DI TANTO IN TANGO. MUTAZIONI PSICOFISICHE DA TANGO ARGENTINO

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Ammirando un ciliegio in fiore, anzi, perdendomi letteralmente dentro alla sua bellezza, ho visto me stessa come mi vedrebbe un altro.

Tralasciando il solito trito discorso di quanto è bello essere giovani, anche se preferirei dire “avere un corpo giovane” (l’esperienza di vita è un bene impagabile), mi accorgo ogni dì che passa di quanto sono cambiata.

L’altro giorno, ad esempio, ho rivisto un conoscente che non incontravo da ere geologiche, e, in modo del tutto naturale, gli ho gettato le braccia al collo per abbracciarlo.

Conosco un essere umano e, per salutarlo,  lo abbraccio quasi subito.

Con gli amici, i familiari, le persone del mio cuore, inutile dire che sono affettuosissima: praticamente nessuno sfugge più alle mie calorose effusioni. Nemmeno le Gattonzole, poveracce…loro poi…

Mi capita molto spesso di indossare capi di abbigliamento che stringono sui fianchi, evidenziandoli, senza temere l’effetto “culona”, anzi, mi dico, peccato che non sporge di più, sarebbe più femminile.

Ho imparato cosa significa avere un portamento regale, sentire quando la mia schiena si ammoscia in un sacco o diventa flessuosa, forte e ben dritta. Anche il collo è più felice, perché non lo faccio più ciondolare, adesso so dove si trova, trionfale alla base della testa, e gli conferisco tutta la dignità che merita per il duro lavoro di supporto che svolge.

Osservo le donne, cercando la grazia nelle loro movenze, noto come appoggiano/buttano/ciabattano/sfiorano i piedi a terra, so dire in 4 nanosecondi se Lei è abituata a portare i tacchi o se è neofita.

Mi piacciono le signore “giaguare”, ovvero le donne – di tutte le età – che sanno decisamente godere di loro stesse, di come sono e di quello che sono diventate. E si sentono profondamente libere, dal giudizio, dal pregiudizio, dalla morale, dalle convenzioni. Come ogni felino che si rispetti, scelgono loro come/quando/se/chi.

Mi piacciono gli uomini che ti guardano. Quelli che apprezzano ciò che sei nella tua unicità e non ti vogliono diversa, alla moda, o perché “così fan tutte”. Quelli che sanno che c’è la persona ideale con cui andare al cinema o a teatro, la donna con la quale ridere davanti a un caffè, o quella da sedurre durante un aperitivo in riva al mare.

Mi piacciono gli uomini che ne scelgono una e sanno che con lei e solo lei, c’è una magia speciale.

Mi piacciono gli uomini consapevoli di chi sono, nella pregevolezza del proprio limite umano, esistenziale e animistico. Uomini realizzati nel proprio sé.

Prima di diventare una ballerina di tango, non conoscevo di me e del mondo, tali sfumature.

Fino a qui sono passati 11 anni di amore folle e questi sono i risultati, mi chiedo quali altri mutamenti mi aspettano in futuro e… sono pronta ad accettarli.

E qui un bel “Sticazzi” ci sta tutto! Olè!

Pimpra

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I MIEI AMATI VECCHI

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Ricordo che quando ero una bambina, guardavo a quelli che mi sembravano i vecchi, sempre con occhi dolci e grande rispetto. Gli anziani, nel mio target relazionale, sono stati sempre un soggetto preferito.

Mi piaceva starci insieme perché era bello farsi raccontare le storie della loro vita così lontana nel tempo, nello spazio e nelle abitudini, dalla mia.

Guardavo i volti segnati dalle rughe che disegnavano solchi carichi di esperienza. A volte erano visi sorridenti, altre carichi di vita, altre ancora pieni di malinconia se non di dolore.

Forse è per questo che mi sono stati sempre molto cari i vecchi che ho incontrato, perché i miei occhi cristallini di bambina erano capaci di cogliere le sfumature dei loro, annacquati di ricordi che andavano e svanivano, come onde.

