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Come tradizione vuole ecco sfornato il post sui buoni propositi per l’anno che verrà.
Stavolta, strano a dirsi, mi vien giù facile: “continua così” auguro a me stessa.
Al di là delle ovvietà che non sono neanche più annoverabili nei “buoni propositi” come mettermi a dieta, condurre uno stile di vita sano, fare sport (…) credo varrà la pena di provare a realizzare un sogno nel cassetto, uno di quelli che ti sei sempre detto “Tu non puoi, figurati se ce la fai”.
Se la vita è fatta di cicli è bene capire a che punto siamo e… assecondare il cambiamento in atto.
Sono sempre più convinta che sia “cambiamento” la chiave di volta che sostiene, sorregge e dinamizza le nostre esistenze.
A ben guardare dalla Natura in poi ogni cosa cambia, muta e diviene.
Se lo facciamo anche noi, consapevolmente, assecondando le situazioni difficili non opponendo resistenza ma flessibilità, se seguiamo la corrente della nostra vita con pienezza, sono certa che si compie il miracolo: siamo vivi e vibranti, circondati di cose belle e buone per noi.
Alzo quindi il mio calice per brindare al nuovo, a ciò che non conosco, al colore che devo ancora scoprire, all’emozione che avevo dimenticato.
Brindo a voi, Amici miei, che mi riempite la vita di affetto e vi prendete il pacco dono senza sconti.
Brindo all’allegria dell’intelligenza, alle passioni brucianti, al giorno che devo ancora vivere.
Brindo a noi due, alle Gattonzole adorate e a me.
Che sia un anno di quelli proprio belli, da ricordare, per tutti!
Mai come quest’anno il profumo di zucchero filato che le festività mi evocano alle narici è lontano.
Nessun richiamo, in questo senso, nessun dolce ricordo ma nemmeno triste o doloroso. Ciò che di bello è stato vive nel dorato libro della memoria e nessuno mai potrà cancellarlo.
Questo carrozzone imposto a chi non è permeato di fede religiosa per cui il momento è di topica importanza, diviene, con il passare del tempo, sempre più una grandiosa farsa.
Fino a pochi mesi fa nella mia famiglia era l’ultima tradizione che reggeva, la cena di veglione. Da quest’anno, l’ultimo baluardo è caduto. Al momento ci sono rimasta male, poi, ho pensato che è meglio la libertà di tutti di fare ciò che desiderano.
Però, festeggiamenti a parte, è bello soffermarsi a pensare che cosa è stato l’anno quasi concluso.
Lo ricorderò come una pietra miliare del mio cammino, sicuramente. Non fosse banale, meriterebbe di essere fissato con un tatuaggio della Fenice, ma, lo ripeto, è troppo banale. Il significato però resta quello.
Dal buio esistenziale dei primi – lunghissimi- mesi, all’alba e alla luce degli ultimi.
E’ questo che festeggerò. La rinascita.
Festeggerò che invecchiare diventando più consapevoli è bello, anche se il corpo non torna indietro e si sobbarca il peso del tempo. L’Anima no, lei resta nella sua dimensione senza tempo.
Alzo il mio calice simbolico a me, alle prove che ho superato, al coraggio che ho dimostrato a me stessa di voler mettere il naso in certe mie stanze buie, alla paura che ho superato, all’allegria che è tornata, alla gioia che sempre mi ha contraddistinto.
Il 2018 mi ha insegnato che non è egoismo prendersi cura di se stessi. Non lo è affatto.
Non è sbagliato dichiarare con onestà chi si è e come, senza voler modificare il prodotto per renderlo più piacevole al mercato della relazione umana. Sticazzi.
Così mi ritrovo e, dopo tanto, sorrido finalmente a quella faccia strana che mi accompagna da sempre, al mio naso poco aristocratico, alle rughe più profonde intorno agli occhi.
L’epifania è compiuta.
Come un videogioco, si passa allo schema successivo: le porte si aprono, perché il cuore le ha aperte. Ed ecco che l’Amicizia regala il meglio di sé, l’Amore che chiede non è più necessario perché ha imparato che la fonte non viene dall’esterno ma da noi stessi.
A tutti coloro che passeranno per di qua mando un Abbraccio Universale di quella condivisione di Armonia che tanto mi è cara.
Spero che Babbo natale o chi per lui vi regali quella scintilla d’amore per voi stessi che, troppo di sovente, crediamo di non avere o di avere perduto.
