QUI ED ORA. (PIPPOLOTTO, VI AVVISO!)

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Quanto sono belle le serate trascorse con una cara amica che non vedi da tempo con la quale resta sempre intatta la confidenza, lo scambio, e un grandissimo affetto.

Nel suo piccolo appartamento, come il nido di un uccellino, delicato e dolce come è lei, pulito, deliziosamente arredato con un’attenzione ai piccoli dettagli che sussurrano la sensibilità vibrante della padrona di casa, mi sono presentata con un frizzantino rosè e Tupperware al seguito….

Le parole sono scivolate fluide, intervallate da argomenti leggeri o seri, così come le donne sono abituate a discorrere.

Lei, come molti di noi, ha visto naufragare un rapporto su cui aveva scommesso “per la vita”, ma così non è stato. Le ossa rotte, l’anima e il cuore feriti, ha ripreso la sua vita tra le mani, con il coraggio e la determinazione che servono ogni volta che si riparte da capo, e si è rimessa nel flusso delle cose.

La dolorosa esperienza, tra i tanti segni che le ha lasciato, ha messo un tarlo nella testa, ovvero: chi si prenderà cura di me quando sarò vecchia? Evidenziando ai massimi sistemi, il dolore esistenziale di questa moderna società.

Mai come ieri sera, ho potuto toccar con mano, la solitudine, il vuoto pneumatico che i single della mia generazione stanno vivendo.

C’è chi brucia la vita, anestetizzandola sulla propria pelle agendo comportamenti e sentimenti di totale edonismo, vuoto però di contenuti, nulla a che vedere con un sano epicureismo consapevole e goduto,  altri, invece, tuffano il loro essere negli abissi del più profondo “mal di vivere”, basato sulla prima, sostanziale, mancanza: l’amore (per se stessi e per gli altri), la solitudine di rapporti che poggino su qualcosa di vero.

Il futuro, a quel punto, diventa un mostro che terrorizza, mancando le strutture caratteriali e definite certezze sul proprio sé e sulla propria essenza. Partono così i pensieri bui, l’idea della vecchiaia come malattia e non come compimento gioioso di un percorso di vita. Si immagina il corpo debilitato, impossibilitato a provvedere a se stesso e quindi, esplode il bisogno dell’altro.

Credo non abbia senso andare così avanti con il pensiero, immaginare e ipotizzare situazioni che non abbiamo nessun reale strumento per essere comprese.

La sola cosa che siamo capaci di conoscere è il QUI ED ORA. Nulla più. Il resto sono solo proiezioni, più o meno belle, di emozioni positive o negative, che vivono dentro di noi.

Allora sai che c’è? Resto connessa a questa dimensione, cerco di vivermela al meglio, con fiducia e gioia di me, di quello he posso portare nel mondo e dal mondo ricevere.

Forse semplificare, alleggerire è la sola via per vivere meglio.

AMEN.

Pimpra

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DI TANTO IN TANGO. TETTE E TANGO

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A me le cose succedono così, praticamente per caso. Ho postato una divertente (nelle mie intenzioni) foto sulla mia bacheca di FB e, senza immaginarlo, bummmm, come un elefante nel negozio di cristalli, ho urtato la sensibilità femminile.

L’argomento del contendere era una frase scema “Non chiedetemi l’amicizia, non ho le tette”, postata poiché il mio profilo FB sta ricevendo un sacco di richieste da uomini assolutamente improbabili, dai luoghi più disparati del pianeta, senza ragione alcuna.

Di qui, la mia foto di copertina, atta a dissuadere i potenziali non amici alla ricerca di chissà cosa…

Un’amica, però, non si è trovata d’accordo su questa mia scelta, ritenendola in qualche modo “razzista” nei confronti del corpo stesso delle donne. Oltre a ciò, proiettandola nel nostro comune mondo del tango, atta a rinforzare certi discriminatori comportamenti messi in atto da taluni danzatori.

Pur rimanendo fedele alla mia vis comica, non posso rimanere insensibile a quanto riferito dall’amica.

La mia lettura è questa.

Le motivazioni che spingono la coppia ad incontrasi in pista, sono e saranno sempre, le più disparate. Un’alchimia sottile fa scattare in entrambi quella intenzione di cingersi e di colorare una tanda con le emozioni nate dal cuore e riassunte nei corpi danzanti.