I vecchi più felici non erano quelli più abbienti, ma quelli circondati dai loro bambini, dai figli e dai nipoti, dalla loro linea della vita che si affacciava fresca alla finestra dell’esistenza.

Le mani degli anziani sono fresche, come il ruscello che scorre limpido, oppure sono calde. Non hanno quasi mai la temperatura di tutti gli altri.

Le mie anziane profumavano di viola, oppure di mughetto o di Chanel n. 5. Ricordo ogni sfumatura del loro odore, della lavanda di cui erano impregnati i fazzoletti di stoffa, la lacca sui capelli, lo smalto sulle affilatissime unghie rosse.

Ieri ho trascorso la prima giornata di primavera all’Itis di Trieste, un tempo considerato l’ospizio dei poveri, dove i miei amati “vecchi” venivano abbandonati nelle mani della morte che tardava sempre troppo a portarseli via, lasciandoli soli, nel buio vuoto della loro vecchiaia.

Adesso l’istituto è stato completamente rinnovato ed è diventata una residenza dove, gli anziani, non sono più buttati via come cenci usati, ma un luogo caldo e accogliente dove possono trascorrere il tratto finale della loro esistenza, circondati da un calore che prima non c’era.

Nel bar che è il cuore della struttura, tavolini in stile barocco e poltroncine di velluto rosso accolgono ospiti e residenti, simulando da vicino i caffè tanto cari ai triestini. Nella Hall, un pianoforte a coda a disposizione di chi vuole accarezzarne i tasti per riempire di melodia le pareti marmoree e monumentali dell’ingresso. Alle pareti quadri moderni, a indicare il fluire della modernità sul passato, in un legame indissolubile tra ciò che è stato e ciò che sarà.

Amiamoli questi vecchi, tutti i vecchi del mondo, che sono la nostra memoria, i battiti del nostro cuore, il nostro passato e che, con i loro occhi acquerellati ci raccontano di infinita malinconia.

Ho ancora negli occhi l’immagine di una giovane ragazza che leggeva Roth a una anziana signora in carrozzina che, ad occhi chiusi,  le teneva una mano mentre godeva del racconto riprendendo a sognare.

Pimpra

Foto mia, ieri, primo giorno di primavera.

 

 

ONIRICA


Ci sono quei giorni in cui hai la fortuna di svegliarti nel bel mezzo di un sogno. Certo, maledici l’attimo in cui il combo cacofonico della sveglia si unisce al dolce miagolio delle tue amate Gattonzole che ti cantano melodiose il loro richiamo per riportarti nel mondo reale.

Momenti in cui cuscino e piumottone sono i compagni più dolci delle tue scorribande notturne.

Da grandi si sogna molto meno, oppure, a fatica, si ricorda. Mi sono sempre chiesta il perchè, sarà la rimozione, l’inconscio spezzato, la mente razionale che tiene sotto controllo il sistema, o, più banalmente, lo stress, la fatica e la frustrazione moderni.

Quando sogni denso, e ricordi, specie se il sogno è mattiniero, la sua compagnia ti segue per tutto l’arco della giornata, regalando quelle piacevoli sensazioni che, con un battito di ciglia, sai riportare a te.

Oggi il mio risveglio è stato così, una violenza inaudita sentirmi rapire dal mio mondo onirico assolutamente perfetto.

Istanbul della moschea blu era il quadro dove vivevo la mia avventura giaguara, sì perchè c’era un uomo, più giovane e molto aitante che s’invaghiva di me. Ricordo che era molto alto, particolare che mi ha colpito e che, per una ragione legata al momento, vivevamo dentro un attentato e stavamo scappando cercando rifugio all’ambasciata italiana, mi ha preso vicino a sè, mi ha abbracciato di lato, ed io restavo sotto la sua ala protettrice da quanto mi sovrastava in altezza.