Che bella sensazione la sveglia di oggi, per la verità agita dalle amate Gattonzole poiché, quella vera, il mio orecchio l’ha bypassata alla grande.
Assonnata, ricoperta da fusa gorgheggianti e strusciate sulle gambe, ho iniziato la mia giornata stanca ma lieve. In una parola: felice.
Ieri sera, per la prima volta, insieme al mio compagno, abbiamo tenuto un laboratorio di tango. Non si tratta di una lezione, perché non siamo insegnanti e ci guardiamo bene dall’immaginarci tali, è stato semplicemente una condivisione di esperienze con altri tangueros.
Ripenso ai miei esordi, a quando, all’epoca dei primi passi, avrei dato non so che cosa per avere più informazioni che mi aiutassero nello studio.
C’è molta differenza tra una lezione e un “laboratorio”. Nel primo caso si lavora su strutture, si costruiscono le basi, si impara la grammatica.
Nel secondo, si ascoltano le esperienze di ballerini, di come hanno affrontato il loro percorso, di come hanno superato gli ostacoli del “cammino di Santiago tanguero” (mi si passi questa similitudine).
Chi ci è già passato, secondo me, può davvero dare una mano a chi è all’inizio del percorso. Rispondere a domande e a dubbi che tutti attraversano, condividere le strategie adottate per risolvere criticità.
Di sicuro, nel tango, non vi è una Verità Assoluta, credo però fermamente, che le esperienze di altri, possano dare ispirazione e motivare la ricerca di ognuno.
Oggi mi porto dentro l’energia che ho ricevuto dalla classe, le domande che hanno fatto, la curiosità e l’attenzione che ci hanno dedicato.
Mi sento più ricca, come ballerina e come essere umano.
Nel mio mondo ideale dovrebbe esistere sempre il piacere dello scambio. Non perdo nulla se ti dono ciò che ho imparato, anzi.
Saper raccontare il proprio percorso, riuscire a far provare nel corpo di chi ti ascolta ciò che cerchi di definire, è un esercizio grandissimo.
Spiegare significa avere in sé totale consapevolezza. Significa lavorare sul proprio movimento per renderlo chiaro a chi deve capirlo. Quindi un esercizio a due vie: per chi espone e per chi ascolta.
Ringrazio gli amici Maestri che ci hanno coinvolto in questa esperienza e tutti coloro che, con fiducia e curiosità, hanno partecipato.
Il grazie più grande al mio amatissimo Tango che colora di sfumature sempre nuove la mia vita.
Ci penso da un po’, ascoltando il chiacchiericcio degli amici, i commenti su questa o quella coppia di ballerini professionisti, sulle coppie che si vedono in pista, su chi balla come/cosa/perché.
In una parola, mi sono persa pure io dentro una tipica “sega mentale tanguera”. La mia si sofferma su “L’estetica del tango”.
Rivolgo la riflessione al popolo del tango, ovvero a quelli che non ne hanno fatto, a nessun titolo, mestiere.
Mi chiedevo quindi, cosa mi piace dell’estetica di questo ballo e cosa cerco io.
Iniziamo con il definire “estetica” facendosi aiutare dalla Treccani dove si legge che si tratta di: “(…) Letteralmente, dottrina della conoscenza sensibile (sign. che il termine ha ancora in E. Kant: E. trascendentale). (…) la dottrina del bello, naturale o artistico, e quindi l’esperienza del bello, della produzione e dei prodotti dell’arte. (…) la parola è passata anche nel linguaggio comune per indicare l’aspetto e i caratteri soprattutto esterni di oggetti, prodotti, operazioni suscettibili di essere considerati esteticamente. (…)”
Prendiamo la parte in cui si fa riferimento a “la teoria del bello”. Ora, senza perdermi nei meandri di una riflessione filosofica più grande di me, mi limito a calare questo concetto sul movimento del tango.
Ne ho visti tantissimi esibirsi, insegnare, o semplicemente ballare. Dopo tanti anni di amore mai messo in discussione per questo meraviglioso mondo espressivo, finalmente, sono giunta alla mia conclusione.
Nel rispetto totale, assoluto, dei gusti personali e della ricerca stilistica di ognuno, il tango che esteticamente mi piace è quello ballato da persone (così li comprendo tutti, dai professionisti ai semplici amatori) che “non fanno il compitino”.
Mi spiego meglio.
