NON TOCCATE LO SPORT

Trieste è, da sempre, una città con un grandissimo cuore sportivo. I bambini approcciano le diverse attività sin dalla più tenera età.

Direi che in città e sull’altipiano sono presenti praticamente tutte le discipline sportive, manca, è vero, un palazzetto del ghiaccio ma, chissà che non lo costruiscano prima o poi.

Abbiamo avuto atleti che si sono distinti a livello nazionale e mondiale, in più di una disciplina. Fare sport per i triestini è come godere di una giornata di bora, prendere il sole in spiaggia a marzo, andare in giro per Osmizze. Fa parte del dna.

Con la bella stagione, le attività da praticare aumentano esponenzialmente e con esse le gare.

Da tanti anni a maggio si corre una bellissima maratona, bellissima perché il percorso costeggia il mare, la strada costiera che offre un panorama assolutamente spettacolare. E’ una manifestazione di grande richiamo per i runners professionisti e non di tutto il mondo.

Quest’anno, in conferenza stampa, è stato annunciato che la competizione sarà esclusa agli atleti africani, se la memoria non mi tradisce, quando partecipano, vincono sempre la corsa maggiore. Letta la notizia, non potevo credere ai miei occhi. La motivazione dell’esclusione è che gli atleti professionisti africani, il più delle volte sono sfruttati dai loro manager e quindi, per evitare questa possibilità, non sono ammessi alla gara.

Per fortuna la gente che fa sport o che lo ama si è rivoltata a una tale assurdità.

Non voglio fare politica, ma solo parlare di sport.

Se fossi un’atleta professionista, a scoprire questa notizia farei salti di gioia: il competitore n. 1 eliminato! Urrah! Il professionista vince un premio in denaro e quindi, posso capire che si senta sollevato alla notizia.

Ma, sono altrettanto sicura che, lo stesso professionista, ad arrivare primo senza avere il vero concorrente da battere, non apprezzerebbe quella vittoria allo stesso modo. Il professionista resta sempre un atleta e l’atleta vero, quello che dedica la sua vita allo sport, non vuole sconti. Perché ha scelto una vita basata sull’idea di sfidare se stesso, le sue capacità, gli altri.

Ora, una maratona senza gli africani è come la Sacher senza la glassa di cioccolata, diventa una torta qualunque, magari neppure buona.

Gli africani sono nati per correre lungo, se osserviamo i loro corpi hanno leve diverse dalle nostre, sono slanciati, affusolati, leggerissimi, hanno fibre muscolari perfette per questo genere di sforzo. I runners professionisti vengono da noi solo per fare una gara e, probabilmente, vincerla. Che piaccia o meno, sono quelli che hanno più chances e, comunque, elevano il livello della competizione che, quindi, a livello mondiale, acquista più prestigio.

Capirlo è semplice, si tratta di numeri.

Immaginiamo la maratona di New York senza i top runners mondiali, esclusi per le più svariate ragioni . Non ci sarebbe maratona e nessun runners, dall’amatore al professionista, sognerebbe di parteciparvi almeno una volta in vita sua.

Allora perché questa meravigliosa città dove vivo deve sporcarsi di una simile, tremenda, esclusione di atleti basata sulla provenienza geografica? Da sportiva fa malissimo, da triestina altrettanto.

Non è politica, è sport. Lo sport è una delle poche magie che possiamo cercare di preservare dalla “corruzione”, lo sport è fatica, sacrificio, onestà intellettuale verso se stessi e verso il proprio avversario. Lo sport è quella scintilla che ci permette di sfidare noi stessi e i nostri limiti e di confrontarci con l’altro sullo stesso piano e ci insegna a perdere con onore e a vincere con modestia.

Per questo sono profondamente arrabbiata, delusa e spero che la comunità sportiva triestina si sollevi e protesti in modo molto deciso di fronte a chi vuole chiudere lo sport in stanze che non gli appartengono.

Pimpra

Per approfondimenti qui

ATTIMI BELLI

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Domenica si torna all’ora solare, testa bassa nell’autunno inoltrato, oramai ci siamo.

Trieste regala spunti di rara bellezza, in queste giornate sferzate da un timido borino che rinfresca decisamente ma schiarisce il cielo regalando un “blu blu blu” da prendere a piene mani.

Bisognerebbe fare una camminata sul Carso, avvolto dal mantello rosso delle foglie di sambuco, è una poesia in questo periodo dell’anno. Chi può, si gode l’aria frizzantina facendo delle lunghe sgroppatine di corsa nei sentieri che profumano di muschio e di foglie.

Non è così male l’autunno, a ben guardare. Anche se la vena di malcelata malinconia fa sempre l’occhiolino.

Oggi mi regalo i colori caldi e rassicuranti della natura intorno, apprezzo l’aria fresca sulle gote e questo sole sbarazzino che ci rallegra.

E’ venerdì, non possiamo non sorridere.

