QUANDO GETTARE LA SPUGNA?

FONTE WEB

Perché questo curioso titolo? Frutto di una riflessione che mi corre dietro da parecchio.

Arriva un momento, nella vita di ciascuno di noi, in cui dobbiamo cedere il passo e ammettere che facciamo parte di una generazione che appartiene al “passato”, a un tempo che ha … esaurito il suo tempo?

Non è questione di giovani contro vecchi ma proprio di generazioni che sono, oggettivamente, molto distanti.

Cerco di spiegarmi meglio.

Credo che più o meno tutti noi, con diversi livelli di intensità/partecipazione, utilizziamo/siamo presenti almeno su un canale social, quale che sia. Dall’ormai obsoleto Facebook alle più gettonate piattaforme giovanili, penso a Tik Tok, solo per citarne una, esistiamo, o comunque guardiamo stories e immagini su Instagram, seguendo diverse persone, brand, gruppi. Per non parlare dello scambio di notizie su Twitter, dell’uso smodato di watsup e telegram.

Un mondo fatto di finestre senza tende, sulle quali chiunque può affacciarsi, interagire e, altrettanto chiunque può mostrarsi.

Non mi interessa dire se la cosa sia positiva o negativa, osservo però che questo particolare modo di stare al mondo, anche virtuale, ha dato un’accelerata impressionante alla differenza che si crea tra le generazioni.

Dai nostri genitori che da non molto hanno imparato ad utilizzare le chat di watsup, con fatica, perché quell’oggetto che si chiama smartphone è ancora abbastanza misterioso, a noi, generazione X che ci sentiamo ancora in sella su questa “modernità”, ma cominciamo a fare molta fatica. Almeno questo è quanto accade a me, sarà che non ho figli.

Seguo, su più canali social, persone/personaggi di variopinte provenienze geografiche ed anagrafiche, oltre che di diverse estrazioni e professioni, resto molto impressionata dalla quantità di immagini/video/storie contenuti che producono, instancabili, convinti, nel duro lavoro di aumentare la community che li segue, magari cercando anche di guadagnarci, dopo aver visto soddisfatto il narcisismo innato di ricevere moltissimi “like”.

Questi giovani, molto moderni (intendo le generazioni Y “millenials” e Z ), sono instancabili, vivono una realtà dentro la loro finestra virtuale, e si esprimono, e raccontano, e commentano senza sosta, a testa bassa, convinti.

Non sto criticandoli, anzi, li ammiro. Dedizione, inventiva, quell’energia legata alla giovane età, il sogno, l’immaginazione sul proprio futuro. BRAVI dico.

Poi guardo me, i miei profili social, e mi rendo conto, senza dubbio alcuno, che si percepisce benissimo la mia diversa età, il mio modo di comunicare che predilige ancora la parola scritta al video o alla storia (non ho ancora imparato a fare un montaggio decente!) e mi faccio la fatidica domanda: non è giunto il momento di ritirarmi, di farmi da parte, di smetterla di correre dietro alla modernità che non è più mia?

Arriva il momento in cui si smette di parlare e si inizia ad osservare in silenzio, perché la maturità suggerisce che è il tempo di fare spazio.

Dall’altra parte però penso che è bello mantenere viva la curiosità di capire come evolve il mondo, come le persone interagiscono tra di loro, di che cosa amano conversare, quello che condividono, le passioni, gli interessi. Poi, non tutto risuonerà interessante o utile, di questo ne sono sicura, ma sarà comunque un modo per “stare al mondo” o, almeno “corrergli dietro”.

La domanda che mi pongo è questa: la spugna va gettata prima o poi?

Chissà cosa ne pensate.

Pimpra

TANGO E TECNOLOGIA

Ormai ho perso il conto dei giorni, stare a casa ovatta il senso del tempo. Mi accorgo dello scandire delle giornate osservando il piumaggio di foglie del carpino che domina il giardino. E’ lui che funge da calendario.

Come molti di noi, lavoro da casa e, se possibile, sono più iperconnessa di prima. Nel carosello di pixel che fiammeggiano quotidianamente dinnazi ai miei occhi, sto notando un grande cambiamento “adattativo” riservato a noi, i “droGatti” tangueros.

