OGGI VEDO POESIA

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A volte, quando gli occhi sono privi di quel velo opaco, la realtà si mostra splendente.

Dove prima c’era patina, fastidio, tristezza se non addirittura dolore, compaiono colori, raggi di tenera luce, stimoli allegri e frizzanti che rendono gaia una giornata qualunque.

Mi stupisco di quanto la mia immaginazione sia capace di creare, specie in negativo, e di farlo con così grande verosimiglianza, da farmi stare male. Poi, nello stesso modo, inverte polarità e mi regala una visione sul mondo e del mondo che è pura poesia.

Oggi è uno di quei giorni beati e, dal momento che sono più rari degli altri, ho deciso di godermelo con tutta l’intensità possibile.

Un luogo a me caro è Molo Audace, una lingua di pietra carsica che si spinge di qualche centinaio di metri in “Sacchetta” (Golfo di Trieste) per dirla alla triestina, dove la vita locale, si esprime con grande naturalezza. Lo slideshow lo dimostra. C’è chi ci va per rilassarsi, per pensare, per pescare, per oziare e prendere il sole, per starci abbracciato con la persona amata.

Anche gli stranieri, iniziano ad apprezzare il luogo, frequentandolo come dei veri triestini.

Modificare la visione del mondo, avere la capacità di saper guardare oltre il proprio naso, e, soprattutto, bypassare le proprie “paturnie esistenziali” è il solo modo, almeno credo, di godersi la vita.

Godere, in fondo, cos’è se non saper apprezzare gli attimi infinitesimali di cui è costellata la nostra esistenza, prenderli tra le mani ed osservarli come fossero preziosi diamanti?

Oggi mi riesce di farlo ed è una visione così meravigliosa che vorrei fissarla per sempre, come il sorriso che, da stamattina, non lascia le mie labbra.

Pimpra

IMAGE CREDIT: foto mie.

 

 

 

 

Ci sono persone, poi c’è Mina.

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Ci sono persone che illuminano la stanza in cui si trovano.

Ci sono persone che ti conquistano per la loro brillante intelligenza.

Ci sono persone di cui ti innamori al primo sguardo.

Ci sono persone che sanno come rendere speciale ogni piccola cosa.

Ho una carissima amica che ha la fortuna di avere la mamma che fa parte di queste categorie. Una mamma che oggi porta con disinvoltura civettuola i suoi quasi 90 anni. Lo so, di una signora non bisognerebbe dichiarare l’età, ma ci sono casi come questo che lo meritano: 89 primavere sulla carta di identità, 75 anni l’età percepita.

Lei si chiama Mina e se non fosse volgare e truculento, un bel “bomba” le sarebbe  più appropriato.

Mina è una triestina purosangue, di quelle che rappresentano la bandiera dell’emancipazione come il vessillo più prezioso. Mina, in tempi non sospetti, nel lontano dopoguerra, è stata il primo ispettore capo di polizia femminile, quando le altre potevano sperare solo in un buon matrimonio per la loro realizzazione.

Mina è una donna al 100%, non assomiglia a una virago, a una di quelle donne che fanno di tutto per sembrare ed essere ciò che non sono. Lei è.

Scrivo tutto questo per raccontarvi come possa essere meraviglioso godersi la vita, in tutto e per tutto e non concedere al tempo e alla vecchiaia fisica sopravvenuta, di piegare la volontà di poter scegliere e di mettersi in gioco.

Lei e la sua amica coetanea, da brave triestine, volevano andare a Grignano a fare il bagno e a prendere il sole. Incuranti della canicola, incuranti della non più verde età, e volevano raggiungere lo stabilimento utilizzando ben 3 autobus.

La mia amica, unica figlia, per poco non andava fuori di testa, cercando di far ragionare la madre sul rischio di compiere tale impresa.

Certo impresa perché far uso dei mezzi di trasporto pubblici, oramai infestati di cittadini privi di senso civico, con il caldo che colpisce duro anche i più giovani, a quasi 90 anni, è come sfidare la sorte.

Ne parlavamo insieme a pranzo, quest’oggi, e mentre Alessandra esprimeva la sua preoccupazione per le idee della madre, io immaginavo la scena, vedendo me, alla stessa età (ci arriverò?), con la mia amica, due arzille vecchiette che, incuranti del mondo e dei limiti fisici dovuti all’età, organizzavano la loro giornata di mare.

