QUANDO PORTAVO I PANTALONI CORTI

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Pausa pranzo.

Dopo una bella sciabolata di carta di credito affondata in compagnia della la mia fedele compagna di merende, incappando in modo assolutamente casuale nei saldi di un negozio fornitissimo di scarpe, ma di quelle giuste, al fine di riconfortare le nostre coscienze improvvisamente lerce come quelle di un serial killer dopo l’efferato delitto ai nostri rispettivi conti correnti, la mente, chissà perché, è partita indietro nel tempo… ma tanto indietro…

Quando portavo i pantaloni corti, era la fine degli anni ’70.

Eravamo un po’ tutti come i bimbi della foto: stessi semplici vestitini, le scarpine con gli occhi, le Superga blu e bianche, gli zoccoli di legno (vero e non di plastica), i capelli tagliati con la scodella, i calzini bianchi a metà polpaccio.

Eravamo sempre molto sporchi, d’estate, perché giocavamo all’aria aperta: chi nel cortile di casa, chi in campagna, chi per le vie del suo quartiere.

I più fortunati, come me, potevano spaziare in tutti questi luoghi.

La campagna delle mie zie era il mio luogo del cuore. Ogni mese aveva il suo particolare colore, il suo sapore unico.

A giugno, quando finiva la scuola, si sfogavano le gambe con grandi corse in bicicletta, si facevano infinite sessioni di nascondino in notturna che era molto più divertente. Si piantavano le insalate, si raccoglievano i cetrioli ed il radicchio.

I bambini inventavano i giochi più incredibili con niente: scatole di ferro, confezioni di lucido da scarpe, cassette di legno utilizzate per portare al mercato la verdura. Era tutto così bello e divertente, comprese le “ferite di guerra” provocate dai ruzzoloni fatti in bicicletta, o cadendo dagli alberi.

Non si perdeva tempo a disinfettare con alcol, a volte con quello rosso, se c’era, di solito, la prova da superare era quella di urlare meno possibile quando la nonna, sulla ferita aperta (e normalmente idonea a un bel passaggio di punti di sutura), riversava del succo di limone. E tutti gli amichetti vicini incoraggiavano il malcapitato a resistere e a non far rumore, perché così si diventava “grandi”.

A luglio si stava fuori alla sera e si raccontavano le storie, ascoltando il canto delle cicale e contando le stelle nel cielo. “Quella te la regalo”, “quell’altra ha il tuo nome” nelle dolci e innocenti mosse di corteggiamento che si potevano fare a 8/9 e 10 anni. E si amava, si amava davvero, anche allora.

Agosto erano i fuochi, bruciare le sterpaglie e non c’era anno in cui, la mia amatissima zia Mara, non provocava un vero incendio ed arrivavano i pompieri. E poi, una volta spento, tutti insieme a festeggiare lo sventato disastro bevendo vino di casa e mangiando prosciutto.

Erano le salite sull’albero di fico, i cui rami elastici e privi di corteccia abrasiva, accoglievano ognuno di noi e ci regalavano dolci e meravigliosi frutti.

Settembre, anche per noi bimbi, era già la stagione della malinconia. I cuginetti tornavano a Milano, la scuola riprendeva di lì a poco e bisognava completare i maledetti compiti delle vacanze, lasciati per tutta l’estate, in un angolo nascosto del cassetto.

Chissà perché, oggi, ho rivissuto questo poetico amarcord, così tanto veritiero da sentirne il profumo.

Era il tempo dei pantaloni corti e delle ginocchia sbucciate. Un tempo che resterà solo un dolce ricordo nella memoria. Felice di averlo vissuto…

Pimpra

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DI TANTO IN TANGO. UN PICCOLO ANGOLO DI PARADISO: Conventello house

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Su Conventello, sulla maratona di Cristina Camorani (nome e cognome ci stanno tutti), sul week end bucolico a tutto tango, l’evento in stile Woodstock,  è già stato detto e scritto tutto.

Una festa in un casale tra le campagne ridenti della provincia Romagnola, dove ogni cosa è “verace”, sincera, come dio vuole e madre natura desidera.

A casa di Cristina si sta bene, tutti, indistintamente, perché lei è la Grande Madre, è come la terra, è una donna feconda di Amore e di Accoglienza (e le maiuscole non sono un caso…).

