento degli adulti, scandalo intellettuale, mala tempora currunt, dove siamo finiti… ecc ecc.

Ripetete con me guardandoci allo specchio: siamo dinosauri.

La nostra idea di cultura mal si adatta al tempo moderno, con questo non voglio dire che il tempo moderno sia migliore, ma, semplicemente DIVERSO, NUOVO.

Ai miei tempi scrissi una tesi in pubblicità che, per la mia facoltà di allora, era qualcosa di estremamente innovativo. Ovviamente dovetti dare una patina il più possibile istituzionale alla mia dissertazione e mi riuscì un lavoro originale di cui essere soddisfatta. La tesi riportava le immagini di annunci pubblicitari, cosa assolutamente incredibile ed innovativa per gli usi di allora.

Il tempo cambia le cose e la società ne è il primo specchio.

Gridare all’orrore intellettuale perchè, qualcuno, molto scaltro e con una eccellente capacità di lettura del mondo attuale, propone a costi esosi un corso universitario on line (GENIO! il target in questo modo si apre ancora di più!) per apprendere le tecniche utili a far soldi con la propria “idea di se stessi”, mi sembra un colpo di genio!

Nel nostro piccolo anche noi, utilizzatori di social, siamo, chi più chi meno, degli influencer. Di sicuro alcuni riescono meglio di altri poiché possiedono quello speciale carisma che permette di vendere, di veicolare verso, di proporre ciò che altri desiderano acquistare, anche se inconsapevoli.

Sto, evidentemente, semplificando l’argomento che richiede ben più lunga e articolata dissertazione, ciò che mi preme sottolineare è un punto soltanto: perché essere sempre giudicanti, mai in modo costruttivo o semplicemente possibilista quando qualcosa di diverso si affaccia al nostro orizzonte?

Se un giovane, dai millenials in poi (noi “adulti” a livello sociologico possiamo considerarci nel reparto geriatria) desidera apprendere delle tecniche per mettere a frutto la sua vena narcisistica e riesce a farla diventare un professione, pure redditizia, cosa c’è di sbagliato?

Certo che la cultura a cui siamo abituati noi è un’altra cosa, rappresenta una nobilissima arte dell’intelletto, della preparazione, della ricerca, dell’approfondimento, della volontà di andare al fondo degli argomenti. Pure io condivido questa visione ma, aggiungo, nella formazione superiore di un giovane, devono rientrare anche materie o meglio argomenti, temi, che hanno a che fare strettamente con il mondo reale, con l’attualità.

Uno dei temi scottanti della formazione universitaria dei miei tempi era proprio quella di riuscire a dare una forma concreta, tangibile, al percorso di studi compiuto. Ovviamente era più “semplice” per coloro che intraprendevano percorsi che portavano diretti a una professione ma per gli altri?

Diventare influencer altro non è che occuparsi di una nicchia molto moderna e attuale della comunicazione. Tutto qua.

Non credo quindi che abbia tanto senso fare gli intellettuali schifati poiché, purtroppo o per fortuna, non esiste una sola cultura o una sola visione del mondo.

Voglio avere fiducia, è la sola cosa che mi resta.

AMEN

Pimpra

PREDICO BENE E RAZZOLO MALISSIMO!

Tocca fare atto di pentimento, lo devo fare proprio.

Excusatio non petita, accusatio manifesta.

Ad essere spietatamente sincera, forse è stata una scodata di Narciso.

I FATTI:

Scrivo un post che mi pare decente, ovvero, contenutisticamente accettabile e lo leggo a una persona molto speciale per me. Lo faccio io dal momento che il soggetto in questione non vuole leggere i pezzi che scrivo. Prova fastidio, non condivide che io mostri me stessa al mondo, così, senza filtri, senza selezione di contenuti e/o di destinatari. Un po’ come fanno le meretrici di strada che si danno al cliente senza sceglierlo.