Felice weekend a voi tutti, Amici Cari.

Pimpra

IMAGE CREDIT: foto di Paolo Toffoli da qui

COUNTDOWN

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Bisogna prepararsi. Mentalmente, fisicamente, emotivamente.

Tra poco più di un mese è natale. Stiamo entrando di prepotenza dentro all’inverno anche se, al momento, le temperature non sono affatto punitive, ma, solo – troppo- umide.

Sento un profondo cambiamento, non so se legato esclusivamente alla stagione, al quadro astrale, a chissacosa. Ma lo sento. Profondo, intenso ed impegnativo.

Al momento il mio corpo si è messo in “tilt”, regalandomi una nutrita serie di fastidi che mi servono a fermarmi per fare il punto.

Non potendo oppormi, eccomi qua.

In fondo non è male, una sorta di brainstorming esistenziale, in cui, volente o nolente, mi tocca guardare dentro le stanze buie. Credevo peggio. Paura immotivata.

Ho un bisogno indicibile di sfogare energia vitale che mi rimane dentro e mi “infiamma” (nel vero senso).

Le gambe, appesantite e dolenti, vogliono muoversi. Ho bisogno di letti di foglie umide e odore di bosco. Voglio l’aria che profuma di muschio, il sudore che mi imperla la fronte, voglio sentire male ovunque, perchè quello è un male che è bene e poi passa e mi fa sentire viva.

Voglio respirare, a fondo, profondamente, dentro di me.

Aspetto con una gioia infantile le prossime maratone, dove mi riempirò l’anima di abbracci e la felicità che mi regala ballare potrà, finalmente, trovare la sua giusta dimensione.

Ci siamo quasi, manca poco, il countdown è già partito.

Ed io, felicemente, mi sto preparando…

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

 

 

DI TANTO IN TANGO. SONO FINITI GLI ABBRACCI

image credit: Claudio VisintinIMAGE CREDIT: Claudio Visintin_Borgoricco

Torno da una milonga – graditissima – dove ho finalmente, liquefatto la suola delle scarpette.

Musica dal vivo strepitosa, la bella atmosfera di un luogo familiare, i sorrisi degli amici che non vedo oramai quasi più e il tango che amalgama, mixa la bella gente che partecipa alla festa.

Ho ballato con una variopinta sfumatura di umanità maschile, da quelli malati di tango a coloro che lo vivono in una dimensione meno eccessiva, dagli esperti a quelli che hanno meno chilometri sulle gambe.

In tutto questo bel caleidoscopio, sono stata molto colpita da un – nuovo per me –  fenomeno.

Sono finiti gli abbracci.

Questi uomini, non sanno o non vogliono più “abbracciare” la ballerina. Ora, non intendo dilungarmi con un lunghissimo pippolotto su cosa significhi “abbracciare”, il web è popolato su discorsi a tema e non mi aggiungerò al coro.

Per me è stato un piccolo choc, una grande delusione, in primis “esistenziale”.

Se danzare, nella moda corrente, significa porgere il tocco di una mano, un abbraccio finto o virtuale in nome di una dinamica che si vuole il più possibile vorticosa, ecco, c’è qualcosa che non mi quadra più.

Non passa l’emozione. E, anche il tango, diventa una speciale “performance” dentro una sorta di “trance ritmica” nella quale le altre sfumature vanno perdendo colore.

Ricordo nel mio viaggio in Argentina dello scorso anno che i maestri insistevano molto sul punto “abbracciami”, dopo che – a mio modo di vedere europeo – non era immaginabile abbracciarli più di così… invece il modo c’era, e, nell’esatto istante in cui loro “abbracciavano” me, passava una speciale scintilla che illuminava il tocco e il tango si animava di magia.

Io non ballo con gli argentini o, se lo faccio, accade troppo di rado, io ballo con i miei conterranei. I miei conterranei non mi abbracciano più e, quando a me viene naturale di farlo, capisco che non è più cosa gradita.

E mi chiedo:

  • sono vecchia e si sentono a disagio?
  • abbraccio in modo troppo intenso e loro non “tengono botta”
  • copro la loro visibilità e/o credono che, così facendo, metta le radici nel pavimento e non mi muova più?

So che resteranno interrogativi senza risposta.

Nel frattempo devo solo decidere se uniformarmi o mantenere viva la mia passione per questa danza straordinaria, continuando – nell’abbraccio –  a mettere la mia anima a nudo. Perchè farlo, a me, non fa paura…

STICAZZI.

Pimpra

 

AMORI CHE NON SI DIMENTICANO. MAI.

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Questa primavera mi sta ringalluzzendo profondamente.

Non so dire se il benessere che provo derivi dalla cura naturale che sto seguendo che, evidentemente, non mi libera solo dalle tossine ma anche dai cattivi pensieri…

Sono “forte dentro” e, ciò che apprezzo maggiormente, è il fatto di riuscire a farmi scivolare di dosso persone/situazioni che in altri contesti mi avrebbero creato stress notevole.

