SIX.Q intervista con l’autore. DENIS MURANO “RISORSE INUMANE. Diario segreto di un direttore del personale”

Sono davvero orgogliosa di aprire un nuovo capitolo di SIX.Q “interviste con l’autore”, ospitando uno dei best seller dell’estate “Risorse inumane. Diario segreto di un direttore del personale”.

Seguo da tempo i post di Denis Murano su Linkedin, ogni giorno uno stimolo, uno spunto di riflessione, quando non addirittura una piccola consolazione alla mia giornata “in gabbietta” (ufficio ndr).

Di certo la mia realtà professionale è distante anni luce dalla sua, brillantissimo e giovane manager delle risorse umane, ma poco importa, il testo che ci offre parla a tutti, a tutti i livelli della/e scale gerarchiche, di aziende, piccole realtà imprenditoriali, private o pubbliche.

La vita professionale di ognuno di noi è costellata di una serie di sfumature che ci accomunano. Il pregio di questo delizioso libro è di parlare schietto, senza censure, senza sconti.

Lo consiglio caldamente, si legge d’un fiato.

Attenzione: crea dipendenza e ne chiederete subito un altro!

Godiamoci quindi la Six.Q intervista con l’autore Denis Murano!

***

  1. Cosa l’ha spinta a scrivere il libro “Risorse Inumane. Diario segreto di un direttore del personale”?

Lavoro da decenni nell’ambito delle risorse umane ed ero stanco di leggere quei librettini di management in cui viene descritta l’azienda ideale. In cui si parla di leader illuminati, colleghi in cui brucia il sacro fuoco del rispetto e della collaborazione, e imprenditori più caritatevoli del messia.

Più libri leggevo e più pensavo fossero delle puttanate. Nella mia esperienza non ho mai visto niente di quello che veniva raccontato. Per carità magari sono io uno sfigato, ma vi assicuro che ho lavorato in tantissime aziende, anche molto famose, e niente, la storia era sempre la stessa. Tutti i giorni avevo a che fare con Manager incapaci, imprenditori con visioni miopi ed egocentriche, e persone che non facevano altro che rompere i coglioni. Il mito dell’azienda perfetta non reggeva di fronte alla realtà che è fatta di dinamiche molto umane anzi spesso INUMANE. Preso da questa immensa ispirazione ho buttato giù un po’ di esperienze e mie riflessioni. 

Non pensavo potesse diventare un libro, e non pensavo che tantissime persone mi avrebbero contattato per farmi i complimenti e per dirmi che quello che avevo scritto era tutto vero, che era successo anche a loro e nelle aziende in cui lavorano

2. Quali sono, secondo lei, le differenze sostanziali tra i manager pubblici e quelli privati, i vizi e le virtù di entrambi.

Sinceramente non ho mai lavorato nel pubblico e quindi non vorrei scadere in banali stereotipi. Penso che sia nel pubblico che nel privato si possano trovare manager pessimi o bravissimi. Oggettivamente il contesto è molto diverso e penso questo faccia una grande differenza. I manager nel privato lavorano a scopi di “lucro”, vengono formati e catechizzati verso il raggiungimento dell’obiettivo annuale o di quarter. I Manager nel pubblico lavorano per il bene comune, con l’obiettivo di fare il meglio per la comunità. Il loro obiettivo è meno tangibile ma non meno importante. Purtroppo il settore pubblico per anni è stato il bacino da utilizzare come moneta di scambio. Per dare lavoro in cambio di favori, voti, ecc. Ma questo è un problema culturale del nostro paese. Checco Zalone docet.

3. La paura di cambiare è una delle ancore più incagliate nelle grandi realtà aziendali e non. All’inno di “abbiamo sempre fatto così” le aziende falliscono e le PA deludono il loro cliente: il cittadino. Secondo lei, da dove si dovrebbe iniziare per portare il coraggio del cambiamento in seno agli uffici?