La famiglia di Cristina è una grande famiglia, come quelle dei tempi che furono, dove tutti vivono insieme, i genitori, i nonni, i nipoti e poi i fidanzati, le morose, gli amici. C’è posto per tutti, non solo nella casa, nella cucina sempre aperta, ma, soprattutto, nel grande cuore dei suoi abitanti.

Organizzare una maratona per 280 persone a casa propria non è mai una buona idea perché è un vero massacro di stanchezza, di responsabilità. Eppure Lei lo fa, la nostra passionaria delle cose belle, delle emozioni grandi e delle imprese impossibili (per chi non lo sapesse, la milonga per il compleanno del Papa è stata idea sua…).

Mi sono chiesta più volte chi glielo facesse fare. Lei che ama danzare come fosse necessario per respirare, e non riesce a farsi una sola tanda, perché lavora sempre, cucina per tutti, organizza, prepara.

Ci guadagna? Non credo proprio, perché, con le spese di organizzazione, noleggio, acquisto materie prime ecc. ecc. non credo le resti un solo euro.

Allora?

E’ l’Amore, ne sono sicura, lo stesso che riversa sulla sulla grande famiglia che, solidale e partecipe, è parte attiva della festa, ognuno con il suo compito, ognuno a lavorare alla sua postazione (ricevimento ospiti, bar, cucina…).

Lei ama il tango e ama noialtri tangueri e ce lo dimostra invitandoci a casa sua e regalandoci un fine settimana di benessere e felicità totali.

E poi ringrazia, lo fa con tutti ed ogni volta mi commuovo, è grata alla sua famiglia per esserle accanto e per sostenerla sempre, anche nelle sue imprese (apparentemente) impossibili.

Per me, è questo il sapore specialissimo che ha la maratona a Conventello, c’è la famiglia, la campagna, le cose vere e genuine, come la vita di un tempo. Mi piace vedere che esistono ancora, che ci sono persone capaci di sfuggire alle spire della modernità che prosciuga i sentimenti e ruba il tempo per le cose importanti.

Ogni anno Cristina mi ricorda questo valore aggiunto e primario nella vita di ognuno di noi ed io le sono profondamente grata perché, in tutto questo esce il “TANGO DELLA GIOIA”, così come lo ha splendidamente definito Michele.

GRAZIE CRISTINA, grazie a tutta la tua meravigliosa Famiglia!

Pimpra

Ps: la foto è molto simbolica, rappresentando la stradina di campagna che ti porta direttamente in paradiso, alla mitica Conventello house! 🙂

 

 

 

DOVE CI SIAMO PERSE? (post per sole donne, pippolotto annesso)

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Mentre sorseggiavo il caffè e programmavo gli impegni della giornata, per puro caso sono incappata in un video su FB che parlava di donne. La durata di 24′ ha fatto sì che ne vedessi solo uno spezzone e, ovviamente, poi ho perso il link… mannaggia. [grazie all’amica Anna, ecco qui il link che vi invia al citato video, qui]

I pochi minuti che gli ho dedicato, hanno comunque acceso numerose lampadine su alcuni stati mentali miei e, purtroppo, condivisi con molte altre donne.

Sono della generazione di quelli nati in pieno ’68, che sono stati bimbi negli anni ’70 e adolescenti negli ’80.

Ricordo perfettamente quando, da un vivere e da un sentire strettamente connesso al sociale, al gruppo, alle diverse e numerose umanità, intese nelle loro pregevoli sfumature (anni 70), d’un tratto siamo stati proiettati in un universo di significati alterati, indotti e spinti verso tutto ciò che era prettamente “apparenza”, manifestazione visibile, appartenenza in senso negativo poichè impostato solo su “status symbol” imposti dall’alto.

Ricordo che, allora, il mio corpo sportivo, la floridezza del mio viso ancora di bimba e le forme sontuose (abbondanti) del mio didietro, venivano prese in giro in malo modo. Aggredite, quasi, poichè non ideali al modello corrente.

Ricordo ancora quante lacrime ho versato perchè a me non piaceva uniformarmi, non avevo il corpo e l’apparenza di “tutte” (mingherline, alte, ma con grandi tette), io ero me, la ragazza sportiva, allegra, ciarliera e… i cui genitori non avevano (all’epoca) possibilità economiche grandiose per soddisfare le mie eventuali richieste di “simboli”.

Già, perchè noi siamo stati una generazione basata su “etichette”, formali e virtuali che gli adulti dell’epoca, ci hanno imposto.

