LA MIA COPENHAGEN

Il desiderio irrefrenabile di andarci mi è arrivato inaspettato, un giorno di tarda estate, capitando per caso nella bacheca di una conoscente. Gli occhi hanno avuto un sussulto emozionato che si è riflesso immediatamente sul cuore: dovevo visitare quella città.

Complice il weekend del mio compleanno, invece del solito pacchetto infiocchettato, ho ricevuto una mail con il biglietto aereo e l’hotel. Stavo per svenire di felicità davanti al pc.

Ho volato con gli olandesi di KLM, una compagnia aerea che non mi ha mai deluso, sin da quando, in tenera età, vi volavo tra Medio Oriente e Africa, resta tra le compagnie aeree preferite.

L’aeroporto di Copenhagen mette immediatamente il viaggiatore in una dimensione di piacevolezza, non è rumoroso, luce gradevole ovunque e il pavimento di legno. Non potevo credere ai miei occhi. Molti spazi dove rilassarsi e familiarizzare con il famoso “Hygge”.

L’albergo in centro, una chicca in puro spirito danese, legno, luci, sedie particolarissime, caminetto, personale giovanissimo e super gentile, camera dai colori neutri, caldi e rilassanti. Mi sono sentita immediatamente a mio agio.

La bicicletta, per i danesi, è come lo scooter per i triestini: fondamentale. TUTTI la usano, non ne ho mai viste così tante, così “bizzarre”, tutte insieme. Utilizzarle in città è semplicissimo evitando la produzione di smog, inoltre si pedala in tutta sicurezza perché ogni superficie stradale prevede la corsia dei ciclisti, con semafori e segnaletica dedicati. Si raggiunge in poco tempo, ogni angolo della città, inoltre, si può agilmente posteggiare il mezzo ai supporti, o, quando occupati, si lascia la bicicletta in fila, senza tema che venga rubata, danneggiata o altro. Mi è sembrato un sogno.

Altro vantaggio del turismo su due ruote: si evita la psicofollia delle foto, si pedala e si guarda, si assimila il paesaggio e si apprezza senza distrarsi, senza il bisogno imperante di condividere sui social, si sta, si vive, si gode del momento, si pedala. Evviva.

Copenhagen sembra costruita a dimensione uomo, non è una città che cannibalizza, ma piuttosto accompagna. Ci si può fermare nei caffè, ci sono tantissimi luoghi in cui concedersi uno spuntino, spazi esterni da vivere, certo solo nei mesi caldi, altrimenti ogni luogo pubblico offre, comunque, la possibilità di una sosta.

Sono stata rapita dalla fusione architettonica di antico e moderno, dove il design dalle linee essenziali, dialoga e si armonizza al contesto urbano precedente. Il “diamante nero” merita una visita, non fosse altro per apprezzare l’affaccio sul canale della struttura e il suo legame con l’antica biblioteca reale.

A Copenhagen il verde dei parchi cittadini non manca, così come si percepisce che la media della popolazione è molto giovane.

La sensazione che ho avuta è che al nord dell’Europa certi stilemi sociali non trovino casa: la sera di San Valentino ho visto numerose compagnie di amiche cenare insieme e ridere di gusto, coppie in tutte le sfacettature e combinazioni possibili, godersi il romanticismo senza bisogno di nascondersi. Naturalezza, convivenza, comunità, convivialità sono concetti che si vivono, non solo parole.

L’ambiente e la sua cura sono un baluardo, non ho incontrato un solo bidone esplodere per l’immondizia, tutto si differenzia, in modo consapevole, come fosse naturale farlo. Lo stesso cestino della camera dell’hotel era diviso per tre tipi di raccolta. L’acqua da bere si trova spesso nel tetrapack per evitare la produzione di plastica.

Se si parla di danesi non si può prescindere da almeno tre delle loro fissazioni: le candele, la luce, le sedie che confluiscono tutte in quella dimensione dell’anima che si chiama “Hygge” (una sorta di “Cozy” inglese).

