Ho finalmente avuto il piacere di indossare le scarpette da maratoneta all’estero, il mio battesimo a Francoforte, di cui ho scritto qui.
Ci sono andata con il cuore gonfio di curiosità e desiderio di condivisione tanguera, di arricchimento.
In maratona ciò accade sempre, ma, quando sei a casa tua, senti in modo diverso da quando ti trovi a casa d’altri. E qui sta il bello.
C’è una differenza, una sostanziale differenza.
Le mie prime ore di maratona sono state difficili, molto. Tutti ballavano, io no. Tutti godevano di abbracci gioiosi, io no. I tangueros scansavano le mie mirade e rimanevo a bordo pista senza capire il perché.
Confesso che c’è stato un momento in cui, non fosse stato già un’impresa arrivarci a Francoforte, avrei ripreso l’aereo per tornarmene a casa, le pive nel sacco.
Per fortuna ho reagito. L’ho fatto con umiltà cercando di capire cosa non funzionava nel mio tango, cos’era l’elemento che respingeva, cosa non riuscivo a comunicare.
Ho osservato, ho cercato di ascoltare e di connettermi con la pista. Ed è arrivata la risposta, cristallina.
Non è solo storia che ballano le giovani/fighe/famose/tettone/coscialunga e tutto il corollario di luoghi comuni dietro i quali siamo solite nasconderci per combattere la frustrazione di restare a fare tappezzeria, c’è dell’altro.
L’ho capito facendo una tanda esagerata, nella quale ho esasperato l’abbraccio, nascondendo il volto sulla spalla del mio compagno, respirando all’unisono con lui, cercando una connessione che gli dicesse: “Hei, adoro stare cinta tra le tue braccia, mi fai volare, sei un ballerino fantastico”.
Il corpo si è sciolto, è diventato più flessibile, riceveva l’impulso e lo restituiva fluido, soave.
Ero in un’altra dimensione, intorno il vuoto, anche se la pista era piena, fluivo dentro le note, nel nostro respiro, l’energia raccolta dei due corpi, correva dal pavimento alle braccia, ai nostri busti, alle gambe in un movimento rilassato, a volte più lento, o gioioso e sensuale.
Io non ero più io. Io ero lui. Io eravamo noi.
Questa è stata la grande lezione che mi ha regalato la maratona di Francoforte e che ho accolto, grata, con tutta me.
Ballare il tango argentino è mettere la propria anima a nudo. Significa non avere paura di mostrare se stessi nell’abbraccio e accogliere l’altro. E’ un atto di fiducia reciproca in quel “darsi”, in quel “sentirsi”, in quel custodire lo scambio, raccoglierlo nel proprio carnet di emozioni e farne tesoro.
Oggi sono una ballerina diversa, felicemente diversa.
Ci vuole coraggio ad abbracciarsi così la prima volta, poi viene naturale perché, da qualche parte dentro di noi, uomini o donne che siamo, c’è quella voce che desidera raccontarci e ascoltare. Colà è la casa del Tango.
Pimpra
IMAGE CREDIT: Eugen Schröder @Eugen TANGO
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