I (SOLITI) BUONI PROPOSITI

 

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Al 28 dicembre, come una scure da cielo, ti arriva in testa l’idea che DEVI assolutamente organizzare nella tua mente, la lista di buoni propositi per l’anno che verrà.

Come fai in ufficio, rimettendolo a posto, riordinando le carte, liberandoti del superfluo, lo stesso accade per le ragioni della tua vita. Hanno bisogno di essere rimesse a punto, in un ordine consono, positivo e ottimista,  come a caricare una molla che, liberata, ti farà partire a razzo nel nuovo anno.

Ma, sticazzi, ti dici ogni volta che, sai che te non sei buono a tener fede a quanto ti eri ripromesso e, questa lista virtuosa, il più delle volte, rimane solo un desiderio, nulla più…

Ma, la tradizione è tradizione, e va rispettata.

MI RIPROMETTO DI:

  • imparare la Temperanza. Ovvero, concedermi qualche nanosecondo prima di partire in quarta con qualsiasi reazione mi venga in mente di avere, qualsiasi cosa mi salga alla bocca di dire. Insomma: devo provare a “contenermi”. Pare che, la mia indole impulsiva, sia un difetto troppo, troppo grande per l’età che porto.
  • dedicarmi con vigore alle mie passioni. Vabbè per far ciò, basta scegliere, a volte egoisticamente, di ritagliare del tempo per se stessi. Si può fare.
  • concedermi il lusso della sosta, di prendere tempo (che non significa “perdere tempo”)
  • scegliere me, un po’ meno gli altri, specie quelli che non lo meritano.

Poi ci sarebbero chissà quante altre cose, ma la lista diverrebbe troppo lunga e noiosa e poi… cui prodest, visto che, molto probabilmente resteranno solo dei desideri campati in aria, promesse e intenzioni vuote…

Quindi smetto subito e vi auguro, semplicemente, di VIVERE COME PREFERITE.

Alla fine, la scelta più intelligente.

BUON ANNO NUOVO!

Pimpra

QUI ED ORA. (PIPPOLOTTO, VI AVVISO!)

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Quanto sono belle le serate trascorse con una cara amica che non vedi da tempo con la quale resta sempre intatta la confidenza, lo scambio, e un grandissimo affetto.

Nel suo piccolo appartamento, come il nido di un uccellino, delicato e dolce come è lei, pulito, deliziosamente arredato con un’attenzione ai piccoli dettagli che sussurrano la sensibilità vibrante della padrona di casa, mi sono presentata con un frizzantino rosè e Tupperware al seguito….

Le parole sono scivolate fluide, intervallate da argomenti leggeri o seri, così come le donne sono abituate a discorrere.

Lei, come molti di noi, ha visto naufragare un rapporto su cui aveva scommesso “per la vita”, ma così non è stato. Le ossa rotte, l’anima e il cuore feriti, ha ripreso la sua vita tra le mani, con il coraggio e la determinazione che servono ogni volta che si riparte da capo, e si è rimessa nel flusso delle cose.

La dolorosa esperienza, tra i tanti segni che le ha lasciato, ha messo un tarlo nella testa, ovvero: chi si prenderà cura di me quando sarò vecchia? Evidenziando ai massimi sistemi, il dolore esistenziale di questa moderna società.

Mai come ieri sera, ho potuto toccar con mano, la solitudine, il vuoto pneumatico che i single della mia generazione stanno vivendo.

C’è chi brucia la vita, anestetizzandola sulla propria pelle agendo comportamenti e sentimenti di totale edonismo, vuoto però di contenuti, nulla a che vedere con un sano epicureismo consapevole e goduto,  altri, invece, tuffano il loro essere negli abissi del più profondo “mal di vivere”, basato sulla prima, sostanziale, mancanza: l’amore (per se stessi e per gli altri), la solitudine di rapporti che poggino su qualcosa di vero.

