DI TANTO IN TANGO. PROSPETTIVE INTERIORI E TANGO AL FEMMINILE (MA NON SOLO)

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Pms di quelle che spaccano, talmente fastidiosa da trovarmi insopportabile.

Rimedio n. 1: un allenamento con il mio personal trainer. Esordisco dicendo “Sono nervosa. Fammi morire” . E lui mi ha preso in parola (oggi non cammino, ma questo è un altro discorso… 😉 )

Rimedio n. 2: lezione di tecnica femminile, tango argentino, la mia terapia.

Mi presento che sono spaccata, letteralmente, ancora tanticchia rompi palle, scontrosa dentro e particolarmente “bionda inside” leggi: in autostrada, finestrino aperto, e trallallero trallallà, mi vola via il tagliando di ingresso. Sorvolo sui casini per pagare la tratta autostradale Trieste/Udine e non Taranto/Udine (78 euro, per la cronaca…!)

La lezione è tenuta a due mani, dalla mia insegnante Mara e da Martina . Inizia la seconda, coinvolgendo tutto il gruppo in un gesto liberatorio, volto a scoprire lo spazio fisico a disposizione, riempendolo del movimento dei corpi, portati dalla musica.

Fluire con le note, dentro lo spazio esteriore e, aggiungo io, interiore.

Non si trattava di tango, premetto, perchè a tutte noi presenti, sicuramente ci avrebbe influenzato negativamente, bloccando i nostri corpi dentro a degli schemi elaborati in tanti anni di ballo.

Affascinante osservare come, quasi tutte noi, fossimo ingabbiate nelle nostre menti e quanto ci abbiamo messo a “lasciare andare”.

Come fai a tornare nell’ingenuità del bambino che se ne frega di quello che è bello/giusto/fatto bene e risponde libero al richiamo della musica? Ci abbiamo messo un’ora abbondante, ma, con la guida di Martina, credo che tutte noi, siamo riuscite ad entrare nella dimensione pura del nostro corpo, finalmente svincolata dal dominio coercitivo della mente imperante.

L’esercizio di ascolto profondo della musica, fatta di note toccanti di un singolo pianoforte, su di me, ha avuto un effetto assolutamente catartico. La musica è entrata, ha trovato il suo spazio, lo ha riempito, è fluita, è scivolata, ha giocato, accarezzato, pizzicato il mio corpo e la mia mente. C’era solo lei e la mia anima in ascolto, e finalmente un corpo fattosi tempio, amato, principale custode di questo fluido sonoro così denso e leggero, capace di pulire tutti i cattivi pensieri, i fastidi, le pesantezze.

Liberata e potrei dire quasi rinata, ho affrontato lo stesso tipo di esercizio di ascolto e danza su un brano di tango.

La sensazione forte è che tango fosse “casa” e che tutta me volesse riscoprirla. Con il cervello “spento”, così come ci hanno da sempre insegnato le nostre “Signore giaguare del tango”, ma con l’ascolto di cuore, emozione e corpo ben accesi, ho provato sensazioni nuove e meravigliose.

Il tango del mio futuro sarà così. Sarà colorato di una dimensione intimistica assolutamente “vibrata”, interiore, sensibile e fina. L’abbraccio conterrà aria pulsante che dal mio corpo e dal mio sentire andrà verso il mio partner e, credo, saprà aprire nuovi orizzonti e portare a nuove scoperte.

Un tango più denso. Adesso credo di averne colto appieno il significato.

Pimpra

IMAGE CREDIT Patrizio D’Acquarica

LA POETICA DEL GAMBERO. T’AMO TANGO.

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Sono sempre più convinta che le attività fisiche, siano esse sportive o più marcatamente di taglio artistico, forgino il carattere.

Fare sport, farne tanto e farlo bene, dovrebbe essere obbligatorio per tutti i giovani, per insegnare loro il significato di sacrificio, pazienza, determinazione, ambizione, desiderio e piacere di spostare il proprio limite, l’accettazione delle sconfitte, l’obbligo a non mollare a continuare a provarci, sempre.

Il tango argentino, benché lo comprenda nelle attività di taglio creativo/artistico che si fanno con il corpo, segue gli stessi dettami dello sport, ma con un ingrediente in più: il piacere metafisico che  essere mezzo materiale per esprimere creatività, aggiunge una marcia in più alle naturali endorfine generate con il movimento.