Ricordo i miei sogni di ragazza, immaginavo me stessa in tailleur a dirigere un’azienda, una donna manager, realizzata ed indipendente. Non vedevo nel mio orizzonte immaginario nè famiglia, nè figli.

Un uomo in teorica gonnetta.

Affatto in connessione e sintonia con la sua femminilità, completamente repressa, chiusa, archiviata poichè, comunque, non corrisondente al “modello”.

E due stramaroni di questi modelli che hanno perseguitato la mia/nostra esistenza! Da quelli fisici (non hai le tette, il culo è troppo grande, sei in sovrappeso, sei bassa, hai le spalle troppo larghe e qui mi fermo) a quelli sociali e psicologici.

Crescendo, per fortuna, ci si libera un po’ di questi colossi che impediscono di vivere la propria esistenza, dandole il taglio che meglio si crede… ci si libera… insomma…

Guadata la boa dei 40, come una pirla, mi ritrovo dentro a questi cliché malati, con tutte le scarpe.

Se per 20 anni, conclusa l’adolescenza, vivaddio!, ho creduto di scegliere secondo le mie corde la vita che volevo fare (più o meno) e la persona che volevo essere, sbarchi nella “mezza età” e sei nella merda un’altra volta.

E certo, perchè a noi donne, ci smaronano di ideali impossibili da raggiungere, come se vita significasse perfezione. Ecco donne che a 50-60 anni ne devono mostrare 20 di meno, ragazze che non godono della loro giovinezza acqua e sapone e sembrano delle matrone (certo senza rughe e con un corpo da svenimento), perchè la società ci vuole “ggiovani”, strafighe, iper sexy, costantemente portate a sedurre il mondo intero.

Da quarantenne, mi guardo allo specchio e invece di cercare la vita che ho vissuto sul mio volto e sul mio corpo, vorrei cancellarne ogni traccia. Ciò è male, malissimo! Sticazzi, mi hanno beccato di nuovo nell’ingranaggio bestiale che mi obbliga ad essere ciò che non sono…

Fortunatamente ci sono gli amici, la famiglia e… un barlume di intelligenza che mi resta e provo a guardare ancora, e vedo me, quella che sono diventata a forza di sberle e sorrisi che la vita mi ha regalato fino a qui… e amo (finalmente) le mie tette piccole e il mio culo grande, perchè sono solo miei e va bene così.

Non è facile “ritrovarsi” in questo marasma di stimoli demenziali che provengono da ogni dove e sentirsi una giaguara serena e rilassata in pace con se stessa e felice di quello che è, adesso, in questo momento.

Vabbè, concludo il pippolotto invitando tutte Voi che siete meravigliose nella vostra unicità, nel vostro difetto e nella bellezza del pregio, ad AMARVI, come solo voi meritate davvero.

Per il resto: a fanculo tutti!

ALLEGRIA!

Pimpra

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ps: mi sono scappate un bel po’ di parolacce… abbiate pazienza… 😦

 

 

 

COME E’ BELLO BALLAR TANGO DA TRIESTE IN GIU’!

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E’ sempre più difficile viversi un’emozione speciale partecipando ad incontri tangueri che coinvolgano l’intero fine settimana. E’ difficile perché, avendone frequentato un cospicuo numero, il palato diventa sempre più raffinato e cerca il sapore speciale.

Stoggiro la mega festa senza dover accollarsi chilometri, direttamente a casa, nella tua piccola Trieste. Non è semplice essere obiettivi, ma ci proverò.

Sicuramente l’elemento meteo ha giocato un tiro mancino, nascondendo il sole per la durata dell’intero week end, ma, a magra consolazione -mal comune mezzo gaudio- le condizioni climatiche sono state pessime ovunque… sicché…

La location storica risultata indisponibile con grandissima incazzatura degli organizzatori e dei triestini partecipanti, che qui noi si vende mare/sole/vento.

Eppure… una sottile magia sì è comunque insinuata e ha reso anche questo TTYT (Trieste Tango y Tù), una festa incredibile.

In assoluto, oltre alla mega energia del gruppo degli organizzatori che, come sempre, offrono il meglio del meglio che si possa regalare ai partecipanti, questo evento in particolare, si distingue per due elementi unici:

  • i triestini aprono le loro case accogliendo gli amici di fuori
  • la pomeridiana di sabato si conclude sempre, per tradizione oramai, con un’ora di folle gioia ballata su musica moderna e accompagnata da litrate di frizzantino [la cosiddetta “Festazza” ndr].