Sto in questa casa virtuale perché mi diverte farlo, il blog offre la possibilità di comunicare ed interagire con un pubblico potenzialmente universale, geograficamente illimitato, di qualunque età, nazionalità, sesso. Potenzialmente ho detto, la realtà è molto diversa ma, resta, comunque, una finestra aperta sul mondo e, ovviamente, su di me.

Scrivo perché ci sono volte in cui mi prende il guizzo di commentare qualcosa, oppure perché ho vissuto un’esperienza particolare o, semplicemente, perché mi sento rapita dal cazzeggio.

Scrivo, potrei tacere o fare altro è certo.

Tornando ai fatti, mi viene rimandato, con un atteggiamento più fisico,
di particolare distacco e supponenza, che verbale che il post in argomento sì, era divertente. Ne sarei stata felice, non fosse che il commentatore ha fatto grande fatica a tenere gli occhi aperti mentre glielo leggevo (erano le 21.00 e non aveva appena concluso il turno in miniera).

Piccola discussione successiva e il mio Calimero, da color panna, è tornato tutto nero e mi sono sentita come un’oca bionda senza speranza.

Narciso mio non era affatto contento, ha pesantemente accusato il colpo: “magari devo smettere, perché non credo di essere una donna così decerebrata ma se questo è ciò che traspare dai miei scritti… dovrei farci un pensierino”.

Parte il sondaggio social, fatto con umiltà e coda tra le gambe, “Amici miei, che faccio chiudo?” e i commenti, anche troppo benevoli, mi hanno fatto riprendere il timone.

LA MORALE:

Proprio io che tanto professo l’amore per se stessi, sono stata la prima a non volermene. Sticazzi.

Questo spazio mi è caro, i miei post leggeri e senza pretese mi rappresentano, sicché questa sono, non è finzione.

Grazie a voi ci ho pensato, alla fine scelgo me, le mie passioni, i miei colori sgargianti, la leggerezza dell’essere. Punto.

Quanto all’Amore mio che non approva questo tipo di attività pazienza, dovrà farsene una ragione. Questa sono gli piaccia o no. Gli piacerà mai? Chissà…

La predicatrice dei miei stivali vi saluta con un grande inchino, abbiate pazienza, sarà l’età… 😉

Pimpra

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AUTOCITAZIONE

aurea mediocritas

Di  sono riuscita a fare un pensiero decente che voglio postare anche qui.

AUREA MEDIOCRITAS

Pimpra

 

 

IO SONO QUELLO CHE SCRIVO.

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Excusatio non petita, accusatio manifesta si diceva un tempo, non dare spiegazioni se non ti vengono richieste.

Invece, sai che c’è, parliamone, senza peli sulla lingua.

ARGOMENTO: essere una blogger  ti mette in pasto al gossip sociale dei tuoi lettori. Dai adito alle congetture più incredibili sulla tua vita privata. Sei percepita come un narciso uscito dal manicomio. Ma come si può essere così matti da esporsi così.

Alcune delle osservazioni che mi sono state mosse da chi non condivide il mio essere sociale. In verità, nel caso specifico va detto proprio”social”.

Rispondo così, semplicemente: anche dietro allo schermo di un pc o di uno smartphone c’è  sempre una persona. Piaccia o meno, si può inventare una bella maschera “social/e” che si indossa quando ci si manifesta sui pixel virtuali. Oppure no.

Ci sono dei veri geni nella costruzione di personalità fittizie, che usano per adescare anime semplici, come fa il ragno tessendo la sua tela. Un gioco di specchi e il povero malcapitato/a cade nella trappola. Molto spesso di ingaggio sessuale, salvo poi trovarsi di fronte un essere lontanissimo dalla fascinazione percepita nel virtuale. Cosa succeda poi, non lo so, non frequento, ma lascio immaginare a voi.

La strada che ho intrapreso io, per la personalità che mi connota, è quella di “scrivere quello che penso”. Lo faccio sempre. Dalle più vili cazzate, alle riflessioni lievemente più profonde, pur rimanendo nella mia leggerezza. Non ho presunzione di “buona scrittura”, anche se mi piacerebbe, non sono una intellettuale, semplicemente una vecchia ragazza che ama osservare la realtà, ci riflette su e ci scrive.