Dopo più di due lustri di tango, ieri a lezione di tecnica femminile. Perché c’è sempre da imparare, sempre da perfezionare, sempre da limare il difetto, da esaltare il pregio.

Con le amiche di lungo corso tanguero si commentava che, come accade dopo ogni lezione o stage, si tocca con mano la ferita più profonda: è necessario lavorare costantemente sui fondamentali.

L’ABC. L’alfabeto tanguero, i movimenti che sono la base e la radice di tutto.

Gli anni trascorsi nelle sale da milonga hanno insegnato, se non altro, a percepire meglio il proprio corpo che, se ben indirizzato dalla correzione del maestro, può essere reimpostato.

Il problema odierno, forse, è che abbiamo tutti tanta fretta di imparare e frenesia di ballare, concedendoci minor tempo per introiettare, in profondità, gli elementi basici che saranno, comunque, la firma unica del nostro tango adulto.

Se potessi, bramerei di massacrare la mia autostima di ballerina, con un’ora (spietata) di tecnica femminile alla settimana, dove passare allo scanner e al rasoio il mio corpo, il movimento che produco, le linee che creo per lavorarci su e migliorare e crescere e crescere ancora…

Ricordo il mio primo passaggio in quel di BSAS, le ore trascorse a scuola a smontare ogni pezzo di me, ogni mia certezza per ricostruire da zero. Dalle basi, dall’abc. Ed è ancora nella mia memoria la frustrazione provata al ritorno da quell’esperienza dove, mi sembrava che la sola cosa che avessi capito era che, dovevo ripartire dall’inizio.

Ed è sempre così, ad ogni lezione, ad ogni passaggio allo scanner dello sguardo di un maestro esperto che segnala, suggerisce, corregge e, almeno a me, motiva tantissimo.

E quindi, via andare con camminata, radicamento, utilizzo dei piedi/pianta/dita, e prendi l’energia da giù e portala su, e sii maschile sotto, femminile sopra, e rilassa e sii reattiva, morbida, fluida. Ah sì, visto che ci sei, prova a colorare di femminilità, dai la tua marca unica, esprimi il tuo cuore.

Ogni volta una morte, ogni volta una rinascita.

Poetica del gambero. Poetica del tango.

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

DOVE CI SIAMO PERSE? (post per sole donne, pippolotto annesso)

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Mentre sorseggiavo il caffè e programmavo gli impegni della giornata, per puro caso sono incappata in un video su FB che parlava di donne. La durata di 24′ ha fatto sì che ne vedessi solo uno spezzone e, ovviamente, poi ho perso il link… mannaggia. [grazie all’amica Anna, ecco qui il link che vi invia al citato video, qui]

I pochi minuti che gli ho dedicato, hanno comunque acceso numerose lampadine su alcuni stati mentali miei e, purtroppo, condivisi con molte altre donne.

Sono della generazione di quelli nati in pieno ’68, che sono stati bimbi negli anni ’70 e adolescenti negli ’80.

Ricordo perfettamente quando, da un vivere e da un sentire strettamente connesso al sociale, al gruppo, alle diverse e numerose umanità, intese nelle loro pregevoli sfumature (anni 70), d’un tratto siamo stati proiettati in un universo di significati alterati, indotti e spinti verso tutto ciò che era prettamente “apparenza”, manifestazione visibile, appartenenza in senso negativo poichè impostato solo su “status symbol” imposti dall’alto.

Ricordo che, allora, il mio corpo sportivo, la floridezza del mio viso ancora di bimba e le forme sontuose (abbondanti) del mio didietro, venivano prese in giro in malo modo. Aggredite, quasi, poichè non ideali al modello corrente.

Ricordo ancora quante lacrime ho versato perchè a me non piaceva uniformarmi, non avevo il corpo e l’apparenza di “tutte” (mingherline, alte, ma con grandi tette), io ero me, la ragazza sportiva, allegra, ciarliera e… i cui genitori non avevano (all’epoca) possibilità economiche grandiose per soddisfare le mie eventuali richieste di “simboli”.

Già, perchè noi siamo stati una generazione basata su “etichette”, formali e virtuali che gli adulti dell’epoca, ci hanno imposto.

Ricordo i miei sogni di ragazza, immaginavo me stessa in tailleur a dirigere un’azienda, una donna manager, realizzata ed indipendente. Non vedevo nel mio orizzonte immaginario nè famiglia, nè figli.