Sono elementi strategici che creano integrazione – semmai ce ne fosse bisogno- divertimento senza se e senza ma.

Io stessa ho avuto in casa due splendide amiche che ho avuto il piacere di conoscere meglio.

Si ride, si scherza, si sta insieme, si balla allo sfinimento in una cornice che, da triestina, non posso non amare.

L’unico difetto è che il lunedì resta più duro che mai… tanto è il desiderio di rimanere in quella nuvola di sogno…

GRAZIE AI MULI E ALLE MULE (ggiovani e meno ggiovani) che hanno organizzato anche questa volta una super mega festa, dimostrando che… SE SE VOL, SE POL! 😉

Pimpra

E’ TEMPO DI PREPARARSI. SAPERSI DIFENDERE.

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Sono rimasta molto colpita dalla notizia apparsa sul quotidiano locale relativa alla violenza sessuale a danno di una giovane di 17 anni che, alla fine di una serata nei luoghi del divertimento cittadino situati in provincia, ha preferito utilizzare il servizio navetta fornito dal comune per rientrare in città.

Servizio-navetta pensato per i giovani, nell’età dell’incoscienza e delle grandi bevute, per garantire loro un rientro a casa, in “sicurezza”.

MA QUALE???

La povera ragazza, trovandosi da sola nel pullmino (non era tardissimo e lei voleva rientrare a casa un po’ prima), si è vista letteralmente “assalire” dal conducente dello stesso mezzo e violentare.

SERVIZIO A TUTELA DEI GIOVANI.

Non voglio soffermarmi sulla nazionalità del conducente, pare fosse serbo, perchè, di fatto, è stato assoldato da chi di dovere che avrà fatto i necessari controlli, almeno spero…

Penso alla vita rovinata di quella povera ragazza, alla micidiale violenza che ha subito e non posso pensare che, se mai dovesse accadere a me, non saprei come difendermi…

Da qui la decisione presa: a settembre mi iscriverò a un corso di autodifesa personale.

Non ho manie nè velleità di “menar le mani”, desidero solo conoscere approfonditamente le manovre necessarie che mi permettano di liberarmi e di scappare perchè, da donna, cosa altro posso pensare di fare contro la furia violenta di un uomo (sperando che non sia più di uno…)

MALA TEMPORA CURRUNT.

Per la prima volta in vita mia, vedo, nella mia piccola città di periferia, volti di persone che, istintivamente, mi fanno paura.

C’è povertà, molta, c’è molta rabbia, tutti elementi che concorrono a generare violenza, perciò, mio malgrado, ho deciso di “prepararmi”.

Non sono affatto felice di sentirne l’esigenza, perchè non mi sento più di stare tranquilla e fiduciosa, come è nelle mie corde, e come ho sempre fatto fin qui.

Purtroppo il mondo cambia, e non si può mettere la testa sotto la sabbia, ahimè…

Pensateci, Amiche, meglio sapersela cavare. A prescindere…

Pimpra

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DI TANTO IN TANGO: TANGO E GIUNGLA. LE MIE STRATEGIE DI SOPRAVVIVENZA

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Rimango sempre molto stupita quando, di fronte a uno dei miei post sul tango, per ragioni che mi sfuggono, si scatenano lunghissimi ed articolati dibattiti.

La cosa in sè mi diverte un mondo, ma, al contempo, mi inquieta percepire come, quanto scrivo, venga interpretato in modi lontanissimi dal mio reale intendimento.

Potere della comunicazione.

Ciò detto, avendo utilizzato lemmi che tanto hanno fatto discutere, “guerra”, “mirada assassina”, “fuoco sacro”, solo per fare alcuni esempi, svelerò le mie personalissime tecniche di sopravvivenza per far sì che, una serata di tango, mi rechi piacere e non danno.

Sono profondamente convinta che il desiderio è la leva motivazionale principale per ogni danzatore di balli di coppia.

VOGLIO BALLARE. E lo voglio fare bene, lo voglio fare di qualità, voglio portarmi a casa belle sensazioni, nuove emozioni. Voglio COLORE nella danza.

