QUALCHE DOMANDA DOVREMMO FARCELA

Classica routine del lunedì, una volta rientrata, incerta se indossare le scarpette e farmi una blanda corsetta, considerato che da un mese a questa parte mi reco e torno a casa dal lavoro a piedi, decido di fare la pigra e restarmene a casa.

La crew felina è in piena muta pelosa, pertanto mi sembra cosa buona e giusta, provvedere al passaggio dell’aspirapolvere. Conclusa l’operazione e svanita l’ultima molecola di volontà ginnica, nemmeno il videocorso di 20′ da fare a casa, mi metto ai fornelli per una bella cenetta sana e leggera.

Provvedo nel frattempo a cibare gli affamatissimi felini, poi la sottoscritta. La giornata volge alla sua parte più soave, il meritato relax che, di solito, è la mia cena consumata in solitaria, con la Zanzara che spara cazzate in sottofondo, il gingerino e il piatto verdure/proteine pronto sul desco e, il cellulare.

Ceno guardando Instagram che ha del demenziale, mi rendo conto, specie se penso alla mia età non più verdissima.

Niente, non carica il feed, metto e tolgo il wifi, cambio cellulare e continua a non funzionare. Non carica nemmeno FB, dannazione, e che cavolo pure watsup resta bloccato!

Tra un boccone di caponata e un sorso di gingerino, mando un sms al mio vicino di casa chiedendogli se pure a lui non va la rete che ne so forse a causa del maltempo. Mi risponde che il web è ok, solo l’universo Zuckerberg è bloccato.

MALEDIZIONE!

Il mio momento Panda della giornata è tutto in mano sua! Niente immagini, niente social, niente watsup, NIENTE.

All’improvviso mi sono guardata intorno, come sconcertata per quella “mancanza”, quel mio spippiolare sulla tastiera del cellulare, alla ricerca di stimoli che mi distraggono. Da cosa, non lo so, ma da qualcosa di sicuro.

Finito di cenare, con un certo latente fastidio, mi sono messa davanti alla tv e, guarda caso, nulla nella variegata proposta catodica è in grado di soddisfare la mia ANSIA di immagini.

Stamattina, pare, il problema sia risolto e mi sento più contenta.

Analizzo la reazione e mi rendo conto di quanto il mio comportamento sia stato malamente integrato in una logica che poggia sulla mia dipendenza. Male, molto male.

Ho perso la forza di leggere, perché faccio molta meno fatica a “guardare”, non riesco più a concentrarmi perché sono abituata ad essere invasa e pervasa da stimoli esterni, di un livello di complessità pari allo zero ma capaci di inghiottirmi.

Il buon Zuckerberg e tutti i suoi social/app collegati, per quanto mi riguarda, mi farebbero un gran servizio se andassero in down più spesso. Ho bisogno di risvegliarmi, di riprendermi da questa ipnosi collettiva, di rimettere in moto il cervello, quello che ho in dotazione, se esiste ancora.

Pimpra

IMAGE CREDITA DA QUI

CORPO, BODY SHAMING E CERVELLO.

Fotografo: Carlos Caicedo –  @Cacecada
Modella: Jenny Hedberg – @byjennyyyy

Viviamo in un mondo a tratti stupefacente e terribile, fatto di straordinarie possibilità e di prigioni incredibili, un mondo, o meglio una società che celebra e seppellisce le persone a velocità supersonica.

Credo sia la storia dell’umanità rotolare in discesa verso una meta indistinguibile, rimestare le carte in gioco, modificare le regole, aumentare la velocità.

Il racconto di questa corsa verso il nulla è tempestato di miti che ogni modernità ha affisso nel suo tempo.

Il corpo, nostro motore, fonte di esistenza fisica, è divenuto sempre più significante improprio di un significato in continua trasformazione. Corpo che dovrebbe essere racconto personalissimo e unico con cui l’essere umano celebra il suo vivere, invece…

Ricordo perfettamente la mia adolescenza senza social ma con le riviste di moda che imponevano un’ideale di fisicità/femminilità siderale.