Gli spazi, e la cosa mi ha colpito molto, sono arredati spesso con giochi di sedie, poltroncine e divani, diversi per forma e design, tutti incredibilmente confortevoli. Non per nulla alcune delle più iconiche sedie del design mondiale, vedono la luce dalle mani di sapienti maestri danesi. Il legno spadroneggia negli arredi quasi ovunque.

I popoli nordici, complice il lungo inverno, le poche ore di luce, il freddo, vivono la sacralità del luogo, della compagnia, dell’ambiente, della famiglia. Ecco che ricreano le condizioni ideali dove stare, come starci e con chi.

Se non si raggiunge almeno il metro e settanta cinque di altezza ci si sente un vero tappo di bottiglia, sono una popolazione alta, alta, alta e tanto, tanto, tanto bella. Le sfumature di biondo dei loro capelli, gli occhi in tutte le gradazioni del blu, dell’azzurro con tocchi di verdi.

Il mio personale momento di gloria l’ho vissuto quando il receptionist danese mi ha chiesto se fossi svedese (a me!!!!), ridendo ho risposto “100 % italiana e poi sono troppo corta per essere una svedese”, lui ha insistito affermando con convinzione che la mia faccia ha i lineamenti svedesi, in quanto all’altezza ci sono svedesi piccole. Da questa affermazione mi sono cuccata il bell’appellativo “La svedese nana” che mi ha accompagnato per tutta la vacanza.

Sarà che fanno molto sport, oltre che andare in bicicletta, ma ho faticato a vedere persone che non fossero in perfetta forma fisica. Pochi, pochissimi abitanti per così dire in sovrappeso, deduco quindi che il freddo faccia bene perché in quanto a condimenti grassi e burrosi, formaggi e carne, colà siamo nel paradiso delle iper calorie.

A me l’aringa marinata comunque resta indigesta.

Passeggiando per strada con la faccia da turista, il volto paonazzo per il vento gelido e l’espressione felice (quante volte ho pensato “meno male che sono triestina e la bora mi ha abituato a questo freddo), ho ricevuto in regalo sorrisi dalle persone che incrociavo che mi pareva un miracolo.

I danesi sorridono. Non li ho visti musoni, nevrastenici, se c’è da aspettare si mettono in fila tranquillamente, non si agitano. Incredibile.

In Danimarca di Covid manco l’ombra. Nel senso che se c’è, e pure da loro c’è, è una delle malattie di cui non si fa battage ovunque come da noi. Nessun green pass, massima libertà e… che bello!

Ho avuto la sensazione che le donne danesi siano molto indipendenti, libere e in questo ho percepito quella gaiezza delle mie donne triestine. Non sono riuscita a fare la foto di un equipaggio di canottiere almeno sessantenni, una mattina gelida, con la barca d’appoggio in cui c’era una loro nipotina che le seguiva felice. La bellezza di queste gagliardissime signore, non ho potuto non salutarle, incitarle, mi hanno sorriso e salutato a loro volta.

Voglio trascorrere la mia pensione qui, tra i meravigliosi popoli vichinghi, anche se le birra non mi piace e il freddo lo sento eccome, a differenza loro, ma… mi è stato fatto notare “Chi ti mantiene a te?” e il mio sogno si è dissolto come un fiocco di neve sull’asfalto…

SE PREVEDETE UN VIAGGIO, ECCO LA MIA LISTA:

  • per la prima volta la Lonley Planet mi ha tradita: comprate una guida scritta post 2021, il covid ha tristemente cambiato molte cose (negozi spariti, siti chiusi ecc ecc)
  • non fate bancomat all’arrivo che non serve, si paga tutto con la carta, in alcuni luoghi il contante non è accettato
  • non si visita la Danimarca se non si va in bicicletta
  • la voce cibo influisce pesantemente sulle spese di viaggio, per noi molto molto costoso. Però a Copenhagen si può mangiare davvero bene, è una città particolarmente “stellata”. La ristorazione italiana molto presente.
  • concedetevi il tempo della sosta per apprezzare ciò che vi circonda e, perché no, chiacchierare con i locali. In una parola fate Hygge pure voi
  • ho assaggiato un cidro spettacolare, a 4,5% che mi è andato in testa immediatamente (sono completamente astemia) aveva un sapore buonissimo
  • fatevi consigliare sui dolci danesi che alcuni meritano, per me la scoperta il brunsviger.