La mente è volata via in un soffio e ho provato un senso di gioia e di pace così grande che ho capito, mi è stato chiaro perchè rischiare di cadere in autobus, di avere un colpo di calore e non so che altro.

Si chiama amore per la vita, amore per se stessi e per quell’Anima immensa che siamo che non conosce età, sesso, nazionalità, religione. E’ l’infinita Gioia che ci chiama, che fa muovere i nostri passi, tiene sveglia la mente e caldo il cuore.

Ho detto alla mia amica “Lasciala andare e se mai dovesse accaderle qualcosa, potrà dire di aver vissuto fino all’ultimo istante”.

E’ chiaro che è l’istante, oramai, la sola ragione che conta.

E poi, una triestina non può avere il guinzaglio al collo e men che meno la catena.

OLE’! Evviva la vita!

#STICAZZI!

Pimpra

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IMPARA AD ASCOLTARE.

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I messaggi dell’universo, non si tratta di una storia new age, che forse non va nemmeno più di moda. Sono segni, ammonizioni, sussurri che riceviamo sempre, con dedizione e costanza a cui non prestiamo la corretta attenzione.

Quella vocina che ogni giorno ti ricorda di usare bene il tempo, riempiendolo di azioni/pensieri/emozioni/vissuto che renderà quel giorno un giorno prezioso perchè ti avrà lasciato qualcosa.

La vita, in fondo, è questo: prendersi cura degli attimi, quei sottili istanti che legati in un filo sottilissimo tessono una corda resistente e spessa alla quale restiamo appesi.

Ho ricevuto un grande segnale, proprio in questi giorni recenti, una notizia che non ti aspetti e che ti arriva in faccia come un diretto. Elabori,  cerchi di mettere a fuoco e leggi chiaramente il messaggio: cerca la qualità in quello che vivi perchè è la sola cosa che ti resta.

Del tempo che abbiamo a disposizione non ci è dato sapere e, di solito, siamo tutti piuttosto superficiali o spaventati per guardare la vita che conduciamo con il microscopio: preferiamo non sapere, decidiamo di far finta di non accorgerci che manca qualità, manca stimolo, manca visione, manca desiderio, manca allegria, manca gioia, manca amore, manca…

Così, ovattiamo pensieri, parole, opere con tante omissioni, o rimozioni che dir si voglia, e tutto appare di un bel grigio argento, se siamo bravi, ma sempre e solo grigio.

L’Universo osserva silente il nostro girare vorticosamente nella ruota del criceto, e, ci prova, dolcemente dapprima, violentemente poi, tenta di risvegliarci. A volte ce la fa, a volte perde anche lui.

Ci vogliono due palle così. Perchè ogni presa di coscienza, di norma, porta con sé il cambiamento e per cambiare ciò che si conosce, bisogna metterci una volontà bestiale. Ma si può fare, anzi dovremmo tutti concederci il privilegio di regalarci questa opportunità.

Allora sai che c’è? Vado a prendermi cura dei miei attimi. Che diventino “belli”.

Pimpra

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IL TEMPORALE A 6 ANNI

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Il carosello del sole che gioca con le nuvole, come due bambini che si rincorrono ad “acchiapparella”.

Di lato, all’improvviso, sbuca il vento che, a folate, si intromette nel gioco.

Le nuvole si arrabbiano diventando nere e minacciose e il sole si offende, sentendosi estromesso dal gioco.

Allora il vento soffia più forte e le nuvole si mettono a piangere.

Ecco, piove.

Hanno un brutto carattere le nuvole di primavera, all’improvviso si adombrano e non smettono di rilasciare i goccioloni che sono grandi all’inizio e si trasformano in una tenda d’acqua di cristallo trasparente.

Poi, il vento se ne va, così come è venuto, annoiato dalle moine delle nuvole.

Il sole, visto il campo sgombro, torna dalle sue amiche nuvole e le consola riscaldandole con i suoi raggi, così, anche loro,  mandandogli un bacio, lo salutano andando per la loro strada nel cielo.

E torna la primavera.

Pimpra

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C’ERA UNA VOLTA …

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C’è stato un bel momento della vita in cui, noi tutte, siamo state principesse. Alcune hanno mantenuto quello status, altre, hanno cambiato numerose vesti, fino a diventare le donne che sono.