Ricordo lo scoramento che provavo dinnanzi all’evidenza di come fossi divergente da quei modelli imposti, ricordo le prese in giro per il mio fondo schiena abbondante e le tette piccole. Ferite mai rimarginate.

Nel mal di vivere o forse nel vivere male in quanto bersagli di messaggi sbagliati, forse i giovani di oggi hanno una possibilità in più per far sentire la loro voce. A fronte degli odiatori che, a sensazione, sono molto presenti in fasce di età più adulte – il che sembra essere una contraddizione, i giovani, o almeno molti di loro, ritagliano e difendono con forza la loro identità “differente”, scegliendo di allontanarsi dai condizionamenti sociali.

Molti ragazzi esplorano liberi la loro sessualità, non facendo mistero se essa sconfina i canoni tradizionali, giocano con il loro aspetto, rivendicando una libertà che diventa anche potere espressivo.

Numerosi adulti, penso in particolare a quelli dai 45 in su, covano un grande risentimento, un rancore, una gelida rabbia come se tutto ciò che nella loro vita non ha funzionato, meritasse di ricadere sugli altri. Leggiamo spesso di liti sui social scaturite da commenti ignobili scagliati contro altri esseri spesso sconosciuti, come se deridere, distruggere, infamare, seppellire l’altro, fosse il solo modo per risolvere i propri conflitti interiori.

La splendida Vanessa Incontrada posa nuda a difesa del suo e dei nostri corpi, rivendicando la libertà di essere se stessa, nel suo unico canone, ovviamente inverso rispetto a quanto la società attuale disegna.

Siamo sempre più vetrina aperta al mondo e così fragili dinnanzi agli altri e a noi stessi. Forse dovremmo fare un passo indietro e riconoscere che la sostanza migliore di cui siamo fatti è il cervello, con buona pace di tutti gli odiatori seriali.

Coltiva il pensiero e nutri il tuo corpo chissà non sia questa la strategia per vivere finalmente sereni.

Pimpra

SIX.Q intervista con l’autore. DENIS MURANO “RISORSE INUMANE. Diario segreto di un direttore del personale”

Sono davvero orgogliosa di aprire un nuovo capitolo di SIX.Q “interviste con l’autore”, ospitando uno dei best seller dell’estate “Risorse inumane. Diario segreto di un direttore del personale”.

Seguo da tempo i post di Denis Murano su Linkedin, ogni giorno uno stimolo, uno spunto di riflessione, quando non addirittura una piccola consolazione alla mia giornata “in gabbietta” (ufficio ndr).

Di certo la mia realtà professionale è distante anni luce dalla sua, brillantissimo e giovane manager delle risorse umane, ma poco importa, il testo che ci offre parla a tutti, a tutti i livelli della/e scale gerarchiche, di aziende, piccole realtà imprenditoriali, private o pubbliche.

La vita professionale di ognuno di noi è costellata di una serie di sfumature che ci accomunano. Il pregio di questo delizioso libro è di parlare schietto, senza censure, senza sconti.

Lo consiglio caldamente, si legge d’un fiato.

Attenzione: crea dipendenza e ne chiederete subito un altro!

Godiamoci quindi la Six.Q intervista con l’autore Denis Murano!

***

  1. Cosa l’ha spinta a scrivere il libro “Risorse Inumane. Diario segreto di un direttore del personale”?

Lavoro da decenni nell’ambito delle risorse umane ed ero stanco di leggere quei librettini di management in cui viene descritta l’azienda ideale. In cui si parla di leader illuminati, colleghi in cui brucia il sacro fuoco del rispetto e della collaborazione, e imprenditori più caritatevoli del messia.