Ce ne sono a bizzeffe di strabravi, che studiano, che hanno una tecnica sopraffina ma che, quando li guardi, ti accorgi che stanno eseguendo – perfettamente, a volte- ma non stanno ballando.
Un po’ come la differenza che passa tra “vivere ed esistere” (cit.).
Ho notato che, più aumenta consapevolezza, studio e tecnica, più il tanguero/a rischiano di perdersi il loro DNA. Più diventano bravi/e, più diventano le copie (a volte pure migliori) del modello da cui hanno tratto ispirazione.
Quando li vedo, eseguire e non ballare, sono presa da una noia incontenibile, quando non direttamente dal fastidio di vedere un tango “made in Taiwan” spacciato per un originale “made in Italy”, non so se mi spiego.
La sensazione che mi arriva è che il “tango fotocopia” o il “tango imitazione” stia prendendo sempre più piede.
Forse la ragione sta nel fatto che, come molti fenomeni moderni, anche il tango è stato fagocitato nell’universo delle “mode” e, come tale, si comporta.
Va di moda l’abbraccio chiuso, anche se la tua indole ti vorrebbe più giocoso/dinamico/”nuevista”*? rinunci alla tua natura, quindi all’espressione più vera, reale, ruspante di te stesso per uniformarti alla corrente, alla vague.
NON MI AVRETE.
Mi rispondete in coro: “ma chi ti vuole a te?”. Giusto. Però, riflettiamoci perché, secondo me, da qualche parte ci perdiamo, rischiamo di scolorare le nostre sfumature espressive, di perdere la nostra Anima danzante, in nome di una moda che arriva sempre da “altro da noi”.
Allora, sai che c’è? Mi rubano lo sguardo quelli “sporchi” che magari capisci che gli mancano chilometri nelle gambe, ma che hanno il cuore sotto le suole delle scarpe e dentro il loro abbraccio, quale che sia.
“Sporco” inteso non come il tanguero ignorante, perché la grammatica della lingua espressiva bisogna conoscerla per emettere il proprio tango. Sporco perché tuo, elaborato, macinato, goduto e sofferto, non perché cerchi di scimmiottare qualcun altro.
Non piacerai a tutti? E CHI SE NE FREGA.
Adesso, tiratemi pure i pomodori. Olè.
Pimpra
nuevista”*= definizione impropria ma efficace per rappresentare dinamiche in abbraccio aperto.
Non ruberete più la mia allegria, gli occhi puliti sul mondo, la gioia, la felicità di essere viva e di respirare.
Non mi avrete.
Osservo dal basso questo palazzo che incombe sulla mia testa, così scuro nella grigia luce autunnale.
Non mi avrete.
Quest’anno tanto difficile è stato una palestra tosta ma dai grandi risultati.
Un tempo, situazioni come quelle che sto vivendo, mi avrebbero proiettato in un tunnel senza fine di depressione, di frustrazione. Sentimenti che mi avrebbero spinto dentro comportamenti poco sani, quando non direttamente distruttivi.
Invece no. Oggi affermo: non mi avrete.
Il cielo, anche se plumbeo, offre comunque una possibilità di respirare dentro l’infinito, di uscire dall’oppressione grave di muri che sono più limiti dell’essere che del corpo.
Non mi avrete.
Oramai ho imparato a convivere con il disagio. Se non oppongo resistenza, dopo poco mi abbandona. Sopporto il fastidio perché pure lui passa. Tutto relativamente veloce, basta spostare la mente.
Non mi avrete.
Un sorriso da Gioconda e sono libera. Molto più forte. Adesso ci sono io.
Non mi avrete.
Oggi è una luminosissima grigia giornata di novembre. Quanto è bella questa nuova prospettiva. Tu chiamala Resilienza.
Sarà capitato a tutti voi di avere un museo o un’attrazione turistica nella vostra città e non averla mai visitata. Ecco io sono tra questi.
Lo stesso, devo dire, mi è accaduto con l’amato tango. Per troppi anni ho bypassato un Festival di tutto rispetto a un’ora di viaggio da casa. Errore madornale.
Il Festival di Lubiana è giunto oramai alla sua 13° edizione, raggiungendo una qualità nell’offerta studio e nella parte ludica delle milonghe davvero alte.
Mi ci hanno portato due amici, ieri pomeriggio, costringendomi ad abbandonare la sana mestizia domenicale novembrina, copertina e gatte, facendomi indossare le amate scarpette.
