VORREI VIVERE A LUNGO

Vorrei vivere a lungo.

Non perché mi interessi vedere il mio corpo disfarsi sotto le picconate del tempo, vorrei vivere a lungo per dare un senso al viaggio.

In Giappone, questo senso, lo chiamano Ikigai, il senso della vita, quel fuoco sacro che brucia dentro di noi facendoci attraversare tempeste pur di realizzare il fine per il quale sentiamo di esistere.

Vorrei vivere a lungo perché il mio Ikigai si è nascosto sotto il tappeto. Ma io non ho nemmeno un tappeto perciò provo un discreto imbarazzo quando pongo a me stessa la domanda “Pimpra ma il tuo scopo quale è?”

I giapponesi sono un popolo gentile e saggio, perciò ti offrono la soluzione a questo tuo problema esistenziale dicendoti “Il tuo ikigai è TROVARE il tuo ikigai” che, a pensarci bene, è una proposta assolutamente intelligente.

I creativi e gli artigiani e tutti coloro che sentono di avere una forte motivazione a percorrere una strada, a realizzare un progetto, hanno la mia profonda stima. E pure la mia (sana) invidia.

E provo a ricordare se per un istante una specie di senso da realizzare lo avessi avuto pure io. Cerco nel tempo passato, cerco nella mia infanzia e scopro alcune interessanti cose.

Volevo andare alle olimpiadi per salire sul podio e sentire il mio inno nazionale indossando la medaglia più preziosa. Poi ci ripenso e mi accorgo che quello era il sogno di mio padre. Io volevo fare la ballerina classica e lui mi ha buttato in piscina.

Cresco e capisco che il mio paese d’elezione, quello in cui avrei voluto vivere era la Francia ma mi manca il coraggio di fare il salto, e mi faccio convincere che partecipare ai concorsi pubblici sarebbe stata la panacea lavorativa, così faccio, li vinco pure e sottoscrivo con il sangue la mia condanna a morte cerebrale.

Non faccio figli, ma forse meglio così. Ah sì, da oggi sono ufficialmente divorziata. Ecco meglio non averli fatti.

Nel frattempo invecchio, di brutto. Ma la mia testa, incredula, pensa sempre di aggirarsi tra i 20 e i 30 anni di età.

I miei anni si vedono tutti, da qualunque parte li osservi.

E questo dannato ikigai ancora non si palesa, ancora non lo so leggere, ancora non so dove si sia nascosto.

Però i giapponesi mi dicono di mantenere il sorriso, di accettare il cambiamento, di diventare “antifragile” che vuol dire che le avversità mi rendono più forte, insomma resilienza come se non ci fosse un domani.

E ci provo, e trovo il sorriso dell’accettazione quando, al lavoro, i miei superiori mi affidano compiti equiparabili a “Scava la fossa, riempi la fossa”, e io porto a termine con precisione e accuratezza quanto richiesto, senza perdere la testa, senza diventare una furia umana, senza entrare nel tunnel della frustrazione più nera.

Sii un’artigiana, una takum, cura il dettaglio e trasforma ciò che puoi in qualcosa dalla sofisticata semplicità. Il concetto mi pare molto bello e mi permette di entrare nel flusso che mi connette con il senso, con quel viaggio di cui, alla nascita, ho staccato il biglietto, ma di cui ancora non conosco la destinazione…

Ecco, vorrei vivere a lungo per scoprirlo.

Pimpra

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DI TANTO IN TANGO. LA PROSPETTIVA LATERALE: IL TANGO QUEER

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Arriva il momento, nella “carriera” danzante di un tanguero/a, in cui si sente la necessità impellente di sperimentare cosa e come come si balla nell’altro ruolo, dall’altra parte dell’abbraccio.

E’ una spinta che nasce e cresce piano piano, all’aumentare della consapevolezza di danzatore e dalla voglia di trovare nove strade espressive. Il tutto condito dalla costante ricerca di miglioramento nella propria prestazione.

Dopo due lustri abbondanti, finalmente, quella vocina che si era fatta sentire già parecchio tempo fa “prova a studiare da uomo”, è diventata stentorea, imponente, obbligandomi – quasi – a fare il grande passo.