C’era una volta…

Ai tempi la piccola principessa era una fanciullina molto allegra, amava giocare con tutti i bambini, portava dentro il gruppo quelli che, troppo timidi per spingersi da soli, restavano in disparte.

La principessa amava gli alberi e raccogliere le more, disegnando le labbra con il rossetto naturale dei frutti, fingendosi una gran dama di corte mentre, dall’alto della sua postazione, mollemente appoggiata ai rami, si rallegrava della vista sottostante.

Amava i fiori, le rose per l’inebriante profumo e le dalie per l’esplosione di colori che creavano nei giardini.

D’estate passava le giornate al mare, galleggiando a pelo d’acqua per godere della vita che scorgeva nel fondale, anche se, maschera o occhialini che fossero, si annebbiavano sempre troppo presto e il fondo doveva imparare a immaginarlo.

Da quando era una piccola principessa fantasticava su se stessa da grande, allora si vedeva felice dentro al suo castello, in compagnia di un bel principe azzurro.

Come ogni favola, e come molti degli abiti che indossava, anche i suoi sogni erano colorati di rosa.

Il tempo, vestito del suo mantello grigio, un giorno le passò accanto più da vicino e, d’un tratto, la principessa si ritrovò già grande, in una casa che non era più il suo castello, circondata da persone che non conosceva ma che la conoscevano. La principessa non aveva nemmeno più la sua coroncina, era diventata un ‘adulta.

Alle sue proteste, alle sue richieste riceveva dinieghi, molti no, e, a volte, pure qualche ceffone. Comprese che, per stare nel suo nuovo mondo, doveva adattarsi al meglio alle nuove usanze del luogo.

Fu così che si plasmò, si modificò per corrispondere a quanto  le veniva richiesto. Il vantaggio di questo agire fu subito evidente: non ci furono più rimbrotti, ceffoni e qualcuno le diceva pure di sì.

Felice di questa ritrovata serenità, la principessa adulta, continuò felicemente la sua vita, incontrando persone, visitando luoghi nuovi e facendo tante esperienze.

A volte, però, le accadeva che dinnanzi allo sbocciare timido di un fiore o annusando il profumo della terra dopo la pioggia, provasse un grande struggimento, come di qualcosa che aveva perso e che non c’era più.

Ancora una volta il mantello grigio del tempo le passò vicino e la principessa si ritrovò oramai vecchia, con i suoi capelli lunghi diventati bianchi e le lunghe mani avvizzite, il volto segnato dalle rughe.

Stavolta però non si spaventò più, si guardò intorno cercando qualcosa che le era familiare.

Un bell’albero di gelso, carico di more, si ergeva davanti a lei. Nell’attimo stesso in cui lo vide, il desiderio di salirci si impossessò di lei. Solo che adesso era vecchia e doveva trovare un modo diverso di arrampicarsi perché non aveva più la stessa agilità di prima.

Detto fatto, una cassetta di legno alla base del tronco, appoggiata sopra una grossa pietra le permisero di raggiungerei rami più bassi. Il resto sarebbe stato un gioco da ragazzi.

Poco dopo, un po’ stanca e sudata, si ritrovò accoccolata al suo ramo preferito che, nel frattempo, era diventato molto più grosso e più resistente. Intorno sentiva il profumo delle more, ne vedeva il bel rosso carminio, sentiva la magica melodia delle foglie mosse dal vento e, in un attimo, la sua mano si riempì di frutti e le sue labbra tornarono colorate.

Una voce di bambina, poco più su, la salutò commentando che le more, quest’anno, avevano un colore perfetto per disegnare le labbra.

Si misero il loro rossetto naturale, sorridendo ai loro ammiratori invisibili, godendosi il sole fino al tramonto.

Finalmente, di nuovo, insieme.

Pimpra

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DI TANTO IN TANGO. MUTAZIONI PSICOFISICHE DA TANGO ARGENTINO

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Ammirando un ciliegio in fiore, anzi, perdendomi letteralmente dentro alla sua bellezza, ho visto me stessa come mi vedrebbe un altro.

Tralasciando il solito trito discorso di quanto è bello essere giovani, anche se preferirei dire “avere un corpo giovane” (l’esperienza di vita è un bene impagabile), mi accorgo ogni dì che passa di quanto sono cambiata.