Una volta desideravo visitare i paesi caldi, crescendo il nord sta rubando attenzione ed interesse. Adesso capisco il perché.

Pimpra

QUANDO GETTARE LA SPUGNA?

FONTE WEB

Perché questo curioso titolo? Frutto di una riflessione che mi corre dietro da parecchio.

Arriva un momento, nella vita di ciascuno di noi, in cui dobbiamo cedere il passo e ammettere che facciamo parte di una generazione che appartiene al “passato”, a un tempo che ha … esaurito il suo tempo?

Non è questione di giovani contro vecchi ma proprio di generazioni che sono, oggettivamente, molto distanti.

Cerco di spiegarmi meglio.

Credo che più o meno tutti noi, con diversi livelli di intensità/partecipazione, utilizziamo/siamo presenti almeno su un canale social, quale che sia. Dall’ormai obsoleto Facebook alle più gettonate piattaforme giovanili, penso a Tik Tok, solo per citarne una, esistiamo, o comunque guardiamo stories e immagini su Instagram, seguendo diverse persone, brand, gruppi. Per non parlare dello scambio di notizie su Twitter, dell’uso smodato di watsup e telegram.

Un mondo fatto di finestre senza tende, sulle quali chiunque può affacciarsi, interagire e, altrettanto chiunque può mostrarsi.

Non mi interessa dire se la cosa sia positiva o negativa, osservo però che questo particolare modo di stare al mondo, anche virtuale, ha dato un’accelerata impressionante alla differenza che si crea tra le generazioni.

Dai nostri genitori che da non molto hanno imparato ad utilizzare le chat di watsup, con fatica, perché quell’oggetto che si chiama smartphone è ancora abbastanza misterioso, a noi, generazione X che ci sentiamo ancora in sella su questa “modernità”, ma cominciamo a fare molta fatica. Almeno questo è quanto accade a me, sarà che non ho figli.

Seguo, su più canali social, persone/personaggi di variopinte provenienze geografiche ed anagrafiche, oltre che di diverse estrazioni e professioni, resto molto impressionata dalla quantità di immagini/video/storie contenuti che producono, instancabili, convinti, nel duro lavoro di aumentare la community che li segue, magari cercando anche di guadagnarci, dopo aver visto soddisfatto il narcisismo innato di ricevere moltissimi “like”.

Questi giovani, molto moderni (intendo le generazioni Y “millenials” e Z ), sono instancabili, vivono una realtà dentro la loro finestra virtuale, e si esprimono, e raccontano, e commentano senza sosta, a testa bassa, convinti.

Non sto criticandoli, anzi, li ammiro. Dedizione, inventiva, quell’energia legata alla giovane età, il sogno, l’immaginazione sul proprio futuro. BRAVI dico.

Poi guardo me, i miei profili social, e mi rendo conto, senza dubbio alcuno, che si percepisce benissimo la mia diversa età, il mio modo di comunicare che predilige ancora la parola scritta al video o alla storia (non ho ancora imparato a fare un montaggio decente!) e mi faccio la fatidica domanda: non è giunto il momento di ritirarmi, di farmi da parte, di smetterla di correre dietro alla modernità che non è più mia?

Arriva il momento in cui si smette di parlare e si inizia ad osservare in silenzio, perché la maturità suggerisce che è il tempo di fare spazio.

Dall’altra parte però penso che è bello mantenere viva la curiosità di capire come evolve il mondo, come le persone interagiscono tra di loro, di che cosa amano conversare, quello che condividono, le passioni, gli interessi. Poi, non tutto risuonerà interessante o utile, di questo ne sono sicura, ma sarà comunque un modo per “stare al mondo” o, almeno “corrergli dietro”.

La domanda che mi pongo è questa: la spugna va gettata prima o poi?

Chissà cosa ne pensate.

Pimpra

CORPO, BODY SHAMING E CERVELLO.

