LA MIA COPENHAGEN

Il desiderio irrefrenabile di andarci mi è arrivato inaspettato, un giorno di tarda estate, capitando per caso nella bacheca di una conoscente. Gli occhi hanno avuto un sussulto emozionato che si è riflesso immediatamente sul cuore: dovevo visitare quella città.

Complice il weekend del mio compleanno, invece del solito pacchetto infiocchettato, ho ricevuto una mail con il biglietto aereo e l’hotel. Stavo per svenire di felicità davanti al pc.

Ho volato con gli olandesi di KLM, una compagnia aerea che non mi ha mai deluso, sin da quando, in tenera età, vi volavo tra Medio Oriente e Africa, resta tra le compagnie aeree preferite.

L’aeroporto di Copenhagen mette immediatamente il viaggiatore in una dimensione di piacevolezza, non è rumoroso, luce gradevole ovunque e il pavimento di legno. Non potevo credere ai miei occhi. Molti spazi dove rilassarsi e familiarizzare con il famoso “Hygge”.

L’albergo in centro, una chicca in puro spirito danese, legno, luci, sedie particolarissime, caminetto, personale giovanissimo e super gentile, camera dai colori neutri, caldi e rilassanti. Mi sono sentita immediatamente a mio agio.

La bicicletta, per i danesi, è come lo scooter per i triestini: fondamentale. TUTTI la usano, non ne ho mai viste così tante, così “bizzarre”, tutte insieme. Utilizzarle in città è semplicissimo evitando la produzione di smog, inoltre si pedala in tutta sicurezza perché ogni superficie stradale prevede la corsia dei ciclisti, con semafori e segnaletica dedicati. Si raggiunge in poco tempo, ogni angolo della città, inoltre, si può agilmente posteggiare il mezzo ai supporti, o, quando occupati, si lascia la bicicletta in fila, senza tema che venga rubata, danneggiata o altro. Mi è sembrato un sogno.

Altro vantaggio del turismo su due ruote: si evita la psicofollia delle foto, si pedala e si guarda, si assimila il paesaggio e si apprezza senza distrarsi, senza il bisogno imperante di condividere sui social, si sta, si vive, si gode del momento, si pedala. Evviva.

Copenhagen sembra costruita a dimensione uomo, non è una città che cannibalizza, ma piuttosto accompagna. Ci si può fermare nei caffè, ci sono tantissimi luoghi in cui concedersi uno spuntino, spazi esterni da vivere, certo solo nei mesi caldi, altrimenti ogni luogo pubblico offre, comunque, la possibilità di una sosta.

Sono stata rapita dalla fusione architettonica di antico e moderno, dove il design dalle linee essenziali, dialoga e si armonizza al contesto urbano precedente. Il “diamante nero” merita una visita, non fosse altro per apprezzare l’affaccio sul canale della struttura e il suo legame con l’antica biblioteca reale.

A Copenhagen il verde dei parchi cittadini non manca, così come si percepisce che la media della popolazione è molto giovane.

La sensazione che ho avuta è che al nord dell’Europa certi stilemi sociali non trovino casa: la sera di San Valentino ho visto numerose compagnie di amiche cenare insieme e ridere di gusto, coppie in tutte le sfacettature e combinazioni possibili, godersi il romanticismo senza bisogno di nascondersi. Naturalezza, convivenza, comunità, convivialità sono concetti che si vivono, non solo parole.

L’ambiente e la sua cura sono un baluardo, non ho incontrato un solo bidone esplodere per l’immondizia, tutto si differenzia, in modo consapevole, come fosse naturale farlo. Lo stesso cestino della camera dell’hotel era diviso per tre tipi di raccolta. L’acqua da bere si trova spesso nel tetrapack per evitare la produzione di plastica.

Se si parla di danesi non si può prescindere da almeno tre delle loro fissazioni: le candele, la luce, le sedie che confluiscono tutte in quella dimensione dell’anima che si chiama “Hygge” (una sorta di “Cozy” inglese).

Gli spazi, e la cosa mi ha colpito molto, sono arredati spesso con giochi di sedie, poltroncine e divani, diversi per forma e design, tutti incredibilmente confortevoli. Non per nulla alcune delle più iconiche sedie del design mondiale, vedono la luce dalle mani di sapienti maestri danesi. Il legno spadroneggia negli arredi quasi ovunque.

