LA FAI FACILE A DIRE MARATONA A PRAGA. #ditantointango

Casa danzante. Foto mia

Entrare all’edizione invernale (febbraio) non è per tutti: se la carta d’identità non riporta almeno il 1995 e sei donna single, è probabile che sia più semplice rinunciare. Io ho provato lo stesso — e mi hanno proposto la versione estiva, più “soft”: ho detto di sì.

Popolazione più matura, meno competizione. Mi si prospettava una maratona comunque di livello unita al piacere di visitare una bellissima città che non conoscevo.

Una settimana di vacanza, condita di visite a una città di una bellezza stupefacente, passeggiate infinite, scoperte meravigliose, amicizia. Anche se non avessi fatto una sola tanda, ne sarei comunque uscita contenta. [Bugia!]

La sala rispecchia perfettamente l’anima della città, richiami art nouveau, una illuminazione calda, begli spazi, ottimo pavimento di legno. Ad accompagnare le lunghe sessioni di ballo, un’offerta costante di cibo e di snack di qualità, compreso lo strudel finale a coronare lo spirito paneuropeo della manifestazione. Non posso che dirne bene.

Un’amica che frequenta da sempre la maratona invernale, mi aveva rassicurato dicendomi che la versione estiva fosse molto più easy: parliamone!

Ballarci è difficile, inutile nascondersi dietro un dito. Le donne, specie le over 40, e ce n’erano parecchie, per lo più attendevano sguardi che faticavano ad arrivare. Osservando la pista, si notavano ottime ballerine giovani accanto ad altre giovanissime e ben più in erba. Le senior, quelle tangueristicamente ‘navigate’, facevano da tappezzeria.

Difficile non farsi prendere dal malumore. Cosa che, ovviamente, mi è capitata. Ritrovandomi a fare la mirada andando a segno con grande difficoltà, mi sono fatta immediatamente delle domande: non ballo abbastanza bene? Sono diventata lenta? Sono fuori età massima? Sono brutta?

Il castello di fantasmi che minano l’autostima si è presentato alla mente in pompa magna suonandomi la fanfara del “non vali niente”.

Poi, per fortuna, la mia partner in crime è venuta a soccorrermi, mi ha dato una rassettata. Ho cercato di fare pace con i mostri che avevo in testa. Non facile, ma necessario.

Le belle tande arrivano. Perché è sempre una questione di energia, di quella vibrazione sottile che metti nell’aria. Non basta sorridere con il viso, devi sorridere con l’anima, altrimenti non funziona.

Più che una maratona, come quelle a me care, quelle in cui balli a fondere le scarpe e ti diverti da matti, è stata una grande lezione di vita.

Il tango c’entra poco, il tango è sempre fedele a se stesso, se balli bene, se l’abbraccio funziona, se mente e corpo sono connessi, balli. Prima o poi balli. È tutto il contorno che ti mette alla prova.

Ho scoperto tante cose di me che credevo di aver superato.

La timidezza ad esempio. Chi mi conosce probabilmente fatica a crederlo, eppure, in fondo, sono (molto) timida.

Mi crea disagio dover “combattere” a forza di miradas assassine per poter ballare. Fatico a mettermi nelle posizioni strategiche di uscita dalla pista dove stanno tutti per “adescare” il ballerino.

Mi sembra di usare violenza, a me stessa in primis, cosa che in realtà non è.

Me lo ha spiegato bene la mia amica che, al contrario, ci sa fare benissimo. L’osservavo: alla fine di ogni tanda tornava nella zona giusta con gli occhi che le brillavano, il corpo vivace, il sorriso aperto. E non era finzione, si capiva, si percepiva la verità della sua gioia.

A casa ho portato tande speciali, di quelle che restituiscono il “senso” e pure un carico di insicurezze, tra tutte quella di non essere più giovane (abbastanza) come i ballerini desiderano e quindi molto meno interessante.

Mi sconcerta rendermi conto di come il tango mi insegni sempre qualcosa, della vita, di me.

Bisogna che ci lavori su, non mi arrenderò così facilmente, perché “nessuno mette la Pimpra in un angolo!” 😉

Pimpra

TANGO “OVER”: IL CORPO CAMBIA, LA DANZA EVOLVE. #ditantointango

Quando si è agli esordi, spesso non ci si pensa, tanto siamo travolti dal desiderio di imparare, poi, più avanti si porta la passione, più ci rendiamo conto di un fattore importante: il tempo balla con noi.

