INVECCHIARE IN TEMPO DI SOCIAL

Ci penso da un po’ a come sta cambiando la vita di relazione, la socialità, il rapporto tra il singolo e il resto del mondo, a come si diventa grandi oggi, ma, soprattutto, a come si invecchia.

Cerco di non uscire dalla modernità, perché spero, in questo modo, di continuare a capire il mondo anche se, come tutti i “giovani attempati”, molto spesso, il richiamo al tempo passato, a come si stava meglio, arriva a fior di labbra.

Sono presente sui social, mi faccio grandi scorpacciate di foto, di storie. Ho desiderio di capire, di leggere cosa racconta la società dei giovani, di quello che sono stata anche io, qualche anno fa.

Per certi versi trovo la modernità di relazione assolutamente spaventosa. Noi tutti, in potenza, disponiamo di mezzi atti a disegnare delle finestre di realtà “verosimile”, ovvero costruita, immaginata, creata ad arte su quanto noi vorremmo essere. C’è sempre una base di verità, poiché, lo esprime perfettamente il termine stesso “verosimiglianza”, quella siamo noi. Poi c’è la creazione, l’immagine che vogliamo offrire a chi ci guarda.

Facendo un salto quantico alla mia adolescenza degli anni 80, credo si possa far partire da lì l’inizio del culto dell’immagine della persona a discapito della persona nel suo complesso. Ricordo i fenomeni dei paninari e di tutte le categorie di giovani che indossando la loro divisa, facevano parte del loro clan, esprimevano l’appartenenza a una classe sociale.

Ora come allora, l’ambizione anche inconscia, era quella di fare parte del ceto agiato, ovvero di coloro che potevano permettersi di “griffare” loro stessi con gli stilemi del benessere.

Già a quel tempo, benché avessi frequentato il liceo dei fighetti, oggi definibili radical chic, facevo parte di quella parte fluida e non precisamente identificata di giovani che non rientravano di preciso in nessuna delle giovanili classificazioni.

Sin da allora ho amato essere parte per me stessa, mi chiedo se per vero sentire o per necessità ma, tutto sommato, poco importa, fino a giungere, coerente a me stessa, alla mia età adulta.

La riflessione che mi si impone attualmente è come si invecchia in tempo di social, dal momento che, da quanto posso osservare, la “vecchiaia” è la peggio malattia, ha perso tutta l’aura di esperienza, di saggezza e di rispetto che ha rappresentato nei secoli.

Non esiste più la saggezza dei nonni, poche volte ci si riferisce a un Maestro anziano e saggio. L’immagine brucia l’essenza delle persone che, come un buon vino, invece, migliora con il tempo.

Faccio fatica a vivermi con leggera armonia questo passaggio di vita e ho pure un po’ di timore del contesto in cui mi trovo, dato che, come Natura prevede, il mio corpo esprime con onestà il mio percorso di vita, il tempo.

La mente torna ai giovani, a come se la vivono la loro età se, poco poco non rientrano nella categoria di quelli “fighi“, quelli che hanno un sacco di “follower“, quelli con il successo a pixel.

La gioventù è un bacino meraviglioso di potenzialità. Resto positiva e credo che i ragazzi sapranno trovare il loro senso, oltre i like.

Quanto a me, chi può dirlo, è la prima volta che invecchio!

Pimpra

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IL PONTE

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Ad ogni inzio anno ho l’abitudine di mettere ordine.

Lo faccio in ufficio liberando i cassetti dagli eventuali accumuli di carte che non servono più, in casa, negli armadi.

Una pulizia dell’inutile che manifesta la volontà di lasciare lo spazio per ciò che di nuovo deve arrivare.

In quest’ottica, ovviamente, sono archiviate anche le Moleskine care, mia memoria cartacea, poichè il mio cervello non ricorda, non trattiene, opera con troppo successo l’arte di deframmentare il disco rigido, fa talmente tanta pulizia che… dimentico intere tranches de vie che mi riguardano.

Errore. Non bisogna stare attaccati al passato, ma non bisogna dimenticarlo. Il passato segna l’esperienza che, se bene indirizzata, è matrice di apprendimento.

Perciò scrivo. Sempre. Da anni.

Le fidate copertine nere, rosse, gialle, bianche dei miei diari in formato tascabile, mi hanno messo dinnanzi a un’evidenza di cui avevo percezione, ma non visione dettagliata.

ESSERE PONTE.

Vita affettiva. Nel mio caso di specie, piuttosto incasinata, da sempre. Come dice il saggio fratello “Tu dovresti creare un puzzle del tuo uomo ideale, prendendo i pezzi di almeno 10 fidanzati che hai avuto”.

Beh… 10 non mi sembra neanche un’esagerazione! 😀

Ma il punto non è questo. Rileggendo il mio passato ho notato come più di una volta – molte volte oramai! – ho incontrato i grandi Amori della mia vita (in questo, almeno, sono stata fortunata!) in momenti in cui le loro vite erano in transito mentre stavano vivendo personali cambiamenti epocali.

La mia vicinanza è loro servita per fare il grande salto, per girare di una tacca la ruota della vita, per andare avanti in una strada nuova. Io c’ero, ero lì con loro nel momento più difficile, quello che precede il definitivo cambiamento, quello in cui tutto è caos, tutto è in divenire, tutto il processo sembra più spaventoso.

Dopodichè, a procedura avviata, la mia presenza non era più utile e, gli Amori perdevano linfa, colore, passione, interesse.

Il mio lavoro era concluso.

Rileggendo gli appunti di tanta mia vita passata e recente, questa dinamica si ripete con costanza, e mi ritrovo ad essere ponte. Verso il loro nuovo. Poi, ciao, si gira pagina.

Al che, mi chiedo, quando e se esisterà in un dove, in questa vita, anche il mio ponte.

Poi, rispondo a me stessa che, probabilmente, non ne ho bisogno perchè, ciò che si modifica, ciò che cambia è la vita stessa ed io sono pronta.

STICAZZI.

Pimpra

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