Fotografo: Carlos Caicedo –  @Cacecada
Modella: Jenny Hedberg – @byjennyyyy

Viviamo in un mondo a tratti stupefacente e terribile, fatto di straordinarie possibilità e di prigioni incredibili, un mondo, o meglio una società che celebra e seppellisce le persone a velocità supersonica.

Credo sia la storia dell’umanità rotolare in discesa verso una meta indistinguibile, rimestare le carte in gioco, modificare le regole, aumentare la velocità.

Il racconto di questa corsa verso il nulla è tempestato di miti che ogni modernità ha affisso nel suo tempo.

Il corpo, nostro motore, fonte di esistenza fisica, è divenuto sempre più significante improprio di un significato in continua trasformazione. Corpo che dovrebbe essere racconto personalissimo e unico con cui l’essere umano celebra il suo vivere, invece…

Ricordo perfettamente la mia adolescenza senza social ma con le riviste di moda che imponevano un’ideale di fisicità/femminilità siderale.

Ricordo lo scoramento che provavo dinnanzi all’evidenza di come fossi divergente da quei modelli imposti, ricordo le prese in giro per il mio fondo schiena abbondante e le tette piccole. Ferite mai rimarginate.

Nel mal di vivere o forse nel vivere male in quanto bersagli di messaggi sbagliati, forse i giovani di oggi hanno una possibilità in più per far sentire la loro voce. A fronte degli odiatori che, a sensazione, sono molto presenti in fasce di età più adulte – il che sembra essere una contraddizione, i giovani, o almeno molti di loro, ritagliano e difendono con forza la loro identità “differente”, scegliendo di allontanarsi dai condizionamenti sociali.

Molti ragazzi esplorano liberi la loro sessualità, non facendo mistero se essa sconfina i canoni tradizionali, giocano con il loro aspetto, rivendicando una libertà che diventa anche potere espressivo.

Numerosi adulti, penso in particolare a quelli dai 45 in su, covano un grande risentimento, un rancore, una gelida rabbia come se tutto ciò che nella loro vita non ha funzionato, meritasse di ricadere sugli altri. Leggiamo spesso di liti sui social scaturite da commenti ignobili scagliati contro altri esseri spesso sconosciuti, come se deridere, distruggere, infamare, seppellire l’altro, fosse il solo modo per risolvere i propri conflitti interiori.

La splendida Vanessa Incontrada posa nuda a difesa del suo e dei nostri corpi, rivendicando la libertà di essere se stessa, nel suo unico canone, ovviamente inverso rispetto a quanto la società attuale disegna.

Siamo sempre più vetrina aperta al mondo e così fragili dinnanzi agli altri e a noi stessi. Forse dovremmo fare un passo indietro e riconoscere che la sostanza migliore di cui siamo fatti è il cervello, con buona pace di tutti gli odiatori seriali.

Coltiva il pensiero e nutri il tuo corpo chissà non sia questa la strategia per vivere finalmente sereni.

Pimpra

VUOI GODERTI LA VITA? ENTRA NEL FLOW!

Mentre il modo si congelava chiudendoci a casa in lockdown, in una sorta di castigo, per costringerci a fermarci a riflettere sulle nostre esistenze, come molti di voi, ho passato al microscopio la mia.

Sono stati mesi molto complicati ma hanno piantato un seme nella terra che inizia a germogliare.

Tempo addietro scrissi un post sull’onda di un libro che lessi “Il metodo Ikigai. I segreti della filosofia giapponese per una vita lunga e felice“, dove indagavo quale fosse il mio senso, il mio Ikigai e concludevo lo scritto con questa frase “Sii un’artigiana, una takum, cura il dettaglio e trasforma ciò che puoi in qualcosa dalla sofisticata semplicità. Il concetto mi pare molto bello e mi permette di entrare nel flusso che mi connette con il senso, con quel viaggio di cui, alla nascita, ho staccato il biglietto, ma di cui ancora non conosco la destinazione…

Ecco, vorrei vivere a lungo per scoprirlo.”

Sono passati i mesi e con essi le onde lunghe dei miei pensieri fino a che arriva il giorno in cui, l’apparente caso (anche se non credo le cose ci accadano mai per caso) mi ha messo sulla strada del mio Ikigai.