L’essere umano resiste al cambiamento. E’ un dato di fatto. Siamo tutti con il freno a mano tirato e quindi cambiare non è facile. Mai. Per aiutare il cambiamento bisogna creare il contesto giusto per fare in modo che il cambiamento avvenga. Siamo troppo bravi a trovare il colpevole e tralasciamo sempre le cause. E’ molto più facile e divertente giocare alla caccia alle streghe piuttosto che trovare le origini dei problemi. Bisognerebbe invece promuovere una sana cultura dell’errore. Chi sbaglia ci sta provando e quindi non andrebbe punito ma aiutato.

4. Nel libro, Alice è la giovane assistente che lei seleziona per il suo team: determinata, desiderosa di imparare e di mettersi in gioco, preparata e curiosa. Secondo lei, si può ritrovare o trovare per la prima volta la propria “Alice” anche dopo molti anni di lavoro alle spalle?

Alice per me è un simbolo, e non a caso è una donna. Ho lavorato con tanti manager e le migliori erano donne. Alice è il simbolo della genuinità e del modo corretto di approcciare al lavoro. Non è come il Dott. X ormai corrotto dal sistema. Alice ha un sano ottimismo nei confronti del lavoro, ed ha dei valori e dei principi sani. Ecco ritrovare la propria “Alice” secondo me significa ritrovare i propri valori e principi e lavorare in maniera coerente con essi. Non è facile perché spesso l’ambiente ti porta ad adattarti a dinamiche molto più torbide.

5. Risorse Inumane ha un riscontro editoriale enorme ed è quasi introvabile in libreria. I suoi lettori sono trasversali a ruoli e attività professionali. Come si spiega la natura di questo grande successo, a quali interrogativi ha dato voce con tanta spudorata sincerità?

Sinceramente non pensavo di scrivere un libro e non pensavo che la gente lo avrebbe comprato. A me piace leggere e una cosa che odio è iniziare un libro che poi non mi piace. Quando succede lo lascio a metà e lo rimetto in libreria. Ecco io volevo scrivere un libro che non venisse lasciato a metà. Un libro onesto, divertente e che ti faceva venire voglia di finirlo. E l’ho scritto senza pretese, non voglio insegnare niente a nessuno, ma solo raccontare delle esperienze da un punto di vista di una persona che fa un lavoro che, mi sono reso conto, non tutti conoscono.

6. Six.q si chiude, per tradizione, con la stessa domanda: dica quella cosa che non hanno mai osato chiederle.

In realtà tanti mi chiedono chi io sia. Beh non lo dirò mai.

***

Una verve ironica, sottile, tagliente, la spudoratezza della verità senza veli vi aspetta tra le pagine di un testo che vi suggerisco assolutamente di leggere.

Ringrazio ancora Denis Murano per aver accettato l’invito alla SIX.Q intervista con l’autore.

Pimpra

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LE AVVENTURE DELLA PIMPRA: DALL’IRAN CON AMORE

Rosini2rOSINI 1

Pausa pranzo fiacca, il tempo è vergato di una sfumatura di grigio che ha lasciato nascoste le sgargianti coloriture estive, si prepara la pioggia della sera e, come la cappa sopra la testa, anche l’umore ne risente un po’.

Necessito di caffè.

La mia fedele Amica ed io ci dirigiamo verso la nostra mezz’ora d’aria. La bevanda è bollente e scorre amara nella gola, assesta un colpo all’atonia e ci permette di avere voglia di muovere due passi prima di rientrare in gabbietta.

Lì intorno è tutto un pullulare di negozietti, e – ahimè per il conto in banca – i saldi occulti sono già iniziati.

Per favorire l’abbandono delle frustrazioni ed aumentare i livelli di serotonina, entriamo in un negozio di scarpe che ci priva del piacere gaio dell’acquisto. Siamo donne di un certo pregio e le nostre presidenziali estremità non godono di essere accolte nel PVC made in China pertanto desitiamo.

Poco oltre, mi cade l’occhio su un paio di gaudenti espadrillas facenti capolino da uno storico negozio di scarpe. Storico anche per le clienti. O sessantenni e oltre o resti fuori.

Prendo la mia amica per mano ed entriamo.

La macchina del tempo: arredi antichi, iper classici e assolutamente dissonanti con tutte le teorie moderne del marketing, commesse e scarpe anch’esse fuori dal tempo.