Se sono animato da questo desiderio, che amo definire “sacro fuoco”, ho qualche possibilità in più che la milonga, che sia quella sotto casa o una delle serate di maratona o di un encuentro milonguero, possa arrecarmi piacere, darmi soddisfazione.

Milonga, in questo, senso è GUERRA.

Lo so che la parola non piace, ma è di sicuro la più efficace ad esprimere il concetto di “mors tua, vita mea” che, tradotto in pratica, significa che si “conquista” la tanda solo il ballerino/a VERAMENTE motivato, ovvero, colui o colei mosso da maggior DESIDERIO (ve lo ricordate Quello che diceva “restate folli, restate affamati”? Ecco, così!).

Ne scaturisce che, per essere proattivi (che vi piacerà sicuramente di più della parola “competitivi” che non ritenete abbastanza “politically correct“), bisogna muovere il culo. Cioè, per sperare di muoverlo poi danzando (ahahahah!), bisogna darsi da fare.

Nell’etica che contraddistingue il vero tanguero, questa azione si esplicita semplicemente, mettendo in atto il codice assoluto, la verità prima, unica e indiscutibile: l’utilizzo della MIRADA.

OSSERVO. PUNTO LO SGUARDO. MANTENGO IL CONTATTO VISIVO SE QUESTO E’ RICAMBIATO. VADO A PRENDERMI LA BALLERINA, ASPETTO SEDUTA IL BALLERINO MANTENENDO LO SGUARDO.

Nel frattempo, sorrido, perchè sono felice della possibilità di questa tanda.

In fondo, sopravvivere alla giungla di una milonga, non è così difficile.

Certo, bisogna “starci” di testa, di cuore, di corpo.

Non sempre le serate vanno bene, magari risultiamo invisibili, magari, semplicemente balliamo male, o la musica non ci va. Ma questa è la vita e bisogna saper accettare anche le sconfitte.

Le mie personalissime strategie di sopravvivenza sono cresciute con me, con la ballerina che sono diventata.

Regola n. 1

Andare in milonga SOLO se si è veramente motivati. Cioè, la fiamma del “fuoco sacro”, è bella sbrillucciante. In caso contrario, fare altro.

Siamo animali sociali e, per prima cosa, gli uni degli altri percepiamo l’energia che emaniamo, che si traduce in gesti, in sguardi, in movimenti. Se questa energia non è fluida, vibrante, gli animali della sala lo percepiscono e rivolgeranno l’attenzione verso altre fonti luminose. C’è poco da rimanerci male, è sempre colpa nostra.

 Regola n. 2

Avere sempre ben alta la propria autostima.

Non si può piacere a tutti. Quindi, mettersela via se quello/a ballerino/a non ci si filano di pezza perchè, semplicemente, ciò che siamo, non entra nelle loro corde.

Pazienza. Siamo una popolazione di tangueri ENORME, troveremo senza dubbio anche il nostro estimatore/trice.

La cosa FONDAMENTALE è NON FARSI PRENDERE DALLO SCONFORTO e mettere in dubbio chi siamo. Insomma buttarci da soli la zappa sui piedi. Se la serata non gira, per X ragioni, si levano le tende, SEMPRE CON IL SORRISO perchè quella sarà l’ultima immagine che gli animali della giungla tanguera avranno di noi, e noi non siamo tristi, umorali, negativi e pesanti… siamo LUCE. SEMPRE.

Regola n. 3

Avere cura di sè.

La prima immagine che gli altri hanno di noi è ciò che vedono di noi. Sicchè, la sciatteria è una pessima scelta.

Ad ognuno libertà di esprimere se stesso, tenendo conto che anche il fattore visivo avrà il suo peso nella dinamica dell’invito.

Se uso abiti che mi “nascondono” (colori molto scuri, ad esempio), non mi dovrò lamentare se gli animali in sala non si accorgeranno di me. Semplicemente, non voglio che mi vedano. E datevi da soli la risposta.

Da ballerina, il ricordo che il danzatore con cui ho ballato mi lascia passa anche attraverso questi elementi: l’affinità che è scaturita nella tanda (ovviamente!), la cura del suo abbigliamento (l’uomo che si porta i cambi per ovviare al sudore, si profuma delicatamente…).

Magari per loro è lo stesso, e mi adeguo anche io. Si tratta di aver rispetto dell’altro e di riservargli cura.

Al momento, di strategie non me ne vengono in mente altre.