Ho finalmente trovato un hobby capace di farmi diventare cosa sola con l’attività che sto facendo, cancellando ogni pensiero dalla mente, ponendomi in uno stato di totale concentrazione mai provata, una sorta di trance. Tutto AGGRATIS senza far uso di droghe o alcol!

Dopo una vita passata a cercare invano ho scoperto un’attività che posso dire piacermi “assaissimo assai” e che posso praticare in solitaria. Dettaglio fondamentale di questi tempi in cui, l’amore mio assoluto, il tango, mi priva del piacere di poterlo praticare come piace a me: IN TOTALE LIBERTÀ.

Questo post per solleticare i miei lettori, gli amici, chiunque passi per di qua che QUELLA cosa bella da fare, da leggere, da scrivere, da inventare, da… ESISTE. ESISTE PER TUTTI, ne sono la prova vivente, dopo averci messo anni a trovarla e aver praticamente perso la speranza di scoprirla mai.

Ho imparato che non bisogna mai smettere di cercare. Mai perdere la curiosità di sperimentare cose nuove, specialmente se crediamo siano lontanissime da chi siamo noi (o crediamo di essere).

La mia me, la sportiva, volubile, indipendente, mascolina Pimpra, in realtà ha trovato una preziosa chiave che le apre porte di femminilità che non credeva immaginabili per lei, dolcezze e sensibilità da marschmallow: in una parola adoro cucire. Quasi mi vergogno a scriverlo tanto mi sembra lontano da me. Ma non è così.

Creare oggetti con la stoffa riempie un’esigenza creativa personale che, fino ad oggi, non ha trovato una strada idonea in cui esprimersi.

La creazione, di qualunque natura essa sia, è vita stessa. Dare la vita a qualche cosa, è un atto completamente rigenerante.

Entrare dentro il flusso, diventare tutt’uno con ciò che si sta facendo, mette in equilibrio il nostro essere intero. In questo equilibrio scopriamo la felicità, l’armonia, il benessere.

A voi tutti auguro di praticare ciò che vi rende “creatori”.

Pimpra

MALINCONIA TANGUERA

Questa è solo la minima parte del mio personale parco scarpette da tango. Queste sono le bimbe che, attualmente, mi seguono nelle peregrinazioni sulle piste.

Ho sbagliato tempo dei verbi: devo usare il passato remoto.

Ci passo davanti ogni giorno, le accarezzo con lo sguardo, ogni paio mi ricorda momenti fenomenali della mia vita, ore di piacere, di gioia, a volte anche di cocenti delusioni, di dispiacere.

Le mie scarpette da tango raccontano la mia vita, quella degli ultimi 15 anni.

Ogni giorno mi osservo i piedi, li vedo senza lividi, senza calli, senza unghie rotte, dovrei essere contenta, invece ci leggo il segno della pausa, della sosta obbligata a cui siamo stati costretti.

Ammiro molto gli amici e i maestri che, determinati, hanno continuato a ballare, ad allenarsi a distanza, a perfezionare la tenica.

Io faccio fatica, perché mi prende come un dolore dentro, vivo una sorta di lutto, perché mancano gli abbracci, come non mai.

Ho letto che in alcune regioni d’Italia, con prudenza, stanno riaprendo le scuole di ballo, ed è una cosa meravigliosa. Da me, nel lontano nord est ancora vige il divieto, ma sono e voglio restare ottimista.

Ho una grande paura: riuscirò a ballare ancora? Sarò in grado? Il corpo non allenato, rimasto per mesi in quasi totale inattività fisica, recupererà?

Sono sopraffatta dal desiderio e dal timore, dal bisogno di riprendere e dalla paura di non farcela.

Le mie scarpette sono lì, mi guardano e continuano a ricordarmi come ero e come era bello ballare.

Non metto più i tacchi da tantissimo tempo, perché se non posso ballare, è come se la mia “donna” portasse l’abito del lutto.

Ma il tango tornerà ed è bene farsi trovare pronti.

Oggi indosserò il paio da studio e muoverò i primi passi, in fondo la vita è questo: RICOMINCIARE.