Più libri leggevo e più pensavo fossero delle puttanate. Nella mia esperienza non ho mai visto niente di quello che veniva raccontato. Per carità magari sono io uno sfigato, ma vi assicuro che ho lavorato in tantissime aziende, anche molto famose, e niente, la storia era sempre la stessa. Tutti i giorni avevo a che fare con Manager incapaci, imprenditori con visioni miopi ed egocentriche, e persone che non facevano altro che rompere i coglioni. Il mito dell’azienda perfetta non reggeva di fronte alla realtà che è fatta di dinamiche molto umane anzi spesso INUMANE. Preso da questa immensa ispirazione ho buttato giù un po’ di esperienze e mie riflessioni. 

Non pensavo potesse diventare un libro, e non pensavo che tantissime persone mi avrebbero contattato per farmi i complimenti e per dirmi che quello che avevo scritto era tutto vero, che era successo anche a loro e nelle aziende in cui lavorano

2. Quali sono, secondo lei, le differenze sostanziali tra i manager pubblici e quelli privati, i vizi e le virtù di entrambi.

Sinceramente non ho mai lavorato nel pubblico e quindi non vorrei scadere in banali stereotipi. Penso che sia nel pubblico che nel privato si possano trovare manager pessimi o bravissimi. Oggettivamente il contesto è molto diverso e penso questo faccia una grande differenza. I manager nel privato lavorano a scopi di “lucro”, vengono formati e catechizzati verso il raggiungimento dell’obiettivo annuale o di quarter. I Manager nel pubblico lavorano per il bene comune, con l’obiettivo di fare il meglio per la comunità. Il loro obiettivo è meno tangibile ma non meno importante. Purtroppo il settore pubblico per anni è stato il bacino da utilizzare come moneta di scambio. Per dare lavoro in cambio di favori, voti, ecc. Ma questo è un problema culturale del nostro paese. Checco Zalone docet.

3. La paura di cambiare è una delle ancore più incagliate nelle grandi realtà aziendali e non. All’inno di “abbiamo sempre fatto così” le aziende falliscono e le PA deludono il loro cliente: il cittadino. Secondo lei, da dove si dovrebbe iniziare per portare il coraggio del cambiamento in seno agli uffici?

L’essere umano resiste al cambiamento. E’ un dato di fatto. Siamo tutti con il freno a mano tirato e quindi cambiare non è facile. Mai. Per aiutare il cambiamento bisogna creare il contesto giusto per fare in modo che il cambiamento avvenga. Siamo troppo bravi a trovare il colpevole e tralasciamo sempre le cause. E’ molto più facile e divertente giocare alla caccia alle streghe piuttosto che trovare le origini dei problemi. Bisognerebbe invece promuovere una sana cultura dell’errore. Chi sbaglia ci sta provando e quindi non andrebbe punito ma aiutato.

4. Nel libro, Alice è la giovane assistente che lei seleziona per il suo team: determinata, desiderosa di imparare e di mettersi in gioco, preparata e curiosa. Secondo lei, si può ritrovare o trovare per la prima volta la propria “Alice” anche dopo molti anni di lavoro alle spalle?

Alice per me è un simbolo, e non a caso è una donna. Ho lavorato con tanti manager e le migliori erano donne. Alice è il simbolo della genuinità e del modo corretto di approcciare al lavoro. Non è come il Dott. X ormai corrotto dal sistema. Alice ha un sano ottimismo nei confronti del lavoro, ed ha dei valori e dei principi sani. Ecco ritrovare la propria “Alice” secondo me significa ritrovare i propri valori e principi e lavorare in maniera coerente con essi. Non è facile perché spesso l’ambiente ti porta ad adattarti a dinamiche molto più torbide.

5. Risorse Inumane ha un riscontro editoriale enorme ed è quasi introvabile in libreria. I suoi lettori sono trasversali a ruoli e attività professionali. Come si spiega la natura di questo grande successo, a quali interrogativi ha dato voce con tanta spudorata sincerità?

Sinceramente non pensavo di scrivere un libro e non pensavo che la gente lo avrebbe comprato. A me piace leggere e una cosa che odio è iniziare un libro che poi non mi piace. Quando succede lo lascio a metà e lo rimetto in libreria. Ecco io volevo scrivere un libro che non venisse lasciato a metà. Un libro onesto, divertente e che ti faceva venire voglia di finirlo. E l’ho scritto senza pretese, non voglio insegnare niente a nessuno, ma solo raccontare delle esperienze da un punto di vista di una persona che fa un lavoro che, mi sono reso conto, non tutti conoscono.