Una sensazione molto piacevole, lo confesso, e poi la rocambolesca fuga con la certezza piena di potermi fidare di questa figura, conosciuta da poche ore che si era presa cura di me e delle persone con le quali stavo viaggiando.

La Turchia, quella meravigliosa moschea che mi ha riportato immediatamente alla mia prima giovinezza iraniana, ai canti dei mujaeddin, al khador, al the con le zollette di zucchero di canna che avevano un gusto che non ho più ritrovato.

Il sogno ha vellutato tutta la giornata di oggi, regalando dolcezza al mio sguardo e tenerezza al cuore.

Non vedo l’ora di riaddormentarmi ancora.

Pimpra

Foto mia.

IO SONO QUELLO CHE SCRIVO.

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Excusatio non petita, accusatio manifesta si diceva un tempo, non dare spiegazioni se non ti vengono richieste.

Invece, sai che c’è, parliamone, senza peli sulla lingua.

ARGOMENTO: essere una blogger  ti mette in pasto al gossip sociale dei tuoi lettori. Dai adito alle congetture più incredibili sulla tua vita privata. Sei percepita come un narciso uscito dal manicomio. Ma come si può essere così matti da esporsi così.

Alcune delle osservazioni che mi sono state mosse da chi non condivide il mio essere sociale. In verità, nel caso specifico va detto proprio”social”.

Rispondo così, semplicemente: anche dietro allo schermo di un pc o di uno smartphone c’è  sempre una persona. Piaccia o meno, si può inventare una bella maschera “social/e” che si indossa quando ci si manifesta sui pixel virtuali. Oppure no.

Ci sono dei veri geni nella costruzione di personalità fittizie, che usano per adescare anime semplici, come fa il ragno tessendo la sua tela. Un gioco di specchi e il povero malcapitato/a cade nella trappola. Molto spesso di ingaggio sessuale, salvo poi trovarsi di fronte un essere lontanissimo dalla fascinazione percepita nel virtuale. Cosa succeda poi, non lo so, non frequento, ma lascio immaginare a voi.

La strada che ho intrapreso io, per la personalità che mi connota, è quella di “scrivere quello che penso”. Lo faccio sempre. Dalle più vili cazzate, alle riflessioni lievemente più profonde, pur rimanendo nella mia leggerezza. Non ho presunzione di “buona scrittura”, anche se mi piacerebbe, non sono una intellettuale, semplicemente una vecchia ragazza che ama osservare la realtà, ci riflette su e ci scrive.

L’età mi ha regalato la sicurezza di poter dire “Minni futtu” del giudizio degli altri, di quello che pensano di me, tanto, che tu agisca secondo il tuo bene o meno, troverai sempre il cretino sulla tua strada che pensa esattamente l’opposto di quello che intendevi affermare tu. Sicché, perché preoccuparsi?

Quando scrivo i post, mi arrivano all’orecchio voci che mi vogliono una single agguerrita, piuttosto che una signora in pre menopausa carica di frustrazioni dovute al farsi dell’età. E mi fermo qui.

Mi piace dirvi, Amici Cari che mi seguite, che non ho paura della verità (della mia versione, ovviamente), mi piace scrivere quello che mi passa per la testa anche se a volte può essere sopra le righe, o semplicemente sciocco, leggero, senza pretese, senza filtri. Non ho paura.

Questa sono, e le parole sono amiche mie, piccole tessere che mi piace mettere insieme per creare un puzzle tutto mio che non temo di mostrarvi. Non mi aspetto che vi piaccia, e rispetto tutte le osservazioni che vorrete muovermi, le critiche che mi faranno riflettere.

Insomma chi sta qui, chi si vive armoniosamente il suo sociale/virtuale accetta le regole del gioco. Le mie sono molto semplici: dico (scrivo) sempre quello che penso.

E se vi piace ricamarci su… divertitevi pure!

[STICAZZI!] 😉

TANTE, TANTE (BELLE) PAROLE PER TUTTI!