La ricerca di una gentil signora/ina con cui iniziare l’avventura ha dato presto i suoi frutti, trovando molte amiche disposte a seguirmi nell’impresa cosa che, inutile dirlo, mi ha fatto molto piacere.

Sono, invece, rimasta colpita, dalla reazione di taluni che non condividono questo mio desiderio di imparare anche il ruolo dell’altro, maschile, nella fattispecie.

Mi chiedo il perché.

Tutti i migliori maestri che ho conosciuto, uomini o donne che fossero, sono sempre stati in grado di “switchare” di ruolo alla bisogna, regalando all’allievo preziosi consigli.

Così si impara meglio, si è in grado di conoscere la complessità di quanto il partner deve affrontare nella proposta di un’azione. Conoscendo le altrui criticità si cercherà di porre maggiore attenzione al proprio corpo che, in quella particolare dinamica, può essere di aiuto o di ostacolo all’altro.

L’abbraccio, per sua definizione, è circolare, quindi il mio io e il tuo tu fondono in un’unica entità legata, sottilmente, da una trama di fili sottili che lasciano liberi i partner, pur riconducendoli a questa monade singolare.

Un ulteriore aspetto di questo prezioso scambio risiede nei nuovi orizzonti di dialogo che si possono aprire nella coppia: la donna che può sussurrare con consapevolezza, l’uomo che accoglie la proposta, in un cinguettio colorato e divertente che bypassa – finalmente – la rigida etichetta dei ruoli. Di sicuro, per parlarsi così, bisogna essere bravi assai, studiare assai, mettersi in gioco assai, praticare assai e restare assai umili, quasi trascendenti a se stessi.

Sono sicura che, la voce roca e intonata di quel tango particolare che ho nella mia testa e nel mio cuore, riuscirà – piano piano- a far sentire la sua voce, con il suo timbro unico, la sua modulazione, il suo colore.

Nel frattempo mi rimbocco le maniche e studio! OLE’!

Pimpra

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DI TANTO IN TANGO: TANGO E GIUNGLA. LE MIE STRATEGIE DI SOPRAVVIVENZA

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Rimango sempre molto stupita quando, di fronte a uno dei miei post sul tango, per ragioni che mi sfuggono, si scatenano lunghissimi ed articolati dibattiti.

La cosa in sè mi diverte un mondo, ma, al contempo, mi inquieta percepire come, quanto scrivo, venga interpretato in modi lontanissimi dal mio reale intendimento.

Potere della comunicazione.

Ciò detto, avendo utilizzato lemmi che tanto hanno fatto discutere, “guerra”, “mirada assassina”, “fuoco sacro”, solo per fare alcuni esempi, svelerò le mie personalissime tecniche di sopravvivenza per far sì che, una serata di tango, mi rechi piacere e non danno.

Sono profondamente convinta che il desiderio è la leva motivazionale principale per ogni danzatore di balli di coppia.

VOGLIO BALLARE. E lo voglio fare bene, lo voglio fare di qualità, voglio portarmi a casa belle sensazioni, nuove emozioni. Voglio COLORE nella danza.

Se sono animato da questo desiderio, che amo definire “sacro fuoco”, ho qualche possibilità in più che la milonga, che sia quella sotto casa o una delle serate di maratona o di un encuentro milonguero, possa arrecarmi piacere, darmi soddisfazione.

Milonga, in questo, senso è GUERRA.

Lo so che la parola non piace, ma è di sicuro la più efficace ad esprimere il concetto di “mors tua, vita mea” che, tradotto in pratica, significa che si “conquista” la tanda solo il ballerino/a VERAMENTE motivato, ovvero, colui o colei mosso da maggior DESIDERIO (ve lo ricordate Quello che diceva “restate folli, restate affamati”? Ecco, così!).

Ne scaturisce che, per essere proattivi (che vi piacerà sicuramente di più della parola “competitivi” che non ritenete abbastanza “politically correct“), bisogna muovere il culo. Cioè, per sperare di muoverlo poi danzando (ahahahah!), bisogna darsi da fare.