6. Six.q si chiude, per tradizione, con la stessa domanda: dica quella cosa che non hanno mai osato chiederle.

In realtà tanti mi chiedono chi io sia. Beh non lo dirò mai.

***

Una verve ironica, sottile, tagliente, la spudoratezza della verità senza veli vi aspetta tra le pagine di un testo che vi suggerisco assolutamente di leggere.

Ringrazio ancora Denis Murano per aver accettato l’invito alla SIX.Q intervista con l’autore.

Pimpra

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TANGO E TECNOLOGIA

Ormai ho perso il conto dei giorni, stare a casa ovatta il senso del tempo. Mi accorgo dello scandire delle giornate osservando il piumaggio di foglie del carpino che domina il giardino. E’ lui che funge da calendario.

Come molti di noi, lavoro da casa e, se possibile, sono più iperconnessa di prima. Nel carosello di pixel che fiammeggiano quotidianamente dinnazi ai miei occhi, sto notando un grande cambiamento “adattativo” riservato a noi, i “droGatti” tangueros.

Molti professionisti (e non) si sono affacciati alle piattaforme virtuali per continuare a mantenere vivo il rapporto con i loro allievi e, perché no, non perdere completamente la fonte del loro reddito.

Una delle piattaforme che vanno per la maggiore è Zoom, ma sicuramente ve ne sono altre di validissime.

Personalmente non mi sono ancora mai iscritta a uno di questi webinair, ma conto di farlo prima o poi. So di molti amici che seguono lezioni di ogni tipo in modalità on line, da quelle più tipicamente “intellettuali”, i classici corsi di formazione per capirci, a vere e proprie lezioni che implicano il corpo.

Ecco che mi chiedo come cambierà il mondo tanguero, anche alla luce di queste possibilità offerte dalla tecnologia moderna.

Facendo un salto nel passato, ripenso ai miei esordi a metà del 2000, ricordo perfettamente come molti tangueros dell’epoca facevano indigestione di video di esibizioni per carpire i movimenti dei professionisti. Poi si presentavano in pista e usavano l’inconsapevole ballerina/o quale strumento di verifica dei loro progressi. Inutile dire che per il 90% di loro gli effetti erano nefasti.

Ma torniamo ad oggi, come cambia, se cambia, la didattica on line? Il fatto che io veda il mio maestro effettuare dei movimenti, spiegarmeli, mi permette comunque di apprendere? Il maestro, via etere, ha la possibilità di osservare i movimenti degli allievi e di offrire le sue correzioni?

Oppure le lezioni on line poggiano piuttosto sulla condivisione con l’aula di esercizi che vengono dettagliatamente spiegati alla classe che poi, in autonomia, li riproduce?

Si possono fare domande? I maestri interagiscono o il rapporto è “one to many“?

Non nascondo che questa possibilità di apprendimento, non solo mi incuriosisce, ma mi pare un’ottima ancora di salvataggio sia per i professionisti, gravemente privati della possibilità di lavorare, sia per gli allievi che si sentono mancare i loro punti di riferimento.

Ancora, come si può rendere questo strumento il più efficace possibile, in modo che, una volta l’emergenza risolta (accadrà prima o poi!), non ci si ritrovi in pista completamente a digiuno dei movimenti, con tutti i nostri punti deboli in esaltazione?

La domanda è rivolta sia ai maestri che avranno il piacere di rispondere, sia agli allievi che hanno esperienza del metodo.

Ad ogni buon conto e a prescindere da tutto, apprezzo la voglia di trovare soluzioni, di reagire a una situazione drammatica, all’arte di arrangiarsi che, messe insieme, ci faranno rialzare la testa e riprendere le nostre vite.

VI ABBRACCIO.