Il futuro, a quel punto, diventa un mostro che terrorizza, mancando le strutture caratteriali e definite certezze sul proprio sé e sulla propria essenza. Partono così i pensieri bui, l’idea della vecchiaia come malattia e non come compimento gioioso di un percorso di vita. Si immagina il corpo debilitato, impossibilitato a provvedere a se stesso e quindi, esplode il bisogno dell’altro.

Credo non abbia senso andare così avanti con il pensiero, immaginare e ipotizzare situazioni che non abbiamo nessun reale strumento per essere comprese.

La sola cosa che siamo capaci di conoscere è il QUI ED ORA. Nulla più. Il resto sono solo proiezioni, più o meno belle, di emozioni positive o negative, che vivono dentro di noi.

Allora sai che c’è? Resto connessa a questa dimensione, cerco di vivermela al meglio, con fiducia e gioia di me, di quello he posso portare nel mondo e dal mondo ricevere.

Forse semplificare, alleggerire è la sola via per vivere meglio.

AMEN.

Pimpra

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DI TANTO IN TANGO. TETTE E TANGO

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A me le cose succedono così, praticamente per caso. Ho postato una divertente (nelle mie intenzioni) foto sulla mia bacheca di FB e, senza immaginarlo, bummmm, come un elefante nel negozio di cristalli, ho urtato la sensibilità femminile.

L’argomento del contendere era una frase scema “Non chiedetemi l’amicizia, non ho le tette”, postata poiché il mio profilo FB sta ricevendo un sacco di richieste da uomini assolutamente improbabili, dai luoghi più disparati del pianeta, senza ragione alcuna.

Di qui, la mia foto di copertina, atta a dissuadere i potenziali non amici alla ricerca di chissà cosa…

Un’amica, però, non si è trovata d’accordo su questa mia scelta, ritenendola in qualche modo “razzista” nei confronti del corpo stesso delle donne. Oltre a ciò, proiettandola nel nostro comune mondo del tango, atta a rinforzare certi discriminatori comportamenti messi in atto da taluni danzatori.

Pur rimanendo fedele alla mia vis comica, non posso rimanere insensibile a quanto riferito dall’amica.

La mia lettura è questa.

Le motivazioni che spingono la coppia ad incontrasi in pista, sono e saranno sempre, le più disparate. Un’alchimia sottile fa scattare in entrambi quella intenzione di cingersi e di colorare una tanda con le emozioni nate dal cuore e riassunte nei corpi danzanti.

Questo è quanto accade in persone che cercano una dimensione intimista, artistica, di scambio, nell’abbraccio tanguero.

Poi c’è il resto del mondo.

Ci sono quelli/e che vanno in milonga per tantissime ragioni, tra le quali c’è, anche, quella di ballare.

Non mi sento di giudicare, né di giudicare male chi si vive la milonga in modo diverso dal mio.

Va da sé che, sia per ballare che per “cercare altro”, si inneschi una implicita competizione tra gli attori coinvolti. Questa gioiosa battaglia si combatte con più armi: chi con la sua capacità e talento danzante, chi con le emozioni che sa trasmettere, chi mettendo in mostra le piume, chi seducendo verbalmente ecc ecc: la varia umanità.

Nel gruppo, ovviamente, ci sono “gli sfigati“. Definisco la categoria: sono gli/le invidiosi/e. Coloro che guardano sempre fuori da loro stessi ma non lo fanno per cercare bellezza, ma per evidenziare gli aspetti negativi (o così loro li percepiscono) del mondo e di chi lo popola.

Questi sfigati sono infestanti perché, su Anime gentili, posano i loro artigli cattivi e inoculano il tremendo veleno: fanno partire brutti gossip, demoliscono le persone, criticano tutto/i/e e, purtroppo, molto molto spesso riescono a distruggere l’amore verso se stessi delle loro vittime.

Ovviamente le donne sono il bersaglio per eccellenza di questi sfigati che si accaniscono a demolirle a più non posso.

Allora sapete quale è il mio antidoto? un bel ME NE FOTTO!