Nell’etica che contraddistingue il vero tanguero, questa azione si esplicita semplicemente, mettendo in atto il codice assoluto, la verità prima, unica e indiscutibile: l’utilizzo della MIRADA.

OSSERVO. PUNTO LO SGUARDO. MANTENGO IL CONTATTO VISIVO SE QUESTO E’ RICAMBIATO. VADO A PRENDERMI LA BALLERINA, ASPETTO SEDUTA IL BALLERINO MANTENENDO LO SGUARDO.

Nel frattempo, sorrido, perchè sono felice della possibilità di questa tanda.

In fondo, sopravvivere alla giungla di una milonga, non è così difficile.

Certo, bisogna “starci” di testa, di cuore, di corpo.

Non sempre le serate vanno bene, magari risultiamo invisibili, magari, semplicemente balliamo male, o la musica non ci va. Ma questa è la vita e bisogna saper accettare anche le sconfitte.

Le mie personalissime strategie di sopravvivenza sono cresciute con me, con la ballerina che sono diventata.

Regola n. 1

Andare in milonga SOLO se si è veramente motivati. Cioè, la fiamma del “fuoco sacro”, è bella sbrillucciante. In caso contrario, fare altro.

Siamo animali sociali e, per prima cosa, gli uni degli altri percepiamo l’energia che emaniamo, che si traduce in gesti, in sguardi, in movimenti. Se questa energia non è fluida, vibrante, gli animali della sala lo percepiscono e rivolgeranno l’attenzione verso altre fonti luminose. C’è poco da rimanerci male, è sempre colpa nostra.

 Regola n. 2

Avere sempre ben alta la propria autostima.

Non si può piacere a tutti. Quindi, mettersela via se quello/a ballerino/a non ci si filano di pezza perchè, semplicemente, ciò che siamo, non entra nelle loro corde.

Pazienza. Siamo una popolazione di tangueri ENORME, troveremo senza dubbio anche il nostro estimatore/trice.

La cosa FONDAMENTALE è NON FARSI PRENDERE DALLO SCONFORTO e mettere in dubbio chi siamo. Insomma buttarci da soli la zappa sui piedi. Se la serata non gira, per X ragioni, si levano le tende, SEMPRE CON IL SORRISO perchè quella sarà l’ultima immagine che gli animali della giungla tanguera avranno di noi, e noi non siamo tristi, umorali, negativi e pesanti… siamo LUCE. SEMPRE.

Regola n. 3

Avere cura di sè.

La prima immagine che gli altri hanno di noi è ciò che vedono di noi. Sicchè, la sciatteria è una pessima scelta.

Ad ognuno libertà di esprimere se stesso, tenendo conto che anche il fattore visivo avrà il suo peso nella dinamica dell’invito.

Se uso abiti che mi “nascondono” (colori molto scuri, ad esempio), non mi dovrò lamentare se gli animali in sala non si accorgeranno di me. Semplicemente, non voglio che mi vedano. E datevi da soli la risposta.

Da ballerina, il ricordo che il danzatore con cui ho ballato mi lascia passa anche attraverso questi elementi: l’affinità che è scaturita nella tanda (ovviamente!), la cura del suo abbigliamento (l’uomo che si porta i cambi per ovviare al sudore, si profuma delicatamente…).

Magari per loro è lo stesso, e mi adeguo anche io. Si tratta di aver rispetto dell’altro e di riservargli cura.

Al momento, di strategie non me ne vengono in mente altre.

Quando cado nella trappola mentale della “serata di merda”, mi vengono sempre in mente le parole di una cara amica che, tanto tempo fa, mi disse: “Cara Pimpra, non devi abbatterti se il tal ballerino per cui sbavi, non ti vede nemmeno. Tu insisti e sii paziente. Se lavorerai bene, arriverà il giorno in cui verrà a prenderti.”

Ed aveva ragione, quando ciò accade, è sempre una gran festa (interiore) ed è un’altra “bandierina” piazzata in cima all’Everest tanguero!

E adesso divertiamoci!

BUON TANGO A TUTTI!