Pimpra

Ps: se posso aggiungere, è molto liberatorio permettersi di essere se stessi, nelle proprie zone d’ombra e di luce. Schiettezza mi ha regalato persone meravigliose che ho conosciuto e che, altrimenti, non avrebbero incrociato la mia strada. Basta avere coraggio.

Coraggio!

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COSA HO CAPITO DELL’AMORE.

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Amore è una sfumatura diversa per ognuno di noi. C’è chi la vive colorandola di passione, chi di desiderio, chi di una sfumatura sottile e intensa di voler bene.

Amore è legato al tempo e alla noia, disintegrando così le mie idee romantiche e utopistiche sulla sua durata.

Amore non è eterno, si dice pure nella tradizione popolare, “Amore c’è, fin che dura”. E questa “durata” si è accorciata di centimetro in centimetro in questa società moderna che va veloce, molto veloce e tutto consuma rapidamente.

Già, l’amore si consuma, si deteriora, brucia, o evapora.

Ancora mi è molto difficile accettare che, forse, Amore è solo una beata illusione, un desiderio che attacchiamo sugli occhi e sul cuore del nostro prossimo prescelto. Forse Amore non è.

Come si spiega, altrimenti, che le persone coinvolte in relazioni, nella maggior parte dei casi, mettono il naso fuori della coppia? Non sempre compiendo l’atto finale,  il tradimento di un patto che quella coppia si è data, magari simulandolo solo, giogioneggiando con altre persone come a trovare certe scintille di desiderio che sono solo un ricordo di vita passata?

Allora Amore è  soprattutto legato al desiderio? A quella energia vitale che ci porta a ricercare l’odore di un altro essere, capace di riaccendere in noi, nel nostro corpo e nella nostra testa quel lampo di vita che abbiamo perso o che non è più così brillante?

Amore è paura. A volte si crede di amare perché fa più paura restare soli davanti a noi stessi e, semplicemente, guardarsi.

Sono giunta a conclusione che Amore, il più delle volte, non è. E’ un affastellamento di tante cose messe insieme, passate alla centrifuga, insaporite con aromi naturali e vendute come vere.

Poche sono le dimensioni di Amore “altro da sé” che riconosco: tra queste, l’amore per i propri figli, per i propri animali (come sostituti di figli che non si hanno), l’amore per i propri genitori, e l’amore per le proprie passioni, di qualunque natura esse siano.

Mi riesce sempre più difficile incontrare e osservare l’Amore tra due adulti, non rileva come la coppia sia costituita, come se la relazione potesse essere composta di un variopinto mix di qualunque cosa, meno che di quello speciale ingrediente che non si può comprare.

Ma, nonostante tutto, spero di sbagliarmi e mi cullo beata nell’illusione di avere capito male, molto male.

Azz….

Pimpra

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DI TANTO IN TANGO. ELOGIO DELLA GIAGUARA. Post per sole donne.

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Un tempo non sarei stata capace di guardare questa foto.

Il volto di una donna avviata alla grande maturità, una donna a cui il tempo ha lasciato pennellate vigorose del suo scorrere.

Un tempo, fino a poco tempo fa, avrei disperatamente cercato una soluzione per nascondere la mia storia. Un tempo avrei sciolto qualche lacrima osservando l’espressione di quella che dentro di me vive sempre come una ragazzina. Ma che non lo è più.

Un tempo, quanto crudele era il tempo.

Oggi lo è molto di meno, come se, con il suo scorrere su tutta me, perdesse forza donandomi la sicurezza di vivere bene la mia pelle, dentro un corpo non più fresco, con mente più feconda e straripante cuore.

Quanto mi sta diventando bello questo nuovo istante in cui mi permetto di ridere di me e di chi mi sta intorno. Di coloro che corrono disperati alla ricerca dell’eterna giovinezza e, come criceti nella ruota, si perdono la gioia del percorso.