Molti professionisti (e non) si sono affacciati alle piattaforme virtuali per continuare a mantenere vivo il rapporto con i loro allievi e, perché no, non perdere completamente la fonte del loro reddito.

Una delle piattaforme che vanno per la maggiore è Zoom, ma sicuramente ve ne sono altre di validissime.

Personalmente non mi sono ancora mai iscritta a uno di questi webinair, ma conto di farlo prima o poi. So di molti amici che seguono lezioni di ogni tipo in modalità on line, da quelle più tipicamente “intellettuali”, i classici corsi di formazione per capirci, a vere e proprie lezioni che implicano il corpo.

Ecco che mi chiedo come cambierà il mondo tanguero, anche alla luce di queste possibilità offerte dalla tecnologia moderna.

Facendo un salto nel passato, ripenso ai miei esordi a metà del 2000, ricordo perfettamente come molti tangueros dell’epoca facevano indigestione di video di esibizioni per carpire i movimenti dei professionisti. Poi si presentavano in pista e usavano l’inconsapevole ballerina/o quale strumento di verifica dei loro progressi. Inutile dire che per il 90% di loro gli effetti erano nefasti.

Ma torniamo ad oggi, come cambia, se cambia, la didattica on line? Il fatto che io veda il mio maestro effettuare dei movimenti, spiegarmeli, mi permette comunque di apprendere? Il maestro, via etere, ha la possibilità di osservare i movimenti degli allievi e di offrire le sue correzioni?

Oppure le lezioni on line poggiano piuttosto sulla condivisione con l’aula di esercizi che vengono dettagliatamente spiegati alla classe che poi, in autonomia, li riproduce?

Si possono fare domande? I maestri interagiscono o il rapporto è “one to many“?

Non nascondo che questa possibilità di apprendimento, non solo mi incuriosisce, ma mi pare un’ottima ancora di salvataggio sia per i professionisti, gravemente privati della possibilità di lavorare, sia per gli allievi che si sentono mancare i loro punti di riferimento.

Ancora, come si può rendere questo strumento il più efficace possibile, in modo che, una volta l’emergenza risolta (accadrà prima o poi!), non ci si ritrovi in pista completamente a digiuno dei movimenti, con tutti i nostri punti deboli in esaltazione?

La domanda è rivolta sia ai maestri che avranno il piacere di rispondere, sia agli allievi che hanno esperienza del metodo.

Ad ogni buon conto e a prescindere da tutto, apprezzo la voglia di trovare soluzioni, di reagire a una situazione drammatica, all’arte di arrangiarsi che, messe insieme, ci faranno rialzare la testa e riprendere le nostre vite.

VI ABBRACCIO.

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI E DA QUI

DIARIO DI UNA QUARANTENA

Secondo fine settimana di clausura. Fino qui tutto bene: non ho ancora ammazzato nessuno, anche se non mi sento di dare garanzie che questo non accada, l’ago della bilancia è fisso su “ciccia stabile”, non mi sono fatta troppo prendere dallo sconforto, qualche volta sì eh!

Tra le tante novità che il periodo propone, è l’uso smodato- ma necessario- per mantenere in vita le relazioni sociali, delle videochiamate.

Per i giovani è una modalità di relazione connaturata ma per noi? Tragedia!

Alla mia prima videochiamata con le amiche, il software del cellulare ha attivato il blocco del video, ritenendo che la mia faccia, per come stava messa, non soddisfava i criteri minimi della decenza per cui era meglio non la vedesse nessuno. Ho faticato non poco a convincerlo che le amiche mi vogliono bene comunque e che in questo particolare frangente, mostrarmi “cessa assoluta” sarebbe stato per loro fonte di grande consolazione quanto non direttamente di conforto.

Passi per l’indomita ricrescita a cui, una volta liberate porremmo facilmente rimedio, ma il resto? Le occhiaie, le rughe, il grigiore diffuso della pelle? Una Waterloo di massa.

Il pensiero di quarantena di oggi è questo:

  • trovare il luogo migliore da cui fare le riprese, dove le luci sono ottimali, o dove lo scenario di contorno sia così tanto interessante, bello, piacevole da distrarre l’interlocutore sulla nostra faccia malandata
  • cercare e scaricare immediatamente una app da videochiamata che ci permetta di approfittare di filtri migliorativi, almeno lo sconforto sarà ridimensionato (ci avranno pur pensato vero?)
  • considerato che per un po’ di tempo vivremo una vita “a video” iniziamo ad imparare a stare davanti alla telecamera con un piglio più rilassato.