Pimpra

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UNA QUESTIONE DI “TALENTI”

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Mi accade ciclicamente di mettere in discussione tutto quello che sono e che faccio e che ho o non ho costruito nella mia vita.

Accade così, a fronte dei più svariati stimoli, una  sorta di risveglio dal torpore e un bisogno forte di “guardare” per cercare di capire a che punto sono.

Guarda caso, non mi trovo mai dove vorrei essere nel mio percorso di realizzazione.

E la ricerca continua.

Chi mi dice di fare silenzio ed ascoltare, una proposta corretta, senza dubbio, il problema sono i cosiddetti “rumori di fondo” che mi distraggono. E non sento e non percepisco e la situazione mi crea ansia e tanta frustrazione.

Ascoltare se stessi, per una come me, sempre presa a fare mille cose, ad annusare gli stimoli che arrivano portati dal vento, a godere dei colori, presa da tutto quanto mi circonda, risulta impresa titanica, oserei dire quasi impossibile.

Sono sempre più convinta che, il problema di fondo, sia la mancanza di conoscenza dei propri “talenti”.

Ognuno ne possiede, ne sono certa, pochi però ne sono consapevoli e li usano con soddisfazione.

Ecco il focus: andare a caccia dentro di sè di questi inesplorati talenti.

Non so a voi, a me, il solo fatto di poter affermare di possedere un qualche talento, provoca un brivido, un’emozione profonda come se, dentro di me, pensassi di non meritarli.

Quindi, la ricerca che produrrà – ne sono sicura – maggiore stabilità di animo e di umore, sarà questa: cercare di capire quali sono.

Nel mentre, per non farmi prendere dall’ansia, mi gusterò un magnifico week end a tutto tango, come piace a me…

E se non è “talento” anche sapersi godere il poco tempo libero… ditelo voi!

STICAZZI! 😉

Pimpra

 

DI TANTO IN TANGO. FRIVOLEZZE TANGUERE

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Il tema di oggi è: come diventare una ballerina di tango migliore. E una donna più “donna”.

Niente di nuovo sotto il sole, lo so bene, però non posso non portare la mia testimonianza. Quindi, siccome qui sono a casa mia, vi tocca sorbirvi il pippolotto del lunedì! 😀

Torno da un fine settimana a tutto tango, come piace a me, ma stoggiro condito da tanto studio. Oltre una milonga serale da “yabbadabbaduuuuu” ho frequentato lezioni sia sabato che domenica: UNO SBALLO!

Tornando al punto, ecco la mia ricetta per migliorare le nostre qualità di danzatrici e, conseguentemente, di donne.

PREMESSA:

Per essere una ballerina decente/decorosa/brava si DEVE studiare. SEMPRE.

Questo è il principio primo, la tavola della legge.

Non si è MAI arrivati, come danzatori, nè a livello amatoriale, nè a livello professionale. Si deve continuare nella propria ricerca, quindi nello studio.

I movimenti vanno ripuliti, perfezionati, migliorati, sublimati per raccontare con il corpo il nostro modo unico di sentire e di ballare, trasmettendo così, al nostro partner, sensazioni, colori, emozioni che la tanda è capace di provocarci.

Lo studio e la pratica ci aiutano ad esprimerci, raccondando, nella danza, chi siamo. Veramente.

MA NON BASTA.

E qui viene il bello.

L’io danzante deve essere “vestito”. L’abito è l’elemento coreografico della rappresentazione.

Vi sarete sicuramente accorti che osservare una donna ballare in jeans offre una sensazione diversa quando la stessa ballerina indossi un abito formale, o semplicemente sexy, svolazzante o stretto. Il corpo viene accompagnato nel movimento, in modo diverso, assume linee e riflette uno stato d’animo diversi.

Provare per credere, specie se siete donne. Per l’uomo lo spettro di possibilità è un po’ più ristretto.

Fino a qualche anno fa, in pista, si vedevano in prevalenza abiti fluidi, scivolati, certo molto scollati ma che avevano lo speciale compito di rendere il movimento “aereo”, sottile, leggiadro e soave. Scollature a parte, il corpo non veniva sottolineato, ma suggerito da spacchi e svolazzi.