Un uomo in teorica gonnetta.

Affatto in connessione e sintonia con la sua femminilità, completamente repressa, chiusa, archiviata poichè, comunque, non corrisondente al “modello”.

E due stramaroni di questi modelli che hanno perseguitato la mia/nostra esistenza! Da quelli fisici (non hai le tette, il culo è troppo grande, sei in sovrappeso, sei bassa, hai le spalle troppo larghe e qui mi fermo) a quelli sociali e psicologici.

Crescendo, per fortuna, ci si libera un po’ di questi colossi che impediscono di vivere la propria esistenza, dandole il taglio che meglio si crede… ci si libera… insomma…

Guadata la boa dei 40, come una pirla, mi ritrovo dentro a questi cliché malati, con tutte le scarpe.

Se per 20 anni, conclusa l’adolescenza, vivaddio!, ho creduto di scegliere secondo le mie corde la vita che volevo fare (più o meno) e la persona che volevo essere, sbarchi nella “mezza età” e sei nella merda un’altra volta.

E certo, perchè a noi donne, ci smaronano di ideali impossibili da raggiungere, come se vita significasse perfezione. Ecco donne che a 50-60 anni ne devono mostrare 20 di meno, ragazze che non godono della loro giovinezza acqua e sapone e sembrano delle matrone (certo senza rughe e con un corpo da svenimento), perchè la società ci vuole “ggiovani”, strafighe, iper sexy, costantemente portate a sedurre il mondo intero.

Da quarantenne, mi guardo allo specchio e invece di cercare la vita che ho vissuto sul mio volto e sul mio corpo, vorrei cancellarne ogni traccia. Ciò è male, malissimo! Sticazzi, mi hanno beccato di nuovo nell’ingranaggio bestiale che mi obbliga ad essere ciò che non sono…

Fortunatamente ci sono gli amici, la famiglia e… un barlume di intelligenza che mi resta e provo a guardare ancora, e vedo me, quella che sono diventata a forza di sberle e sorrisi che la vita mi ha regalato fino a qui… e amo (finalmente) le mie tette piccole e il mio culo grande, perchè sono solo miei e va bene così.

Non è facile “ritrovarsi” in questo marasma di stimoli demenziali che provengono da ogni dove e sentirsi una giaguara serena e rilassata in pace con se stessa e felice di quello che è, adesso, in questo momento.

Vabbè, concludo il pippolotto invitando tutte Voi che siete meravigliose nella vostra unicità, nel vostro difetto e nella bellezza del pregio, ad AMARVI, come solo voi meritate davvero.

Per il resto: a fanculo tutti!

ALLEGRIA!

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

ps: mi sono scappate un bel po’ di parolacce… abbiate pazienza… 😦

 

 

 

LOUBY, L’IMPUNITA E LA FUITINA

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Ma li vedete quegli occhioni nocciola così languidi e sognanti?

Si chiama natura, ormoni, calori… La mia Gattonzola Louby si sta facendo femmina, ha praticamente lasciato la sua dimensione di cucciola per entrare nella sua primissima gioventù… e quale gioventù!

Ieri sera, tra il lusco e il brusco, se l’è data a … zampe, facendola sotto il naso dei suoi inconsapevoli umani!

Stamattina, si è presentata sulla porta di casa, chiedendo di entrare, e noialtri manco ci siamo accorti che se ne era uscita! 😀

La piccola di casa, Folie, ha accolto la sorella soffiandole di brutto… l’odore di cui era portatrice, non le era famigliare.

MORALE:

  1. prima di andare in ufficio, doccia alla sciagurata per “laare la vergogna” 😀
  2. questo pomeriggio dal veterinario  a capire il da farsi
  3. cercare di tranquillizzare la sorella che non finiva di menar sberle alla mascalzona fuggitiva.

E io me le godo e rido, mi divertono un mondo le mie adorate Gattonzole!

EVVIVA LA NATURA!

Buon weekend a tutti!

Pimpra

 

Polaroid di un pomeriggio di giugno

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La vita di una donna, in uno scatto fugace.

C’è tutta me.

La velocità che colora di sè le mie giornate, vissuta correndo dietro agli impegni che l’orologio scandisce, issata sul mio fedele destriero di ferro, a due ruote motore.

La pioggia che, come gli imprevisti, va gestita.