Questo è quanto accade in persone che cercano una dimensione intimista, artistica, di scambio, nell’abbraccio tanguero.

Poi c’è il resto del mondo.

Ci sono quelli/e che vanno in milonga per tantissime ragioni, tra le quali c’è, anche, quella di ballare.

Non mi sento di giudicare, né di giudicare male chi si vive la milonga in modo diverso dal mio.

Va da sé che, sia per ballare che per “cercare altro”, si inneschi una implicita competizione tra gli attori coinvolti. Questa gioiosa battaglia si combatte con più armi: chi con la sua capacità e talento danzante, chi con le emozioni che sa trasmettere, chi mettendo in mostra le piume, chi seducendo verbalmente ecc ecc: la varia umanità.

Nel gruppo, ovviamente, ci sono “gli sfigati“. Definisco la categoria: sono gli/le invidiosi/e. Coloro che guardano sempre fuori da loro stessi ma non lo fanno per cercare bellezza, ma per evidenziare gli aspetti negativi (o così loro li percepiscono) del mondo e di chi lo popola.

Questi sfigati sono infestanti perché, su Anime gentili, posano i loro artigli cattivi e inoculano il tremendo veleno: fanno partire brutti gossip, demoliscono le persone, criticano tutto/i/e e, purtroppo, molto molto spesso riescono a distruggere l’amore verso se stessi delle loro vittime.

Ovviamente le donne sono il bersaglio per eccellenza di questi sfigati che si accaniscono a demolirle a più non posso.

Allora sapete quale è il mio antidoto? un bel ME NE FOTTO!

Sono come sono, ballo come ballo, non ho (abbastanza) tette per essere tra le ballerine più gettonate (?) , ma sto bene così e non cambierei, di me, una sola virgola… [bugia!!! vorrei essere una tanguera migliore!!!]

E adesso, sfigati, potete scatenarvi!

STICAZZI, OLE’!

🙂

Pimpra

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CULO GROSSO

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Ieri sera, mentre cucinavo la mia cena sana, ascoltavo la Zanzara alla radio. Ad un certo punto, uno degli ascoltatori fulminati della trasmissione, di colore, immigrato –  tutte informazioni fornite da lui- affermava, con gran gusto, di adorare le “fimmine” italiane, per lui trofeo e rivalsa della sua “diversità”.

Tra il conduttore e l’ascoltatore un gran giro di battute salaci, e, alla domanda di Cruciani “ma a te le donne come ti piacciono?”, la risposta dell’africano “Mi piacciono con il culo grosso, le tette grosse, le labbra grosse!”, “anche se le labbra e il seno sono finti?” chiede il conduttore, “Certo! meglio se naturali ma va bene lo stesso!” e giù a ridere.

Ho smesso per un istante di rimestare con il mestolo perché mi sono fermata a pensare a quanta sfiga ho avuto ad essere adolescente nel profondo nord est d’Italia, negli anni 80!!!

I miei adorabili compagnucci di classe mi chiamavano “la culona”, appellativo, potete facilmente immaginare, che non mi rendeva particolarmente felice del mio corpo. Che poi, a guardare bene il mio “culone”, altro non era che uno splendido sedere a mandolino, scolpito da anni e anni di sport! Sticazzi!!!

Ma all’epoca ero troppo ragazzina per capirlo e, mal me ne colse, decisi che il povero culone doveva sparire. Siccome sono una tosta, ma tanto tosta, ho ben pensato di perdere quello e 3/4 del resto del mio corpo e di presentarmi l’ultimo liceo, magra da fare paura, ma felicissima di aver sconfitto quella parte di me che non era adeguata ai gusti degli stronzetti maschi che avevo intorno.

Ed oggi, per la prima volta, benedico la “globalizzazione”, il “mercato mondiale”, che ci ha aperto le porte del mondo e che ha mixato così tanto i popoli! Se dalle mie parti si fosse paventato un ragazzo di colore, di sicuro non mi sarei sognata di perdere nemmeno un grammo sull’amato posteriore!!! Anzi! L’avrei portato in giro bello strizzato in un paio di jeans!

Allora, ancora una volta, benedico la saggezza dell’età che mi ha fatto fare pace con me, anche se, il mio amato “culone” oramai è solo un ricordo…

Pimpra

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FAMOLO STRANO

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Leggevo un bel testo di Zygmunt Bauman a proposito di amore liquido .