Pimpra

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DIARIO DI UNA QUARANTENA

Da quanto leggo e vedo in giro sui canali social, ognuno di noi sta sfruttando questa occasione, purtroppo decisamente tragica, per mettere in discussione se stesso, le proprie priorità indossando un modo nuovo di stare al mondo.

Mi sembra un movimento di coscienze estremamente interessante, quando non addirittura necessario.

Le giornate che nella nostra vita di prima ci sembravano sempre troppo corte, adesso che siamo chiusi in casa, paiono non finire mai e, ciò che è peggio, scorrono tutte uguali, scandite dai bollettini di guerra del virus.

Un microbo di pochi micron di spessore capace di ribaltare le vite dell’intero pianeta, se non avesse risvolti tragici di sofferenza e dolore, farebbe quasi ridere.

Ieri vi raccontavo che la quarantena mi sta portando a più assennati costumi, il primo è che non butto via i soldi dalla finestra in shopping compulsivo ma non è finita qui.

Dopo le prime due settimane di choc mi sto riprendendo alla grandissima. Chi di voi ha mai smesso di fumare sa che dopo un certo tempo, quello necessario al corpo per “riparare” i danni del fumo, tornano sapori perduti, odori, il respiro diventa più profondo, come se tutto il corpo riprendesse a fiorire. Trasponendo la metafora del fumatore, a me sta accadendo lo stesso.

Sono stata dipendente dal cibo, prima rifiutandolo, poi assumendone in quantità smodata, sono dipendente dal consumo di gommose e morbide di liquirizia, pure l’alcol, in un periodo molto doloroso della mia vita, ha bagnato le troppe lacrime che sgorgavano da me.

Il tempo cura, ma non sempre.

Poi, improvvisamente ti ritrovi in quarantena e… “Oh mio dio come farò con le mie bestiacce, con i demoni che mi accompagnano?” Questa è stata la mia prima paura, non quella di ammalarmi.

Il tempo passa e la forza dell’adattamento ha fatto il suo. Con mia enorme soddisfazione ricevo un altro grande insegnamento.

Le debolezze che ero certa di avere tatuate nel DNA non erano vere.

In questi giorni lenti, a tratti estremamente noiosi, ho trovato il punto di equilibrio, la tranquillità di fluire dentro e fuori i pensieri, belli o brutti fossero, con naturalezza, senza fretta di eliminarli. Così come arrivavano, passavano senza lasciare traccia di sé, specie dei loro effetti collaterali.

Oggi posso tranquillamente aprire la mia busta di Golia e masticarne un po’, senza finire la confezione. Mai mi è venuto il desiderio di sciacquare la preoccupazione, la frustrazione con un aperitivo. Semplicemente “sto”.

La pausa ha anche questo da insegnarci a trovare un punto di incontro tra il fuori e il dentro.

Quindi, mi diverto a cucinare. Ovviamente sono una pessima cuoca. Ad ogni clamoroso insuccesso invece di arrabbiarmi (la mia me di prima), la prendo con ironia e ci rido su.

Diciamocelo questa vita ha più senso. La sfida sarà portarla nel mondo “di fuori” senza farle perdere colore e consistenza.

VI ABBRACCIO.

Pimpra

In foto una mia creazione culinaria. Adesso potete ridere a crepapelle, siete autorizzati

L’INVISIBILE VS L’IMMAGINARIO

Da quando stiamo vivendo l’emergenza sanitaria, assisto e leggo di comportamenti che definire sconsiderati è un eufemismo.

Dalla prima ondata dei folli corsi a svuotare i supermercati temendo chissà quale carestia, probabilmente gli stessi folli sopravvissuti – per ora- al contagio, sentendosi oramai invincibili, rinnegano, con il loro comportamento insensato, l’esistenza del problema.

Questa schizofrenia collettiva che, da un lato, spinge ad informarsi, leggendo e ascoltando tutto quello che viene comunicato relativamente all’epidemia, commentando, dando la propria versione del livello di gravità, dall’altro vede nascere una grande comunità di “supereroi” di quelli che a loro non li riguarda, è tutta una bufala ed altre coglionerie del genere.