L’età mi ha regalato la sicurezza di poter dire “Minni futtu” del giudizio degli altri, di quello che pensano di me, tanto, che tu agisca secondo il tuo bene o meno, troverai sempre il cretino sulla tua strada che pensa esattamente l’opposto di quello che intendevi affermare tu. Sicché, perché preoccuparsi?

Quando scrivo i post, mi arrivano all’orecchio voci che mi vogliono una single agguerrita, piuttosto che una signora in pre menopausa carica di frustrazioni dovute al farsi dell’età. E mi fermo qui.

Mi piace dirvi, Amici Cari che mi seguite, che non ho paura della verità (della mia versione, ovviamente), mi piace scrivere quello che mi passa per la testa anche se a volte può essere sopra le righe, o semplicemente sciocco, leggero, senza pretese, senza filtri. Non ho paura.

Questa sono, e le parole sono amiche mie, piccole tessere che mi piace mettere insieme per creare un puzzle tutto mio che non temo di mostrarvi. Non mi aspetto che vi piaccia, e rispetto tutte le osservazioni che vorrete muovermi, le critiche che mi faranno riflettere.

Insomma chi sta qui, chi si vive armoniosamente il suo sociale/virtuale accetta le regole del gioco. Le mie sono molto semplici: dico (scrivo) sempre quello che penso.

E se vi piace ricamarci su… divertitevi pure!

[STICAZZI!] 😉

TANTE, TANTE (BELLE) PAROLE PER TUTTI!

Pimpra

Ps: se posso aggiungere, è molto liberatorio permettersi di essere se stessi, nelle proprie zone d’ombra e di luce. Schiettezza mi ha regalato persone meravigliose che ho conosciuto e che, altrimenti, non avrebbero incrociato la mia strada. Basta avere coraggio.

Coraggio!

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DI TANTO IN TANGO. DIETRO LE QUINTE DI UNA MARATONA DI TANGO

TOSCA 2013

Dall’esterno è tutto molto semplice.

Un weekend in cui si balla a finire, danzatori di entrambi i sessi di alto se non altissimo livello, musicalisadores con le palle, cioè non quelli improvvisati che tanto basta avere un pc portatile e sono bravi tutti, tandas orgasmiche, socialità, nuovi e vecchi amici, scambio, condivisione, gioia e divertimento.

La faccia scintillante della medaglia. Poi c’è il lato b, quello oscuro, che accompagna la maggior parte dei maratoneti, o, perlomeno, quelli “intellettualmente onesti” che hanno il coraggio di ammetterlo.

Gli aspetti psicologici che stanno dietro alla partecipazione a un evento del genere, hanno una portata emotiva molto intensa, quando non devastante.

La maratona, per come la intendo io, non è una “normale” serata di milonga ripetuta per più giorni. E’ molto di più.

Innanzitutto, le maratone “come dio comanda” prevedono un numero blindato e relativamente contenuto di partecipanti, di norma, selezionatissimi. Già qui, si scatena un putiferio emozionale poiché, tutti noi, nel nostro intimo, vorremmo essere convocati, invece -sticazzi-, non sempre possiamo essere annoverati nella rosa dei papabili.

E sono fastidi. Narcisi come siamo TUTTI, chi danza ancora di più, riteniamo la nostra esclusione un atto di lesa maestà che ci fa imbizzarrire fin nel profondo.

Facciamo che siamo tra i convocati. Primo orgasmo. Possiamo procedere a prenotare il viaggio e ad organizzare il soggiorno.

Arriva il momento di partire e, per entrambi i sessi, inizia la partita con le strategie da mettere in campo per godersi l’evento.