Non è sempre una bella giornata, si va su e si va giù. Poi ti arriva in regalo un’immagine che ti ritrae nella tua pienezza, mentre stai facendo quello che più ti piace, rapita nella tua estasi di gioia, e scopri per la prima volta una nuova luce nel tuo sguardo maturo, un’energia densa e vibrante, come il migliore profumo speziato.

Eccola lì la mia maturità che fa bella mostra di sé. E mi emoziono a guardarla, non credevo potesse essere così potente.

Che immensa gioia giaguara.

Pimpra

Un grazie enorme a Rudy Palugan che ha saputo cogliere l’attimo, la foto è opera sua.

DI TANTO IN TANGO. QUANDO LA CRAVATTA E’ UNA CAREZZA GENTILE. TO TIE MARATHON

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Lunedì, luminoso, limpido, leggiadro.

Tutto merito della finestra spazio/temporale del fine settimana. Se poi la arricchisci di una maratona, è ancora più piacevole.

Inutile dire che oggi ogni piccola parte del corpo inneggia alla fatica fisica delle lunghe ore trascorse a far baldoria danzante sui tacchi… e che baldoria…!

Ogni maratona ha, per fortuna, un suo sapore, una firma unica e, questa prima edizione di TO TIE (Torino, tango intensive experience) non è sfuggita alla regola. Le prime volte, come in amore, possono essere particolarmente rischiose, difficili. Gli amanti si desiderano, si piacciono ma non è garantito trovino le giuste affinità. Ma ci sono, per fortuna, quelle che possiamo definire “buona la prima” e ToTIE può fregiarsi del titolo.

Credo che un primo asso nella manica risieda nella città, magnifica, che – a me per lo meno – suggerisce sempre nuove emozioni, regala sorprendenti sguardi (non mi riferisco alle miradas!), e risiede nei torinesi.

A ben vedere non sono neppure sicura di averne conosciuto uno/a “purosangue” (ma che importanza ha?), so solo che tutte le anime che vivono a Torino, con Torino si connettono, vibrano, parlano e si esprimono: anime gentili, accoglienti, sempre educate senza mai essere leziose. A Torino ti senti accolto. Voilà.

Poi, alla sera metti piede nel tempio sacro, una meravigliosa bocciofila che, grazie alla passione di un gruppo di giovani, ha rivisto la luce, in un quartiere di periferia, gonfio di variegata umanità, melting pot assoluto, il quartiere da dove inizia il gran bazar del “Balon”, mercatino delle pulci caro ai torinesi e ai suoi figli adottivi.

La location incanta, rivolge un lato intero al fiume che scorre poco sotto, cantando insieme alla musica che esce dalle grandi vetrate che raccolgono le delicate luci dell’imbrunire.

Non potevano che essere adorabili gli abbracci che ci siamo scambiati, godendo della buena onda creata dalle mani creative dei tj.

Ho degustato vino e cioccolato, e mi è piaciuto assai, ho fatto finta di mangiare sano e mi è piaciuto assai, ho salutato amici vecchi e nuovi e mi è piaciuto assai, ho ballato a sfinimento che è quanto mi piace fare di più.

Allora dico BRAVI a tutto lo staff fatto da tantissimi giovani e meno giovani volonterosi che hanno fatto staffetta nelle lunghe ore di maratona, sempre con una bella parola, sempre con un sorriso aperto.

E a te, triestina scappata dalla bora che ti sei fatta catturare dall’ombra della Mole, dico “Brava Mula!” si sentiva anche il tuo tocco speciale!

Quando si dice che la cravatta accarezza invece di stringere… 😉

Pimpra

foto mia.

DI TANTO IN TANGO. VOGLIO UNA MARATONA FRIENDLY

 

maratona-gattaHo sempre saputo di essere una donna piuttosto agonista, lo sport mi ha forgiato al “combattimento” sin dalla più tenera età, sicché, ogni nuova attività che ho intrapreso è stata all’insegna di dare il massimo, impegnarmi al massimo, cercare di ottenere i massimi risultati.

