IL TEMPO DELLE VACANZE

La bellezza di stare in vacanza dall’ufficio è il tempo. Più cresco, più mi rendo conto di quanto ogni istante della vita sia prezioso, ogni singolo istante, ogni respiro.

Sto scrivendo dal mio giardino preferito che ho scoperto essere popolato di numerosi animaletti, anche non precisamente “carini”, la biscia verde, i topini, gli scorpioni e tutto il corredo naturale tipico della campagna.

Mi scopro troppo cittadina quando mi terrorizzo scorgendo le Gattonzole in modalità di cacciatrici, puntano la biscia per ucciderla. Lo scorpioncino scovato stamane mi ha impaurito pure lui. Ma che sono diventata, una fifona? Probabilmente sì…

Quanto mi è caro questo tempo che non sto riempendo, per la prima volta- credo- di mille e una attività. E’ un tempo diventato più lento ma molto più interessante, pregno di nuovi sapori. E’ la mente che può correre libera nei suoi pensieri, senza fretta, alla scoperta di nuovi territori, creando immagini e fantasie.

Eccomi a giocare a fare la scrittrice, nel giardino, sotto il grande carpino, melodie antiche di Brel ad accarezzare l’udito e a lambire l’anima, a portare a galla ricordi assopiti, a riconnettermi con una parte di me profonda, “antica” pure lei.

E’ così importante concedersi questo tempo di ozio creativo, di pausa.

Ho ripreso a sognare, a farlo ogni notte, la mente restituisce incredibili storie, il più delle volte appassionanti, avventurose, altre terrorizzanti, allora mi sveglio e mi accoccolo a chi ho vicino, cercando quel calore che scioglie le paure.

Arriva il tempo delle vacanze e l’energia ha preso la via di ciò che è sotterraneo come il Timavo che s’inabissa nel Carso scorrendo più impetuoso e vivace che mai, al riparo dalla luce e dal cielo.

Tra pochi giorni riemergerò alle fonti e tornerò quella di sempre, ho davanti una settimana di sole (spero!), di giochi, di sport, di quella vita attiva che è tanto parte di me.

Nel frattempo però la gioia di aver a lungo accarezzato, coccolato, il mio tempo è una sensazione di gioia impagabile e, ad oggi, sconosciuta…

Pimpra

MONDO PICCOLO

Nel mio peregrinare porto sempre con me l’odore di salmastro, le raffiche del mio vento di nord est, lo specchio argentato del mare. Un luogo senza il canto ritmato della risacca è come se mancasse del respiro e della vita.

In macchina sul far dell’alba, per raggiungere la campagna, per me come andare alla scoperta del nuovo mondo. Mentre macinavo i troppi chilometri che mi separano da qualunque destinazione non sia un generico est, cercavo di immaginare cosa avrei trovato, una volta a destinazione.

Ho sempre amato la campagna, ma quella che porto nel cuore è sempre molto triestina, una campagna a due passi dall’alto Adriatico a un tiro di schioppo dalla terra rossa del Carso.

La grande casa gialla mi accoglie come una donna dal seno prosperoso e i fianchi larghi, con il grembiule da cucina mentre sta tirando la pasta. Parcheggio e respiro immediatamente un’aria che sa di buono, di cose che nel mio quotidiano ho perso oppure, semplicemente, dimenticato.

Ci sono papaveri che costeggiano le strade del borgo, un piccolo miracolo per i miei occhi di cittadina abituati ai riconoscere solo le sfumature di grigio asfalto. Mi sembra di doverli proteggere tanto sono belli, e più di una volta ho sbandato tanto ero presa a rimirarli.

L’erba è alta, ha una sfumatura di verde quasi trionfante. La pioggia intermittente di questi giorni è la sua cura di bellezza più efficace.

Comincio a sentirmi a casa, in questo spazio aperto, nel casolare che mi accoglie con la sua storia centenaria raccontata dai muri di argilla. Qui il cellulare si prende una pausa, per mettere in pausa me e non riceve il segnale.