Vengo rapita, torno alla mia infanzia, quando la mamma mi comprava le Balducci in un negozio molto simile. Faccio foto e mi accerto che la proprietà voglia mantenere intatto tutto l’esprit du lieu . Le espadrillas paillettate mi vanno benissimo poiché, storico negozio e storica clientela, hanno bandito la merce scadente e qui, il cuoio lo è veramente e i piedi, riconoscenti, ringraziano.

Convinco la mia amica a comprarle anche lei, ma di diverso colore, e, dalla vetrina scelgo un altro paio sicura le stessero bene, compra pure quelle.

Faccio lo stesso per me, sfilata avanti e indietro nel negozio, davanti allo sguardo interessato di un gruppo di turiste americane.

Acquisto anche il mio paio. Ma sono extra scontate e faccio l’affare.

Le signore mi osservano, applaudono ad ogni mia scelta sia per l’amica che per me, poi, una di loro si innamora delle mie e gliele faccio avere.

Ovviamente le prende. Sono una straordinaria venditrice, ma chi mi conosce già lo sa.

Alessandra chiede da dove venissero e le gentili signore ci raccontano di essere americane, ma iraniane di origine.

COUP DE THEATRE.

M’illumino d’immenso, sorrisone a 54 denti e dico loro che ci ho vissuto, in Iran, tanti anni or sono e porto sempre nel cuore quel paese anche mio fratello è nato colà e uno dei suoi nome è Rezah, in onore della terra che gli ha dato i natali.

CATARSI.

Scatta foto di gruppo, scambio di email e biglietti da visita, la mamma, la signora più anziana, portava la collana con il simbolo dell’Iran (il leone e il sole) , mi abbraccia stretta, commossa per quanto, come lei, amassi il suo paese.

MORALE:

Sono uscita dal negozio con il conto in banca più leggero (ma non di molto), con due paia di scarpe nuove, e con l’invito ad essere ospite della famiglia iraniana in California a Los Gatos. Per la cronaca le tre signore, mamma figlia e cugina, tutte laureate, tutte con il PHD. Insomma le iraniane sono donne colte, raffinate, di mondo e di una apertura e accoglienza immutate, così come le ho conosciute tanti anni or sono.

Today I made my day!

Pimpra

Il negozio storico della foto è Rosini, via Dante 1 a Trieste

 

 

 

AUREA MEDIOCRITA’

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Il buongiorno di stamani:  Radio 24 che mi ricorda  le esternazioni da milionario di quello sciagurato di Briatore che si può permettere di dirci che siamo (quasi) tutti degli sfigati, noi, quelli dei 1200-1500 euro al mese.

E poi la primavera che un giorno mi esulta nei campi -trallallerotrallallà- e poi si piomba in giornate cupe cariche di umidità densa e di pioggia rompiscatole.

In questa altalena dissonante, ne risente pure l’umore, ci aggiungi un pizzico di frasette giuste di qua e di là per massacrarti ancora un pochino e manca poco che fai il botto: ti si disintegra l’autostima.

Va detto che la vita dei narcisisti non è facile, diciamocela tutta, se incappi in periodi, persone, situazioni che non fanno altro che togliere acqua al tuo fiore e, se qualcuno o qualcosa calpesta la tua sacra corolla, capisci-a-me il momento diventa imbarazzante.

Ma fin qui è solo vita.

Però…

Pippolotto per dire che, sempre più spesso, sento di appartenere alla categoria dei mediocri. Nulla a che vedere con il sublime concetto di “aurea mediocritas” di oraziana memoria, questa è roba brutta, scadente, di scarsa qualità.

Brucia, brucia parecchio.

Mi guardo intorno e vedo i miei conoscenti veleggiare verso un radioso futuro. Chi nel suo percorso di realizzazione lavorativa, chi familiare, i più fortunati in entrambi, chi eccelle nelle sue passioni che siano sportive, artistiche, musicali o altro.

Poi arrivo io. Mi guardo intorno e non so che pesci pigliare.

Brutta, brutta davvero.