Uno dei concetti chiave che ho particolarmente apprezzato è questo:

“La solitudine genera insicurezza, ma altrettanto fa la relazione sentimentale. In una relazione, puoi sentirti insicuro quanto saresti senza di essa, o anche peggio. Cambiano solo i nomi che dai alla tua ansia”.

Osservo il mondo che mi circonda, specie quello rappresentato dai miei coetanei, persone più che adulte, con un background esistenziale pregno, carichi di esperienze, di successi e di cadute, di vita vissuta.

Molto spesso alla boa dei 50 anni (ma anche prima e dopo ovviamente), ci si ritrova punto e a capo. Quelle che erano relazioni importanti, durature o, almeno, sulle quali si era investito molto, concludono il loro ciclo e, più o meno improvvisamente, ci si ritrova con il cerino (spento) in mano.

Sono brutti momenti, specie se, nel corso della vita, questi adulti, sono rimasti sempre nel “bisogno” dell’altro e ben poco hanno lavorato sul loro sé, per diventare autonomi cittadini del mondo.

Chiaro che la tegola che arriva al crescere dell’età anagrafica fa più male, perché, man mano che si invecchia, è difficile restare elastici, preparati e pronti ai cambiamenti e, soprattutto accettarli con interesse, almeno.

Vedo cose. Donne, è il mio pubblico d’osservazione preferito perché mi ci metto pure io, che, trovandosi a fiutare l’aria di questo globo popolato, non sanno, il più delle volte, distinguere tra “relazione” e “conoscenza”, tra “intimità” e “progettualità”, tra “l’amico di mutanda” e il compagno con il quale immaginare una relazione.

Sembra una cosa da nulla, ma, in realtà rende molto complicata la gestione della relazione, a qualunque livello si trovi.

Da vecchia giaguara mi piace pensare che mantenersi “elastici” e aperti alle infinite possibilità di relazione, ci renda liberi e felici. Non vorrei mai essere un’ancora legata al piede del povero malcapitato che mi si avvicina, dapprima annusandomi, così, per capire se gli piace il mio odore, se potremmo divertirci insieme, se mai – chi lo sa – in un futuro ci piacerebbe condividere tempo, spazio, idee e progetti.

Mi sento in pace perché, dopo anni di lavoro su di me, e grazie agli uomini che ho incontrato, amato, lasciato, ho appreso la lezione più importante: io non ho bisogno. Di loro, della relazione, di un supporto, di una stampella.

Sto in piedi da sola, e ci sto bene. A volte cado, mi faccio pure male, ma mi rialzo.

Mi piace avere un compagno, perché la vita si colora di nuove sfumature, anche se – diciamocelo – non sempre piacevoli. Eppure, nella gioia (si spera!) che questi mi regala con il suo essere al mio fianco, non è un’essenza imprescindibile senza la quale non so respirare.

Quindi, tornando al punto, per stare bene insieme, lavoriamo sulle NOSTRE ansie, sui nostri “buchi esistenziali” perché, ricordiamoci, la responsabilità fa capo a noi.

E poi, finalmente, famolo strano!

STICAZZI.

ps ma che mi è preso oggi? Pippolotto più che mai… 😀

Pimpra

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NO PAIN, NO GAIN. DURA LEX, SED LEX.

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Non so voi, ma mi accingo a raggiungere la data che mi porterà al meritato periodo delle ferie. Le mie sicuramente tardive, ma preferisco così, un modo come un altro per prolungare l’estate, almeno in teoria.

Fino ad oggi non ho messo piede in spiaggia, nemmeno al mio amato Bivio. Mai, neppure una volta. C’è che non mi va, il sole non mi attrae come un tempo e mi pare di non avere mai spazio per concedermi una sosta dedicata all’abbronzatura. Le triestine mi ripudieranno.

Ho fatto altro. Mi sono dedicata ad altro. Con gusto, piacere e soddisfazione.

Piaceri e soddisfazioni che sono, immancabilmente, passati anche attraverso il palato, tenendomi peraltro lontana dal luogo in cui si beatificano, sudandoli, tutti gli eccessi alimentari e non: la palestra.

Ieri il ritorno al sacro luogo, lezione di Pyramid, un misto tra step, pesi, aerobica, arti marziali. Il fiato ha retto, il resto del corpo no.