Non ribadisco l’ovvio: bisogna contenere il contagio, penso piuttosto a quella leva emotiva che spinge troppa popolazione a comportamenti scorretti.

Mi sono data questa spiegazione: empirica, non basata su alcun dato scientifico, solo su una riflessione personale.

Fatichiamo a credere all’esistenza di ciò che non possiamo vedere con gli occhi, non al microscopio.

Facciamo fatica a fare un atto di fede alla scienza accettando l’esistenza del virus e a comportarci di conseguenza.

Accettare l’esistenza di Covid 19 è come fare un atto di fede all’esistenza di dio.

Mi rendo conto che si tratta di una similitudine estrema ma, da qualche parte, credo ci sia un fondo di verità, altrimenti continuo a non capire.

Vero che siamo ignoranti, fancazzisti, individualisti, superficiali ma se da più parti con chiarezza ti spiegano che una cosa invisibile può fare tantissimo male a te e agli altri, perché rinnegare l’evidenza scientifica?

Un popolo di agnostici della scienza. Incredibile. Crediamo ai cartomanti ma non ai virologi, pazzesco.

Dovremmo trovare il modo di catturare il credo di quelli che, vuoi per consuetudine, abitudine familiare/sociale, sono “fedeli”.

Mi riferisco ai credenti di tutte le religioni mondiali, perché se hanno fatto atto di fede una volta, sarebbe davvero opportuno ampliassero il loro “Ci credo” anche a questa emergenza.

Ma forse sono totalmente fuori pista e le ragioni del dissenso sono altre.

Mi resta forte la convinzione che, se non vedo e non tocco, non ci credo. In fondo viviamo a tempo di social, di vita vissuta su video, a colpi di immagini, esiste solo quello che può essere visivamente condiviso.

Chissà se il virus fosse un pulviscolo color fucsia, grande come micro scaglie di forfora che si appoggiano ai vestiti, chissà se, in queste condizioni, la nostra risposta collettiva sarebbe “CI CREDO! LO VEDO!” o, inventeremmo un’altra teoria del complotto globale… Chissà, l’essere umano, quando non deve, sa essere molto fantasioso…

Pimpra

DALLA CRISI ALL’OPPORTUNITÀ

I guru del successo personale ne hanno fatto il loro mantra:

TRASFORMA LA CRISI IN UNA OPPORTUNITÀ

Più facile da dire che da fare, è la prima obiezione che mi è sempre salita alla mente quando – e quanto spesso! – ho vissuto le mie crisi. La prima istintiva reazione è sempre stata quella di sentirmi il Calimero della situazione, come se una sfiga appiccicosa come la pece si fosse attaccata alle mie vesti e non volesse lasciarmi.

Fortunatamente ci ho lavorato su parecchio e adesso, il più delle volte, riesco a scorgere quella piccola finestra che mi mette dinnanzi agli occhi un panorama diverso, dove riesco a vedere quasi sempre un piccolo fiore, la famosa “opportunità”.

Come recitava quella barzelletta: “Italiani, siamo nella merda! Ma di buono c’è che ce n’è per tutti!”, in questo periodo direi che siamo messi piuttosto male.

Sicuramente alcuni stanno messi malissimo e non penso alla loro salute, ma al lavoro a rischio a causa dell’emergenza.

Poi ieri sera, come per magia, mi compare il video in diretta di una coppia di maestri argentini di tango che, per ovviare al blocco delle loro attività, hanno condiviso una lezione in diretta FB.

Oltre ad ammirare la generosità nell’offrire una lezione di tecnica a gratis, ho apprezzato l’ingegno di usare un mezzo alla portata di tutti per diffonderla.

I vantaggi per loro? Evidenti.