Quando il corpo è nella sua verde età, diciamocelo, gli puoi far fare qualsiasi cosa e gli effetti collaterali sono minimi e di breve durata. Serate infinite, seguite da levatacce orrende per tornare al lavoro, ore ed ore issate su tacchi, piedi/caviglie/ginocchia/schiena devastati da pavimenti inidonei eppure, ogni fastidio, nel giro di poco sparisce e si riparte con foga.

Una costante rimane: le litrate di caffè ingurgitate per reggere i ritmi infernali, perchè, quando la passione brucia, bisogna stare dentro la sua fiamma e pensare di fermarsi e riposare non sono opzioni ammissibili.

Ballare da “over” è altro, è come stare sulla luna e guardare da lontano quel che accade sulla terra. Si percepisce tutto, si conosce molto bene il “pianeta tango” ma si è al contempo “dentro e fuori”.

Ci sono trasformazioni oggettive nel nostro involucro esterno che influenzano moltissimo anche l’aspetto emotivo di noi tangueros diversamente giovani.

Si abbassa la soglia di energia fisica, se non altro per affontare le sessioni lunghissime che un tempo si ballavano senza battere ciglio, c’è meno fame di mangiarsi più e più volte tutto ciò che il banchetto tanguero propone in termini di ballerin*, non ci interessa più assaggiare “tutto” ma solo ciò che ci piace veramente.

Il Tanguero over viaggia con una pochette in più, quella dei rimedi per affontare tutti i dolori che attanagliano i vari distretti del corpo. Oramai il Voltaren è un fedele compagno, da condividere con gli amici se sprovvisti.

Se tutto ciò può essere inteso come un panorama di decadenza, e fisicamente un po’ lo è per forza, dall’altro lato si apre un nuovo sipario che svela un inedito palcoscenico: impariamo a ballare per la gioia di noi stessi, non per piacere agli altri, per farci vedere quanto siamo bravi e belli.

Si apre la stagione dell’intimità vissuta in profondità, scambiata con il partner di tanda, lontana da frenesie vibranti giovinezza. E’ un dialogo diverso, raffinato, seduttivo in modo più intrigante e silenzioso.

Oramai scegliamo di ballare con chi ci fa stare bene, non con chi è reputat* vip della pista.

Le milonghe sono dominate dall’estetica giovane? Gli over sono valorizzati o trascurati? C’è spazio per tutte le età nel tango?

Ad ognuna delle domande risponderei di sì e di no, assecondando il valzer della vita, la risacca dell’onda, che viene e va.

Danzo, quindi sono. E’ il solo senso per cui sto, per cui mi accollo ancora chilometri per trovare gli abbracci e le milonghe preferite, per cui ho sempre voglia di studiare. Nonostante tutto.

Il tango over come atto di resistenza, di identità e di amore per sé.

Lunga vita alla Giaguara. Per il resto: STICAZZI!

Pimpra

La dittatura delle scarpe: anatomia di una schiavitu’ glamour. #ditantointango

Photo by Apostolos Vamvouras on Pexels.com

Il cambio di stagione che per fortuna ho già fatto, impone, come ogni anno da 20 anni a questa parte, non solo di sostituire gli abiti “borghesi” ma pure quelli da tango, scarpe comprese.

Possiedo, come la maggior parte delle tangueras che hanno iniziato con me e che continuano, una collezione fototonica di scarpe da tango con il tacco.

Ricordo perfettamente che, agli esordi, cercavo lo stiletto più stiletto che ci fosse in commercio, più sottile possibile per svettare come fossi il cigno bianco di Tchaikovsky, eterea e leggiadra nell’abbraccio del mio ballerino.

Ne ho comprate paia su paia che, se potessi monetizzarle oggi, un biglietto per fare il giro del mondo lo avrei già in tasca. Più ne avevo, più ne volevo, compiacendomi come una pavonessa degli sguardi arrapati dei feticisti tangueri alla visione delle sublimi calzature.

Così l’estetica prese il sopravvento sulla funzionalità, divorando la funzione primaria dell’oggetto: ballare e mentre io credevo di diventare leggiadra, dinamica, in asse perfetto, un giorno una maestra mi disse “Senti, perchè non scendi dai trampoli che balleresti meglio?”

Una doccia fredda alla mia vanità, uno sgarbo alla mia infinita collezione di sandali, uno schiaffo morale alla mia ballerina interiore che si sentiva una libellula, issata sui 10,5 cm di tacchi a spillo.