Osservavo le cosciotte ballonzolanti e i fianchi torniti, caro ricordo degli aperitivi e dei sollazzi edonistici estivi. Perché a me, i piaceri rimangono attaccati addosso.

Dallo specchio di sala l’allenatore mi guardava con sguardo impietosito, non ritrovando più la sua atleta master di qualche mese prima.

Oggi la punizione continua, perché fino alla ripresa di una qualche forma fisica, ogni sforzo è devastante, ricco di lattasi acida, condito da forchettate di frustrazione.

Ma, come ben sanno gli atleti veri: no pain, no gain. E mi tocca risalire la china.

FERIE STICAZZI. Sarà un rincorrere la forma perduta.

Ohi quanto mi è duro riprendere le amate fatiche.

E’ che sono diversamente giovane, sarà per questo!

CIN CIN!

Pimpra

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IL MOMENTO PRESENTE E’ INEVITABILE

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Ci sono quei giorni, quei periodi in cui sei giù. La vita scolora improvvisamente, tutto appare grigio e piatto e non vedi quella scintilla particolare che tanto ti è cara.

A nulla vale cercare di accendere il lume della ragione che, proprio al momento del bisogno, improvvisamente fa tilt.

Ondate di melma emotiva arrivano fin verso il cuore e oltre. E ti pare che nulla possa tirarti fuori dal tuo magma nero.

Poi però…

Uno stupido messaggio lanciato nell’etere, più per sfogo che per altro, e ti arriva una caldo abbraccio dai tuoi amici reali e virtuali. E già ti pare meno brutto. Una carezza, anche se sui pixel colorati di uno schermo, resta una carezza.

E il messaggio, quello vero, quello che proprio DEVI ascoltare, ti arriva. E’ l’Universo che te lo manda, per darti quella sberla che ti risveglia, ti rimette sul pezzo e ti fa riflettere profondamente.

Io Gabriel non lo conoscevo nemmeno, epperò leggo il suo messaggio su FB, adesso che ha lasciato questo mondo. Ed è un messaggio che pare scritto per la mia Anima di oggi, quella che trascina con sé il mio corpo triste.

Leggete, è scritto in spagnolo, ma si può capire, e comunque, impegnatevi a farlo:

“EL MOMENTO PRESENTE ES INEVITABLE”
La 1ra vez que la escuché si bien comprendia la escencia porque es muy simple, la profundidad muchas veces no la veia. Con esto que me está pasando me di cuenta que si quiero decir lo que siento, el único momento es AHORA, si quiero conectar con alguien, el momento es AHORA, si quiero amar, éste es el único momento posible, ya que el único momento que existe es AHORA
Quiero compartir esto con ustedes ya que me hizo ver que las cosas que me perdí de vivir por pensar demasiado en el futuro, hoy no sé si pueda llegar a hacerlas.
Por eso AHORA, EN ESTE MOMENTO, DONDE QUIERA QUE ESTES, ANIMATE A SER VOS MISMO, CONECTATE Y COENCTA, DISFRUTA,AMA, BAILA CON TODO TU SER Y NO PIERDAS EL TIEMPO.
Gracias infinitas por esta noche y por todo el apoyo y amor que me brindan. Gracias a todos los que colaboraron !!!
NOS VEMOS PRONTO
GABY”

“Il momento presente è inevitabile.  Ho capito che se decido di dire ciò che sento, l’unico momento è adesso, se desidero contattare qualcuno, il solo momento è adesso, se desidero amare, è questo l’unico momento possibile, l’unico momento possibile è ADESSO.”

Prendo le  sue parole, il suo messaggio che mi arriva così forte, oggi, che il pensiero triste mi accompagna, e decido di svegliarmi e vivere questo “adesso” che, oggi, mi regala spine, ma, evidentemente, ha un senso così.

Buon viaggio, caro Gabriel…

Pimpra

DOVE CI SIAMO PERSE? (post per sole donne, pippolotto annesso)

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Mentre sorseggiavo il caffè e programmavo gli impegni della giornata, per puro caso sono incappata in un video su FB che parlava di donne. La durata di 24′ ha fatto sì che ne vedessi solo uno spezzone e, ovviamente, poi ho perso il link… mannaggia. [grazie all’amica Anna, ecco qui il link che vi invia al citato video, qui]

I pochi minuti che gli ho dedicato, hanno comunque acceso numerose lampadine su alcuni stati mentali miei e, purtroppo, condivisi con molte altre donne.