In pista, di questi tempi, si nota un grande cambiamento: la fisicità del corpo è manifesta. Gli abiti si sono fatti guaine aderenti, ben segnate su tutti i punti della femminilità, in mostra, in bella evidenza a dire “eccomi”.

A quelle di voi che non avessero ancora affrontato l’esperienza, suggerisco di provare: un abito succinto, vi regalerà un tango più raccolto, più sensuale, più femminile, dove le linee della gamba, del gluteo della schiena creeranno un quadro armonioso. O così, almeno, dovrebbe essere.

Abiti dai richiami anni 50′ non perdonano errori. Gambe aperte, piedi portati male, difetti di postura e di abbraccio. Regalano, di contro, molta “self confidence” con il proprio corpo, con la gioia di essere una femmina, ma femmina al 100%.

Sono rimasta colpita dalla democrazia che regala un abito stretto: sta bene praticamente a tutte. Non serve essere in forma smagliante, magre e asciutte, anzi, al contrario, un tubino aderente, va in esaltazione, se è ben farcito.

Con la mia amica mi sono concessa un gozzoviglio in quel di Riccione, all’atelier di una cara amica, ballerina pure lei e straordinaria stilista. Ho scoperto cose che non potevo immaginare e… i risultati sono arrivati da soli…

Allora, donne, osate! Poi, passate per di qua a raccontarmi se quel che dico è vero perchè… “anche l’abito fa la tanguera”!

BUON BALLO A TUTTI!

Pimpra

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IT’S TIME TO GO

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Primavera sfavilla nell’aria e non si può far finta di nulla.

Sento il suo canto in ogni istante della giornata. Al mattino quando, ancora assonnata, delizio di colore e poesia i miei occhi, semplicemente posandoli sulle orchidee che popolano il davanzale della cucina.

Esco in terrazza e, tra le particelle di smog, fanno capolino i nettari dolci dei pollini, il canto melodioso degli uccellini, il fruscio sottile delle giovani foglie mosse dalla brezza.

Mi connetto alla Natura e già mi pare di avere un senso. Sono qui per provare a godermela con ogni cellula a mia disposizione.

Le gattonzole ogni giorno che passa sono più vivaci, hanno voglia di uscire, di muoversi, odorano l’aria, ascoltano i canti sconosciuti dei volatili che popolano gli alberi di fronte a casa mia.

Siamo pronte, le gatte ed io, a vivercela tutta questa meravigliosa primavera.

Cosa resta da fare, se non concedersi il lusso della pausa, la carezza che ci regala la sosta preparando il camper pronte ad andar via…?

Viaggiare in camper è come andare a vela, ma molto più comodo, per certi aspetti. Non si dipende dal clima, se non altro. Per il resto è molto simile: si “arma” il camper, ovvero lo si predispone e allestisce alla partenza, compiendo i gesti che servono per accertarsi che sia  tecnicamente e meccanicamente a posto, si fa la spesa, si prendeono le gattonzole, scelta la meta si accende il motore e si va!

Che posso dire se non che adoro la sensazione che mi regala il fatto di partire.

E’ come una scossa di adrenalina che sale e riempie di energia il corpo, illuminando la mente. C’è brivido, una quota di paura da gestire, una mostruosa curiosità che sale, tutti gli ingredienti che servono per sentirsi vivi e vibranti.

Quest’anno torno alle origini, ho voglia e bisogno di mare, di sole, di sciabordio di onde nella risacca, di tramonti salmastri e solitari godendomi una coppa di Cesarini Sforza e poi…

Sarà quel che sarà…

Pimpra

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1° APRILE.

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E’ arrivata, finalmente, la comunicazione che aspettavo da tempo.

Un biglietto aereo e molte  miglia davanti a me, pronta per un nuovo inizio, per una nuova vita, lontana da tutti ma finalmente vicina a me. A quello che desidero veramente, ai  miei sogni.

Un pc,  una macchina fotografica e tanta voglia di osservare il mondo.

Il tempo che passa lascia una patina grigiastra di inquietudine astratta se non debitamente contrastato con i giusti colori.