Non riesco a trovare un senso. Senso di esistere. Direzione. Realizzazione. Nada de nada.

 

Le giornate trascorse in gabbietta, esaltano l’umanità inetta, depressa e carica di frustrazioni. Cerchi di sbatterti per raggiungere una piccola soddisfazione e che ottieni? Il buio.  Il nulla pneumatico. Però hai il tuo 27 del mese garantito e ti dicono “Cazzo devi essere contenta!”.

Vivere così per la maggior parte della giornata è come essere malati. La depressione ti attanaglia è quasi impossibile resisterle. Si insinua e mangia il tuo entusiasmo, la gioia, i pensieri belli. Tutti i colori della tua anima.

Licenziarsi, diciamocelo, non sono momenti. Quindi ciccia. Resti nelle tue sabbie mobili.

Diventi la caricatura di te stesso. Esageri degli aspetti per compensare le carestie esistenziali che ti prosciugano, giorno per giorno, trasformandoti in un clown triste.

C’è che a me nessuno mi ha spiegato come si fa. Quali sono le regole di questo gioco assassino e continuo ad andare in giro con l’aquilone.

Mi dico, senza troppa convinzione che, prima o poi, imparerò.

Embè uno STICAZZI non lo scriviamo? 🙂

Pimpra

 

 

 

 

TRIESTE DA BERE.

aperitivo

Il venerdì è una giornata che mi è sempre piaciuta. E’ carica di promesse, di profumi, di immaginazione. Davanti, due giorni da vivere senza limiti, nessuna gabbietta, nessun orario da rispettare.

Il MIO TEMPO LIBERO. (che poi veramente libero non è mai… ma questo è un altro discorso…)

L’altra Giaguara ed io, alla fine di una settimana pesante, ci concediamo una vera e signorile “uscita dalla gabbia”: finito il lavoro, belle, eleganti come si conviene alla nostra età, trucco e parrucco a posto, ci dirigiamo verso la via della “movida” triestina dove, un nostro compare dello stesso reparto di geriatria, ci ha consigliato vivamente di andare: “fidatevi Ragazze (ndr tra dinosauri, siamo sempre tutti “Ragazzi”), una bella atmosfera, gente giusta, un bello “struscio“.

Allegre il giusto, motivate il giusto, curiose il giusto, senza colpo ferire, raggiungiamo la meta suggerita.

Scelto il tavolinetto strategico, attendiamo di ordinare.

Attendiamo.

Attendiamo.

Attendiamo.

Al 12′ la sottoscritta, con uno scatto degno delle mie baby Maine Coon, si alza e procede verso il banco.

Un giovane acqua e sapone, dai vent’anni forse ancora da compiere, con sguardo annacquato ascolta la mia richiesta (senza scusarsi dell’affronto di non essersi preso cura di due giaguare di cotal fatta…), “Cosa desiderate Signore?” che, uscito da quella bocca ancora sporca di latte, suonava come un “Mamme o nonne”… “Un aperitivo” rispondo prontamente, “Analcolico vero?” chiede il decerebrato.

La mia amica ha dovuto trattenermi le vesti prima che scattassi oltre il bancone a menare di botte il cretinetto che avevo dinnanzi.

Curiosamente ha prevalso la maturità e mi sono limitata a rispondere un “Guarda che non siamo appena uscite da Villa Arzilla, niente aperitivo analcolico per noi!”.

Lo sbarbatello, resosi conto di non essere stato professionale, bastava si limitasse a chiedere un “Cosa desiderate?”, ci ha rifilato due spritz Aperol che avrebbero tagliato le gambe anche a Varenne . In più, il maledetto, per vendicarsi, non ci ha portato nemmeno uno straccio di patatina o altro, giustificandosi che “Gli stuzzichini li stanno ancora preparando ” (erano già le 18.45, non so se rendo…)

Ubriaca e imbizzarrita come poche volte mi capita, ho iniziato a sciorinare alla mia povera amica una filippica  tragicomica sull’età, su come questa società sia crudele e tracci una profonda discriminante basata sulla data di nascita delle persone.