Va da sé che non sempre si riesce a raggiungere la vetta desiderata, anzi, direi che il più delle volte si cade e ci si avvicina solo lontanamente, ma il cuore appassionato, il desiderio di farcela, di mettersi alla prova, quelli restano sempre.

Anche quando lo scorrere del tempo, rende corpo e mente non più verdi.

Nel tango, ho messo la stessa, intensa, passione.

Mutatis mutandis, mi ritrovo ad affrontare le maratone con uno spirito diverso. Ben conscia che, oramai, sono più prossima a Villa Arzilla che alla discoteca sulla spiaggia e che dovrò abituare il mio spirito giocosamente ribelle e indomito al fatto che sono una “affascinante donna matura” (OH MIO DIO!!!!), ecco che, anche lo spirito della maratona che vado cercando è diverso.

Nella premessa che la qualità è e resta presupposto cardine per uccidere il proprio corpo di fatica nelle lunghissime sessioni di milonga, ebbene sento forte il bisogno di essere circondata da persone che abbiano un atteggiamento “friendly”, amichevole, accogliente e rilassato.

Che due maroni i competitivi/e che non ti guardano neanche in faccia e men che meno ti degnano di un cenno di saluto perché sono tutti proiettati ad accaparrarsi le grazie del di Lui/Lei ballerino/a, quelli che ti schifano perché ti etichettano come “low level” non degno del gotha tanguero che hanno in testa, insomma che due palle di tutti coloro che, una volta in più, dimenticano il sapore della festa, il piacere di rivedersi, di abbracciarsi, di riconoscersi o di conoscersi per la prima volta.

Allora, sai che c’è, me la sono goduta al massimo la mia maratona friendly, in quel di Brescia (che ci ho pure fatto la capatina da Iginio! ;-), dove ho goduto di quell’atmosfera gaia e gagliarda di gioia e di festa che la Grazia e il suo staff hanno regalato a tutti i partecipanti.

Ma che ve lo dico a fare, sarà che tra pochi giorni un nuovo giro di boa si avvicina ed io divento sempre più… matura!

STICAZZI!

Pimpra

 

 

 

 

 

 

 

QUANDO PORTAVO I PANTALONI CORTI. II CAPITOLO.

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A volte, chissà perché, ci sono ricordi antichi che riaffiorano alla memoria.

Per fortuna, ormai, si ripresentano solo quelli belli, che emozionano con gioia, ho imparato molto bene a disfarmi di tutto ciò che rende il mio cuore ed il mio animo pesanti, poiché, tale fardello, non serve a nulla.

Quando avevo due anni e mezzo, prima di partire alla scoperta del mondo con i miei genitori, passavo le giornate con la nonna materna, la mia adorata nonna Lina, diminutivo di Natalina (ma che nome assurdo poteva essere?). La mia giovanissima mamma, mi ha avuta a 24 anni, lavorava presso uno studio notarile, perciò mi affidava alle cure di sua madre.

La nonna, non era una nonna di città, poiché, da sempre, ha lavorato nella campagna della famiglia, dove lavoravano la terra, zii, cugini, sorelle, nipoti. Alla vecchia maniera, per intenderci, quelle belle famiglie di una volta.

Il rito del mattino era la vestizione multistrato poiché, ai miei tempi, i primi anni 70, l’abbigliamento tecnico non esisteva. Ricordo perfettamente l’orrore di indossare la maglietta della salute di lana che ho sempre odiato poiché prudeva, strati di maglioncini infestati di odor di naftalina che svaniva quando arrivava la primavera e ci si preparava al cambio di stagione. Loro, ovviamente, subivano un altro tremendo trattamento.

Gli odori dell’infanzia li ho ancora nel naso.