Pimpra

DIARIO DI UNA QUARANTENA

Secondo fine settimana di clausura. Fino qui tutto bene: non ho ancora ammazzato nessuno, anche se non mi sento di dare garanzie che questo non accada, l’ago della bilancia è fisso su “ciccia stabile”, non mi sono fatta troppo prendere dallo sconforto, qualche volta sì eh!

Tra le tante novità che il periodo propone, è l’uso smodato- ma necessario- per mantenere in vita le relazioni sociali, delle videochiamate.

Per i giovani è una modalità di relazione connaturata ma per noi? Tragedia!

Alla mia prima videochiamata con le amiche, il software del cellulare ha attivato il blocco del video, ritenendo che la mia faccia, per come stava messa, non soddisfava i criteri minimi della decenza per cui era meglio non la vedesse nessuno. Ho faticato non poco a convincerlo che le amiche mi vogliono bene comunque e che in questo particolare frangente, mostrarmi “cessa assoluta” sarebbe stato per loro fonte di grande consolazione quanto non direttamente di conforto.

Passi per l’indomita ricrescita a cui, una volta liberate porremmo facilmente rimedio, ma il resto? Le occhiaie, le rughe, il grigiore diffuso della pelle? Una Waterloo di massa.

Il pensiero di quarantena di oggi è questo:

  • trovare il luogo migliore da cui fare le riprese, dove le luci sono ottimali, o dove lo scenario di contorno sia così tanto interessante, bello, piacevole da distrarre l’interlocutore sulla nostra faccia malandata
  • cercare e scaricare immediatamente una app da videochiamata che ci permetta di approfittare di filtri migliorativi, almeno lo sconforto sarà ridimensionato (ci avranno pur pensato vero?)
  • considerato che per un po’ di tempo vivremo una vita “a video” iniziamo ad imparare a stare davanti alla telecamera con un piglio più rilassato.

E’ arrivata la primavera e quasi non me ne sono accorta.

Mi mancano i mercati di fiori in cui mi dilettavo a fare fotografie, mi consolo con queste semplici margherite che sono comunque meglio di niente.

UN ABBRACCIO VIRTUALE,

Pimpra

PAURA? NO GRAZIE.

Leggo in giro le esternazioni di molti amici che iniziano a dichiarare palesemente di aver paura. Una paura generica, irrazionale, motivata certamente dalla situazione che stiamo vivendo.

“Ho paura”.

Rispetto profondamente il sentire di ognuno e comprendo che il momento è estremamente insolito, ignoto e come tutto ciò che non si conosce o che si vive per la prima volta, possa spaventare.

Voglio condividere con voi la mia esperienza e come riesco – abbastanza bene – a contenere e a reprimere sul nascere la paura irrazionale.

La premessa è che la paura ci serve. Ma unicamente in caso di vera necessità, quando siamo in un pericolo reale, se un leone ci corre dietro perché ci ha preso per un sushi con le gambe, in quel caso benvenuta paura, ci farai correre più svelti o trovare un riparo dove proteggerci.

Diciamo che nella nostra vita reale pericoli di questo genere sono davvero ridotti, eccezion fatta per le normali strategie di prudenza, attraversamento di una strada trafficata ad esempio.

La paura di cui leggo in questi giorni però ha un’altra connotazione.

La mia ricetta di sopravvivenza: è un fatto acclarato che le paure sono costruzioni immaginarie del nostro cervello. Fate una prova, vi mettete tranquilli nel vostro salotto e iniziate a immaginare le peggio cose, vedrete che, nel giro di pochi attimi, qualcosa dentro di voi si metterà in allerta e, se insistete nella visualizzazione, dopo un po’ vi sarete davvero spaventati.

Analizziamo: avete creato paura semplicemente nella vostra mente, è un puro artefatto, un atto di creatività.