La campagna chiama, pretende attenzione, vuole essere guardata, scoperta, amata come merita. Non posso smettere di sentirmi viva. Nelle parole del maestro che mi insegna come usare la reflex, perché poi, quella terra lussureggiante, florida, timida e melanconica, andremo a fotografarla.

Guareschi ci racconta della Bassa e della sua gente, dell’animo contadino e ruspante di Don Camillo e Peppone e la nostra macchina fotografica ripercorre quei luoghi traducendoli nel presente.

Alla sera, davanti alla stufa, il fuoco riscalda la luce della stalla dove, anche la voce calda dallo spiccato accento parmigiano, così morbida da infondere di vibrante emozione le parole di Guareschi, ci accompagna alla scoperta di un mondo antico che vive immutato nel cuore di questa speciale parte di Emilia.

Ho gli occhi carichi di bellezza, di campagna, di casolari, di argini di fiume, di fiori di campo, di nuvole che si fanno belle e giocano rovesciandoci addosso secchiate d’acqua. Ma è tutto un ridere, correre in macchina, scansare l’ombrello, bagnarci come si faceva da bimbi, con allegria e innocenza.

Non sono ancora capace di raccontare con le mie immagini questa bellezza, e pure le parole mi fanno difetto per esprimere il calore di chi mi ha accolto ed ospitato.

Se potete, regalatevi questa esperienza. Qualcosa dentro di voi riprenderà a vibrare, forte, di buono.

Questo è il mondo piccolo: strade lunghe e dritte, case piccole pitturate di rosso, di giallo e blu oltremare, sperdute in mezzo ai filari di viti
(G. Guareschi)

Pimpra

Il luogo sede del workshop fotografico lo trovate qui oppure qui

PREDICO BENE E RAZZOLO MALISSIMO!

Tocca fare atto di pentimento, lo devo fare proprio.

Excusatio non petita, accusatio manifesta.

Ad essere spietatamente sincera, forse è stata una scodata di Narciso.

I FATTI:

Scrivo un post che mi pare decente, ovvero, contenutisticamente accettabile e lo leggo a una persona molto speciale per me. Lo faccio io dal momento che il soggetto in questione non vuole leggere i pezzi che scrivo. Prova fastidio, non condivide che io mostri me stessa al mondo, così, senza filtri, senza selezione di contenuti e/o di destinatari. Un po’ come fanno le meretrici di strada che si danno al cliente senza sceglierlo.

Sto in questa casa virtuale perché mi diverte farlo, il blog offre la possibilità di comunicare ed interagire con un pubblico potenzialmente universale, geograficamente illimitato, di qualunque età, nazionalità, sesso. Potenzialmente ho detto, la realtà è molto diversa ma, resta, comunque, una finestra aperta sul mondo e, ovviamente, su di me.

Scrivo perché ci sono volte in cui mi prende il guizzo di commentare qualcosa, oppure perché ho vissuto un’esperienza particolare o, semplicemente, perché mi sento rapita dal cazzeggio.

Scrivo, potrei tacere o fare altro è certo.

Tornando ai fatti, mi viene rimandato, con un atteggiamento più fisico,
di particolare distacco e supponenza, che verbale che il post in argomento sì, era divertente. Ne sarei stata felice, non fosse che il commentatore ha fatto grande fatica a tenere gli occhi aperti mentre glielo leggevo (erano le 21.00 e non aveva appena concluso il turno in miniera).

Piccola discussione successiva e il mio Calimero, da color panna, è tornato tutto nero e mi sono sentita come un’oca bionda senza speranza.

Narciso mio non era affatto contento, ha pesantemente accusato il colpo: “magari devo smettere, perché non credo di essere una donna così decerebrata ma se questo è ciò che traspare dai miei scritti… dovrei farci un pensierino”.

Parte il sondaggio social, fatto con umiltà e coda tra le gambe, “Amici miei, che faccio chiudo?” e i commenti, anche troppo benevoli, mi hanno fatto riprendere il timone.

LA MORALE:

Proprio io che tanto professo l’amore per se stessi, sono stata la prima a non volermene. Sticazzi.