L’altro giorno, ad esempio, ho rivisto un conoscente che non incontravo da ere geologiche, e, in modo del tutto naturale, gli ho gettato le braccia al collo per abbracciarlo.

Conosco un essere umano e, per salutarlo,  lo abbraccio quasi subito.

Con gli amici, i familiari, le persone del mio cuore, inutile dire che sono affettuosissima: praticamente nessuno sfugge più alle mie calorose effusioni. Nemmeno le Gattonzole, poveracce…loro poi…

Mi capita molto spesso di indossare capi di abbigliamento che stringono sui fianchi, evidenziandoli, senza temere l’effetto “culona”, anzi, mi dico, peccato che non sporge di più, sarebbe più femminile.

Ho imparato cosa significa avere un portamento regale, sentire quando la mia schiena si ammoscia in un sacco o diventa flessuosa, forte e ben dritta. Anche il collo è più felice, perché non lo faccio più ciondolare, adesso so dove si trova, trionfale alla base della testa, e gli conferisco tutta la dignità che merita per il duro lavoro di supporto che svolge.

Osservo le donne, cercando la grazia nelle loro movenze, noto come appoggiano/buttano/ciabattano/sfiorano i piedi a terra, so dire in 4 nanosecondi se Lei è abituata a portare i tacchi o se è neofita.

Mi piacciono le signore “giaguare”, ovvero le donne – di tutte le età – che sanno decisamente godere di loro stesse, di come sono e di quello che sono diventate. E si sentono profondamente libere, dal giudizio, dal pregiudizio, dalla morale, dalle convenzioni. Come ogni felino che si rispetti, scelgono loro come/quando/se/chi.

Mi piacciono gli uomini che ti guardano. Quelli che apprezzano ciò che sei nella tua unicità e non ti vogliono diversa, alla moda, o perché “così fan tutte”. Quelli che sanno che c’è la persona ideale con cui andare al cinema o a teatro, la donna con la quale ridere davanti a un caffè, o quella da sedurre durante un aperitivo in riva al mare.

Mi piacciono gli uomini che ne scelgono una e sanno che con lei e solo lei, c’è una magia speciale.

Mi piacciono gli uomini consapevoli di chi sono, nella pregevolezza del proprio limite umano, esistenziale e animistico. Uomini realizzati nel proprio sé.

Prima di diventare una ballerina di tango, non conoscevo di me e del mondo, tali sfumature.

Fino a qui sono passati 11 anni di amore folle e questi sono i risultati, mi chiedo quali altri mutamenti mi aspettano in futuro e… sono pronta ad accettarli.

E qui un bel “Sticazzi” ci sta tutto! Olè!

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

 

 

 

ONIRICA


Ci sono quei giorni in cui hai la fortuna di svegliarti nel bel mezzo di un sogno. Certo, maledici l’attimo in cui il combo cacofonico della sveglia si unisce al dolce miagolio delle tue amate Gattonzole che ti cantano melodiose il loro richiamo per riportarti nel mondo reale.

Momenti in cui cuscino e piumottone sono i compagni più dolci delle tue scorribande notturne.

Da grandi si sogna molto meno, oppure, a fatica, si ricorda. Mi sono sempre chiesta il perchè, sarà la rimozione, l’inconscio spezzato, la mente razionale che tiene sotto controllo il sistema, o, più banalmente, lo stress, la fatica e la frustrazione moderni.

Quando sogni denso, e ricordi, specie se il sogno è mattiniero, la sua compagnia ti segue per tutto l’arco della giornata, regalando quelle piacevoli sensazioni che, con un battito di ciglia, sai riportare a te.

Oggi il mio risveglio è stato così, una violenza inaudita sentirmi rapire dal mio mondo onirico assolutamente perfetto.

Istanbul della moschea blu era il quadro dove vivevo la mia avventura giaguara, sì perchè c’era un uomo, più giovane e molto aitante che s’invaghiva di me. Ricordo che era molto alto, particolare che mi ha colpito e che, per una ragione legata al momento, vivevamo dentro un attentato e stavamo scappando cercando rifugio all’ambasciata italiana, mi ha preso vicino a sè, mi ha abbracciato di lato, ed io restavo sotto la sua ala protettrice da quanto mi sovrastava in altezza.