Per moltissimi anni ho avuto un sacrosanto terrore di viaggiare in aereo, causato da una brutta esperienza vissuta in un volo quando avevo 7 anni. Ogni volta che per lavoro o per piacere dovevo imbarcarmi erano tragedie: tachicardia, desiderio di fuga, ansia incontenibile. Poi, è arrivato il giorno in cui, da sola, avrei dovuto volare in India, si trattava di un viaggio di lavoro non potevo permettere alla mia paura di farmi fare una figura bambinesca con i colleghi e chiedere loro di tenermi la mano! Avevo con me l’EN, prescritto dal medico, una specie di salvagente se mi fosse preso il panico. Durante quel volo, ho avuto davvero tante ore per entrare in contatto con la mia irrazionale paura, l’ho toccata, l’ho guardata e, come per magia, ho capito che – con le mie mani – creavo una trappola.

Mi è stato chiaro che ero io il pericolo, cioè la mia mente lo era e, come per magia, ho smesso. Adesso volare è come andare in treno o su qualsiasi altro mezzo di trasporto.

Torniamo quindi alla paura di questi tempi. L’emergenza del contagio richiede prudenza, rispetto delle prescrizioni e, a meno che non siate soggetti molto anziani, portatori di patologie precedenti o immunodepressi, potete sentirvi sereni.

C’è la possibilità di verificare i dati statistici su siti autorevoli, ragionarci su a mente fredda, con logica razionale e rimanere tranquilli.

Una mente serena è maggiormente resiliente, sa adattarsi al nuovo e non viene turbata dal cambiamento.

Vi abbraccio,

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

HO PERSO VOLI, HO PERSO TRENI

I nuovi auricolari tecnologici mi tengono compagnia in questa domenica di dicembre, mi rilasso sul divano, in attesa che la giornata prenda avvio.

La finestra che dà sul giardino ricama giochi di macchie dalle sfumature ocra e verdi, l’erba è umida e profuma di muschio, a terra giacciono oramai secche tutte le foglie del carpino. Rimane un albero maestoso anche adesso che è spoglio, i rami come arti proiettati verso il cielo a chiedere un abbraccio corale.

Sorseggio il caffè perdendomi dentro queste immagini invernali.

Il tappeto di foglie mi assomiglia, disteso sull’erba del giardino, spazzato dal vento, battuto dalla pioggia, mutevole come il clima.

Le foglie hanno una loro ragione di esistere, penso, anche adesso che sono come singole tessere di un puzzle, buttate a terra per caso. Disegnano la fine dell’anno con colori tanto infuocati da riscaldare la morte stessa.

La musica insinua note struggenti di pianoforte e parole che arrivano dritte al cuore.

“HO PERSO VOLI, HO PERSO TRENI”.

La lacrima sfuggita al controllo della ragione riga il mio volto stanco, davanti al fuoco di foglie di questo finto autunno.

“HO PERSO VOLI, HO PERSO TRENI” il ritornello s’infrange lì dove fa più male.

Il caffè è finito, la tazza vuota tra le mani non mi riscalda più.

Pimpra

Citazione nel titolo da Pianeti di Ultimo

AUTUNNALI FRIVOLEZZE

Devo aprire un sondaggio.

Ho sicuramente molte indecisioni nella vita, meno quelle relative alla mia immagine.

L’argomento è frivolo, lo anticipo subito, pertanto, se non avete tempo da perdere, passate immediatamente oltre. Non si accettano proteste ex post.

Porto gli occhiali da vista dai tempi dell’Università, posso quindi affermare con sicurezza che sono un accessorio che fa parte di me, a tutti gli effetti.

Ogni occhiale da vista che ho indossato negli anni mi ricorda momenti, situazioni , ere geologiche, come si trattasse di un diario intimo.

Indimenticabili i Gianfranco Ferré che hanno firmato la discussione della tesi di laurea, gli occhiali da “nonna” troppo piccoli per i miei zigomi che mi restituivano un volto da Facoltà di lettere ma mi rendevano femmina intrombabile (mi si passi il francesismo).

Negli anni ho surfato attraverso forme rettangolari, oblunghe, a goccia, rotonde, a farfalla, a parallelepipedo inverso, sfuggendo ad ogni regola imposta dalla moda del momento, scegliendo sempre me e come mi sentivo indossandoli.