Le donne provvedono con attenzione alla scelta dei loro look, perché, mai come in maratona, ciò che colpisce l’occhio regala una percentuale in più nella riscossione dell’invito. E credo che per gli uomini sia lo stesso sebbene la motivazione di base sia diversa.

La prima serata di maratona, probabilmente, è quella a più alto tasso di adrenalina. Si “annusa l’aria”, si devono afferrare le dinamiche di pista, studiare i potenziali “avversari”, accertarsi della presenza dei propri ballerini/e preferite, magari incontrati in altre maratone e che, il più delle volte, vivono a  grande distanza.

Partono miradas che sembrano fiammeggiate di napalm, donne e uomini sembrano predatori nella giungla. Ed è così. Sangre y arena.

La maratona non è per tutti.

Chi le frequenta è animato da spirito agonista, voglioso, protagonista. Io voglio ballare e per farlo mi devo dare da fare, perché la concorrenza è spietata, c’è tanta qualità di ballo e tutti hanno il mio stesso, bruciante, desiderio. Non vale la regola “mi metto qui e aspetto”, resti lì e aspetti e speri fino alla fine dei tuoi giorni, seduto/a da solo/a.

Quando ci si mette in gioco così, è un po’ come spogliarsi dinnanzi a noi stessi. Non possiamo fingere ciò che non siamo, entriamo in contatto con tutte le insicurezze, le paranoie di cui siamo portatori.

Cosa c’è di più difficile di “mettersi in piazza”, di certo indossando un bel vestito, e iniziando a guardarci intorno alla ricerca di uno sguardo che incontri il nostro e lo ricambi? Quando il contatto avviene ma uno dei due non sostiene quell’intenzione e scivola via, quanto viene ferito il nostro ego?

Allo stesso modo le mille domande che iniziano a turbinare nella mente quando osserviamo chi è lì con noi, ai bordi di quella pista che, all’inizio, può anche sembrare infernale ma, una volta messoci il piede dentro, ci regala infinite delizie… ma mettercelo quel piede!!!

Amo la maratona perché psicologicamente mi violenta dentro, mi sbatte in faccia tutte le mie paure, esalta le mie insicurezze, e mi inonda di dubbi.

Allo stesso modo mi rafforza perché, maratona dopo maratona, ho sempre meno terrore di guardarle, ci entro in contatto, a volte le accarezzo pure perché mi rendono la persona che sono, nella mia fragile unicità e infondono nel mio tango tutta la vita di cui ha bisogno.

Non è per tutti, bisogna accettarlo. Pochi hanno la forza e il coraggio di vedere il proprio castello di carte crollare in un soffio, vedere le certezze di cui si erano ammantanti, sgretolarsi così, improvvisamente, tra un D’Arienzo e un Di Sarli.

In coro diciamo: STICAZZI!

E ringraziamo di avere questo dono tra le mani: siamo ballerini di tango.

Pimpra

IMAGE CREDIT: Giò Il Fuz

 

 

IN&OUT E WAITING LIST. IL TANGO MODERNO E’ ANCHE QUESTO

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A quanto pare, il post precedente ha toccato corde molto sensibili degli animi tangueri di entrambi i sessi. Affrontare argomenti “spinosetti”, a mio modo di vedere, fa bene, sempre e comunque. Perciò eccomi, di nuovo,  qui.

Parliamo di come ci si sente quando:

  1. si viene espressamente invitati ad un evento
  2. ci si iscrive ad un evento ma si viene messi in waiting list che, il più delle volte, significa starne fuori
  3. si viene, gentilmente, rifiutati.

L’argomento è vasto perchè implica diversi punti di osservazione: se sono donna o uomo, se ho un ballerino/a, se mi iscrivo direttamente in coppia.

Va detto che l’iscrizione in coppia è, di norma,  premiante. Nella difficile arte di creare un bilanciamento tra i sessi dei partecipanti, la coppia vale lo “zero neutro” e ciò è bene.

Ma non sempre va così. Non sempre si riceve l’attesa mail: “you are IN” che tanto ci piace leggere perchè, ammettiamolo, è come una carezza alla nostra autostima: significa che ci vogliono!