Quando cado nella trappola mentale della “serata di merda”, mi vengono sempre in mente le parole di una cara amica che, tanto tempo fa, mi disse: “Cara Pimpra, non devi abbatterti se il tal ballerino per cui sbavi, non ti vede nemmeno. Tu insisti e sii paziente. Se lavorerai bene, arriverà il giorno in cui verrà a prenderti.”

Ed aveva ragione, quando ciò accade, è sempre una gran festa (interiore) ed è un’altra “bandierina” piazzata in cima all’Everest tanguero!

E adesso divertiamoci!

BUON TANGO A TUTTI!

Pimpra

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DI TANTO IN TANGO. COGLI LA DIFFERENZA. TANGO IN SLOW MOTION

image credit: Claudio Visintin

 

Un fine settimana tra le mura accoglienti di Villa Giacomelli, a godermi “l’Experiencia” milonguera.

Sono anni che vi partecipo, oramai, ed ogni volta è una nuova scoperta, una sorpresa.

Tutto camabia, tutto resta uguale.

I danzatori provengono da confini geografici sempre più estesi, arricchendo l’incontro del fine settimana, con il profumo del loro tango che per noi, ospiti locali, sa di esotico ed ha un richiamo particolare.

Man bassa, come sempre, l’hanno fatta i danzatori/trici dell’Est europeo, russi, in particolare, perchè, lo si voglia o no, hanno molto da dare e, se vogliamo, anche da insegnare, a noialtri.

Ho avuto il piacere di “stalkare” alcuni ignari ballerini inglesi che ho apprezzato molto per la loro indole gentile, si son fatti prendere dalla mia mirada assassina, e mi hanno deliziato in una tanda vivacissima e molto sudata, piuttosto che in una tanda in assenza totale di ritmo, ma in assoluta connessione di abbraccio.

Ho voglia di soffermarmi su questo.

Mano a mano che il tempo passa e che le esperienze tanguere aumentano e si diversificano in temini di tipologia di evento (una maratona piuttosto che un incontro in puro stile milonguero), e di ballerini danzati, percepisco interessanti sfumature di senso che mi rendono questo grande Amore che è il tango, sempre diverso.

Premesso che, per carattere vivace, mi trovo particolarmente a mio agio in maratona, dove si viaggia forte e a ritmo sostenuto, sto imparando ad apprezzare la diversa intonazione che mi offre un incontro milonguero.

Innanzitutto:  o mirada o morte. E non si scappa. Pochi inviti al bar, minor struscio. Si gioca con il codice e quando si dice guerra è guerra totale.

Non vedi una mazza da lontano? Arrangiati!

Non sai esattamente su quale ballerino puntare lo sguardo? Arrangiati!

La ballerina seduta vicino a te è russa, figa, ti ruba la mirada, ci sa fare, è decisa, è sveglia, ci vede benissimo, ha più tette di te, è bravissima, ha tra i 20 e i 30 anni? Arrangiati!

… insomma, arrivare alla  tanda, non è così semplice, perchè, anche i tuoi amici di sempre, approfittano dell’occasione deliziosa per ampliare i loro orizzonti, scegliendo danzatrici nuove o, comunque, quelle che sanno non rivedranno così facilmente.

LA GUERRA.

Che poi devi prenderla bene ed essere consapevole che, se quel giorno/pomeriggio/sera, non sei in forma smagliante, ti dovrai accontentare delle briciole, se ce ne saranno…

Ma non è di questo che volevo discettare.

Ho scoperto una gran cosa. Ovvero l’acqua calda del tanguero, ne voglio comunque parlare.

Ma la sai la differenza che c’è tra ballare dentro il ritmo vorticoso, tutto un traspiè e gioco di piedi, oppure fanculizzare tutto ciò, cingere la tua ballerina come un koala sull’albero di eucalipto ed entrare in una connessione così intima con lei, così delicata eppure profonda che, a quel punto, la musica diventa quasi un optional?

Ecco, ho fatto questa esperienza. Sulle prime mi è sembrato di vivere un incubo, o meglio, di essere incappata in un killer seriale, perchè tutta me, vibrisse comprese, aspettava il “la” per muovere i passi, per seguire la musica, per non fermare la ronda… invece, questo curioso e illuminato danzatore, mi ha fatto capire un’altra cosa “ascolta me, ascolta noi”.