Sono della generazione di quelli nati in pieno ’68, che sono stati bimbi negli anni ’70 e adolescenti negli ’80.

Ricordo perfettamente quando, da un vivere e da un sentire strettamente connesso al sociale, al gruppo, alle diverse e numerose umanità, intese nelle loro pregevoli sfumature (anni 70), d’un tratto siamo stati proiettati in un universo di significati alterati, indotti e spinti verso tutto ciò che era prettamente “apparenza”, manifestazione visibile, appartenenza in senso negativo poichè impostato solo su “status symbol” imposti dall’alto.

Ricordo che, allora, il mio corpo sportivo, la floridezza del mio viso ancora di bimba e le forme sontuose (abbondanti) del mio didietro, venivano prese in giro in malo modo. Aggredite, quasi, poichè non ideali al modello corrente.

Ricordo ancora quante lacrime ho versato perchè a me non piaceva uniformarmi, non avevo il corpo e l’apparenza di “tutte” (mingherline, alte, ma con grandi tette), io ero me, la ragazza sportiva, allegra, ciarliera e… i cui genitori non avevano (all’epoca) possibilità economiche grandiose per soddisfare le mie eventuali richieste di “simboli”.

Già, perchè noi siamo stati una generazione basata su “etichette”, formali e virtuali che gli adulti dell’epoca, ci hanno imposto.

Ricordo i miei sogni di ragazza, immaginavo me stessa in tailleur a dirigere un’azienda, una donna manager, realizzata ed indipendente. Non vedevo nel mio orizzonte immaginario nè famiglia, nè figli.

Un uomo in teorica gonnetta.

Affatto in connessione e sintonia con la sua femminilità, completamente repressa, chiusa, archiviata poichè, comunque, non corrisondente al “modello”.

E due stramaroni di questi modelli che hanno perseguitato la mia/nostra esistenza! Da quelli fisici (non hai le tette, il culo è troppo grande, sei in sovrappeso, sei bassa, hai le spalle troppo larghe e qui mi fermo) a quelli sociali e psicologici.

Crescendo, per fortuna, ci si libera un po’ di questi colossi che impediscono di vivere la propria esistenza, dandole il taglio che meglio si crede… ci si libera… insomma…

Guadata la boa dei 40, come una pirla, mi ritrovo dentro a questi cliché malati, con tutte le scarpe.

Se per 20 anni, conclusa l’adolescenza, vivaddio!, ho creduto di scegliere secondo le mie corde la vita che volevo fare (più o meno) e la persona che volevo essere, sbarchi nella “mezza età” e sei nella merda un’altra volta.

E certo, perchè a noi donne, ci smaronano di ideali impossibili da raggiungere, come se vita significasse perfezione. Ecco donne che a 50-60 anni ne devono mostrare 20 di meno, ragazze che non godono della loro giovinezza acqua e sapone e sembrano delle matrone (certo senza rughe e con un corpo da svenimento), perchè la società ci vuole “ggiovani”, strafighe, iper sexy, costantemente portate a sedurre il mondo intero.

Da quarantenne, mi guardo allo specchio e invece di cercare la vita che ho vissuto sul mio volto e sul mio corpo, vorrei cancellarne ogni traccia. Ciò è male, malissimo! Sticazzi, mi hanno beccato di nuovo nell’ingranaggio bestiale che mi obbliga ad essere ciò che non sono…

Fortunatamente ci sono gli amici, la famiglia e… un barlume di intelligenza che mi resta e provo a guardare ancora, e vedo me, quella che sono diventata a forza di sberle e sorrisi che la vita mi ha regalato fino a qui… e amo (finalmente) le mie tette piccole e il mio culo grande, perchè sono solo miei e va bene così.

Non è facile “ritrovarsi” in questo marasma di stimoli demenziali che provengono da ogni dove e sentirsi una giaguara serena e rilassata in pace con se stessa e felice di quello che è, adesso, in questo momento.

Vabbè, concludo il pippolotto invitando tutte Voi che siete meravigliose nella vostra unicità, nel vostro difetto e nella bellezza del pregio, ad AMARVI, come solo voi meritate davvero.