GRAZIE Amici.
Direi la pomeridiana perfetta.
Arrivi in una sala meravigliosa che ti accoglie dentro una volta stellata che ti emoziona immediatamente. Saranno le stelle, il pavimento di legno, l’atmosfera che vibra di buono e, immediatamente, il buon umore sale al volto, contagia il corpo e sorridi.
Se un tanguero/a sorride con l’anima, il suo tango non può che essere felicemente contagioso e, di coppia in coppia, cresce spontanea quella vibrazione buona che si espande, la musica, di suo, la raccoglie e ci gioca.
Ho ballato dalla prima all’ultima tanda, senza fare fatica, senza dover mettere in gioco astuzie da giaguara, è stato tutto semplice, naturale. Per me e per gli altri.
Mi chiedo sempre quale sia la profonda magia, quel particolare mistero del tango che fa sì che, dentro un abbraccio, le cose fluiscano semplici e pulite.
Oggi credo si tratti di “affinità energetiche”, di quel livello di “vibrazione” che ogni essere umano ha e che porta dentro il suo abbraccio, dentro il suo tango. Per vibrare, come le corde di uno strumento musicale, anche il contenitore che ci ospita, il luogo fisico, hanno molta importanza.
Allora, prendiamo nota, l’anno prossimo, un fine settimana di novembre, potrà regalarci meravigliosi abbracci sotto il cielo stellato del Festivalna Dvorana.
Un grande plauso a Jania e a Primoš per il grandissimo lavoro.
Osservo quanto accade nel mondo tanguero, notando un fenomeno che sta crescendo sempre di più: l’esclusione sociale di quanto è ritenuto “diverso”.
Il tango argentino sta, ahimè, perdendo sempre di più quella connotazione “sociale” che lo deve contraddistinguere, proiettandosi in una dimensione di “esclusività” legata a gruppi coesi e socialmente bene identificati.
Ricordo ai tempi maledetti dell’adolescenza, la separazione a camere stagne dei gruppi giovanili che identificavano i propri status in vessilli musicali, piuttosto che estetici o altro.
Tristemente anche il tango del mio cuore, si sta muovendo in questa direzione: dividere invece che unire, separare invece di mixare.
Provo un dolore immenso.
L’abbraccio che è sempre trasversale ai credo di ognuno, sta diventando un altro muro tra me e te.
Nella scelta dell’amalgama sociale, che amalgama non è più, contano elementi che non dovrebbero mai entrare nella dimensione tanguera: la politica, il giudizio stilistico, il prestigio sociale (vero o presunto).
Quando ero una giovane donna, per natura e per istinto (adesso mi dico “felino”) ho sempre sentito forte la spinta alla libertà, quel sentimento profondo che mi connetteva a me stessa, alla mia assoluta unicità nel mondo e che mi ha sempre regalato gioia, curiosità e apertura verso l’altro essere umano.
Come ballerina di tango, posso dire la stessa cosa: aborro l’omologazione in stili/gruppi/mode/status, voglio mantenere sempre aperto il mio sguardo sul mondo, il mio abbraccio sul mondo affinché possa essere sempre inclusivo e non esclusivo.
Voglio difendere la curiosità di scoprire le differenze tra il mio modo di ballare e il tuo modo, voglio che ciò che è altro da me possa trovare una strada per parlarmi, per connettersi per raccontarmi la sua storia.
Voglio fare parte di un mondo che si incontra grazie a una musica celestiale e che vive le emozioni che ne scaturiscono attraverso l’abbraccio che unisce due corpi.
Quando ballo voglio solo la gioia. Quando vado in milonga, a un festival, a un evento, a una maratona cerco emozioni belle, scambio, sorrisi aperti, voglio sentirmi a mio agio, serena nella mia differenza, felice di cogliere tutti gli stimoli che mi verranno proposti, specie se appartenenti a un mondo che non è il mio.
Ci pensavo e mi chiedevo, con tutta l’offerta di gozzoviglio tanguero, per tutti i gusti e per tutte le tasche, perché – invece di esplorare il mondo – torno sempre negli amati luoghi?
Amarcord è una tappa annuale di quelle che non voglio perdere. Anzi che non posso perdere. Annovero questa maratona tra quelle in cui mi sollazzo maggiormente, sia in termini di socialità, sia in termini di abbracci scambiati, di sorrisi dati e ricevuti e di piacevolezze da mettere sotto i denti.