Sono come sono, ballo come ballo, non ho (abbastanza) tette per essere tra le ballerine più gettonate (?) , ma sto bene così e non cambierei, di me, una sola virgola… [bugia!!! vorrei essere una tanguera migliore!!!]

E adesso, sfigati, potete scatenarvi!

STICAZZI, OLE’!

🙂

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

 

 

 

PROFUMO DI ZUCCHERO CARAMELLATO

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Dicembre ha un fascino particolare, specie per le mie sensibilissime narici. Come in molte altre parti d’Italia, anche Trieste diventa teatro di numerosi mercatini natalizi, quello più triestino di tutti è, senza dubbio, quello dedicato a San Nicolò che si festeggia il 6 dicembre.

Il viale XX Settembre è, da sempre, il luogo deputato ad accogliere le variopinte bancarelle che offrono dai più classici gadget natalizi auna variegata offerta di supercazzole. Trieste, a differenza di altre città italiane, si è sempre distinta, a mio modesto parere, per l’offerta decisamente “ruspante” di merci, molto lontana che so, dalla raffinatezza dei mercatini natalizi dell’Alto Adige, tanto per citarne alcuni.

Qui siamo così, non particolarmente raffinati, ci piacciono le cose semplici, ci piace ingolfarci di porchetta, riempirci la pancia di gommose e morbide che girano tutta l’Italia, messe bene in mostra, senza protezioni, e riempendosi di tutte le possibili polveri sottili presenti in ogni città che si rispetti, così per dire…

Eppure, nonostante non si facciano affari, anche se annunciati a colpi di improbabili “offerte”, per tutte le generazioni di triestini, un passaggio in Viale a vedere le bancarelle, è imprescindibile tappa dei primi di dicembre.

L’odore dolce dello zucchero caramellato che incolla e trattiene noccioline, mandorle dei croccanti che vengono acquistati a barre, pesantissime e vendute a peso d’oro, si mescola a scie odorose di cipolla che serve da farcitura ai paninazzi Romagnoli, serviti con la porchetta.

A noi ci piace, ci piace da matti la combo paninazzo/birretta e ciambella fritta, piuttosto che zucchero filato, o croccante. Siamo e restiamo bambini, ammaliati dai colori sintetici delle baracchine, la nostra curiosità si perpetua di anno in anno a cercare quell’articolo o quella specialità culinaria che, ancora, mancava nel nostro palmaresse di assaggi/acquisti. Ma ogni anno lo spettacolo è uguale e noi facciamo finta di stupirci come la prima volta.

La mia testa adulta è da tanto, tanto tempo che ha realizzato la fregatura di questo ambaradan prenatalizio e non mi viene in mente di razzolare al freddo per le bancarelle cercando introvabili rarità, ma, il mio naso, lui sì, è sempre molto sensibile al richiamo profumato e stonato delle bancarelle.

Ogni anno che passa, mi riporta ai miei anni verdi quando, monete alla mano, riempivo il mio sacchetto di colorate gommose e morbide, di lunghissime striscie di liquirizia e, felice, mi aggiravo nello stretto corridoio di passaggio tra un venditore e l’altro, facendomi largo a suon di spinte, perchè io dovevo vedere, scoprire, emozionarmi davanti a tutto quello che mi sembrava un bendiddio!

Pimpra

IMAGE CREDIT: Luca Marsi

CULO GROSSO

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Ieri sera, mentre cucinavo la mia cena sana, ascoltavo la Zanzara alla radio. Ad un certo punto, uno degli ascoltatori fulminati della trasmissione, di colore, immigrato –  tutte informazioni fornite da lui- affermava, con gran gusto, di adorare le “fimmine” italiane, per lui trofeo e rivalsa della sua “diversità”.

Tra il conduttore e l’ascoltatore un gran giro di battute salaci, e, alla domanda di Cruciani “ma a te le donne come ti piacciono?”, la risposta dell’africano “Mi piacciono con il culo grosso, le tette grosse, le labbra grosse!”, “anche se le labbra e il seno sono finti?” chiede il conduttore, “Certo! meglio se naturali ma va bene lo stesso!” e giù a ridere.