I popoli nordici, complice il lungo inverno, le poche ore di luce, il freddo, vivono la sacralità del luogo, della compagnia, dell’ambiente, della famiglia. Ecco che ricreano le condizioni ideali dove stare, come starci e con chi.

Se non si raggiunge almeno il metro e settanta cinque di altezza ci si sente un vero tappo di bottiglia, sono una popolazione alta, alta, alta e tanto, tanto, tanto bella. Le sfumature di biondo dei loro capelli, gli occhi in tutte le gradazioni del blu, dell’azzurro con tocchi di verdi.

Il mio personale momento di gloria l’ho vissuto quando il receptionist danese mi ha chiesto se fossi svedese (a me!!!!), ridendo ho risposto “100 % italiana e poi sono troppo corta per essere una svedese”, lui ha insistito affermando con convinzione che la mia faccia ha i lineamenti svedesi, in quanto all’altezza ci sono svedesi piccole. Da questa affermazione mi sono cuccata il bell’appellativo “La svedese nana” che mi ha accompagnato per tutta la vacanza.

Sarà che fanno molto sport, oltre che andare in bicicletta, ma ho faticato a vedere persone che non fossero in perfetta forma fisica. Pochi, pochissimi abitanti per così dire in sovrappeso, deduco quindi che il freddo faccia bene perché in quanto a condimenti grassi e burrosi, formaggi e carne, colà siamo nel paradiso delle iper calorie.

A me l’aringa marinata comunque resta indigesta.

Passeggiando per strada con la faccia da turista, il volto paonazzo per il vento gelido e l’espressione felice (quante volte ho pensato “meno male che sono triestina e la bora mi ha abituato a questo freddo), ho ricevuto in regalo sorrisi dalle persone che incrociavo che mi pareva un miracolo.

I danesi sorridono. Non li ho visti musoni, nevrastenici, se c’è da aspettare si mettono in fila tranquillamente, non si agitano. Incredibile.

In Danimarca di Covid manco l’ombra. Nel senso che se c’è, e pure da loro c’è, è una delle malattie di cui non si fa battage ovunque come da noi. Nessun green pass, massima libertà e… che bello!

Ho avuto la sensazione che le donne danesi siano molto indipendenti, libere e in questo ho percepito quella gaiezza delle mie donne triestine. Non sono riuscita a fare la foto di un equipaggio di canottiere almeno sessantenni, una mattina gelida, con la barca d’appoggio in cui c’era una loro nipotina che le seguiva felice. La bellezza di queste gagliardissime signore, non ho potuto non salutarle, incitarle, mi hanno sorriso e salutato a loro volta.

Voglio trascorrere la mia pensione qui, tra i meravigliosi popoli vichinghi, anche se le birra non mi piace e il freddo lo sento eccome, a differenza loro, ma… mi è stato fatto notare “Chi ti mantiene a te?” e il mio sogno si è dissolto come un fiocco di neve sull’asfalto…

SE PREVEDETE UN VIAGGIO, ECCO LA MIA LISTA:

  • per la prima volta la Lonley Planet mi ha tradita: comprate una guida scritta post 2021, il covid ha tristemente cambiato molte cose (negozi spariti, siti chiusi ecc ecc)
  • non fate bancomat all’arrivo che non serve, si paga tutto con la carta, in alcuni luoghi il contante non è accettato
  • non si visita la Danimarca se non si va in bicicletta
  • la voce cibo influisce pesantemente sulle spese di viaggio, per noi molto molto costoso. Però a Copenhagen si può mangiare davvero bene, è una città particolarmente “stellata”. La ristorazione italiana molto presente.
  • concedetevi il tempo della sosta per apprezzare ciò che vi circonda e, perché no, chiacchierare con i locali. In una parola fate Hygge pure voi
  • ho assaggiato un cidro spettacolare, a 4,5% che mi è andato in testa immediatamente (sono completamente astemia) aveva un sapore buonissimo
  • fatevi consigliare sui dolci danesi che alcuni meritano, per me la scoperta il brunsviger.

Una volta desideravo visitare i paesi caldi, crescendo il nord sta rubando attenzione ed interesse. Adesso capisco il perché.