Il piacere di restare donna, nonostante tutti i rumori di fondo della vita, accorgendomi di quel cuore che, sul selciato bagnato, si mostra ai miei occhi.

Voilà, la piccola poesia dell’ennesima giornata di pioggia di quest’estate che non si svela ancora.

Ed io, comunque, sorrido.

 

Pimpra

 

 

 

 

 

DI TANTO IN TANGO: TANGO E GIUNGLA. LE MIE STRATEGIE DI SOPRAVVIVENZA

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Rimango sempre molto stupita quando, di fronte a uno dei miei post sul tango, per ragioni che mi sfuggono, si scatenano lunghissimi ed articolati dibattiti.

La cosa in sè mi diverte un mondo, ma, al contempo, mi inquieta percepire come, quanto scrivo, venga interpretato in modi lontanissimi dal mio reale intendimento.

Potere della comunicazione.

Ciò detto, avendo utilizzato lemmi che tanto hanno fatto discutere, “guerra”, “mirada assassina”, “fuoco sacro”, solo per fare alcuni esempi, svelerò le mie personalissime tecniche di sopravvivenza per far sì che, una serata di tango, mi rechi piacere e non danno.

Sono profondamente convinta che il desiderio è la leva motivazionale principale per ogni danzatore di balli di coppia.

VOGLIO BALLARE. E lo voglio fare bene, lo voglio fare di qualità, voglio portarmi a casa belle sensazioni, nuove emozioni. Voglio COLORE nella danza.

Se sono animato da questo desiderio, che amo definire “sacro fuoco”, ho qualche possibilità in più che la milonga, che sia quella sotto casa o una delle serate di maratona o di un encuentro milonguero, possa arrecarmi piacere, darmi soddisfazione.

Milonga, in questo, senso è GUERRA.

Lo so che la parola non piace, ma è di sicuro la più efficace ad esprimere il concetto di “mors tua, vita mea” che, tradotto in pratica, significa che si “conquista” la tanda solo il ballerino/a VERAMENTE motivato, ovvero, colui o colei mosso da maggior DESIDERIO (ve lo ricordate Quello che diceva “restate folli, restate affamati”? Ecco, così!).

Ne scaturisce che, per essere proattivi (che vi piacerà sicuramente di più della parola “competitivi” che non ritenete abbastanza “politically correct“), bisogna muovere il culo. Cioè, per sperare di muoverlo poi danzando (ahahahah!), bisogna darsi da fare.

Nell’etica che contraddistingue il vero tanguero, questa azione si esplicita semplicemente, mettendo in atto il codice assoluto, la verità prima, unica e indiscutibile: l’utilizzo della MIRADA.

OSSERVO. PUNTO LO SGUARDO. MANTENGO IL CONTATTO VISIVO SE QUESTO E’ RICAMBIATO. VADO A PRENDERMI LA BALLERINA, ASPETTO SEDUTA IL BALLERINO MANTENENDO LO SGUARDO.

Nel frattempo, sorrido, perchè sono felice della possibilità di questa tanda.

In fondo, sopravvivere alla giungla di una milonga, non è così difficile.

Certo, bisogna “starci” di testa, di cuore, di corpo.

Non sempre le serate vanno bene, magari risultiamo invisibili, magari, semplicemente balliamo male, o la musica non ci va. Ma questa è la vita e bisogna saper accettare anche le sconfitte.

Le mie personalissime strategie di sopravvivenza sono cresciute con me, con la ballerina che sono diventata.

Regola n. 1

Andare in milonga SOLO se si è veramente motivati. Cioè, la fiamma del “fuoco sacro”, è bella sbrillucciante. In caso contrario, fare altro.

Siamo animali sociali e, per prima cosa, gli uni degli altri percepiamo l’energia che emaniamo, che si traduce in gesti, in sguardi, in movimenti. Se questa energia non è fluida, vibrante, gli animali della sala lo percepiscono e rivolgeranno l’attenzione verso altre fonti luminose. C’è poco da rimanerci male, è sempre colpa nostra.

 Regola n. 2

Avere sempre ben alta la propria autostima.

Non si può piacere a tutti. Quindi, mettersela via se quello/a ballerino/a non ci si filano di pezza perchè, semplicemente, ciò che siamo, non entra nelle loro corde.

Pazienza. Siamo una popolazione di tangueri ENORME, troveremo senza dubbio anche il nostro estimatore/trice.