Finalmente è tutto davanti a me, non ho che da allungare la mano e prenderlo. Non mi pare vero, mi sembra uno strano artificio del destino, eppure…

Si stava tutto preparando a questo, se mi soffermo a pensarci su, ho perfino acquistato il trasportino gatte per l’aereo…

Is time to go.

AU REVOIR.

Pimpra

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IN&OUT E WAITING LIST. IL TANGO MODERNO E’ ANCHE QUESTO

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A quanto pare, il post precedente ha toccato corde molto sensibili degli animi tangueri di entrambi i sessi. Affrontare argomenti “spinosetti”, a mio modo di vedere, fa bene, sempre e comunque. Perciò eccomi, di nuovo,  qui.

Parliamo di come ci si sente quando:

  1. si viene espressamente invitati ad un evento
  2. ci si iscrive ad un evento ma si viene messi in waiting list che, il più delle volte, significa starne fuori
  3. si viene, gentilmente, rifiutati.

L’argomento è vasto perchè implica diversi punti di osservazione: se sono donna o uomo, se ho un ballerino/a, se mi iscrivo direttamente in coppia.

Va detto che l’iscrizione in coppia è, di norma,  premiante. Nella difficile arte di creare un bilanciamento tra i sessi dei partecipanti, la coppia vale lo “zero neutro” e ciò è bene.

Ma non sempre va così. Non sempre si riceve l’attesa mail: “you are IN” che tanto ci piace leggere perchè, ammettiamolo, è come una carezza alla nostra autostima: significa che ci vogliono!

Nella mia decennale carriera di ballerina, mi sono cuccata tanti dinieghi che mi hanno fatto male. Molto male. Ancora oggi, ci sono delle maratone a cui vorrei partecipare che non mi aprono le loro porte. Mi dispiace, lo ammetto, ma mi sono data una spiegazione che mi rasserena.

La maratona (in particolare), ma lo stesso vale per un encuentro o un qualsiasi altro evento che duri più di una serata, è immaginato, costruito, pensato dal team dei suoi organizzatori.

E’ come quando decidiamo di dare una gran festa, pensiamo all’impatto che vogliamo creare, al tipo di sensazioni e di emozioni che desideriamo regalare ai nostri ospiti e vivere noi stessi.

Ecco, appunto, è la NOSTRA festa.

Da invitato posso solo essere felice di aver ricevuto la convocazione, o, nei casi in cui l’iscrizione è aperta, devo solo sperare che, per qualche ragione, sia essa emotiva e/o organizzativa, il  mio nome entri a far parte della lista dei SI’.

Certo che se mi arriva il due di picche ci rimango male, ma è necessario indossare i panni di chi sta dall’altro lato del bancone e comprendere quali siano le sue esigenze organizzative e le aspettative e i colori che desidera dare al SUO evento.

Forse noi ospiti, a volte, perdiamo di vista questo importante dettaglio, credendo che, se siamo belli e bravi e paghiamo la quota di ingresso, automaticamente siamo dentro per forza. Non è così!

La capienza delle sale che ci ospiteranno è un elemento logistico FON DA MEN TA LE per la buona riuscita dell’evento, e chi va spesso in giro lo sa bene. Nulla di peggio dell’organizzatrore che, per fare “cassetta”, infarcisce la sala di un numero disumano di ospiti, scontentando tutti.

Dentro la mia capienza di sala posso e devo fare entrare coloro che, secondo me, offriranno, con la loro presenza, le sensazioni e le emozioni che avevo in mente all’inizio.

Mettiamoci il cuore in pace.  I dinieghi, non sono insulti al nostro valore umano e di ballerini, sono, semplicemente, delle scelte basate su dei perchè.

Certo, a tutti piace essere considerati quelli cool, quelli “famosi“, quelli che, con la loro sola presenza, apportano un plus all’evento. Ma non è così. Mettiamocela via. Non siamo tutti “fighi” abbastanza, per entrare da tutte le porte.

Detto questo, faccio pace anche io con il mio Narciso che moltissime volte è uscito bastonato, quando la sospirata email del sì si, non è arrivata.