Nella mia decennale carriera di ballerina, mi sono cuccata tanti dinieghi che mi hanno fatto male. Molto male. Ancora oggi, ci sono delle maratone a cui vorrei partecipare che non mi aprono le loro porte. Mi dispiace, lo ammetto, ma mi sono data una spiegazione che mi rasserena.

La maratona (in particolare), ma lo stesso vale per un encuentro o un qualsiasi altro evento che duri più di una serata, è immaginato, costruito, pensato dal team dei suoi organizzatori.

E’ come quando decidiamo di dare una gran festa, pensiamo all’impatto che vogliamo creare, al tipo di sensazioni e di emozioni che desideriamo regalare ai nostri ospiti e vivere noi stessi.

Ecco, appunto, è la NOSTRA festa.

Da invitato posso solo essere felice di aver ricevuto la convocazione, o, nei casi in cui l’iscrizione è aperta, devo solo sperare che, per qualche ragione, sia essa emotiva e/o organizzativa, il  mio nome entri a far parte della lista dei SI’.

Certo che se mi arriva il due di picche ci rimango male, ma è necessario indossare i panni di chi sta dall’altro lato del bancone e comprendere quali siano le sue esigenze organizzative e le aspettative e i colori che desidera dare al SUO evento.

Forse noi ospiti, a volte, perdiamo di vista questo importante dettaglio, credendo che, se siamo belli e bravi e paghiamo la quota di ingresso, automaticamente siamo dentro per forza. Non è così!

La capienza delle sale che ci ospiteranno è un elemento logistico FON DA MEN TA LE per la buona riuscita dell’evento, e chi va spesso in giro lo sa bene. Nulla di peggio dell’organizzatrore che, per fare “cassetta”, infarcisce la sala di un numero disumano di ospiti, scontentando tutti.

Dentro la mia capienza di sala posso e devo fare entrare coloro che, secondo me, offriranno, con la loro presenza, le sensazioni e le emozioni che avevo in mente all’inizio.

Mettiamoci il cuore in pace.  I dinieghi, non sono insulti al nostro valore umano e di ballerini, sono, semplicemente, delle scelte basate su dei perchè.

Certo, a tutti piace essere considerati quelli cool, quelli “famosi“, quelli che, con la loro sola presenza, apportano un plus all’evento. Ma non è così. Mettiamocela via. Non siamo tutti “fighi” abbastanza, per entrare da tutte le porte.

Detto questo, faccio pace anche io con il mio Narciso che moltissime volte è uscito bastonato, quando la sospirata email del sì si, non è arrivata.

Epperò, senza perdere il sorriso e la voglia di riprovarci, ho ricevuto anche tantissimi sì, che mi hanno resa immensamente felice.

La vita è fatta a scale. A volte si scende, a volte si sale…

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

 

 

 

 

 

 

DI TANTO IN TANGO. IL PORNO_TANGO. E IO NON LO SAPEVO

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Si definisce “Porno_tango” quella pratica onanistica, ammantata di tango argentino, con la quale singoli e coppie, si compiacciono di manifestare la parte più estrema e pericolosa del loro narcisismo incontenibile.

Evoluzioni, movimenti, passi e contropassi prodotti all’interno di uno spazio che, dimenticano, non è di loro esclusiva proprietà, con lo scopo finale di mettersi in mostra, nel tentativo – vano- di affermare la loro presenza.

La musica, che dovrebbe essere la magia sulla quale la coppia si muove, per costoro, ovviamente, è un elemento relativamente indifferente, poichè, si tratti di tango vals o milonga, ballano tutto allo stesso modo, con la stessa frenesia.

Ed è proprio la FRENESIA l’elemento che danneggia la ronda poichè costoro, non ascoltano, non si connettono con l’onda generata dagli altri corpi che danzano, ma vanno per conto loro, spintonando, colpendo, fregandosense bellamente se, qualcheduno, ha il piacere della fermata, dell’attesa, della connessione e dell’ascolto o solo perchè il flusso della pista è “bloccato”.