Perché mai dovrei cambiare?
C’è una magia tutta speciale a Bologna, come l’aceto balsamico sul pezzettone di Parmigiano Reggiano, come il tortellino nel brodo, per dire. Un abbraccio largo, inclusivo e sorridente che è poi quello che cerco nel mio girovagare tanguero.
Mi piace che, quando ti rivedi o ti vedi per la prima volta, permanga quella gioia allegra di condividere tango e non solo.
Amarcord garantisce questa atmosfera, questo mood particolare che lambisce di sé tutti i partecipanti.
Mi vien voglia di dire che si tratta di una maratona “adulta” perché sa bene quale è la sensazione che vuole dare, sa esattamente quale è il colore emotivo che cerca e, di anno in anno, tutto questo cresce, si espande e noialtri fortunati tangueros ne godiamo a piene mani.
Oggi è lunedì, c’è lo scirocco, fa troppo caldo per essere quasi novembre eppure, sorrido dal profondo.
Grazie Fabio e Antonella che ci mettete il cuore e avete reso possibile un’altra magia!
Cari Giaguaroni sono sicura che anche voi, quando affrontate una pista da ballo, vi fate prendere da qualche legittima psicopaturnia che, di norma, è affare di noialtre.
Amici cari, noi donne vi cantiamo in coro un bel WELCOME! 😀
Come abbiamo più volte avuto modo di dibattere, l’invito nel tango argentino segue regole di trascendenza. Ovvero: NON SI SA, PERCHÉ’ SI’, PERCHÉ’ UNA VOLTA SI’ UNA VOLTA NO, PERCHÉ’ NO.
Inutile addentrarci in un territorio ostile e assolutamente mobile come quello del libero arbitrio dell’umana gente. Non ne verremmo fuori con una soluzione una che possa regalarci benessere dello spirito. Per tale ragione, con il consueto pragmatismo che mi contraddistingue, vi spiffererò alcuni segreti.
COSA PIACE A NOI DONNE.
Cosa ci piace trovare in un ballerino, cosa, il più delle volte, fa pendere la nostra scelta verso quella mirada e non altrove.
Premetto che quanto scriverò è frutto di brainstorming femminile, di chiacchiere da spogliatoio, di bisbigli sussurrati a fior di labbra. Comunque rimane un canovaccio interessante su cui poter riflettere e… imbastire le dovute strategie di approccio.
Dividiamo il macrosistema in tre aree tematiche: il corpo, l’energia, ciò che si vede- la prima impressione.
L’essere umano in 7” decide se qualcosa o qualcuno gli va a genio sicché…
IL CORPO.
A dispetto di quanto si è sempre ritenuto, fuori da letto, se si balla il tango, la ballerina apprezza molto la gaia accoglienza di un ventre non scolpito da addominali. Che scritto da me sembra quasi una bestemmia, io che sono la sacerdotessa dell’addominale traverso, ma tant’è.
L’uomo panzuto è molto piaciuto in milonga. Sappiatelo miei prodi, accarezzatevi la panzotta e porgetela al meglio alla vostra dama. Che vuol dire siate accoglienti, morbidosi, un sofà su cui è tanto tanto piacevole sfiorare il corpo.
I palestrati, invece, quelli tutto muscoli e tutto nervi facciano attenzione che il loro abbraccio non si trasformi in una morsa letale, una presa a strozzo, dove il muscolo guizzante stringe invece che accarezzare. Fate attenzione.
Altezza è mezza bellezza. Di solito è così, ma la democrazia del tango predilige e privilegia le altezze medie. Il perché è presto detto: maggiore facilità nel dare/ricevere l’abbraccio, radicamento di solito più efficace. Quelli molto alti devono, per forza di cose, essere molto bravi per gestire ballerine tanto più piccine e lavorare su un asse che si sviluppa in molti cm di altezza. Il discorso vale se ballate nel bacino dell’Europa centro sud. Se Salite al nord, o vi spostate a est, il discorso inverte polarità, colà sono tutte/i molto (più) alti.
Evitate di invitare una donna se siete bagnati come il mocio vileda. Fate schifo così “ciumbi” di sudore, cambiatevi, profumatevi e ASCIUGATEVI SEMPRE LA FRONTE. A nessuna di noi piace fungere da grondaia della vostra traspirazione.