Sicura delle mie scelte, fiera di mostrare al mondo una faccia che mi rappresentasse, non mi sono mai posta il problema di piacere, finché…

Scopro che, mediamente, gli uomini detestano le donne occhialute e tutti gli sforzi che queste fanno per creare un’immagine di loro stesse, attinente alla personalità che indossano. Apparentemente l’occhiale da vista nebulizza la libido, stordisce il testosterone, inibendo ogni forma di seduzione femminile.

Ci sono le lenti a contatto. Magari! Nel senso che non tutti gli occhi le sopportano per la giornata intera, specie davanti al pc.

Aggiungiamo anche che, nel tempo, il difetto alla vista si modifica e quindi TOCCA per forza cambiare occhiali! 😉

In buona sostanza l’impasse consiste in questo: una volta compreso l’effetto dissuasore sul fascino femminile causato dalle lenti, non sono più capace di comperare una montatura che mi corrisponda.

Quindi la soluzione è:

  • me ne frego e mi compro quello che mi pare e piace
  • mi faccio accompagnare da esemplare testosteronico e monitoro il livello di disgusto?

Questi sono i VERI problemi della vita, altroché! 😀

Pimpra

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ALLENAMENTO A DISTANZA. LA NUOVA FRONTIERA

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Ho sempre fatto sport, da che ne ho memoria.

Dai pattini a rotelle che si usavano con le scarpe, alla ciclo cross più grande e pesante di tutto il quartiere ma con gli ammortizzatori da super wow che in salita non riuscivo a pedalare tanto era esagerata per me, anche se aveva il cambio a 3 marce, insomma ho fatto e provato di tutto.

I sogni nel cassetto restano la danza classica a me interdetta che in famiglia l’idea di tirare su una “femmina-femmina” evidentemente non era gradita, e la ginnastica artistica.

In questo secondo caso devo dire che i miei ci provarono ma il responso fu che, a 8 anni (prima vivevo all’estero), ero troppo vecchia per iniziare. Gli stolti non mi fecero neanche un provino: avrebbero visto che, da sola, sapevo fare la ruota con una mano, le rovesciate e tutte le spaccate. Che faccio ancora, così per dire.

Il tempo passa, tiranno, e arriva il momento in cui ho dovuto appendere l’agonismo al chiodo. Alla boa della grande età si cerca di mantenere la struttura ed è già un grande risultato.

Per puro caso, on line scopro l’esistenza di un coach italiano che, apparentemente, fa dei veri miracoli sulle donne normali, quelle come me, con la cellulite e i cuscinetti. Lo seguo per mesi, sembra proprio che i risultati memorabili che raggiungono le allieve siano reali, non trucchi da photoshop. Decido di provarci anche io, voglio concedermi la possibilità di un miglioramento che sia prevalentemente estetico del mio corpo, non competendo più in nessuna specialità sportiva.

La grandiosa novità è che il mio è un coach virtuale, nel senso che, lui non l’ho mai visto, esiste in carne ed ossa ma vive a 500 km da casa mia. Con lui e il metodo che ha ideato, tutto si fa a distanza!

In palestra ho la scheda per me, che gestisco dal cellulare, dove trovo tutte le informazioni che mi servono per la corretta esecuzione degli esercizi. Se ho dubbi, posso scrivere o telefonare in sede dove ricevo le informazioni che mi interessano.

Sono alla seconda scheda attualmente e, non mi pareva potesse essere possibile, il percorso funziona. Dietro al progetto c’è una filosofia legata al fitness che coniuga l’allenamento e il corretto regime alimentare. Una filosofia molto sana.

Scrivo tutto questo perché trovo incredibilmente interessante scoprire ogni giorno, come il mondo moderno evolva così velocemente e – per fortuna! – non sempre in senso deteriore o negativo.

Certamente nessuno mai potrà sostituire gli allenatori che hanno contribuito alla formazione del mio carattere, in special modo l’ultimo che ho avuto, quel Duško, mago dell’atletica leggera, che non solo mi ha insegnato a correre ma ha saputo leggere nel mio cuore sportivo facendo uscire la falcata Giaguara.

Il mondo cambia e lo fa molto velocemente, perciò noi, vecchi dinosauri, facciamo bene a stare al passo onde evitare l’estinzione.

Olè!

Pimpra

NB Se vi si è attizzata la curiosità, le info qui

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