Si sono fatti conoscere da un pubblico più ampio, nuovo, in crisi di astinenza da tango. Alla riapertura della vita sociale di noi tutti, sono certa che questa mossa porterà loro nuovi allievi e saranno chiamati a fare lezione in luoghi dove non erano ancora andati. Possiamo pertanto affermare che hanno fatto un investimento a medio (speriamo) lungo termine.

Questo esempio è la chiara evidenza di come si possa trovare l’opportunità nella crisi.

Un altro gruppo su FB a pura connotazione tango che organizza un suo ricorrente evento, non potendolo attualmente organizzare che fa? Propone ai suoi follower di scambiarsi ricette di cucina. Non possiamo ballare? Troviamo un modo per scambiarci qualcosa, creativamente.

Cosa porterà? Innanzitutto FIDELIZZA i propri iscritti, crea gruppo, crea condivisione alleggerendo lo spirito di questi difficili momenti.

Questi esempi pur molto “lievi” rispetto alla gravità di molte situazioni economico/lavorative italiane, possono comunque ispirarci e motivarci a cercare soluzioni alternative, a scovare le nostre opportunità.

Sono sicura che qualcosa ci verrà in mente per aiutarci a scollinare questo momento ed arrivare al “dopo crisi” senza esserci rotti proprio tutte le ossa.

CE LA SI PUÒ FARE!

Pimpra

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BF E THANKSGIVING

Marte in scorpione fino al 3 gennaio 2020.

Fastidio, piacere di attaccare briga, sfanculamento beato alle convenzioni, “minni futtu” come se piovesse.

“Fai la brava Pimpra!”.

Tutto ciò detto e premesso, ho le scatole arcipiene di questo “black Friday” di noialtri, ho gli armadi della pazienza stracolmi di questo scimmiottare gli americani nelle loro tradizioni.

MI AVETE ROTTO.

Pochi di noi conoscono le ragioni storiche del “venerdì nero” che chiamarlo così nella nostra lingua ci si accappona la pelle. Checcifrega, sappiamo solo che ci sono gli sconti.

Mi chiedo: dove abbiamo nascosto la creatività tutta italiana che, per favorir l’economia e i consumi, non siamo capaci di inventarci una nostra, originale e vivida supercazzola?

Per gli americani si tratta di un episodio su base storica, leggete qui, che è diventato un evento di consumo entrato nella tradizione di popolo. Ma per noi? Non rappresenta nulla.

Halloween è già incamerato nei costumi, adesso aspetto che pure il Thanksgiving, per la cronaca precede di un giorno il black Friday, diventi una nostra festa popolare.

Siamo noiosi, copioni e stiamo diluendo quelle straordinarie caratteristiche creative che ci hanno sempre reso un paese unico al mondo.

Pensateci.

“Fai la brava Pimpra!”.

Pimpra

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MONDO CURVY.

Una arcinota marca di abiti per il tango, Regina tango shoes, ha finalmente prodotto la prima linea di abbigliamento per donne curvy .

Curvy sono i fisici femminili dotati di forme rotonde, generose, abbondanti sui punti dove il cromosoma doppia X piazza la sua bandierina segnacampo.

Curvy sono le donne 1000% donne. Perchè c’è più materiale, tutto qui.

E’ una rivoluzione del costume che pure il severo mondo della danza si prenda finalmente cura di quei corpi che escono dal tradizionale canone che se non sei magra, non puoi fare la ballerina (di tango, nel caso specifico).

STICAZZI!

I lunghi anni trascorsi sui parquet delle piste da ballo hanno sempre confermato che le donne più femminili, le “giaguarissime”, molto spesso portavano in giro più di una 42 di taglia.

Perché la seduzione, il fascino esulano dal numero che leggiamo sul cartellino di un abito.

Teoria di cui tutti ci facciamo profeti ma che non confermiamo con i fatti tanto che gli occhi si posano sul sederINO, sulle gambe affusolate, sul ventre piatto, ma sul seno grande, quello se è abbondante è sempre un plus valore!

E’ finalmente giunto il tempo che una bravissima stilista pensasse alle donne generose che, di solito, lo sono nel corpo, nella loro danza, nella loro allegria, femminilità e gentilezza.