Per il resto: a fanculo tutti!

ALLEGRIA!

Pimpra

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ps: mi sono scappate un bel po’ di parolacce… abbiate pazienza… 😦

 

 

 

DI TANTO IN TANGO: TANGO E GIUNGLA. LE MIE STRATEGIE DI SOPRAVVIVENZA

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Rimango sempre molto stupita quando, di fronte a uno dei miei post sul tango, per ragioni che mi sfuggono, si scatenano lunghissimi ed articolati dibattiti.

La cosa in sè mi diverte un mondo, ma, al contempo, mi inquieta percepire come, quanto scrivo, venga interpretato in modi lontanissimi dal mio reale intendimento.

Potere della comunicazione.

Ciò detto, avendo utilizzato lemmi che tanto hanno fatto discutere, “guerra”, “mirada assassina”, “fuoco sacro”, solo per fare alcuni esempi, svelerò le mie personalissime tecniche di sopravvivenza per far sì che, una serata di tango, mi rechi piacere e non danno.

Sono profondamente convinta che il desiderio è la leva motivazionale principale per ogni danzatore di balli di coppia.

VOGLIO BALLARE. E lo voglio fare bene, lo voglio fare di qualità, voglio portarmi a casa belle sensazioni, nuove emozioni. Voglio COLORE nella danza.

Se sono animato da questo desiderio, che amo definire “sacro fuoco”, ho qualche possibilità in più che la milonga, che sia quella sotto casa o una delle serate di maratona o di un encuentro milonguero, possa arrecarmi piacere, darmi soddisfazione.

Milonga, in questo, senso è GUERRA.

Lo so che la parola non piace, ma è di sicuro la più efficace ad esprimere il concetto di “mors tua, vita mea” che, tradotto in pratica, significa che si “conquista” la tanda solo il ballerino/a VERAMENTE motivato, ovvero, colui o colei mosso da maggior DESIDERIO (ve lo ricordate Quello che diceva “restate folli, restate affamati”? Ecco, così!).

Ne scaturisce che, per essere proattivi (che vi piacerà sicuramente di più della parola “competitivi” che non ritenete abbastanza “politically correct“), bisogna muovere il culo. Cioè, per sperare di muoverlo poi danzando (ahahahah!), bisogna darsi da fare.

Nell’etica che contraddistingue il vero tanguero, questa azione si esplicita semplicemente, mettendo in atto il codice assoluto, la verità prima, unica e indiscutibile: l’utilizzo della MIRADA.

OSSERVO. PUNTO LO SGUARDO. MANTENGO IL CONTATTO VISIVO SE QUESTO E’ RICAMBIATO. VADO A PRENDERMI LA BALLERINA, ASPETTO SEDUTA IL BALLERINO MANTENENDO LO SGUARDO.

Nel frattempo, sorrido, perchè sono felice della possibilità di questa tanda.

In fondo, sopravvivere alla giungla di una milonga, non è così difficile.

Certo, bisogna “starci” di testa, di cuore, di corpo.

Non sempre le serate vanno bene, magari risultiamo invisibili, magari, semplicemente balliamo male, o la musica non ci va. Ma questa è la vita e bisogna saper accettare anche le sconfitte.

Le mie personalissime strategie di sopravvivenza sono cresciute con me, con la ballerina che sono diventata.

Regola n. 1

Andare in milonga SOLO se si è veramente motivati. Cioè, la fiamma del “fuoco sacro”, è bella sbrillucciante. In caso contrario, fare altro.

Siamo animali sociali e, per prima cosa, gli uni degli altri percepiamo l’energia che emaniamo, che si traduce in gesti, in sguardi, in movimenti. Se questa energia non è fluida, vibrante, gli animali della sala lo percepiscono e rivolgeranno l’attenzione verso altre fonti luminose. C’è poco da rimanerci male, è sempre colpa nostra.

 Regola n. 2

Avere sempre ben alta la propria autostima.

Non si può piacere a tutti. Quindi, mettersela via se quello/a ballerino/a non ci si filano di pezza perchè, semplicemente, ciò che siamo, non entra nelle loro corde.

Pazienza. Siamo una popolazione di tangueri ENORME, troveremo senza dubbio anche il nostro estimatore/trice.