Questo spazio mi è caro, i miei post leggeri e senza pretese mi rappresentano, sicché questa sono, non è finzione.

Grazie a voi ci ho pensato, alla fine scelgo me, le mie passioni, i miei colori sgargianti, la leggerezza dell’essere. Punto.

Quanto all’Amore mio che non approva questo tipo di attività pazienza, dovrà farsene una ragione. Questa sono gli piaccia o no. Gli piacerà mai? Chissà…

La predicatrice dei miei stivali vi saluta con un grande inchino, abbiate pazienza, sarà l’età… 😉

Pimpra

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UNA FINESTRA DI CITTAVECCHIA

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Lunedì 4 dicembre. Primo pomeriggio, sto per rientrare in gabbietta dopo il veloce caffè al solito posto. Di caffeina, non ne abbiamo mai abbastanza.

Il corpo è piacevolmente lasso, la ginnastica lo ha allungato, fatto respirare, ha mobilitato le masse muscolari attive e quelle silenti. L’umore segue, sereno e trasparente. Vuol dire che sto bene, mi sento in armonia.

Cammino sempre a naso all’aria, anche se ricalco fedele i miei passi, mi piace fare lo stesso percorso, non so neppure io il perché. Anzi lo so bene.
Scelgo la via più veloce o quella più bella o evocativa, la mia mappa giornaliera è disegnata, scelgo unicamente  i passaggi che preferisco.

Non è noia o abitudine è ricerca delle sfumature di scenario. Il paesaggio, così come la vita, muta con il mutare degli elementi che lo compongono. Ecco perché non esiste la noia, se si sa ben guardare. Ecco perché ogni vita è piena di vita. Basta saperla cercare.

I panni stesi di una casa di Cittavecchia, hanno rubato il mio sguardo. Non è una novità vedere camicine, biancheria, magliette messe ad asciugare alla luce di quel poco sole che bacia la via. Eppure, oggi, un’atmosfera particolare, mi ha colta. Ho osservato, ladra, cosa pendeva senza anima dal filo al di fuori la finestra. Le camicie con il colletto di pizzo, la sottoveste mi hanno raccontato di una signora piuttosto in avanti con gli anni, metodica, precisa. Ogni capo era ben teso, ordinato e graduato per tipologia.

Non compariva abbigliamento maschile, mai l’ho notato da quella finestra. Ho immaginato una storia, solo osservando i panni umidi.

Quanto raccontano gli oggetti di uso comune del proprietario, quanto ci dicono della sua storia, di chi è, di come vive.

Quella finestra su città vecchia, prospiciente a una viuzza stretta e pedonale, quei panni colorati che acquerellavano la parete rossa della casa, oggi, per me, hanno avuto un sapore come di te e di cannella, un profumo di intimità manifesta eppur celata, di storia e di vita. Un dicembre lontano dallo sfavillio scintillante delle feste, ma dolce, velato e caloroso come biscotti appena sfornati.

Uno scatto rubato, mi sono voltata e ho ripreso la mia strada.

Pimpra

FOTO MIA

ACCETTARE IL CAMBIAMENTO. IL MIO MANTRA PER STARE MEGLIO. ALMENO SPERO.

Patient

Tanto lo avete capito tutti, scrivo perché lo psicologo mi costa troppo. E sono abbastanza disinibita da scrivere pubblicamente un bel po’ di fatti miei.

Coerente alla mia apertura sociale, condivido con voi la nuova turba che mi turba.

Forse avrei dovuto titolare “post per sole donne”, ma credo che, il tema, in fondo, sia comune a noi tutti: saper accettare.

Da che nasciamo siamo dentro il mutamento delle cose, non fosse altro per il corpo che cambia, crescendo, e dalla fase infantile assume la sua forma adulta. Così come il nostro carattere che si alimenta e si definisce con l’esperienza.

La vita è, per definizione, un fluire continuo, un avvicendarsi tra punte di sublime e ruzzoloni nel torbido.  Ci si alza, sporchi, a volte puzzolenti, si va in doccia, ci si lava, cambio d’abito e via, a rimettere la faccia al mondo, a vivere.