Una sensazione molto piacevole, lo confesso, e poi la rocambolesca fuga con la certezza piena di potermi fidare di questa figura, conosciuta da poche ore che si era presa cura di me e delle persone con le quali stavo viaggiando.

La Turchia, quella meravigliosa moschea che mi ha riportato immediatamente alla mia prima giovinezza iraniana, ai canti dei mujaeddin, al khador, al the con le zollette di zucchero di canna che avevano un gusto che non ho più ritrovato.

Il sogno ha vellutato tutta la giornata di oggi, regalando dolcezza al mio sguardo e tenerezza al cuore.

Non vedo l’ora di riaddormentarmi ancora.

Pimpra

Foto mia.

I (SOLITI) BUONI PROPOSITI

 

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Al 28 dicembre, come una scure da cielo, ti arriva in testa l’idea che DEVI assolutamente organizzare nella tua mente, la lista di buoni propositi per l’anno che verrà.

Come fai in ufficio, rimettendolo a posto, riordinando le carte, liberandoti del superfluo, lo stesso accade per le ragioni della tua vita. Hanno bisogno di essere rimesse a punto, in un ordine consono, positivo e ottimista,  come a caricare una molla che, liberata, ti farà partire a razzo nel nuovo anno.

Ma, sticazzi, ti dici ogni volta che, sai che te non sei buono a tener fede a quanto ti eri ripromesso e, questa lista virtuosa, il più delle volte, rimane solo un desiderio, nulla più…

Ma, la tradizione è tradizione, e va rispettata.

MI RIPROMETTO DI:

  • imparare la Temperanza. Ovvero, concedermi qualche nanosecondo prima di partire in quarta con qualsiasi reazione mi venga in mente di avere, qualsiasi cosa mi salga alla bocca di dire. Insomma: devo provare a “contenermi”. Pare che, la mia indole impulsiva, sia un difetto troppo, troppo grande per l’età che porto.
  • dedicarmi con vigore alle mie passioni. Vabbè per far ciò, basta scegliere, a volte egoisticamente, di ritagliare del tempo per se stessi. Si può fare.
  • concedermi il lusso della sosta, di prendere tempo (che non significa “perdere tempo”)
  • scegliere me, un po’ meno gli altri, specie quelli che non lo meritano.

Poi ci sarebbero chissà quante altre cose, ma la lista diverrebbe troppo lunga e noiosa e poi… cui prodest, visto che, molto probabilmente resteranno solo dei desideri campati in aria, promesse e intenzioni vuote…

Quindi smetto subito e vi auguro, semplicemente, di VIVERE COME PREFERITE.

Alla fine, la scelta più intelligente.

BUON ANNO NUOVO!

Pimpra

QUI ED ORA. (PIPPOLOTTO, VI AVVISO!)

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Quanto sono belle le serate trascorse con una cara amica che non vedi da tempo con la quale resta sempre intatta la confidenza, lo scambio, e un grandissimo affetto.

Nel suo piccolo appartamento, come il nido di un uccellino, delicato e dolce come è lei, pulito, deliziosamente arredato con un’attenzione ai piccoli dettagli che sussurrano la sensibilità vibrante della padrona di casa, mi sono presentata con un frizzantino rosè e Tupperware al seguito….

Le parole sono scivolate fluide, intervallate da argomenti leggeri o seri, così come le donne sono abituate a discorrere.

Lei, come molti di noi, ha visto naufragare un rapporto su cui aveva scommesso “per la vita”, ma così non è stato. Le ossa rotte, l’anima e il cuore feriti, ha ripreso la sua vita tra le mani, con il coraggio e la determinazione che servono ogni volta che si riparte da capo, e si è rimessa nel flusso delle cose.

La dolorosa esperienza, tra i tanti segni che le ha lasciato, ha messo un tarlo nella testa, ovvero: chi si prenderà cura di me quando sarò vecchia? Evidenziando ai massimi sistemi, il dolore esistenziale di questa moderna società.

Mai come ieri sera, ho potuto toccar con mano, la solitudine, il vuoto pneumatico che i single della mia generazione stanno vivendo.