Mentre io parlavo infervorata, l’amica, ovattata dalla botta alcolica e dalle mie chiacchiere, cercava di procacciarsi il cibo che non voleva assolutamente arrivare.

Gli avventori del promesso “struscio” in compenso, iniziavano a varcare la soglia del ritrovo. Classificabili in: ultimo anno di liceo, primo o massimo secondo anno di università. Ovvero BAMBINI!!!

MORALE:

Ho preso l’amica trascinandola nel bar di fronte che frequentavo ai tempi dell’università e che continua ad essere gestito dal medesimo proprietario di allora. Colà, un trattamento da vere principesse, circondate da non più giovani avventori, dove poter chiacchierare tranquillamente, farsi due risate e gustare un’ottima frittura di sardoni.

MORALE 2:

Mai fidarsi dei consigli di un amico cinquantenne in termini di luoghi “sociali”. Lui punterà all’incrocio di “bella gente” sui 20 -30.

… Carne decisamente ben poco frollata per il palato di due Giaguare come noi…

OK.

VADO A SUICIDARMI E POI TORNO!

😀

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

 

 

 

DUE RUSPANTI DINOSAURE…

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Si fa presto a dire “ricambio generazionale”, “giovani contro vecchi”, “amate i vostri nonni”, “non sono anziana, sono diversamente giovane” e tutta una serie di simpatici luoghi comuni che esaltano le differenze d’età, a volte con malcelata ironia, a volte con insolente disprezzo, a volte con tenerezza.

Tutto facile quando ci scherzi su, quando senti che l’agomento non ti  tocca perchè, per ben che vada, fai parte della quota “giovane” del binomio.

Sticazzi il giorno in cui passi il tuo Rubicone e, dal fattore”figo”, diventi a tua volta “il vecchio” della situazione.

Ma andiamo con ordine.

Pausa pranzo, i 30′ di boccata d’ossigeno fuori dalla gabbia. C’è il sole e una voglia irresistibile di regalarci un rossetto nuovo, rosso ed esuberante per esorcizzare novembre, l’autunno, le bruttissime cose che accadono intorno. Insomma un micro shopping very cheap per ritrovare quella leggerezza che ci permettere di vivere.

Detto fatto, con la mia amica del cuore, ci dirigiamo da Kiko.

La scelta del rossetto evidenzia in noi la voglia di giovanilismo, tanto che, le due gentili commesse accorse ad aiutarci, ci guardavano sbalordite sulla nostra scelta di acquistare lip stick sbrodolosi (quelli molto glossy, per intenderci) appannaggio esclusivo di ragazzine e giovani donne di massimo 35 anni.

[Perchè il dramma cosmico è che il bastardo lip gloss si infila istantaneamente nelle rughette che perimetrano il labiale (dai 36 anni in su iniziano a presentarsi, di solito), facendo perdere completamente il contorno labbra e conferendo quell’aspetto di tossica in pieno viaggio astrale. In una parola: un disastro estetico di proporzioni epiche!]

Con tatto sopraffino, le due gentili commesse, ci hanno depistato su rossetti ben più adatti a noialtre, persuadendoci che erano lucidi comunque ma che si mantenevano in sede e che, loro stesse, (25 anni meno di noi???), ne facevano uso.

Convinte, ci presentiamo alla cassa dove, un’altra giovine commessa  ci convince a registrarci sul sito per ottenere punti e sconti.

Come due brave pollastrelle, l’amica ed io sottoscriviamo ma, il bello è che l’operazione avveniva seduta stante, sulle tastiere dei nostri smartphone.

L’abissale differenza d’età si è manifestata in tutta la sua tracotanza, proiettando l’amica e me direttamente alla prenotazione di una stanzetta presso “Villa Arzilla” , ricovero per anziane signore.

Con tocchi felini ai telefoni la commessa ha provveduto alla nostra registrazione, ha fatto una foto dello schermata del cellulare dove comparivano i nostri codici di accesso per facilitare il loro utilizzo qualora si fosse sprovviste di connessione web e, in un abracadabra, i giochi erano fatti.