La cosa FONDAMENTALE è NON FARSI PRENDERE DALLO SCONFORTO e mettere in dubbio chi siamo. Insomma buttarci da soli la zappa sui piedi. Se la serata non gira, per X ragioni, si levano le tende, SEMPRE CON IL SORRISO perchè quella sarà l’ultima immagine che gli animali della giungla tanguera avranno di noi, e noi non siamo tristi, umorali, negativi e pesanti… siamo LUCE. SEMPRE.

Regola n. 3

Avere cura di sè.

La prima immagine che gli altri hanno di noi è ciò che vedono di noi. Sicchè, la sciatteria è una pessima scelta.

Ad ognuno libertà di esprimere se stesso, tenendo conto che anche il fattore visivo avrà il suo peso nella dinamica dell’invito.

Se uso abiti che mi “nascondono” (colori molto scuri, ad esempio), non mi dovrò lamentare se gli animali in sala non si accorgeranno di me. Semplicemente, non voglio che mi vedano. E datevi da soli la risposta.

Da ballerina, il ricordo che il danzatore con cui ho ballato mi lascia passa anche attraverso questi elementi: l’affinità che è scaturita nella tanda (ovviamente!), la cura del suo abbigliamento (l’uomo che si porta i cambi per ovviare al sudore, si profuma delicatamente…).

Magari per loro è lo stesso, e mi adeguo anche io. Si tratta di aver rispetto dell’altro e di riservargli cura.

Al momento, di strategie non me ne vengono in mente altre.

Quando cado nella trappola mentale della “serata di merda”, mi vengono sempre in mente le parole di una cara amica che, tanto tempo fa, mi disse: “Cara Pimpra, non devi abbatterti se il tal ballerino per cui sbavi, non ti vede nemmeno. Tu insisti e sii paziente. Se lavorerai bene, arriverà il giorno in cui verrà a prenderti.”

Ed aveva ragione, quando ciò accade, è sempre una gran festa (interiore) ed è un’altra “bandierina” piazzata in cima all’Everest tanguero!

E adesso divertiamoci!

BUON TANGO A TUTTI!

Pimpra

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RINASCITA

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A primavera mi succede sempre, sarà il risveglio dal tepore dell’inverno, la ripresa frenetica delle attività, il sangue che scorre più veloce nelle vene, la voglia inarrestabile di respirare più profondamente, il desiderio di vivere circondata di colori, di emozionarmi davanti alla luce nascente del giorno e di farlo nuovamente al tramonto, quando il rosso infuocato sfuma nei toni freddi della notte.

Ho voglia di vivere. Di vivere con la V maiuscola.

Non so nemmeno io il perchè ma, di sovente, mi ritrovo dentro le vite degli altri. Mi accade di adattarmi a ritmi, a suoni e colori che non sono i miei. E “tiro a campà”, senza infamia e senza lodo, perdendo di vista tutto ciò che è realmente nelle mie corde.

Diciamocelo, mano a mano che si invecchia, ops! “matura”, i gusti, le idee, le consapevolezze si fanno più radicati e radicali e quindi un bel “sticazzi” a piegarsi, adattarsi, “farsela piacere” se poi, in verità, non piace affatto…

E di tutto questo son ben consapevole eppure, ogni inverno ci ricasco. E mi accontento e non godo e ingrasso pure assai.

Ma è cosa di donne, questo prendere la forma dell’altro, di andare alla radice del suo essere per cercare di comprendere  (cliccate sulla parola per leggerne l’etimo è meraviglioso)  le ragioni, spesso intricate e controverse, della sua vita.

Proiettate in una dimensione esterna al nostro essere, nell’illusione di creare armonia nell’esistente… A forza di uscire, uscire, uscire verso il mondo, perdiamo il contatto con noi stesse e… ciao…

A me scappa la voglia di chiudermi in casa, adesso è un piacere ancora più grande, considerata la compagnia delle due gattonzole, non avere più vita sociale “fisica” ma solo virtuale, mi impigrisco e mi metto a mangiare.

Morale: arriva aprile, sono fisicamente una cessa, mi odio e animisticamente sono “scolorita”. UN DISASTRO.

Allora vado di dieta, coinvolgendo in cordata i miei più cari amici che lo sono anche per sopportare annnualmente questo mio periodo da pazza, e riprendo ad allenarmi come se dovessi partecipare alle Olimpiadi, e sono tutta un progetto, un “devo fare, voglio andare, non mi fermo più” in una ossessione bulimica di prendere a morsi la vita che, per tutto l’inverno, ho lasciato marcire nella dispensa.