C’è chi brucia la vita, anestetizzandola sulla propria pelle agendo comportamenti e sentimenti di totale edonismo, vuoto però di contenuti, nulla a che vedere con un sano epicureismo consapevole e goduto,  altri, invece, tuffano il loro essere negli abissi del più profondo “mal di vivere”, basato sulla prima, sostanziale, mancanza: l’amore (per se stessi e per gli altri), la solitudine di rapporti che poggino su qualcosa di vero.

Il futuro, a quel punto, diventa un mostro che terrorizza, mancando le strutture caratteriali e definite certezze sul proprio sé e sulla propria essenza. Partono così i pensieri bui, l’idea della vecchiaia come malattia e non come compimento gioioso di un percorso di vita. Si immagina il corpo debilitato, impossibilitato a provvedere a se stesso e quindi, esplode il bisogno dell’altro.

Credo non abbia senso andare così avanti con il pensiero, immaginare e ipotizzare situazioni che non abbiamo nessun reale strumento per essere comprese.

La sola cosa che siamo capaci di conoscere è il QUI ED ORA. Nulla più. Il resto sono solo proiezioni, più o meno belle, di emozioni positive o negative, che vivono dentro di noi.

Allora sai che c’è? Resto connessa a questa dimensione, cerco di vivermela al meglio, con fiducia e gioia di me, di quello he posso portare nel mondo e dal mondo ricevere.

Forse semplificare, alleggerire è la sola via per vivere meglio.

AMEN.

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

PROFUMO DI ZUCCHERO CARAMELLATO

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Dicembre ha un fascino particolare, specie per le mie sensibilissime narici. Come in molte altre parti d’Italia, anche Trieste diventa teatro di numerosi mercatini natalizi, quello più triestino di tutti è, senza dubbio, quello dedicato a San Nicolò che si festeggia il 6 dicembre.

Il viale XX Settembre è, da sempre, il luogo deputato ad accogliere le variopinte bancarelle che offrono dai più classici gadget natalizi auna variegata offerta di supercazzole. Trieste, a differenza di altre città italiane, si è sempre distinta, a mio modesto parere, per l’offerta decisamente “ruspante” di merci, molto lontana che so, dalla raffinatezza dei mercatini natalizi dell’Alto Adige, tanto per citarne alcuni.

Qui siamo così, non particolarmente raffinati, ci piacciono le cose semplici, ci piace ingolfarci di porchetta, riempirci la pancia di gommose e morbide che girano tutta l’Italia, messe bene in mostra, senza protezioni, e riempendosi di tutte le possibili polveri sottili presenti in ogni città che si rispetti, così per dire…

Eppure, nonostante non si facciano affari, anche se annunciati a colpi di improbabili “offerte”, per tutte le generazioni di triestini, un passaggio in Viale a vedere le bancarelle, è imprescindibile tappa dei primi di dicembre.

L’odore dolce dello zucchero caramellato che incolla e trattiene noccioline, mandorle dei croccanti che vengono acquistati a barre, pesantissime e vendute a peso d’oro, si mescola a scie odorose di cipolla che serve da farcitura ai paninazzi Romagnoli, serviti con la porchetta.

A noi ci piace, ci piace da matti la combo paninazzo/birretta e ciambella fritta, piuttosto che zucchero filato, o croccante. Siamo e restiamo bambini, ammaliati dai colori sintetici delle baracchine, la nostra curiosità si perpetua di anno in anno a cercare quell’articolo o quella specialità culinaria che, ancora, mancava nel nostro palmaresse di assaggi/acquisti. Ma ogni anno lo spettacolo è uguale e noi facciamo finta di stupirci come la prima volta.

La mia testa adulta è da tanto, tanto tempo che ha realizzato la fregatura di questo ambaradan prenatalizio e non mi viene in mente di razzolare al freddo per le bancarelle cercando introvabili rarità, ma, il mio naso, lui sì, è sempre molto sensibile al richiamo profumato e stonato delle bancarelle.

Ogni anno che passa, mi riporta ai miei anni verdi quando, monete alla mano, riempivo il mio sacchetto di colorate gommose e morbide, di lunghissime striscie di liquirizia e, felice, mi aggiravo nello stretto corridoio di passaggio tra un venditore e l’altro, facendomi largo a suon di spinte, perchè io dovevo vedere, scoprire, emozionarmi davanti a tutto quello che mi sembrava un bendiddio!

Pimpra

IMAGE CREDIT: Luca Marsi

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