La cosa FONDAMENTALE è NON FARSI PRENDERE DALLO SCONFORTO e mettere in dubbio chi siamo. Insomma buttarci da soli la zappa sui piedi. Se la serata non gira, per X ragioni, si levano le tende, SEMPRE CON IL SORRISO perchè quella sarà l’ultima immagine che gli animali della giungla tanguera avranno di noi, e noi non siamo tristi, umorali, negativi e pesanti… siamo LUCE. SEMPRE.

Regola n. 3

Avere cura di sè.

La prima immagine che gli altri hanno di noi è ciò che vedono di noi. Sicchè, la sciatteria è una pessima scelta.

Ad ognuno libertà di esprimere se stesso, tenendo conto che anche il fattore visivo avrà il suo peso nella dinamica dell’invito.

Se uso abiti che mi “nascondono” (colori molto scuri, ad esempio), non mi dovrò lamentare se gli animali in sala non si accorgeranno di me. Semplicemente, non voglio che mi vedano. E datevi da soli la risposta.

Da ballerina, il ricordo che il danzatore con cui ho ballato mi lascia passa anche attraverso questi elementi: l’affinità che è scaturita nella tanda (ovviamente!), la cura del suo abbigliamento (l’uomo che si porta i cambi per ovviare al sudore, si profuma delicatamente…).

Magari per loro è lo stesso, e mi adeguo anche io. Si tratta di aver rispetto dell’altro e di riservargli cura.

Al momento, di strategie non me ne vengono in mente altre.

Quando cado nella trappola mentale della “serata di merda”, mi vengono sempre in mente le parole di una cara amica che, tanto tempo fa, mi disse: “Cara Pimpra, non devi abbatterti se il tal ballerino per cui sbavi, non ti vede nemmeno. Tu insisti e sii paziente. Se lavorerai bene, arriverà il giorno in cui verrà a prenderti.”

Ed aveva ragione, quando ciò accade, è sempre una gran festa (interiore) ed è un’altra “bandierina” piazzata in cima all’Everest tanguero!

E adesso divertiamoci!

BUON TANGO A TUTTI!

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

 

 

 

 

 

 

DI TANTO IN TANGO. COGLI LA DIFFERENZA. TANGO IN SLOW MOTION

image credit: Claudio Visintin

 

Un fine settimana tra le mura accoglienti di Villa Giacomelli, a godermi “l’Experiencia” milonguera.

Sono anni che vi partecipo, oramai, ed ogni volta è una nuova scoperta, una sorpresa.

Tutto camabia, tutto resta uguale.

I danzatori provengono da confini geografici sempre più estesi, arricchendo l’incontro del fine settimana, con il profumo del loro tango che per noi, ospiti locali, sa di esotico ed ha un richiamo particolare.

Man bassa, come sempre, l’hanno fatta i danzatori/trici dell’Est europeo, russi, in particolare, perchè, lo si voglia o no, hanno molto da dare e, se vogliamo, anche da insegnare, a noialtri.

Ho avuto il piacere di “stalkare” alcuni ignari ballerini inglesi che ho apprezzato molto per la loro indole gentile, si son fatti prendere dalla mia mirada assassina, e mi hanno deliziato in una tanda vivacissima e molto sudata, piuttosto che in una tanda in assenza totale di ritmo, ma in assoluta connessione di abbraccio.

Ho voglia di soffermarmi su questo.

Mano a mano che il tempo passa e che le esperienze tanguere aumentano e si diversificano in temini di tipologia di evento (una maratona piuttosto che un incontro in puro stile milonguero), e di ballerini danzati, percepisco interessanti sfumature di senso che mi rendono questo grande Amore che è il tango, sempre diverso.

Premesso che, per carattere vivace, mi trovo particolarmente a mio agio in maratona, dove si viaggia forte e a ritmo sostenuto, sto imparando ad apprezzare la diversa intonazione che mi offre un incontro milonguero.

Innanzitutto:  o mirada o morte. E non si scappa. Pochi inviti al bar, minor struscio. Si gioca con il codice e quando si dice guerra è guerra totale.

Non vedi una mazza da lontano? Arrangiati!

Non sai esattamente su quale ballerino puntare lo sguardo? Arrangiati!