L’ENERGIA
Qui si apre un mondo. Per definizione, il tango è una disciplina in qualche modo assolutamente anarchica, nel senso che, nato come ballo popolare, continua a prendere vita e a trasformarsi a seconda della linfa trasmessa dai ballerini. L’energia del singolo e della coppia è fluida anch’essa e mobile come il tango.
In senso assoluto credo che la cosa che ci risulta più appetibile, interessante è avere sentore dell’energia che quel ballerino offre, come sua cifra stilistica. Ad alcune piace un’energia morbida, coccolosa e soave, altre prediligono la verve, la sfida allegra, energia più vivace. E’ sempre questione di gusti.
Da donna, mi permetto di esprimere un solo concetto: siate voi stessi, esprimete – in verità – ciò che siete, non scimmiottate altri, non modificate la vostra intima natura. La vostra estimatrice c’è, c’è sicuramente.
CIÒ CHE SI VEDE- LA PRIMA IMPRESSIONE
7”.
Sono decisamente pochi ma, se lo sapete, potete cercare di gestirli al meglio. Di più non aggiungo, ma “uomo avvisato, mezzo salvato”.
Ormai ho perso il conto, e ciò è bene, del numero di eventi ai quali ho partecipato.
Definisco evento: incontro con tangueros che dura un fine settimana, di solito, per me, dal venerdì alla domenica.
Di norma i miei eventi sono le maratone.
Ogni bravo globetrotter del tango organizza e schedula i suoi fine settimana con largo anticipo poiché, questa è la regola, ci si iscrive dapprima, si attende di essere “IN”, poi si procede all’organizzazione viaggio.
Schedulare gli impegni tangueri sta diventando complesso, nel senso che vi è un pullulare di eventi che riempiono, spesso con doppioni, i fine settimana dell’anno.
Scegliere, non è più facile.
Un tempo, fino a pochi anni fa, esistevano le pietre miliari a cui tutti ambivano partecipare. Se si entrava era una festa, perché si aveva modo di stare in pista con i migliori, i più esperti, quelli/e bravi/e assai.
Oggi, con l’offerta più che quadruplicata, capita raramente di vivere questa adrenalina in pista, poiché, se da un lato c’è molta più democrazia, e ciò fa bene al tango, dall’altro gli eventi vengono organizzati con spirito più che altro “commerciale” e questo, ahimè, non giova al nostro Tango.
Fortunatamente esistono e resistono delle pietre miliari, tra queste, mi sento senza dubbio di annoverare la maratona “La Colegiala”.
L’idea di base è assolutamente creativa: organizzare una maratona in una colonia estiva, di antica costruzione (anni ’30), ospitando i 350 partecipanti all’interno della struttura.
Avete presente quando mandate i vostri figli in colonia? Ecco, si alloggia in camere molto semplici, per non dire spartane, senza quei comfort viziati a cui siamo tanto avvezzi. Secondo me la magia sta lì: in questa sensazione di passato, di scuola d’altri tempi, di grembiuli, di lavagne e gessetti.
Adoro andarci, ogni anno è sempre una gioiosa festa. Sarà che, finalmente, conosco tutti, almeno di vista e, ovviamente, il rimando è quello di sentirsi a casa. Ma non è solo questo.
Conoscete la parola “qualità”? Ecco, Colegiala è e resta una maratona di qualità. Gli invitati, sempre di alto livello tanguero, la gioiosa e calorosa accoglienza di un team che diventa, di anno in anno, più internazionale per interfacciarsi al meglio con gli ospiti europei e non solo.
Questo mi piace e questo cerco nel mio girovagare tanguero, la qualità di un evento, la cura per gli ospiti, quelle piccole e grandi coccole che rallegrano lo spirito e fanno esclamare “Voglio ritornare l’anno prossimo!”.
Noi tangueros non siamo polli da spennare. Chi decide di organizzare un nuovo evento lo faccia con cognizione di causa e onestà intellettuale affinché la nostra agenda tanguera sia infarcita di eventi di qualità.
Segnate pure le date del prossimo anno, la “Colegiala” merita sicuramente di far parte del vostro carnet di eventi.
Grazie a tutto il dream team per un’altra edizione da ricordare! ❤
Pimpra
PS: sia chiaro che non scrivo per nessuno, nel senso che nessuno e lo sottolineo, mi conferisce alcun beneficio per le mie recensioni (sconti sulle iscrizioni agli eventi o altro giovamento).
Pertanto, per quel che valgono, sappiate che gli articoli sono solo espressione del mio libero sentire. 🙂
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