Pimpra

CARTOLINA DALLA SICILIA

E’ stato amore a prima vista o, meglio, a prima sensazione. La Sicilia è entrata come se fosse stata sempre lì.

E’ una terra forte, tosta, con una grandissima personalità, per molti, ma non per tutti, proprio come piace a me.

Difficile scegliere quali sono stati gli aspetti più emozionanti dell’esperienza e raccontarli, poiché arrivare sull’isola, coinvolge, immediatamente, tutti i sensi.

La naturale e raccolta bellezza delle Egadi, da cui il mio viaggio è iniziato, in quella piccola e accogliente Marettimo che, da subito, ha offerto il meglio di sé in termini di clima, natura, ospitalità e, ovviamente, ottimo cibo.

I miei occhi sono abituati a mare e cielo di una città costiera, però, vi assicuro, il blu straordinario del Tirreno riflesso dal cielo è un colore pantone tutto suo.

Marettimo vibra di natura. Dal mare al trekking si può scegliere di dedicarsi ad attività all’aria aperta. Aria, che meraviglia, l’isola ne è sempre lambita. Per me che sono triestina, come un segno di riconoscimento di una terra, in qualche modo, affine. Senso di casa. La casa delle vacanze.

Con i barcarloli ci si accorda per circumnavigare l’isola, vale la pena, grotte ed insenature naturali sono puro godimento. I sub ci vanno a nozze. Non serve affannarsi a prenotare, ci si presenta al molo vecchio e qualcuno disposto a portarti, si trova sempre.

Le parole magiche sono: relax, stai sereno non c’è problema.

Il cibo merita una menzione speciale.

***

I MIEI INDIRIZZI:

La colazione al “Caffè Tramontana“, è un must: panorama vista mare, cornetti alla crema di pistacchio, ottime granite e il cocktail analcolico alla frutta. Da provare.

I pranzi serali che più mi hanno conquistato quelli del ristorante “Al carrubo” cucina semplice ma saporita, porzioni adeguate e prezzi modici.

L’aperitivo dei più giovani, musica compresa, si fa al bar “La scaletta” si cena pure, anche se io non l’ho fatto ma me ne hanno parlato bene.

***

La Sicilia calda che vibra forte di terra, di quella energia della Madre, l’ho incontrata a Palermo.

Una città che ho sentito accogliente e mai mi ha dato segno di essere violenta o pericolosa. I cittadini la amano di un amore grande e sofferto, in cui le piaghe di un passato sempre presente, hanno lasciato profonda impronta di sé. Il cambiamento però, si percepisce, sale agli occhi parlando con le persone che, fiere della loro terra natia, la vogliono difendere e preservare da certi vecchi modi, da vecchie abitudini.

Palermo è una città giovane e volonterosa, offre, agli occhi dello spettatore, scenari architettonici di rara bellezza. Ho amato infinitamente passeggiare nel centro storico, godere del mix di stili che hanno scritto la storia della città, della sua gente.

Grazie a Manifesta 2018 ho potuto visitare palazzi che, in taluni casi, di norma sono chiusi al pubblico,  godendo di mostre d’arte contemporanea che – sovente-  raccontavano di come si è arrivati al melting pot attuale della città.

Palermo è città dell’inclusione. Tutto lo esprime, dai negozi ai mercati, alle coppie miste che si tengono la mano per strada. Non ho mai percepito ostilità e chiusura nei palermitani, forse perché abituati da sempre ad essere una garza che filtrava e tratteneva a sé le popolazioni in arrivo dal mare.

Palermo mi ha abbracciata, facendomi sentire a casa. Indimenticabile la serata trascorsa sul terrazzo di un attico, nel pieno centro della città, invito inaspettato di una amica palermitana che ha aperto l’uscio di casa sua a una tribù di tangueros della penisola. Aprire casa, accogliere, il culto dell’ospitalità, sono temi e sfumature tipicamente italiane, specie al Sud. Cuori caldi, accoglienti con il piacere dello scambio del sorriso regalato dal bottegaio del mercato che, visto che sei “straniera” (per la cronaca stavolta mi hanno dato della tedesca) ti regalano i loro prodotti che così ti porti un po’ del sapore della loro terra anche a casa tua.