Uscendo di casa, già da piccolissima, affrontavo una lunga camminata per arrivare alla campagna dove la nonna lavorava, perché, non si era usi accompagnare i piccoli in automobile, o, forse, la nonna non voleva, ricordo bene una sua frase “La picia ga de temprarse” (la piccola deve temprarsi). E così è stato.

Mentre mi faceva camminare, quando protestavo per la bora violenta, lei, per farmi passare il tempo e rendere il tragitto più piacevole, mi faceva cantare. Lo facevamo insieme, a squarciagola, come due pazze e ridevamo, quanto ridevamo!

Si arrivava prima in salumeria, per il “deca” di latteria,  la mortadella e il prosciutto cotto (in crosta di pane, qui al nord est è una specialità). Il salumiere mi regalava sempre una fetta di mortadella e l’oliva nera. Primo piccolo bottino che mi rendeva sempre molto felice.

Poi il piccolo panificio dove lei comprava tonnellate di pane per la grande famiglia, le “sciopete” che a me non sono mai piaciute perché troppo cariche di mollica, elemento ritenuto fondamentale da tutta la famiglia contadina, evidentemente la mollica sazia di più del pane crostoloso, mi sono detta da grande.

Poi, la latteria. Ve le ricordate? Luogo magico, profumato di un armonioso sentore di latte e formaggi, negozio sempre  piuttosto fresco a causa dei frigoriferi ma colorato di caramelle, merendine e di ogni piccola ghiottoneria da bambini.

Era il momento della passeggiata che preferivo, poiché, da un lato significava che la meta era vicina, dall’altro perché nonna Lina mi regalava le diavoline o le mentine, piuttosto che le rotelline di liquirizia (quando divenni più grandicella).

Ci sono ricordi che passano attraverso il naso, raccontati dagli odori della nostra infanzia. Basta richiamarli alla memoria e facciamo un balzo indietro nel tempo, a quando la vita era una avventura da scoprire.

Anche adesso, mentre digito sul mio pc, sento la mia fanciullezza tutta dentro di me, e, come per magia, percepisco la mano della mia amatissima nonna nella mia mano, mentre ci incamminiamo verso il nostro dove.

Pimpra

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PIU’ L’INVERNO SI FA DURO, PIU’ I DURI SI ABBRACCIANO!

abbraccio

Finalmente è arrivato, l’inverno è tra noi.

Lo aspettavo con trepidazione, perché a me, le vie di mezzo, non sono mai piaciute. Ho bisogno di avere freddo e lo sostengo da freddolosa dichiarata. L’inverno non può essere una primavera malvestita, un autunno estivo.

Fa un freddo cattivo qui al nord est, la bora si inanella di diamanti di ghiaccio e le sue raffiche arrivano violente come frustate, facendo male al volto.

Inutile dire che i trasferimenti in scooter richiedono abilità paranormali per evitare di essere birillo della regina ventosa della città. E ci vuole il coraggio di un marinaio dell’800 ad affrontare di petto (anche se con l’abbigliamento tecnico moderno) l’aria che raddoppia il suo impatto gelido.

Eppure mi piace. Mi lamento, sono congelata, ho le mani ferite dal freddo ma ne godo allo stesso tempo.

A me l’animo si riscalda, incredibile, ho voglia e cerco di più il contatto e questo portato verso l’altro, modifica sicuramente anche il mio modo di ballare.

La splendida foto di Marco Piemonte che fa da cappello al post, esprime meravigliosamente la potenza dell’abbraccio, il calore che si riceve e che si da’.

Quando è inverno si balla diversamente, in qualche modo si riesce più facilmente a trovare quella intimità speciale, quel momento “panda” di vicinanza assoluta all’altro, come se i corpi ascoltassero meglio, con maggiore sensibilità e attenzione.

Ecco perché sto imparando ad amare l’inverno, mentre prima lo detestavo, perché avvicina.

Allora, sapete che c’è, vado a godermelo tutto…

TANTI ABBRACCI A TUTTI, ma abbracci veri, come intendo io…

Pimpra

 

 

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