Per una donna, questo fluire continuo è accentuato dalla biochimica del suo corpo che è stato corroborato di abbondanti ormoni, i quali, come le fasi lunari e in sintonia con esse, mettono la firma su ogni donna, a renderla universo a se stante.

Anche l’uomo ha gli ormoni, ma i suoi sono più gestibili: essere maschio/virile/trombatore/portatore e diffusore della specie. Compiti relativamente semplici, specie nel tempo moderno.

Ciò che più ha minato il mio equilibrio psicofisico, negli anni, sono i cambiamenti che coinvolgono, in un sol colpo, il corpo e la psiche.

Le fasi cruciali a mia memoria sono state l’adolescenza, di cui non conservo ricordi, tanto mi è piaciuta, e la fase che sto vivendo adesso, l’ingresso nella terza età che, solo a scriverlo, mi si accappona la pelle…

Ebbene sì, mal mi riesce accettare la nuova donna che sto diventando.

Non desidero ostacolare la sua nascita, imbottendomi di ormoni per far sì di rincorrere l’ideale di giovinezza a tutti i costi. Natura non prevede così, ed io mi adatto.

Certo, Amiche care, mi è molto molto molto dura e so che voi mi potete capire. Comprendere e amare la donna che sto diventando e che, ovviamente non conosco, squilibra il sistema che, con qualche difficoltà, fin qui, aveva retto bene. Invece no, tutto crollato come un castello di carte e adesso mi ritrovo seduta sui calcinacci a chiedermi dove sia finita la mia casa.

Posso far conto su una buona capacità di analisi che, di certo, aiuta ad osservare il nuovo scenario permettendomi di intravvedere nuove strategie di sopravvivenza e modi diversi di stare al mondo. Lo scoglio più difficile resta quello di imparare ad amare questa nuova me. E’ lì la sfida.

Aggiungo che, in questo momento cruciale servono almeno tre cose:

  • gli Amici con la A maiuscola, che sanno amarti sempre e comunque per quella che sei
  • e, se c’è, un uomo molto evoluto, davvero immensamente evoluto che sappia accompagnare, a volte anche sopportando il giusto, la fase di trasformazione.
  • Per tutto il resto …. STICAZZI E VIA!

“Sciabadà”

Pimpra

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PARLIAMOCI CHIARO

Words-Have-Power

Non immaginavo nemmeno di avere un seguito di lettori più che nutrito e, a ben guardare, se ci penso, sento una certa responsabilità nei loro confronti.

Responsabilità di offrire un “prodotto editoriale” la cui finalità è regalare un minuto e mezzo di “leggerezza”, nulla più.

Non ho pretesa, nè arroganza, di scrivere nulla che si avvicini alla “letteratura”, alla cronaca, a un articolo di giornale, a un saggio o pamphlet o altro.

I miei sono pensieri a briglia sciolta, estemporanei, senza alcun progetto o linea “editoriale” alle quali attenersi.

Ho voglia di dichiararlo in risposta ad alcune osservazioni che mi sono state mosse, tra il serio e il faceto, che – confesso – mi hanno ferita un po’.

Sono consapevole che non me lo ha prescritto il medico di tenere un blog, e so anche che scrivere ciò che si pensa, espone a critiche/giudizi (anche pesanti)/sputtanamenti vari e tutto il corollario di conseguenze che si patiscono quando si indossa un abito “pubblico”.

Ne sono perfettamente consapevole, e, nonostante tutto, simpaticamente “me ne fotto”.

Scrivere è il mio esercizio zen per stare bene, la seduta in palestra che mi libera dalle tossine, è il festival dei neuroni, scrivere è la mia boccata di ossigeno.

Excusatio non petita, accusatio manifesta…

Ma che ve lo dico a fare, questa sono.

Adesso potete partire con gli insulti, il problema è che non riuscirò, comunque, a smettere.

STICAZZI ! 🙂

Pimpra

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