Per conquistarmi non ci vuole molto, sono una sentimentale, ma posso dire di avere viaggiato e di saper riconoscere la sfumatura che rende un paese più ospitale di un altro. La Sicilia lo è senza dubbio alcuno e ti scrive dentro.

La Sicilia lascia i suoi colori, il rosso dei suoi pomodori che potrebbe diventare “pantone pomodoro di Sicilia” tanto è bello, la Sicilia lascia i suoi sapori forti, intensi, letali perché, una volta a casa, non te ne liberi più e li cerchi ancora.

Sono a casa, nella mia piccola Trieste, eppure, ancora, ogni giorno la mente torna lì, a un amore grande che vive troppo lontano.

I MIEI INDIRIZZI:

Ho dormito al B&B Stupor Mundi, Danilo e Carmen offrono un soggiorno che non si dimentica. Le camere sono tutte diverse ma è durante la colazione che si vive una bellissima esperienza sensoriale.

La granita più buona da Costa, molto bello anche il locale. Buona anche da Cannoli & Co.

Ottimo il gelato di Gelateria Ilardo, però a Palermo sono proprio bravissimi con il gelato.

Cibo fritto da U Vastiddaru  . E in mille altri posti per strada.

Innamorata del Palazzo Forcella de Seta .

Piaciutissimo il mercato del Capo.

Emozionante la chiesa di Santa Maria dello Spasimo.

Pimpra

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ESITI BOLOGNESI

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Voi mi direte “Ma che c’importa a noi di quello che ha fatto la Pimpra a Bologna!”

Vero, parole sante, allora perchè state leggendo? Sorrido, anzi sorridiamo insieme. Ho il maledetto vizietto dell’articolo di cronaca, come se la mia vita fosse interessante e voi aveste il piacere di scoprirla.

Non è così, ma facciamo finta…

Il bello del lavoro che faccio è che, di tanto in tanto, mi permette di mettere  il naso fuori dalla gabbietta. Vedo e vado in città diverse, anche, se, nel corso degli anni, alcuni appuntamenti sono diventati consuetudini ed ecco vedermi tornare negli stessi luoghi, nelle stesse città.

Una di queste è Bologna, insieme a Lucca, Milano e Torino.

Ogni anno trovo una città diversa, non sempre migliore, ma sicuramente interessante, da scoprire e riscoprire.

La trasferta recente ha regalato particolari piaceri per il palato, consumati in osterie tipiche, suggeritemi da abitanti del luogo.

Ho scoperto poi che, se si vuole fare un po’ di shopping, sicuramente Bologna offre molto e a prezzi più contenuti. In particolare, si acquistano meglio che in Toscana, i capi in pelle. Ma proprio gli stessi, uguali uguali…

La gente per strada è sempre più espressione del melting pot globale e non è affatto raro sentire parlare, con stretto accento bolognese, numerose etnie extra comunitarie.

E’ una città giovane, ma che dico, giovanissima. Sorridente e ciarliera. Le donne sono belle, femminili e arrotondate, hanno volti solari e si muovono con grande agilità in biciletta. A Bologna ho visto pochi scooter.

Adoro i portici che proteggono dalle intemperie, sono riparo alla pioggia e invito a scambiare due parole in compagnia.

Dietro a Piazza Grande è tutto un fiorire di deliziosi localini dove prendere l’aperitivo accompagnato da stuzzichini locali a base di salumi, formaggi e focacce. Nessuno, e dico nessuno degli abitanti, si preoccupa del proprio livello di colesterolo LDL (quello cattivo, per intenderci!)

A Bologna piace mangiare, non ne fa mistero. La media della popolazione è più in carne rispetto all’estremo nord est.

Non credo che gli abitanti siano particolarmente presi dal fuoco sacro dello sport, mi sembrano troppo rilassati e paciosi per essere divorati dal demone della performance agonistica.

Bologna non puzza affatto  di smog e questo pare molto positivo. La nebbia, ho avuto la fortuna di non incontrarla mai, sono donna di bora e di vento e quella cappa lattiginosa davanti agli occhi mi crea senso di oppressione.

Ci voglio tornare ancora, perchè amo il particolare accento arrotondato che mi mette di buonumore.

E poi, voglio gustarmi tutti i profumi e i sapori della terra d’Emilia, nascosti nel sontuoso bouquet di un Sangiovese superiore.