Io me la ridevo sotto i baffi, più che altro per il piacere di aver trovato una giovane preparata, gentile, molto paziente e volonterosa, la mia amica, letteralmente stordita da questa mostruosa “velocità decisionale”… una volta pagato il conto, se ne è uscita con un bel “Beh, mi scusi, non mi rilascia nessuna card?”

La giovine, spalancando gli occhi da cerbiatta e contenendo il suo stupore, ha semplicemente risposto “Signora, non ne ha bisogno, è già tutto dentro il suo telefono!”

Ho strattonato  l’amica fuori dal negozio e, ridendo, abbiamo decretato che siamo giovani come due… DINOSAURE!!!!

Vabbè… pigliamola con allegria…

Pimpra

TEMPI MODERNI

colloquio-lavoro

Volente o nolente, la vita va avanti ed anche io, con la tristezza nel cuore, mi sono rimessa nel flusso delle cose.

Oggi una nuova esperienza. Ho fatto il commissario d’esame a un concorso pubblico.

La mia prima volta ed è stato alquanto curioso ritrovarsi dall’altra parte del tavolo.

I candidati, per la maggior parte donne, mi hanno offerto un interessante spunto di riflessione.

Ricordo che, ai miei tempi, quando si affrontava un esame (parlo di università) o l’orale di un concorso o un colloquio di lavoro, ci si presentava alla commissione vestiti in un certo modo, non precisamente da gita, nè, tantomeno, da sera. Un mix equilibrato di rigore ed “eleganza” adatto alla circostanza.

Poche volte, specie in età adulta, ho visto i miei colleghi presentarsi in jeans e maglietta sdrucita o in maglione informe, con scarpe da ginnastica sporche ecc.

Ai miei tempi, evidentemente, la forma manifestava rispetto verso la circostanza.

Stamani, mentre mi preparavo, benchè dall’altra parte della barricata, ho applicato lo stesso antico principio, scegliendo un abito formale, da lavoro.

Quale sorpresa nel vedere i partecipanti che di tutto si sono occupati, meno che del loro aspetto, presentandosi con chiome allo sbaraglio, abiti indefiniti, in un mix di elementi, assolutamente casuali e, francamente, orribili.

I tempi cambiano, è evidente.

Dall’altro lato, invece, ho potuto apprezzare i diversi risvolti che l’atteggiamento che teniamo nel corso di un’intervista, provoca sulla nostra audience.

La teoria l’ho masticata più volte, la pratica mi ha vista – di norma – essere soggetto attivo quindi mi è sempre mancato il punto di vista dell’osservatore non attivo, di quello a cui ci si rivolge.

Non potete capire quante cose ci raccontano i movimenti che facciamo con il corpo, quelli di cui non ci rendiamo conto, quanto uno sguardo aperto, possibilmente sorridente, provochi immediata empatia al soggetto al quale è rivolto, come i movimenti di mani, occhi, labbra, la postura del corpo parlino del nostro stato emotivo, raccontando tutta la verità. Anche quella che vorremmo celare.

Così mi sono dilettata a prendere i miei appunti mentali, ad osservare come la società muta velocemente, come tutti, all’improvviso abbiamo atteggiamenti e credenze sorpassati e che per stare al “passo con i tempi” dobbiamo correre. E correre veloce.

Ecco, così, per dire…

Pimpra

 

ESITI BOLOGNESI

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Voi mi direte “Ma che c’importa a noi di quello che ha fatto la Pimpra a Bologna!”

Vero, parole sante, allora perchè state leggendo? Sorrido, anzi sorridiamo insieme. Ho il maledetto vizietto dell’articolo di cronaca, come se la mia vita fosse interessante e voi aveste il piacere di scoprirla.

Non è così, ma facciamo finta…

Il bello del lavoro che faccio è che, di tanto in tanto, mi permette di mettere  il naso fuori dalla gabbietta. Vedo e vado in città diverse, anche, se, nel corso degli anni, alcuni appuntamenti sono diventati consuetudini ed ecco vedermi tornare negli stessi luoghi, nelle stesse città.

Una di queste è Bologna, insieme a Lucca, Milano e Torino.

Ogni anno trovo una città diversa, non sempre migliore, ma sicuramente interessante, da scoprire e riscoprire.