E’ arrivata la primavera e quasi non me ne sono accorta.

Mi mancano i mercati di fiori in cui mi dilettavo a fare fotografie, mi consolo con queste semplici margherite che sono comunque meglio di niente.

UN ABBRACCIO VIRTUALE,

Pimpra

DUE RUSPANTI DINOSAURE…

url

Si fa presto a dire “ricambio generazionale”, “giovani contro vecchi”, “amate i vostri nonni”, “non sono anziana, sono diversamente giovane” e tutta una serie di simpatici luoghi comuni che esaltano le differenze d’età, a volte con malcelata ironia, a volte con insolente disprezzo, a volte con tenerezza.

Tutto facile quando ci scherzi su, quando senti che l’agomento non ti  tocca perchè, per ben che vada, fai parte della quota “giovane” del binomio.

Sticazzi il giorno in cui passi il tuo Rubicone e, dal fattore”figo”, diventi a tua volta “il vecchio” della situazione.

Ma andiamo con ordine.

Pausa pranzo, i 30′ di boccata d’ossigeno fuori dalla gabbia. C’è il sole e una voglia irresistibile di regalarci un rossetto nuovo, rosso ed esuberante per esorcizzare novembre, l’autunno, le bruttissime cose che accadono intorno. Insomma un micro shopping very cheap per ritrovare quella leggerezza che ci permettere di vivere.

Detto fatto, con la mia amica del cuore, ci dirigiamo da Kiko.

La scelta del rossetto evidenzia in noi la voglia di giovanilismo, tanto che, le due gentili commesse accorse ad aiutarci, ci guardavano sbalordite sulla nostra scelta di acquistare lip stick sbrodolosi (quelli molto glossy, per intenderci) appannaggio esclusivo di ragazzine e giovani donne di massimo 35 anni.

[Perchè il dramma cosmico è che il bastardo lip gloss si infila istantaneamente nelle rughette che perimetrano il labiale (dai 36 anni in su iniziano a presentarsi, di solito), facendo perdere completamente il contorno labbra e conferendo quell’aspetto di tossica in pieno viaggio astrale. In una parola: un disastro estetico di proporzioni epiche!]

Con tatto sopraffino, le due gentili commesse, ci hanno depistato su rossetti ben più adatti a noialtre, persuadendoci che erano lucidi comunque ma che si mantenevano in sede e che, loro stesse, (25 anni meno di noi???), ne facevano uso.

Convinte, ci presentiamo alla cassa dove, un’altra giovine commessa  ci convince a registrarci sul sito per ottenere punti e sconti.

Come due brave pollastrelle, l’amica ed io sottoscriviamo ma, il bello è che l’operazione avveniva seduta stante, sulle tastiere dei nostri smartphone.

L’abissale differenza d’età si è manifestata in tutta la sua tracotanza, proiettando l’amica e me direttamente alla prenotazione di una stanzetta presso “Villa Arzilla” , ricovero per anziane signore.

Con tocchi felini ai telefoni la commessa ha provveduto alla nostra registrazione, ha fatto una foto dello schermata del cellulare dove comparivano i nostri codici di accesso per facilitare il loro utilizzo qualora si fosse sprovviste di connessione web e, in un abracadabra, i giochi erano fatti.

Io me la ridevo sotto i baffi, più che altro per il piacere di aver trovato una giovane preparata, gentile, molto paziente e volonterosa, la mia amica, letteralmente stordita da questa mostruosa “velocità decisionale”… una volta pagato il conto, se ne è uscita con un bel “Beh, mi scusi, non mi rilascia nessuna card?”

La giovine, spalancando gli occhi da cerbiatta e contenendo il suo stupore, ha semplicemente risposto “Signora, non ne ha bisogno, è già tutto dentro il suo telefono!”

Ho strattonato  l’amica fuori dal negozio e, ridendo, abbiamo decretato che siamo giovani come due… DINOSAURE!!!!