La sfilata goduta su FB, mostrava le modelle, tutte tanguere di rango, che si muovevano con una leggerezza, una soavità gaudente, sfoggiando sorrisi così giocosi che le rendevano assolutamente identiche alle loro colleghe di taglia small.

Questo è il miracolo e la magia: PIACERSI.

Così come siamo, valorizzando la nostra personalità intima ed esteriore godendo appieno di ogni cellula.

Probabilmente la via della felicità passa anche attraverso a quello sguardo complice e tenero che rivolgiamo a noi stesse passando davanti alla nostra immagine riflessa.

Ciò detto, buon tango a tutte!

Pimpra

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INVECCHIARE IN TEMPO DI SOCIAL

Ci penso da un po’ a come sta cambiando la vita di relazione, la socialità, il rapporto tra il singolo e il resto del mondo, a come si diventa grandi oggi, ma, soprattutto, a come si invecchia.

Cerco di non uscire dalla modernità, perché spero, in questo modo, di continuare a capire il mondo anche se, come tutti i “giovani attempati”, molto spesso, il richiamo al tempo passato, a come si stava meglio, arriva a fior di labbra.

Sono presente sui social, mi faccio grandi scorpacciate di foto, di storie. Ho desiderio di capire, di leggere cosa racconta la società dei giovani, di quello che sono stata anche io, qualche anno fa.

Per certi versi trovo la modernità di relazione assolutamente spaventosa. Noi tutti, in potenza, disponiamo di mezzi atti a disegnare delle finestre di realtà “verosimile”, ovvero costruita, immaginata, creata ad arte su quanto noi vorremmo essere. C’è sempre una base di verità, poiché, lo esprime perfettamente il termine stesso “verosimiglianza”, quella siamo noi. Poi c’è la creazione, l’immagine che vogliamo offrire a chi ci guarda.

Facendo un salto quantico alla mia adolescenza degli anni 80, credo si possa far partire da lì l’inizio del culto dell’immagine della persona a discapito della persona nel suo complesso. Ricordo i fenomeni dei paninari e di tutte le categorie di giovani che indossando la loro divisa, facevano parte del loro clan, esprimevano l’appartenenza a una classe sociale.

Ora come allora, l’ambizione anche inconscia, era quella di fare parte del ceto agiato, ovvero di coloro che potevano permettersi di “griffare” loro stessi con gli stilemi del benessere.

Già a quel tempo, benché avessi frequentato il liceo dei fighetti, oggi definibili radical chic, facevo parte di quella parte fluida e non precisamente identificata di giovani che non rientravano di preciso in nessuna delle giovanili classificazioni.

Sin da allora ho amato essere parte per me stessa, mi chiedo se per vero sentire o per necessità ma, tutto sommato, poco importa, fino a giungere, coerente a me stessa, alla mia età adulta.

La riflessione che mi si impone attualmente è come si invecchia in tempo di social, dal momento che, da quanto posso osservare, la “vecchiaia” è la peggio malattia, ha perso tutta l’aura di esperienza, di saggezza e di rispetto che ha rappresentato nei secoli.

Non esiste più la saggezza dei nonni, poche volte ci si riferisce a un Maestro anziano e saggio. L’immagine brucia l’essenza delle persone che, come un buon vino, invece, migliora con il tempo.

Faccio fatica a vivermi con leggera armonia questo passaggio di vita e ho pure un po’ di timore del contesto in cui mi trovo, dato che, come Natura prevede, il mio corpo esprime con onestà il mio percorso di vita, il tempo.

La mente torna ai giovani, a come se la vivono la loro età se, poco poco non rientrano nella categoria di quelli “fighi“, quelli che hanno un sacco di “follower“, quelli con il successo a pixel.

La gioventù è un bacino meraviglioso di potenzialità. Resto positiva e credo che i ragazzi sapranno trovare il loro senso, oltre i like.

Quanto a me, chi può dirlo, è la prima volta che invecchio!

Pimpra

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