La trasferta recente ha regalato particolari piaceri per il palato, consumati in osterie tipiche, suggeritemi da abitanti del luogo.

Ho scoperto poi che, se si vuole fare un po’ di shopping, sicuramente Bologna offre molto e a prezzi più contenuti. In particolare, si acquistano meglio che in Toscana, i capi in pelle. Ma proprio gli stessi, uguali uguali…

La gente per strada è sempre più espressione del melting pot globale e non è affatto raro sentire parlare, con stretto accento bolognese, numerose etnie extra comunitarie.

E’ una città giovane, ma che dico, giovanissima. Sorridente e ciarliera. Le donne sono belle, femminili e arrotondate, hanno volti solari e si muovono con grande agilità in biciletta. A Bologna ho visto pochi scooter.

Adoro i portici che proteggono dalle intemperie, sono riparo alla pioggia e invito a scambiare due parole in compagnia.

Dietro a Piazza Grande è tutto un fiorire di deliziosi localini dove prendere l’aperitivo accompagnato da stuzzichini locali a base di salumi, formaggi e focacce. Nessuno, e dico nessuno degli abitanti, si preoccupa del proprio livello di colesterolo LDL (quello cattivo, per intenderci!)

A Bologna piace mangiare, non ne fa mistero. La media della popolazione è più in carne rispetto all’estremo nord est.

Non credo che gli abitanti siano particolarmente presi dal fuoco sacro dello sport, mi sembrano troppo rilassati e paciosi per essere divorati dal demone della performance agonistica.

Bologna non puzza affatto  di smog e questo pare molto positivo. La nebbia, ho avuto la fortuna di non incontrarla mai, sono donna di bora e di vento e quella cappa lattiginosa davanti agli occhi mi crea senso di oppressione.

Ci voglio tornare ancora, perchè amo il particolare accento arrotondato che mi mette di buonumore.

E poi, voglio gustarmi tutti i profumi e i sapori della terra d’Emilia, nascosti nel sontuoso bouquet di un Sangiovese superiore.

Pimpra (l’epicurea)

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ATTIMI SALMASTRI

IMG_20150701_141853Sono solo 30′ d’aria. Di brezza marina, mista a quell’odore tipico di porticciolo, che sa di mare, di alghe e di salsedine.

Basta così poco.

Nelle orecchie la musica giusta, quella che sa ricaricare le batterie, rinverdire la voglia di sorridere al mondo, gioire di una pausa obbligata.

Le pietre del molo sono calde sotto le mie chiappe, perchè non mi va di fare la signora e starmene appoggiata alla bitta, sono terra e pietra insieme ai cubettoni di arenaria.

Me ne sto lì, da sola, ad amare questa natura così incredibile, a risucchiare ogni molecola di brezza che mi arriva, voglio essere assorbente.

Il mare oggi è sporco, ha portato a riva i resti di un temporale, metafora di qualcosa che finisce e che trova comunque armoniosa collocazione nell’esistente.

I minuti mi scivolano sulla pelle bianca, come gocce di sudore e il mio tempo è già finito.

Mi rialzo felice, guardo a terra e leggo il messaggio “Love yourself”, sorrido, è quello che ho appena fatto…

Pimpra

IMAGE CREDIT Pimpra Trieste

#TTYT 2015. BRILLIANT EDITION

TTYT 2015.2

Ballare il tango argentino è una grande fortuna.

Innanzitutto sviluppa un alto tasso di benefiche endorfine che servono a lenire, ringalluzzire i nostri corpi stanchi e le nostre menti appannate. Aiuta a mantenersi elastici, fisicamente attivi e… non solo.

A prescindere da tutti questi positivi effetti, consente l’incontro, lo scambio e la condivisione con anime davvero molto speciali. Non si passa solo il tempo a cercare la tanda con il ballerino perfetto/a, si parla.

E non solo di grandi/piacevoli/leggere cazzate. Si parla. Di intimità profonde, di vita, di esperienze.