Vabbè… pigliamola con allegria…

Pimpra

ADOLESCENS-ENTIS: sinonimo di guai

Dal mio osservatorio privilegiato di donna matura senza figli e senza turbe di non averli avuti, noto cosa accade ai miei coetanei prole-muniti.

Il mondo si divide tra coloro che ne hanno uno solo, il classico “figlio unico” e gli altri con due o più.

Un’altra importante discriminante è se i genitori del pargolo sono separati o stanno ancora in coppia.

L’etimologia di “adolescente”, prevede una definizione del tipo: da qui

oppure: da qui

“a-do-le-scèn-te

Sign:Chi attraversa una fase della crescita che prelude all’età adulta

dal latino: adolescens participio presente di adolescere composto da ad rafforzativo e alere nutrire. Che si sta nutrendo.

L’adolescente è colui che si sta nutrendo e l’adulto – dal participio passato della stessa radice – è colui che si è nutrito. Questa immagine ci disegna due individui, uno che non ha concluso la propria formazione e uno che lo ha fatto.(…) Ad ogni modo presso i Romani, inventori della parola, l’adolescenza finiva a venticinque anni.

TEMPI MODERNI:

ogni qualvolta incappo in qualche conoscente che ha a che fare con gli adolescenti moderni, benedico Iddio di non avere figli.

Da quanto mi si dice, il ragazzo/a che va da un’età dai 12 ai 18-20 anni, vive la parte più ostica della sua vita, della vita di relazione con i suoi genitori, e del rapporto con qualsiasi tipo di autorità.

Ci siamo passati tutti.

Personalmente, ne ho un ricordo offuscato, opportunanente rimosso dai meccanismi di difesa della mia psiche che hanno preferito lasciarmi spazio sull’hard disk mentale/emozionale per altri ricordi, si spera, ben più lieti.

L’età del mutamento, del divenire, dello scoprire in quale direzione ci si sta muovendo verso la vita adulta che, rimane comunque, una lontana chimera.

Chi sono, cosa faccio, cosa cerco, cosa voglio? Dove sta la mia identità, l’unicità? Tutti questiti che il giovane virgulto si pone (o almeno dovrebbe porsi) per dare una definizione almeno di bozza, di ciò che immagina o sogna per se stesso, per la sua vita futura.

Ciò che vedo e che mi viene raccontato, invece, cozza contro tutto questo.

Giovani che preferiscono chiudersi in una massa informe, dove la “forza” o, meglio, la “difesa dal mondo”, deriva dal numero dei componenti del gruppo.

Poco o nessun interesse verso la “qualità” della vita, nelle sue diverse sfumature, e, quello che è peggio, un fancazzismo esasperato. Una mancanza di curiosità e desiderio del conoscere, del fare, perferendo il diffuso concetto di “galleggiamento in un limbo di noia”.

Noia di esistere, avrei l’istinto di scrivere, perchè non supportata dalla fiamma di desiderio che la giovinezza regala. I sogni liquefatti dentro ai pixel dello smartphone, le comunicazioni di pura soglia “social”, dove indossare una maschera, anch’essa protettiva, per tuffarsi nella lunga corrente del golfo delle cose certe ed accettate, dell’edonismo dichiarato e classificato secondo rigidi codici.

Manca il piacere dell’unicità, la voglia di sbattersi il culo per provare a mettere la testa al di fuori della massa, per la curiosità di trovare la linea dell’orizzonte e immaginare che cosa ci sta dietro.

Ma forse sono troppo cruda, ed è facile dall’alto dei miei anni guardare i “pulcini” e notare quanto siano piccoli. Ma loro sono piccoli.

Però questi giovani adolescenti, sono virgulti che andrebbero aiutati a crescere. Spronati a darsi da fare, indirizzati con delle regole di gioco, perchè la vita, si sa è bastarda, ed è meglio farsi le ossa da giovani…

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

LA MIA VITA “SOCIAL”

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Devo prendere atto che, la mia vita, ha preso una forte impronta “social”, nel senso che, una buona parte della mia esistenza “vera” filtra anche dentro pixel virtuali.

Nell’analisi dei costi/benefici di questo che, per la sottoscritta, è una presa d’atto di una mutata realtà esistenziale e, soprattutto, comportamentale, a fronte delle critiche molto pesanti dei miei cari, mi sento di difendere questo aspetto nuovo di me.