Nonostante la fatica che mi costa, amo profondamente la primavera, la sua aria tersa e carica di promesse, di fiori che sbocceranno di lì a poco, di fantasie  di un’estate da ricordare, di sogni che mi illudo si realizzeranno e di essere felice, almeno un po’…

Pimpra

 

 

 

 

TRIESTE DA BERE.

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Il venerdì è una giornata che mi è sempre piaciuta. E’ carica di promesse, di profumi, di immaginazione. Davanti, due giorni da vivere senza limiti, nessuna gabbietta, nessun orario da rispettare.

Il MIO TEMPO LIBERO. (che poi veramente libero non è mai… ma questo è un altro discorso…)

L’altra Giaguara ed io, alla fine di una settimana pesante, ci concediamo una vera e signorile “uscita dalla gabbia”: finito il lavoro, belle, eleganti come si conviene alla nostra età, trucco e parrucco a posto, ci dirigiamo verso la via della “movida” triestina dove, un nostro compare dello stesso reparto di geriatria, ci ha consigliato vivamente di andare: “fidatevi Ragazze (ndr tra dinosauri, siamo sempre tutti “Ragazzi”), una bella atmosfera, gente giusta, un bello “struscio“.

Allegre il giusto, motivate il giusto, curiose il giusto, senza colpo ferire, raggiungiamo la meta suggerita.

Scelto il tavolinetto strategico, attendiamo di ordinare.

Attendiamo.

Attendiamo.

Attendiamo.

Al 12′ la sottoscritta, con uno scatto degno delle mie baby Maine Coon, si alza e procede verso il banco.

Un giovane acqua e sapone, dai vent’anni forse ancora da compiere, con sguardo annacquato ascolta la mia richiesta (senza scusarsi dell’affronto di non essersi preso cura di due giaguare di cotal fatta…), “Cosa desiderate Signore?” che, uscito da quella bocca ancora sporca di latte, suonava come un “Mamme o nonne”… “Un aperitivo” rispondo prontamente, “Analcolico vero?” chiede il decerebrato.

La mia amica ha dovuto trattenermi le vesti prima che scattassi oltre il bancone a menare di botte il cretinetto che avevo dinnanzi.

Curiosamente ha prevalso la maturità e mi sono limitata a rispondere un “Guarda che non siamo appena uscite da Villa Arzilla, niente aperitivo analcolico per noi!”.

Lo sbarbatello, resosi conto di non essere stato professionale, bastava si limitasse a chiedere un “Cosa desiderate?”, ci ha rifilato due spritz Aperol che avrebbero tagliato le gambe anche a Varenne . In più, il maledetto, per vendicarsi, non ci ha portato nemmeno uno straccio di patatina o altro, giustificandosi che “Gli stuzzichini li stanno ancora preparando ” (erano già le 18.45, non so se rendo…)

Ubriaca e imbizzarrita come poche volte mi capita, ho iniziato a sciorinare alla mia povera amica una filippica  tragicomica sull’età, su come questa società sia crudele e tracci una profonda discriminante basata sulla data di nascita delle persone.

Mentre io parlavo infervorata, l’amica, ovattata dalla botta alcolica e dalle mie chiacchiere, cercava di procacciarsi il cibo che non voleva assolutamente arrivare.

Gli avventori del promesso “struscio” in compenso, iniziavano a varcare la soglia del ritrovo. Classificabili in: ultimo anno di liceo, primo o massimo secondo anno di università. Ovvero BAMBINI!!!

MORALE:

Ho preso l’amica trascinandola nel bar di fronte che frequentavo ai tempi dell’università e che continua ad essere gestito dal medesimo proprietario di allora. Colà, un trattamento da vere principesse, circondate da non più giovani avventori, dove poter chiacchierare tranquillamente, farsi due risate e gustare un’ottima frittura di sardoni.

MORALE 2:

Mai fidarsi dei consigli di un amico cinquantenne in termini di luoghi “sociali”. Lui punterà all’incrocio di “bella gente” sui 20 -30.

… Carne decisamente ben poco frollata per il palato di due Giaguare come noi…

OK.

VADO A SUICIDARMI E POI TORNO!

😀

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

 

 

 

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