Epperò, senza perdere il sorriso e la voglia di riprovarci, ho ricevuto anche tantissimi sì, che mi hanno resa immensamente felice.

La vita è fatta a scale. A volte si scende, a volte si sale…

Pimpra

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DI TANTO IN TANGO. Tutto quello che una tanguera desidera e non ha mai osato chiedere.

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Ripenso all’ultima milonga di domenica scorsa e, a distanza di una settimana, affiora con maggiore chiarezza una nota stonata, una piccola sbavatura, in una serata che, lo ripeto, è stata deliziosa.

Ecco che mi e venuta voglia, per la prima volta, di mettere nero su bianco, il mio personale elenco di “desiderata”, ovvero, quello che mi aspetto in milonga, e non ho mai osato chiedere.

Dopo i miei primi 10 anni di tango, posso finalmente affermare che tipo di ballerina sono, oramai conosco bene i miei colori, i miei pro, i miei contro. In fondo la danza altro non è che uno degli specchi possibili in cui far affiorare la nostra personalità e, nel tango argentino, questa si manifesta in tutta la sua prorompente intensità e verità.

Avuta la prova provata che sono una donna dal carattere impetuoso, forte, dall’energia dirompente, a volte difficile da tenere “imbrigliata”, è facile immaginare cosa mi possa aspettare dal temerario che voglia cingermi nel suo abbraccio.

Partiamo dall’abbraccio.

Il mio “deve essere”. Ovvero voglio sentire il tocco, il contatto. Troppe volte incontro danzatori eterei, quasi “distaccati”, timorosi e autoreferenziali. Questo il messaggio che mi arriva da chi ha paura del “tocco”. Non significa che desidero essere stretta, intrappolata, chiusa, bloccata.

Ricordo perfettamente quando, in Argentina, qualche anno addietro, il maesto mi disse “Abbracciami”. Rimasi choccata perché, una delle mie peculiarità riconosciute era proprio quella di avere un abbraccio confortevole ed accogliente. Forse per i freddi ballerini del Nord Est, nella patria del tango, come donna, dovevo abbracciare, darmi di più e, confesso, all’inizio è stato difficile, come essere denudata, senza protezione. A poco a poco, ho capito, ho sentito, e ho appreso ad “abbracciare”. Ci vuole coraggio. Quello di mettersi inn gioco fino in fondo, ma è una gran bella scoperta quello che poi torna indietro.

La musicalità.
Sembra banale, ma, ahimè, non lo è. La musica va ascoltata, con le orecchie, il cuore, la pancia, la testa. Cosa può uscire, altrimenti, nel dialogo a due che è un tango?

Accade che il partner non conosca il brano specifico, ma dove sta il problema? Certo se Lui immagina una performance di passi semi coreografati, evidentemente si troverà in difficoltà, ma che dico, sarà nel panico più assoluto. Ma è tango questo? Ballare su blocchi di passi precostituiti, memorizzati dentro un cervello di cemento armato? … non direi….

Le piu belle tandas mi sono arrivate quando c’era questa inconsapevolezza perché, l’uomo, in detta circostanza, non si è preoccupato di “cosa fare” ma “con chi stava ballando”. Ha cercato maggiormente il dialogo, come a condividere un’esperienza nuova, scoprendo un territorio inesplorato insieme alla sua partner. Meno passi, meno performance, ma maggiore intimità, ricerca nel sentire. Devo dire che si trattava di ballerini esperti e consapevoli.

La connessione o empatia.
Noi donne, per ruolo, siamo abituate a farlo (o dovremmo ), entrare in connessione profonda con il ballerino, comprendere la guida, i movimenti che il suo corpo suggerisce. Non è solo una storia di mera “esecuzione”, secondo me, si tratta di entrare in sintonia profonda. Come ascolta il brano? Cosa desidera ballare? Quali sono le sfumature che sta cercando?

Tutto quello che le follower normalmente fanno, lo aspetto anche dal partner. La connessione passa anche e, aggiungo, soprattutto, nel feeling sottile con il “sentire” fisico e psicologico dell’altro. Ecco che, per una ballerina dalle mie caratteristiche, diventa tutto più stimolante, un dialogo e una ricerca insieme all’altro, un gioco ed uno scambio profondo, una domanda e una risposta, un io e un tu che si sentono, comunicano e giocano con le proposte di ruolo.