Premesso che il narcisismo dilagante della società si è preso anche me, abbattendo ogni inibizione a “mostrarmi” che sia scrivendo, fotografando, ebbene qualcosa ha funzionato in modo egregio.

Chi mi segue conosce la mia passione per il tango argentino, il piacere di andare a ballare in molti luoghi, spesso lontani dalla propria città. È noto anche che, il lavoro che faccio, in certi periodi, mi porta a frequentare città diverse, all’esterno della mia regione.

Il miracolo social che sto vivendo è questo: amici, molto spesso solo “virtuali”, sapendo, via web, che mi trovo nei loro luoghi, si offrono di aiutarmi in tutti i modi a loro noti. Regalandomi preziose informazioni, offrendosi come ciceroni delle loro città, in modo che, nel pochissimo tempo libero che mi resta dal lavoro, mi possa fare un’ idea vera della realtà del luogo.

Vi rendete conto di quanto ciò sia prezioso?

Bisogna che i detrattori della vita virtuale facciano un passo indietro, accettando l’assunto che, dietro uno schermo, sia di un pc che di uno smartphone, c’ è una persona viva e vera.

Da questo blog, a FB a instagram, ho ricevuto il dono di “conoscere” meravigliosi essere umani che mi hanno donato molto, non fosse altro che il loro tempo e la loro attenzione.

Ecchevelodicoafare mi reputo una persona davvero molto fortunata!

GRAZIE AMICI!!!

Pimpra

IMPARARE A VEDERE

TriesteA volte mi rendo conto di quanto possiamo essere distratti.

Percorriamo la vita come un treno in piena corsa, non lasciandoci lo spazio ed il tempo per accorgerci di quanto ci sfila intorno.

Andiamo veloce, troppo veloce.

Organizzando diversamente i miei impegni, ieri, finito il lavoro, mi sono concessa un’ora di “cazzeggio”, ipod nelle orecchie, cellulare alla mano e gambe in spalla. Avevo una meta da raggiungere ma, nel farlo, mi sono goduta il percorso.

A differenza di quanto mi accade di consueto, lo sguardo non era rivolto a terra o ad altezza occhi (o vertine, lo confesso!), ma proiettato in alto, verso il cielo, verso i palazzi di questa piccola città che, così facendo, scopro magnifica.

Il dialogo delle facciate dei palazzi musica il passaggio della storia, celebrando periodi fausti e infausti; architetture sublimi e rozze si rincorrono in un orizzonte unico che, solo ora, dopo tanti anni, riesco a vedere.

Ed è partita la mia mano a scattare la bellezza che i miei occhi riuscivano a catturare e la loro meraviglia.

E mi sono messa a pensare a quanto siamo distratti, poco attenti, superficiali. A quante sfumature ci passano davanti senza che ce ne accorgiamo. Al tempo che sprechiamo dietro alle scemenze, a cose che non ci arricchiscono affatto e che, soprattutto, non siamo in grado di elaborare da noi stessi.

E così celebro il mio smartphone che tanto mi ha fatto incazzare nella mia finta settimana di vacanza, quanto oggi, invece, mi sia caro strumento per rapire la bellezza che mi sta intorno. Della quale non posso fare a meno. Per togliere un po’ di grigio all’esistenza affannata.

Pimpra

IMAGE CREDIT: PIMPRA_TS

DI TANTO IN TANGO. SONO FINITI GLI ABBRACCI

image credit: Claudio VisintinIMAGE CREDIT: Claudio Visintin_Borgoricco

Torno da una milonga – graditissima – dove ho finalmente, liquefatto la suola delle scarpette.

Musica dal vivo strepitosa, la bella atmosfera di un luogo familiare, i sorrisi degli amici che non vedo oramai quasi più e il tango che amalgama, mixa la bella gente che partecipa alla festa.

Ho ballato con una variopinta sfumatura di umanità maschile, da quelli malati di tango a coloro che lo vivono in una dimensione meno eccessiva, dagli esperti a quelli che hanno meno chilometri sulle gambe.

In tutto questo bel caleidoscopio, sono stata molto colpita da un – nuovo per me –  fenomeno.

Sono finiti gli abbracci.