Pimpra (l’epicurea)

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METTI UNA SERA A CENA

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Una delle situazioni che preferisco, incredibilmente, è andare a cena da sola, in una città che non conosco. Fino a qualche anno fa, la cosa mi creava un disagio pazzesco, un imbarazzo isopportabile come se, una donna da sola in un ristorante, fosse l’emblema della sfigata, di una paria della società.

Semplicemente ero troppo giovane e timida. Gli sguardi su di me mi mettevano a disagio. Ora non più.

Dall’aperitivo consumato in centro a Bologna, nel Mercato di Mezzo, iniziano le mie esperienze serali, momenti piacevoli, da ricordare. Una signora tedesca si è seduta al tavolo con me, regalandomi una deliziosa conversazione.  A cena, poi, una festa.

Direttamente dalla fedele Moleskina, così come le parole sono scese su carta, ieri sera, al ristorante.

” Il cameriere carino, con gli occhi belli da cerbiatto, non si capacita che una donna possa cenare da sola e sentirsi terribilmente a suo agio.

L’avventore, fotocopia di un giovane Tom Hanks, a sua volta, ogni tanto mi occhieggia.

A Bologna, in trattoria, tutti camerieri del profondo sud, la cosa mi fa sorridere.

La giovane, bella e ricca signora combatte l’imbarazzo di cenare da sola, restando incollata al cellulare, non ordina, forse il cibo non le interessa particolarmente, oppure deve restare magra. I diamanti che indossa, in compenso, sbrilluccicano intensamente ad ogni movimento che fa.

Un gruppo di quattro signore, sono colleghe, sono insegnanti. I discorsi, gli atteggiamenti, sono come un’etichetta. Professoresse e di quelle nemmeno troppo simpatiche. Non smettono mai di parlare.

Perchè la signorina Rottermayer non si fa la tinta? I capelli grigi stanno bene sui volti di donne sorridenti, su di lei conferiscono un’ulteriore patina di tristezza. Fa governante depressa.

Una coppia di tedeschi seduti vicino a me di mezza età. Lei fa finta di mangiare la pizza, forse per lo stucchevole profumo che indossa. Perchè una donna si profuma di caramella?

Di fronte, un signore inglese con una strepitosa t-shirt a righe che fa marinario, Jean Paul Gauthier, icona gay e il suo modo unico di masticare, lento e controllato. Lo osservo di sottecchi, forse ha avuto un ictus, si muove con difficoltà. Fa una foto alle tagliatelle con il ragù.

Il giovane Tom Hanks se ne va, è evidentemente alticcio, il volto paonazzo. Ha cenato con un uomo, si scambiavano molti sguardi densi.

La bella signora ricca non la finisce di giocare con il cellulare. E non ha ancora ordinato.

Il cameriere carino non smette di chiedermi se va tutto bene e quando rispondo di sì, sorridendo, diventa rosso.

Le signorine Rottermayer continuano a ciarlare senza prendere fiato. Ma sono abituate. Rubo micro segmenti della loro conversazione e, confermo, tutta la noia che traspare dai loro capelli trasandati.

La bella giovane finalmente mangia, cocktail di scampi, nulla più. Non beve vino o prosecco, solo acqua senza bolle. Ha dovuto staccarsi dal cellulare e sembra un neonato privato della tetta. E’ a disagio, mangia in fretta, senza dimenticare che gli scampi vanno messi in bocca con una certa grazia, però esagera e sembra stia facendo una fellatio alimentare. Mi sta simpatica, la trovo divertente. E’ in totale imbarazzo, si vede che non è abituata a stare da sola.

Appena finito, si alza e va  pagare il conto alla cassa, non vuole trascorrere un minuto in più nell’osteria.  Uscendo, rimette mano al cellulare, riprende a suggere la sua virtuale tetta e i tratti del viso si rilassano. Sorride.

Anche la coppia va via, i due avranno scambiato sì e no due parole in tutta la serata. Se il matrimonio è questo, evviva la libertà.

Chiedo il conto pure io, il  giovane cameriere dagli occhi di cerbiatto mi saluta arrossendo ancora, gli sorrido e percepisco tutto il potere seduttivo di una milf.***

Invecchiare non è poi così brutto.”

Pimpra

** Mi suggeriscono che la corretta definizione per la sottoscritta sia quella di cougar… 🙂

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