Ho smesso per un istante di rimestare con il mestolo perché mi sono fermata a pensare a quanta sfiga ho avuto ad essere adolescente nel profondo nord est d’Italia, negli anni 80!!!

I miei adorabili compagnucci di classe mi chiamavano “la culona”, appellativo, potete facilmente immaginare, che non mi rendeva particolarmente felice del mio corpo. Che poi, a guardare bene il mio “culone”, altro non era che uno splendido sedere a mandolino, scolpito da anni e anni di sport! Sticazzi!!!

Ma all’epoca ero troppo ragazzina per capirlo e, mal me ne colse, decisi che il povero culone doveva sparire. Siccome sono una tosta, ma tanto tosta, ho ben pensato di perdere quello e 3/4 del resto del mio corpo e di presentarmi l’ultimo liceo, magra da fare paura, ma felicissima di aver sconfitto quella parte di me che non era adeguata ai gusti degli stronzetti maschi che avevo intorno.

Ed oggi, per la prima volta, benedico la “globalizzazione”, il “mercato mondiale”, che ci ha aperto le porte del mondo e che ha mixato così tanto i popoli! Se dalle mie parti si fosse paventato un ragazzo di colore, di sicuro non mi sarei sognata di perdere nemmeno un grammo sull’amato posteriore!!! Anzi! L’avrei portato in giro bello strizzato in un paio di jeans!

Allora, ancora una volta, benedico la saggezza dell’età che mi ha fatto fare pace con me, anche se, il mio amato “culone” oramai è solo un ricordo…

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

E ADESSO, SILENZIO.

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La bora ha esaurito il suo soffio di ghiaccio, appoggiandosi dolcemente sul mare.

La breve pausa nel mezzo del giorno è resa piacevole da una passeggiata sull’amato Molo, facendosi scaldare le gote dai tiepidi raggi di sole.

Non sembra quasi inverno, non fosse che la luce cade con una inclinazione diversa sullo specchio di mare antistante alla piazza Unità, creando ombre allungate e sottili in cui è bello ritrovarsi.

Manca l’aspro e frizzante profumo di salsedine dei giorni precedenti, manca quel tamburellare stonato delle raffiche di vento.

Oggi la bora ha appoggiato la sua chioma di schiuma sull’acqua, ed è come una fanciulla addormentata dopo una notte d’amore. Vorrei sedermi in un tavolino di piazza Unità, a godermi i raggi si sole che filtrano attraverso i rami degli abeti natalizi, con me la Moleskina e la stilografica preferita, dinnanzi a un caffè fumante.

Starei lì, a godermi la vista dei passanti, delle nonne con i nipotini, degli innamorati, degli anziani e dei turisti tutti presi a farsi  i selfie con il bastone con la quinta decorata del Comune a far da sfondo.

E, sicuramente, godrei della nota di questo particolare silenzio che, sempre, segue la caduta della bora, e tornano rigogliosi i pensieri…

Pimpra

FOTO MIA, Molo Audace 30 novembre 2016

 

IL FREDDO CHE MI RISCALDA

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L’inverno si sta annunciando con i suoi messaggeri di cristallo. Da ieri, qui, nel lontano nord est, si vola (bora tesa) e ci si congela i sentimenti.

A noi triestini questo ventoso Sturmundrang, nonostante tutto, piace e parecchio. Come se la bora venisse a cancellarti i pensieri, le asperità che rendono il volto cupo e la mente annebbiata. Però fa un freddo da morire…

Stamattina la finestra dove le Gattonzole amano trascorrere parte della giornata, aveva una doppia cornice, un bordatura di vapore acqueo e goccioline, segno evidente dell’escursione termica tra dentro e fuori.

La tazza profumata e bollente di orzo tra le mani ed io, con loro, a lanciare lo sguardo oltre la finestra, a gioire del giorno appena nato, con le sue tinte di acquerello rosa e azzurrine.