Conoscendomi, non credevo di esserne capace, invece sì. Ho mollato la mente, dimenticato la performance, accolto la musica filtrata attraverso il suo tocco delicato e gentile e, incredibilmente, anche questa sorta di non-danza, ha avuto un senso profondo, di pace e scambio.

Confesso: non potrei mai tenere botta per una milonga intera a ritmo così lento, rischierei di fondere il motore per la troppa pressione interna, però, devo ammettere altresì che è stato molto interessante scoprire come, anche il mio corpo, era capace di prendersi un “andamento lento” e di totale ascolto.

Che dire se non che questa è la magia che si rinnova sempre, ad ogni milonga, ad ogni tanda, ad ogni abbraccio che abbiamo la fortuna si scambiare…?

Pimpra

IMAGE CREDIT CLAUDIO VISINTIN

NON SCORDARE IL BUON GUSTO

 

Gli amici lo sanno, ad ogni inizio estate riparte la mia tiritera contro l’utilizzo improprio delle flip flop in contesti urbani.

Le infradito di gomma sono, di fatto, il più disgustoso, orripilante, mefitico schiaffo in faccia all’eleganza, alla raffinatezza dell’uomo e della donna moderni.

INACCETTABILE!!!!

Lo capite o no? esibire piedazzi dal tallone sdrucito e sporco, estremità dalle dita pelose e dalle unghie incolte…

L’ORRORE CHE CAMMINA.

Non voglio sentire ragioni, non mi convincerete MAI!!!!

Il piede è una parte del corpo sicuramente molto bella, sexy, in qualche modo “comunicativa” ma va espressa e utilizzata con garbo e discrezione.

Manca la civiltà della cura del corpo, intesa come igiene e decoro personali, sicchè accade di vedere spettacoli innominabili sia che si tratti di piedi maschili che femminili.

L’eleganza non appare, non è sfrontata, suggerisce piuttosto che urlare. Idem dicasi dell’esibizione e/o mostra volontaria del corpo.

Lessi, tanto tempo fa, che la raffinatezza estetica, si esalta nell’accuratezza della scelta degli accessori. La scarpa è uno di quelli più importanti, assieme ad altri dettagli di stile. Posso permettermi di indossare un capo semplice, anche di fattura non eccezionale, se gli accessori che lo accompagnano sono belli, di qualità.

Allora, perchè buttarsi la zappa sui piedi, cadendo e cedendo al richiamo di sirena della gomma colorata delle orride flip flop estive?

Lasciatele vivere vicino all’acqua, che sia una piscina, in mare o un bel rivo di montagna ma, per favore, non violentate la loro gentile suola di gomma sul bruciante asfalto cittadino…!

ps: la ceretta di fa anche sulle dita dei piedi, così per dire… 😉

Pimpra

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DI TANTO IN TANGO. FRIVOLEZZE TANGUERE

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Il tema di oggi è: come diventare una ballerina di tango migliore. E una donna più “donna”.

Niente di nuovo sotto il sole, lo so bene, però non posso non portare la mia testimonianza. Quindi, siccome qui sono a casa mia, vi tocca sorbirvi il pippolotto del lunedì! 😀

Torno da un fine settimana a tutto tango, come piace a me, ma stoggiro condito da tanto studio. Oltre una milonga serale da “yabbadabbaduuuuu” ho frequentato lezioni sia sabato che domenica: UNO SBALLO!

Tornando al punto, ecco la mia ricetta per migliorare le nostre qualità di danzatrici e, conseguentemente, di donne.

PREMESSA:

Per essere una ballerina decente/decorosa/brava si DEVE studiare. SEMPRE.

Questo è il principio primo, la tavola della legge.

Non si è MAI arrivati, come danzatori, nè a livello amatoriale, nè a livello professionale. Si deve continuare nella propria ricerca, quindi nello studio.

I movimenti vanno ripuliti, perfezionati, migliorati, sublimati per raccontare con il corpo il nostro modo unico di sentire e di ballare, trasmettendo così, al nostro partner, sensazioni, colori, emozioni che la tanda è capace di provocarci.

Lo studio e la pratica ci aiutano ad esprimerci, raccondando, nella danza, chi siamo. Veramente.

MA NON BASTA.

E qui viene il bello.

L’io danzante deve essere “vestito”. L’abito è l’elemento coreografico della rappresentazione.