Se, accanto a tutto questo aggiungi un evento che ti coinvolge per tre giorni, a casa tua, circondato dagli amici più cari e da quelli che conoscerai per la prima volta, in location che esprimono al meglio la tua città, con i suoi paesaggi  i suoi colori i suoi sapori… beh… ma che ve lo dico a fare???? Non vi siete già iscritti al vostro primo corso di tango argentino? No? … peccato per voi!

Torno da una festa che definire grandiosa è poco, perchè, più dei fuochi d’artificio (che pure ci sono stati in pista), è stato un evento così pregno di amicizia che mi sembra quasi impossibile di questi tempi moderni.

Adesso la “traggedia” è viversi la settimana in gabbietta, chiusa tra le mura dell’ufficio che mi fanno sentire sempre più prigioniera… sempre più…

Tutto questo per dire GRAZIE agli Amici triestini che ci hanno regalato un’altra indimenticabile edizione del Trieste Tango y Tú.

… coraggio mancano poco più di 360 giorni alla prossima edizione!

😀

Pimpra

 

LE DONNE NON IMPARERANNO MAI AD AMARSI. E SARANNO SEMPRE GUAI.

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Frequentare la palestra con una certa continutà offre un spunto molto interessante sullo spaccato sociale odierno.

A seconda della fascia oraria cambia il pubblico presente. Le signore dell’ora di pranzo, professioniste o casalinghe che siano, meritano una dedica particolare.

Sono tutte più o meno in forma tra lo smagliante e lo smagliantissima, hanno più di 20 anni. Arrivano ben vestite, ottimi accessori, abiti di gusto, mai troppo alla moda, sfacciati o volgari: sono donne di una certa eleganza.

Portano gioielli che brillano, non tanti e tutti insieme, uno, al massimo due, ma di quelli che devi indossare gli occhiali da sole per non restare abbagliato.

Dal mio privilegiato punto di osservazione deduco si tratti di professioniste di rango o, in misura minore, di signore sposate “bene”.

Arrivano in tempo e spendono i minuti che le separano dalla lezione a parlare di arte, di mostre, del loro lavoro e della famiglia. Non una che si ricordi di riscaldare un muscolo del corpo che non sia la lingua…

Vestono una tenuta da palestra che non lascia nulla al caso, cromatismi perfetti, scarpe pulite, completi che valorizzano ogni centimetro dei loro bei corpi scolpiti da dieta, esercizi e- chissà- dalle mani esperte del chirurgo. Poco importa, l’importante è che il risultato finale sia di qualità e, il loro, di certo lo è.

Mi aspetto pertanto di veder volteggiare sullo step donne sicure di sè, del loro fascino e della loro intelligenza… invece non è così…

Quest’oggi, mentre vestita come un palombaro (letteralmente!) – volevo fare una “sauna aerobica” – pestavo il wawe come una matta, osservando l’ordinato e signorile gruppo sotto di me, ad un certo punto, mi accorgo che sta succedendo qualcosa. Gli sguardi delle signore diventano allungati, come quello del felino prima dell’attacco, si percepisce, nell’aria, che è arrivato qualcuno a turbare la – loro – quiete.

Ed infatti, leggera come una piuma, sicura di sè come una novella Cleopatra, si avvicina allo step vicino al mio una ragazza molto poco vestita, con due poppe finte ben strizzate nel corpetto che le scopriva il ventre piattissimo e con gli addominali piacevolmente scolpiti.

E’ come se le signore avessero d’un tratto smesso di respirare che, nella loro egemone armonia, si era insinuato un elemento di distrurbo.

E che disturbo: una figa spaziale, molto, molto consapevole di esserlo e per nulla timorosa di farlo vedere.

Tra me e le gocce di sudore che imperlavano copiose la mia fronte, era un sorridere interno, osservando quanto fastidio e risentimento le donne provavano alla vista della splendida ragazza.

E lei, fingendo di allenarsi, mostrava al mondo la sua bellezza, le sue strepitose tette finte, il ventre piatto esaltato sapientemente da tatuaggi strategici, un sedere a nocciolina e delle gambe da gazzella.

Ed io, vecchia marpiona, non mi sono mai divertita tanto!

STICAZZI!

Pimpra

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