Le micie mi baciano il naso, con il loro tartufino fresco da gatte reso più umido dal raffreddore. Sembrano umane, o, almeno,così le vedo io.

Abbiamo i nostri riti, ogni parte del giorno è scandita da una particolare attitudine, da un gesto, da un modo unico di stare insieme. Se penso a quella che sono diventata, a volte, mi stupisco. Sono il contrario di quello che avevo immaginato per me, di me, per la mia vita, della mia vita.

Un tempo questo scostamento dall’idea mi avrebbe reso pazza, insicura, piena di dubbi. Quanto è appagante, invece, oggi, poter dire “sono così, perché sono quella che dovevo essere”.

Le Gattonzole, manco farlo apposta, mi fanno da specchio. Gli animali da compagnia imitano i loro umani, per questo li amiamo così tanto, perché osservandoli, ritroviamo una parte di noi.

La bora si è fatta più quieta, l’aria è tersa e fredda, quasi piccante, e ha lasciato in me una profumata leggerezza.

Un freddo così caldo, come da tempo non ricordavo e vado via lieve…

Pimpra

FOTO MIA, Molo Audace dicembre

DI TANTO IN TANGO. RICOMINCIO DAL… CONTATTO

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Un fine settimana non è degno di tale nome se non è condito da una milonga. Ho bisogno di fare rifornimento di abbracci, di ricaricare le pile di buona musica, di sentire il mio corpo voluttuoso e vibrante sulle note, ho bisogno di ballare.

Per una serie di motivi mi riesce sempre meno spesso di farlo alla sera, quindi mi “accontento” di una pomeridiana.

Ho conosciuto il “Contatto” parecchi anni addietro e, mi ci sono sempre trovata bene. All’inizio mi sembrava un luogo strano, perché erano i tempi in cui amavo ballare i Gotan, Bajofondo e tutto quel genere di tango moderno che, tra le pareti della più vecchia milonga tradizionale del Nord Est, non era contemplato. Ammiravo i tangueros ballare stretti stretti, mentre allora il mio abbraccio era elastico e aperto. Eppure li ammiravo, trovavo una poesia sottile dentro i loro passi piccoli, gli adornos delle ballerine che, sebbene un pochino statiche per i miei gusti espressivi, rappresentavano di certo un mio ideale di femminilità consapevole e sicura.

Il tempo passa, il tango evolve e io stessa muto come ballerina.

L’abbraccio si fa vicino, la dinamica resta sempre vivace, ma cambia il modo in cui esce, la sua forma esterna.

Torno al Contatto dopo molto, molto tempo, e neppure nella serata clou della settimana, ma durante la pomeridiana domenicale.

La prima impressione è quella di entrare a casa di qualcuno perché si viene accolti. I milongueros sono grandicelli, e va bene così, la ronda è una vera ronda, come dio comanda in terra e, anche i principianti presenti, si adeguano con rispetto.

Percepisci l’amore che si deve al Tango e alle persone che lo amano, dai padroni di casa  a tutti gli ospiti presenti. Il tepore emotivo della sala è ulteriormente riscaldato dall’ottima scelta musicale che i TJ invitati propongono.

Allora la mia fame, la mia sete di ballo trovano una dimensione intimista e profonda, resa tale anche dagli sguardi delicati che i presenti rivolgono alla pista.

Al Contatto ritrovo la mia anima danzante, ritrovo il tocco delicato e forte del mio compagno, ritrovo quella ebbrezza speciale che mi regala la musica.

Allora, sai che c’è? Ricomincio da qui.

Pimpra

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ODE ALL’UNIVERSO

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Ci ho messo non so più quanti anni a capirlo, a viverlo, a sentirlo in ogni atomo del mio essere. Una vocina da lontano me lo diceva, da sempre, che per essere felici, bisogna trovare quel qualcosa che accende la nostra intima scintilla.