La ballerina seduta vicino a te è russa, figa, ti ruba la mirada, ci sa fare, è decisa, è sveglia, ci vede benissimo, ha più tette di te, è bravissima, ha tra i 20 e i 30 anni? Arrangiati!

… insomma, arrivare alla  tanda, non è così semplice, perchè, anche i tuoi amici di sempre, approfittano dell’occasione deliziosa per ampliare i loro orizzonti, scegliendo danzatrici nuove o, comunque, quelle che sanno non rivedranno così facilmente.

LA GUERRA.

Che poi devi prenderla bene ed essere consapevole che, se quel giorno/pomeriggio/sera, non sei in forma smagliante, ti dovrai accontentare delle briciole, se ce ne saranno…

Ma non è di questo che volevo discettare.

Ho scoperto una gran cosa. Ovvero l’acqua calda del tanguero, ne voglio comunque parlare.

Ma la sai la differenza che c’è tra ballare dentro il ritmo vorticoso, tutto un traspiè e gioco di piedi, oppure fanculizzare tutto ciò, cingere la tua ballerina come un koala sull’albero di eucalipto ed entrare in una connessione così intima con lei, così delicata eppure profonda che, a quel punto, la musica diventa quasi un optional?

Ecco, ho fatto questa esperienza. Sulle prime mi è sembrato di vivere un incubo, o meglio, di essere incappata in un killer seriale, perchè tutta me, vibrisse comprese, aspettava il “la” per muovere i passi, per seguire la musica, per non fermare la ronda… invece, questo curioso e illuminato danzatore, mi ha fatto capire un’altra cosa “ascolta me, ascolta noi”.

Conoscendomi, non credevo di esserne capace, invece sì. Ho mollato la mente, dimenticato la performance, accolto la musica filtrata attraverso il suo tocco delicato e gentile e, incredibilmente, anche questa sorta di non-danza, ha avuto un senso profondo, di pace e scambio.

Confesso: non potrei mai tenere botta per una milonga intera a ritmo così lento, rischierei di fondere il motore per la troppa pressione interna, però, devo ammettere altresì che è stato molto interessante scoprire come, anche il mio corpo, era capace di prendersi un “andamento lento” e di totale ascolto.

Che dire se non che questa è la magia che si rinnova sempre, ad ogni milonga, ad ogni tanda, ad ogni abbraccio che abbiamo la fortuna si scambiare…?

Pimpra

IMAGE CREDIT CLAUDIO VISINTIN

UNA QUESTIONE DI “TALENTI”

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Mi accade ciclicamente di mettere in discussione tutto quello che sono e che faccio e che ho o non ho costruito nella mia vita.

Accade così, a fronte dei più svariati stimoli, una  sorta di risveglio dal torpore e un bisogno forte di “guardare” per cercare di capire a che punto sono.

Guarda caso, non mi trovo mai dove vorrei essere nel mio percorso di realizzazione.

E la ricerca continua.

Chi mi dice di fare silenzio ed ascoltare, una proposta corretta, senza dubbio, il problema sono i cosiddetti “rumori di fondo” che mi distraggono. E non sento e non percepisco e la situazione mi crea ansia e tanta frustrazione.

Ascoltare se stessi, per una come me, sempre presa a fare mille cose, ad annusare gli stimoli che arrivano portati dal vento, a godere dei colori, presa da tutto quanto mi circonda, risulta impresa titanica, oserei dire quasi impossibile.

Sono sempre più convinta che, il problema di fondo, sia la mancanza di conoscenza dei propri “talenti”.

Ognuno ne possiede, ne sono certa, pochi però ne sono consapevoli e li usano con soddisfazione.

Ecco il focus: andare a caccia dentro di sè di questi inesplorati talenti.

Non so a voi, a me, il solo fatto di poter affermare di possedere un qualche talento, provoca un brivido, un’emozione profonda come se, dentro di me, pensassi di non meritarli.

Quindi, la ricerca che produrrà – ne sono sicura – maggiore stabilità di animo e di umore, sarà questa: cercare di capire quali sono.

Nel mentre, per non farmi prendere dall’ansia, mi gusterò un magnifico week end a tutto tango, come piace a me…

E se non è “talento” anche sapersi godere il poco tempo libero… ditelo voi!

STICAZZI! 😉

Pimpra

 

LA MIA TORINO

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Un bel cielo azzurro, a volte venato di nuvole sottili, l’aria ancora tersa e, decisamente fresca per la stagione.