Questi uomini, non sanno o non vogliono più “abbracciare” la ballerina. Ora, non intendo dilungarmi con un lunghissimo pippolotto su cosa significhi “abbracciare”, il web è popolato su discorsi a tema e non mi aggiungerò al coro.

Per me è stato un piccolo choc, una grande delusione, in primis “esistenziale”.

Se danzare, nella moda corrente, significa porgere il tocco di una mano, un abbraccio finto o virtuale in nome di una dinamica che si vuole il più possibile vorticosa, ecco, c’è qualcosa che non mi quadra più.

Non passa l’emozione. E, anche il tango, diventa una speciale “performance” dentro una sorta di “trance ritmica” nella quale le altre sfumature vanno perdendo colore.

Ricordo nel mio viaggio in Argentina dello scorso anno che i maestri insistevano molto sul punto “abbracciami”, dopo che – a mio modo di vedere europeo – non era immaginabile abbracciarli più di così… invece il modo c’era, e, nell’esatto istante in cui loro “abbracciavano” me, passava una speciale scintilla che illuminava il tocco e il tango si animava di magia.

Io non ballo con gli argentini o, se lo faccio, accade troppo di rado, io ballo con i miei conterranei. I miei conterranei non mi abbracciano più e, quando a me viene naturale di farlo, capisco che non è più cosa gradita.

E mi chiedo:

  • sono vecchia e si sentono a disagio?
  • abbraccio in modo troppo intenso e loro non “tengono botta”
  • copro la loro visibilità e/o credono che, così facendo, metta le radici nel pavimento e non mi muova più?

So che resteranno interrogativi senza risposta.

Nel frattempo devo solo decidere se uniformarmi o mantenere viva la mia passione per questa danza straordinaria, continuando – nell’abbraccio –  a mettere la mia anima a nudo. Perchè farlo, a me, non fa paura…

STICAZZI.

Pimpra

 

LE NUOVE SCHIAVITŪ

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Sono in vacanza da qualche giorno, mi godo il monsone, carico di abbondante pioggia che questo clima oramai  impazzito, ha il piacere di donarci.

Un pò mi sono incazzata, per il resto arresa al volere della natura.

Tra una sessione e l’altra di palestra, un sonnellino, una chiacchiera, una tanda non sono mai uscita dalla mia galera quotidiana.

Ero fuori solo con il corpo, ma dentro con tutta la mente, le emozioni, le incazzature, l’ansia e la frustrazione.

Il perchè è presto detto, in mia compagnia l’onnipresente smartphone. E tu vedi l’icona delle mail e che fai, ignori? Certo, così dovrebbe essere dato che, nell’ingranaggio, sei solo un micrometrico dentino di una ruota ben più grande. Invece, conscia che i casini sono come la gramigna che germina anche sulle rocce, l’istinto di sapere di quale morte morirai al tuo rientro, fa sì che leggi e sai per filo e per segno ciò che sta accadendo. E poi ti telefonano, ignari o insensibili del tuo tempo libero.

Alla notte, invece che perdermi in dolci sogni, la mia mente continua ad elaborare, a vedere le carte, a immaginare come risolvere situazioni, come rispettare scadenze. Come se la mia persona, la mia presenza fossero strategiche e di vitale importanza per l’apparato che mi inghiottisce ogni giorno.

Così non è, ovviamente, perchė, in quel caso, godrei delle meritate stellette che, invece, nessuno vuole concedermi. Io, come tantissimi altri, sono un efficacissimo cavallo da tiro, di quelli con le zampe grosse e il corpo tozzo, quelli che non sono belli da vedere, che non vanno esibiti nelle cerimonie ufficiali, senza il lavoro dei quali però, non esisterebbe cerimonia.

Allora, la carota che ti danno è a base di tecnologia, per essere sempre connessi, illudendoti che ti te hanno stima ed è quello un primo modo che hanno di riconoscertelo.

Invece ti mettono dentro a una nuova gabbia, dalle sbarre più strette perchè invisibili e te la mettono direttamente dentro la testa.

Sono queste le mie vacanze, passate a cercare di “staccare la presa del cervello” senza riuscirci, a maledire la mia vita attuale che rappresenta la commedia della morte di tutti i miei sogni.

STICAZZI.

Pimpra

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