Ballare non significa  correre i cento metri piani, non significa arrivare primi, non significa cercare di dimostrare al mondo quanti si è bravi, quanti passi e combinazioni si possono produrre.

Sono letteralmente basita, sconcertata, inorridita e indignata dal livello di arroganza e di supponenza dei neofiti i quali, invece di rubare con gli occhi osservando i più bravi (quelli che hanno chilometri di ballo nelle gambe!), li sfidano a farsi più in là.

Inconcepibile l’ignoranza dilagante delle “buone maniere” in pista rivolte alla propria partner e alle altre coppie con cui lo spazio viene condiviso.

Vogliamo parlare del”fuori pista”, del momento dell’invito???? Quando il porno_tanguero in frenesia da esibizione non si preoccupa di osservare se la prescelta lo sta mirando, se risponde visivamente al suo segnale d’invito, se non ha proprio voglia di ballare…Loro se ne fregano, ti si parano davanti ed allungano la mano per invitarti… mi spiace, ma è quasi certo ottenere un rifiuto, perchè non è così che si fa!

E, di questo, bisogna fare atto di accusa ai maestri che non dedicano il tempo necessario per insegnare le basi del comportamento in pista, producendo Kamikaze invece che ballerini sensibili, rispettosi ed educati.

E così si rischia di perdere per sempre la poesia dell’abbraccio, la soavità di lasciarsi andare dentro brani musicali capaci di evocare un universo di sensazioni.

Il tango non è una performance da porno_attore/rice. Il tango sta su un piano dove sensibilità, connessione, ascolto, rispetto regalano i migliori accordi.

 

Pimpra (molto incazzata questo dì)

 

Già scrissi che ci vorrebbe una PATENTE DEL MILONGUERO 😉

IMAGE CREDIT DA QUI

 

 

SMARRIRSI DENTRO A UN #SELFIE

Trieste

A voi accade mai di sentirvi improvvisamente “fuori asse” (e non mi riferisco alla ricerca del sublime equilibrio del corpo mentre danza) quanto piuttosto alla dimensione dell’anima, al comportamento, al modo di percepire la vita e noi stessi?

A me un sacco di volte. Sarà per la mia natura sanguigna e impulsiva, per l’energia che metto nelle cose, o, semplicemente perchè sono fatta così…

L’ultimo forte squilibrio percepito è recentissimo e riguarda l’uso smodato di tecnologia, il legame indissolubile alla rete e a tutte le sue dipendenze.

Parliamo di immagini.

Ne divoro quintali ogni giorno. Mi ci abbuffo, come davanti a un banchetto delle ghiottonerie più deliziose per il mio palato. E non mi limito a questo – purtroppo – condivido gioia e passione con gli altri.

Fin qui.

Il dramma orgina quando, nelle onde di pixel colorati, invece di fermarmi a riflettere, metto me stessa dentro questa caldaia infinita di tutti e tutto, facendomi prendere impunemente dal demone.

Oggi, il mostro narcisistico che si è impossessato di me, di noi, sono i selfie. Immagini autoprodotte e condivise nell’etere con anime che, bontà loro, ne farebbero volentieri a meno.

E mi ritrovo come una adolescente fuori tempo massimo a condividere parti di me assolutamente inutili, sicuramente gratuite e, di conseguenza inappropriate.

Per fortuna, nel bombardamento colorato dei pixel dello schermo del pc che mi accompagna per tutto il giorno, si attiva anche quel solo neurone che mi rimane in testa e  che mi fa recedere da questa sorta di demenza adolescenziale che non mi appartiene.

Ed ecco che, fortunatamente, le immagini tornano a regalare solo paesaggi, momenti di una vita anonima, nel tepore di un pomeriggio primaverile.

… e per oggi “sono salva”… 😉

Pimpra

IMAGE CREDIT: PIMPRA_TS

 

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