Probabilmente questo è l’aspettopiù  complesso di tutta la faccenda e richiede anni di studio, la tecnica aiuta alla declinazione delle personali sfumature del proprio ballo. Trovare, in milonga, un ballerino che abbia voglia di “cercare” quella donna che si esprime danzando, richiede, effettivamente, oltre a un’attitudine mentale e una rara disponibilità, anche moltissima esperienza. Ore ed ore trascorse sulla pista a sperimentare e a sperimentarsi.

Che pippolotto, probabilmente con un sacco di luoghi comuni, cose trite e ritrite, ma che mi importa. In fondo ad ognuno/a il suo tango, la sua ricerca.

Quello che vorrei per tutti è la curiosità di andare verso l’altro,perché  non si balla da soli, si è in due.

AMEN.

Pimpra

image credit: Claudio Visentin

SEXY E FEMMINE SOLO A NATALE!

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C’è che non vado quasi mai nel centro città a guardare le vetrine dei negozi. Non mi accorgo di quelli che hanno chiuso i battenti per la crisi o per le scelte aziendali fatte con leggerezza, di quelli che hanno ristrutturato gli ambienti per essere più allettanti.

Insomma, sono una compratrice distratta, più che altro perchè ho già le mie idee in testa e, se devo acquistare qualcosa, cerco “quella cosa” senza farmi prendere dagli specchietti per allodole della moda. Che, detto tra noi, oramai è solo per anoressiche adolescenti, negozi di alta gamma a parte, ma che non posso permettermi.

Ciò detto, a Natale, volente o nolente, mi tocca scendere nell’agone delle compere e dedicarmi alla ricerca di regali impossibili… soprattutto perchè, se costretta, la mia fantasia non produce risultati apprezzabili e si blocca. Morale: la lista dei regali da fare rimane vuota.

Allora, come un lupo della steppa, brancolo per le vie cittadine cercando ispirazione che, il più delle volte, non arriva mai…

Una cosa però mi ha colpito.

Ci avrete fatto caso pure voi. Con la scusa che a Capodanno porta bene indossare biancheria rossa, i negozi si riempiono di clamorosa biancheria intima che nemmeno alle Folies Bergères ne indossano di tal fatta.

Mi ritrovo ad ammirare queste manichine (sono femmine, no?) in deshabillé così sexy che avrei voglia di comperare la vetrina intera. C’è di tutto, per tutti i gusti. Fantastico direi.

Però la magia dura fino al tempo dei saldi invernali perchè, all’arrivo della primavera, sembra che nessuno trombi più, ed è un tripudio di biancheria da collegiale dagli improbabili toni pastello che, per l’amor di dio, va benissimo a una ventene ma che suona altamente ridicola sul corpo di una quarantenne e oltre…

Nel senso che a 45-50-55 anni e più, una donna ben tenuta, in pace con se stessa può sfoderare ancora con gran gusto i suoi artigli seduttivi, indossando la biancheria intima più opportuna che, di certo, non può essere rosa confetto con i fiorellini di campo… non so se mi spiego!

Ecco che andare in un negozio di catena diventa imbarazzante, le commesse, di norma, hanno la radice quadrata dei tuoi anni, sono delle amorevoli sgrillettate e non sanno una cippalippa di seduzione…

Autoreggenti 8 denari ??? Ahhh, ohhh, no sa adesso fa caldo, ehhh beh adesso solo costumi e pareo. In magazzino? No, non so… ma le posso offrire un bel completino giallo canarino se vuole…

No, ecco, capite che l’industria della moda a noi Milf/Cougar o non so con quale altro appellativo siamo identificate, ci vuole fuori mercato da febbraio a novembre!!!

Ecco, pertanto, Amiche Giaguare, approfittate del  momento per non arrivare all’estate impreparate… 😉

STICAZZI! Oggi avevo bisogno di leggerezza! 😀

Pimpra

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