Trieste mi riprende così, tra le sue mani ruvide, accarezzandomi  il volto, regalandomi un sole tiepido e allegro, come la città.

Riascolto le vocali sgraziate di questo dialetto del Nord Est ripensando a quanto  fossero melodiose le aperture dialettali torinesi.

Ma casa è sempre casa e il mare e il vento sono insostituibili.

Torino però è entrata, con la forza di chi sa che l’eleganza non chiede, non si fa notare, non eccede, non schiamazza. Torino è.

Un weekend lavorativo, per me, alla fiera più fiera che c’è, il salone del Libro, dove è sempre un gran piacere tornare.

Dalla mia postazione privilegiata all’interno dello stand, ho potuto, una volta ancora, riascoltare ed entrare in contatto con i torinesi che, lo dico, apprezzo ogni volta di più.

Saranno i modi, la discrezione che hanno nel chiedere le cose, il rispetto per il lavoro degli altri e dell’altrui tempo che li rende un pubblico (per me) tra quelli che preferisco.

La città vibra. E lo fa in modo potente. Se per un solo attimo si ha la voglia di “connettersi” con lei, arrivano subito messaggi, incontri, sensazioni. E, anche questa volta, è stato così.

Torino sembra bugiarda perchè, all’apparire tanto perfetta, lascia immaginare che il losco sia “dietro”, nelle sue zone d’ombra. Sarà, ma dipende sempre dallo sguardo che vi si posa, io ho percepito luce, energia. Entrambi molto forti, ma non negativi.

Nel poco tempo libero che mi sono ritagliata, ho preso il piacere di camminare con lo sguardo acceso, a cogliere gli spunti, a percepire le sfumature.

La seduzione nasce da lì, la stessa che sa regalare una donna matura. Uno sguardo penetrante, sensazioni solo suggerite, mai espresse in modo diretto, una sfida non detta a scoprirsi e a scoprire per entrare, a piccoli passi, nell’essenza più profonda.

Torino è questa. L’Amore che può arrivare dopo la passione.

Pimpra

LA GEOGRAFIA DEL TANGO

 

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Ahi quanto mi sono piacevoli i doloretti che mi accompagnano da ieri sera, quando, smesse le scarpette, ho ripreso la via di casa.

Un’accogliente Bologna, una festa tra amici, un ritrovo di gaudenti del tango provenienti da ogni dove.

Il mio primo ETDS, mini maratona organizzata da una visionaria accogliente che ha saputo dar vita a un evento di tutto rispetto. Bella la periferia di Bologna, immersa nel verde dei prati, un complesso alberghiero destinato a una ricettività congressuale, pertanto dotato di spazi necessari.

Non fosse per il caldo e per la pista quadrata relativamente piccolina a Zola Predosa davo 10 e lode, invece si cucca un 9, 5! 😀

Ma tutto il resto…

Tornando in taxi con due amici, si rifletteva sul magico ingrediente che rende tanto speciali certi eventi .

Personalmente non ho avuto dubbi: mi è chiaro che un evento composto da una maggioranza numerica di persone che geograficamente provengono da sotto il Po, è già una garanzia di piacevolezza relazionale.

Mò mi spiego. Da triestina purosangue, non posso non accorgermi che la “temperatura” dell’accoglienza mano a mano che si scende lo stivale, aumenta proporzionalmente. Quelli del Nord sono più freddi, c’è poco da dire. E ti studiano/scrutano/osservano prima di aprire lo sguardo in segno di saluto e di amicizia.

Non voglio dire che sia malducazione, preferisco definirla diffidenza o timidezza. Una volta aperta la porta, anche con i nordici, entra calore e scambio affettuoso, ma “con (più) calma”.

E poi prendi il tuo treno e scendi, e più scendi più ti senti amato, accolto, ricevuto con affetto e apertura di mente e di cuore.

Vogliamo aggiungere che, se l’incontro è voluto da una squadra a maggioranza femminile, il tepore si sente ancor aprima, ancora più forte e coinvolgente.

Allora ringrazio pubblicamente qui la Simona e tutta la sua Crew di amici, musicalisadores compresi, che mi hanno regalato un week end degno della solare Bologna, sono tornata a Trieste così carica che… potevo arrivarci anche a piedi [… si fa per dire! 😉 ]!

EVVIVA!

Pimpra

 

 

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