Ed io proseguivo a non capire, a non ascoltare, a perdere tempo e a disperdere energie credendo di cercare, senza però trovare mai. E, con il trascorrere degli anni, la frustrazione aumentava, esponenzialmente, al farsi di quel vuoto interiore incolmabile.

Pensavo “Forse manca l’amore, forse devo cambiare me stessa, forse non ho abbastanza qualità, forse…” e giù a macinare tristezza, a cospargere la mia vita di polvere di insoddisfazione, un giorno dopo l’altro.

Poi, inaspettatamente, mi sono innamorata perdutamente (sì, anche di un uomo!), è arrivato il tango nella mia vita, ed ecco che quelle scintille spente di gioia di vivere e del piacere di esistere che, sempre, hanno colorato la mia anima, hanno ripreso a vibrare.

Gli anni sono passati e questo Amore è cresciuto, si è modificato, ha vinto sulle sue tempeste, ha subito e sopportato litigi ma è divenuto forte, radicato, adulto dentro di me.

Sono cresciuta pure io con questo Amore, imparando a scorgere la donna che avevo dentro, l’ho finalmente fatta nascere e l’ho portata nel mondo. Un cerchio che ha assunto la sua forma perfetta, di vibrazione intima e animistica, vera, assolutamente pura, senza sbavature, dentro di me.

E questo amatissimo tango mi ha messo vicino una persona speciale, una donna, con la quale ho aperto un nuovo orizzonte, creativo e colorato, della mia vita.

Sono onorata e felice, e, finalmente, ho trovato quello che cercavo, quello che non avevo nemmeno mai osato immaginare, la mia realizzazione attraverso le mani altrui, la creatività altrui che, però, filtra anche attraverso di me, in modo diverso e consono a quella che sono.

Ho voglia di dire all’Universo che lo ringrazio di avere aspettato tanto a propormi questa possibilità, perché lo ha fatto nel momento in cui ero pronta, matura e consapevole.

E, all’improvviso la vita, che, di fatto è la stessa di prima, si anima improvvisamente perché, la luce che hai dentro illumina tutto.

Sorrido felice… Sticazzi che grande conquista!

Pimpra

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AMARCORD CHE FANNO BENE ALL’ANIMA.

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Ti accorgi che il tempo passa quando rivedi una carissima amica della tua prima giovinezza, dopo molti anni.

Lei è rimasta bella come allora, con il suo sguardo smeraldo da gatta, il portamento da regina su un corpo flessuoso e naturalmente elegante.

Quando eravamo (molto) giovani, lei era, per me, il modello da raggiungere: la sua bravura in tutto, la sua gradevolezza, il suo charme, una femminilità già accesa e levigata da una rara classe.

Lo confesso, a tratti mi stava anche sulle palle, e come poteva non essere così!, lei perfetta ed io tutta da rifare. La mia, in realtà, era solo assoluta ammirazione nei suoi confronti, e le volte in cui vivevo un conflitto interno, la causa non era lei, ma mia madre che perseguitava le mie inadeguatezze su (quasi) tutti i fronti, proponendomela come esempio da imitare.

La vita ci ha portato a percorrere strade divergenti e lei, da che si è costruita una meravigliosa famiglia, poteva non essere così?, vive all’estero.

Ieri pomeriggio ci siamo riviste, ed è stata una grandissima gioia per entrambe. Nelle poche ore a disposizione ci siamo scambiate tantissimo: esperienze di vita, ricordi, progetti.

Ancora una volta voglio ribadire il concetto di quanto sia bello diventare “diversamente giovani” (specie se donne), perché, se si ha la capacità di evolvere nel senso più pieno e virtuoso del termine, si apprende a guardare la realtà e le persone con occhi nuovi, positivi e aperti.

E ho visto e rivisto la Franci per quella meravigliosa persona che è sempre stata che ho sempre, profondamente, ammirato. E non sbagliavo quella volta e ne ho avuto riconferma oggi.

E c’è da dire che, le due “vecchie” giaguare, hanno ancora moltissimo da dire e da dare!

EVVIVA LE DONNE!

Pimpra

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