Vi sarete sicuramente accorti che osservare una donna ballare in jeans offre una sensazione diversa quando la stessa ballerina indossi un abito formale, o semplicemente sexy, svolazzante o stretto. Il corpo viene accompagnato nel movimento, in modo diverso, assume linee e riflette uno stato d’animo diversi.

Provare per credere, specie se siete donne. Per l’uomo lo spettro di possibilità è un po’ più ristretto.

Fino a qualche anno fa, in pista, si vedevano in prevalenza abiti fluidi, scivolati, certo molto scollati ma che avevano lo speciale compito di rendere il movimento “aereo”, sottile, leggiadro e soave. Scollature a parte, il corpo non veniva sottolineato, ma suggerito da spacchi e svolazzi.

In pista, di questi tempi, si nota un grande cambiamento: la fisicità del corpo è manifesta. Gli abiti si sono fatti guaine aderenti, ben segnate su tutti i punti della femminilità, in mostra, in bella evidenza a dire “eccomi”.

A quelle di voi che non avessero ancora affrontato l’esperienza, suggerisco di provare: un abito succinto, vi regalerà un tango più raccolto, più sensuale, più femminile, dove le linee della gamba, del gluteo della schiena creeranno un quadro armonioso. O così, almeno, dovrebbe essere.

Abiti dai richiami anni 50′ non perdonano errori. Gambe aperte, piedi portati male, difetti di postura e di abbraccio. Regalano, di contro, molta “self confidence” con il proprio corpo, con la gioia di essere una femmina, ma femmina al 100%.

Sono rimasta colpita dalla democrazia che regala un abito stretto: sta bene praticamente a tutte. Non serve essere in forma smagliante, magre e asciutte, anzi, al contrario, un tubino aderente, va in esaltazione, se è ben farcito.

Con la mia amica mi sono concessa un gozzoviglio in quel di Riccione, all’atelier di una cara amica, ballerina pure lei e straordinaria stilista. Ho scoperto cose che non potevo immaginare e… i risultati sono arrivati da soli…

Allora, donne, osate! Poi, passate per di qua a raccontarmi se quel che dico è vero perchè… “anche l’abito fa la tanguera”!

BUON BALLO A TUTTI!

Pimpra

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LA GEOGRAFIA DEL TANGO

 

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Ahi quanto mi sono piacevoli i doloretti che mi accompagnano da ieri sera, quando, smesse le scarpette, ho ripreso la via di casa.

Un’accogliente Bologna, una festa tra amici, un ritrovo di gaudenti del tango provenienti da ogni dove.

Il mio primo ETDS, mini maratona organizzata da una visionaria accogliente che ha saputo dar vita a un evento di tutto rispetto. Bella la periferia di Bologna, immersa nel verde dei prati, un complesso alberghiero destinato a una ricettività congressuale, pertanto dotato di spazi necessari.

Non fosse per il caldo e per la pista quadrata relativamente piccolina a Zola Predosa davo 10 e lode, invece si cucca un 9, 5! 😀

Ma tutto il resto…

Tornando in taxi con due amici, si rifletteva sul magico ingrediente che rende tanto speciali certi eventi .

Personalmente non ho avuto dubbi: mi è chiaro che un evento composto da una maggioranza numerica di persone che geograficamente provengono da sotto il Po, è già una garanzia di piacevolezza relazionale.

Mò mi spiego. Da triestina purosangue, non posso non accorgermi che la “temperatura” dell’accoglienza mano a mano che si scende lo stivale, aumenta proporzionalmente. Quelli del Nord sono più freddi, c’è poco da dire. E ti studiano/scrutano/osservano prima di aprire lo sguardo in segno di saluto e di amicizia.

Non voglio dire che sia malducazione, preferisco definirla diffidenza o timidezza. Una volta aperta la porta, anche con i nordici, entra calore e scambio affettuoso, ma “con (più) calma”.

E poi prendi il tuo treno e scendi, e più scendi più ti senti amato, accolto, ricevuto con affetto e apertura di mente e di cuore.

Vogliamo aggiungere che, se l’incontro è voluto da una squadra a maggioranza femminile, il tepore si sente ancor aprima, ancora più forte e coinvolgente.

Allora ringrazio pubblicamente qui la Simona e tutta la sua Crew di amici, musicalisadores compresi, che mi hanno regalato un week end degno della solare Bologna, sono tornata a Trieste così carica che… potevo arrivarci anche a piedi [… si fa per dire! 😉 ]!

EVVIVA!

Pimpra

 

 

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