Ciò detto, ieri sono stata dall’osteopata che, movimenta qua, movimenta là, ha sbloccato dei distretti corporei diventati come pezzi di marmo. Alla fine della seduta mi ha chiesto “Azzurro o rosa?” e mi ha attaccato un bel cerottone che si chiama taping.

Ho fatto un immediato balzo indietro nel tempo, a quando correvo, a quando mi faceva male tutto, a quando ero felice…

A stuzzicare ben bene i ricordi (e le scarpette appese al chiodo) ci ha pensato pure la riunione del mattino a tema Bavisela, manifestazione sportiva podistica famosissima che si correrà a maggio a Trieste (leggete QUI).

Stamane, mentre orgogliosamente infilavo i collant sopra il mio cerottone azzurro, non ho potuto smettere di pensare all’amata corsa, a quanta voglia ho di tornare a menar le gambe nella falcata,  a zompettare felice.

Perchè io sono una di quelle donne che, certi amori, non li dimentica mai…

E chissà che… 😉

Pimpra

 

EFFETTI COLLATERALI

C’era da aspettarselo: venerdì in piumino, bagnati da catini di pioggia, immersi dentro una nuvola di umidità appiccicosa e fredda. Il lunedì seguente in maniche corte, dentro una trionfante primavera che, finalmente, brilla nell’aria.

Effetti collaterali:

  • il cambio di stagione degli armadi
  • colite a nastro
  • piedi gonfi
  • fisico che, a causa dello choc termico, ha mandato in tilt il sistema endocrino.

Ma è solo primavera, nulla di preoccupante!

Ieri ho trascorso una domenica davvero bella, ripescando dal fondo dell’armadio le scarpette da corsa, per troppo tempo dimenticate.

Il ritrovo delle partecipanti previsto alle 9.00 ha fatto sì che, per l’emozione, il mio orologio biologico mi tenesse sveglia dalle 5 del mattino e non si trattava, per me, nemmeno di una corsa competitiva!

E’ stato tanto bello ritrovare i gesti di sempre, prima di una gara. I riti che ogni atleta ripete, sempre uguali, sempre gli stessi: dalla scelta dei calzini alla maglietta, al modo di annodare le scarpette, alla coda, all’elastico della coda, agli occhiali da sole…

So che fa ridere e l’amica che ho coinvolto in questa avventura, infatti, rideva, ma ero davvero così emozionata da non sapermi trattenere.

Ed è stato bello accorgermi che il mio piccolo demonietto competitivo è sempre lì, pronto ad uscire dal cilindro, se stimolato. Anche se, e qui son dolori, la mente- quella – invece, ad un certo momento ha detto “basta”.

Il male da_per_tutto, il fiato_troppo poco, la salitina finale, l’aver esagerato in partenza, tutti errori che ho pagato poi.

Ma mi sono davvero tanto divertita che, questa sera, bis.

E, mi auguro, un passo avanti l’altro, riprenderò la mia passione di sempre… adagio…

E questo è un altro EFFETTO COLLATERALE: a primavera fioriscono i… BUONI PROPOSITI! 🙂

Pimpra

SUBLIME PROFUMO DI … ADRENALINA

WOMEN RUN TRIESTE

La botta che ti scende verso le gambe e immediatamente arriva in testa, il cuore palpita più forte, la mente si illumina e l’anima, all’improvviso, si risveglia dal torpore.

E’ bastata una boutade alla fine di una riunione di lavoro per cambiarmi all’improvviso l’umore e la giornata.

Adesso sono felice.

Dopo 4 anni in cui ho tristemente appeso le scarpette al chiodo, il destino mi ripropone l’amata corsa.

L’aria sul viso, il sudore che appiccica la maglietta al busto, i dolori su tutto il corpo che si fa sempre più vecchio e  meno elastico. Per non parlare del risveglio del giorno dopo, in cui alzarsi dal letto, è  un’impresa: acido lattico a volontà e male ovunque.

Chi se ne importa. Per me, questa è la vita, la mia vita. Così mi sento viva e felice.

E’ troppo tempo che ho lasciato la mia macchina corporea giacere nel garage dei pigri, di quelli che hanno sempre di meglio da fare che “soffrire”, perchè lo sport, fa – anche – male. A volte, fa molto male.

Mi sento un leone dalla criniera ingrigita ma sempre pronto a dimostrare a se stesso di essere leone.

E riderò tanto, domenica prossima qui, quando i km mi sembreranno più lunghi dei metri effettivi e la schiena e il fiato e i piedi e le articolazioni mi guarderanno in faccia dicendomi “Brutta pigrona!!! Adesso paghi tutto il conto!”

E, sebbene a pezzi, saprò godere di ogni momento e di ogni doloretto… 🙂

Pimpra

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