Per fortuna sono una donna intelligente e riconosco i miei limiti e, soprattutto, do credito a chi ne sa più di me, quindi ascoltai l’insegnante e scesi di 1,5 cm. Mi pareva di viaggiare sulle nuvole del comfort, percepivo nettamente di muovermi sulla pista con più sicurezza, con più dinamica e stabilità.

Sul fronte dell’orgoglio vanesio, ancora potevo reggere, io e il mio codazzo di ammiratori feticisti che quel centimetro e mezzo di meno si poteva tollerare.

Continuando a ballare senza sosta, sempre di più, per più ore arrivò il giorno in cui scesi di un altro centimetro per assestarmi, per lungo tempo, su tacchi da 8 cm.

Quale meraviglia, la caviglia poteva estendersi, le dita grippare la soletta e aderire ancora meglio al pavimento, le catene muscolari che dalle estremità risalivano fin su alla schiena e oltre mi ringraziavano per il bel gesto.

Per molti anni ho continuato così, e pure la frenetica corsa all’acquisto scarpe si è acquietata, perchè oramai mi era chiaro che volevo ballare bene e meno mi importava di richiamare lo sguardo sulle scarpe che indossavo, quanto piuttosto sulla qualità dei miei appoggi a terra.

Il tempo passa, lo stile si modifica, le mode cambiano, dagli abiti “solo tango” siamo passati a quelli che usiamo al di fuori della pista anche in pista e successivamente, direttamente da Buenos Aires, sono arrivati loro, gli stivaletti alla caviglia, 3 cm di alzata (non si può nemmeno parlare di tacco!), che avvolgono il piede stanco in una morbida carezza di pelle di bufalo.

ORRORE IN PISTA ma PARADISO ai piedi, quella sincera sensazione di “sto volando”.

I feticisti del tango, e ce ne sono molti, ogni volta inorridiscono poichè una piazza come quella della milonga era la cornice ideale per l’espressione della loro parafilia, dichiarano convintamente “Io con quella non ci ballerò mai! Che orrore!”, sentito con le mie orecchie.

Molte tangueras di oggi, al contrario, hanno abbracciato questa rottura degli schemi, delle convenzioni, il dover essere sempre seducenti, sexy, brillanti, a scapito di provare dolore.

La scarpa torna alla sua funzione originale: oggetto utile a ballare (bene). Pertanto, chi ce la fa continua a troneggiare dall’alto degli stiletti, ma si sta affacciando una nuova generazione di ballerine che alternano molto volentieri le scarpe da pratica a quelle più alte.

La dittatura del tacco è finita! Evviva la comodità!

E tu, che ballerina sei? 😉

Pimpra

IL TEMPO DELLE MELE. #ditantointango

Non passa giorno che sui social non escano gli album dei numerosissimi eventi di tango che hanno luogo in giro per l’Italia, l’Europa, il mondo. Mi piace guardare le immagini di volti rapiti, di sorrisi, di linee corporee avvolte nell’abbraccio, coppie dentro quel flow unico che rapisce ogni ballerino di ogni tipo di danza, di ballo.

Le luci non luci della milonga creano molto spesso quadri suggestivi, restituendo sotto forma di frammenti visivi, le emozioni e l’energia vissuta dai tangueros.

Mi delizio e osservo e vedo nuovi abbracci, fluide dinamiche e guardo ancora e noto un particolare che ricorre sempre più spesso: i volti sono giovani, non sono quasi mai segnati da rughe.

In questi album fotografici certo sono presenti anche miei coetanei/ee ma, nel bilanciamento globale delle immagini, il loro numero sta calando…

Allora, da buona sportiva, mi sono chiesta: quando è corretto appendere le scarpette al chiodo? Il ritiro dalla scena tanguera è in funzione dell’età anagrafica del tanguer* o ne è completamente slegato? E’ opportuno mettere in campo un certo pudore rendendosi conto che, per raggiunti limiti di età, si cede il proprio posto alle nuove generazioni?

Confesso che il solo pensiero di “ritirarmi” mi procura una fitta di dolore, non sono pronta, non sono affatto pronta, ma mi rendo anche conto che le situazioni relazionali in pista, stanno mutando molto velocemente. Sicchè che fare?

Per le gentili signore la faccenda si complica all’aumentare dell’età molto prima di quanto non accada all’uomo. Mi sento di dire (magari per consolarmi) che se la qualità di ballo che riusciamo ancora ad offrire rientra nel criterio del “dignitoso”, possiamo concederci di calpestare ancora le assi di legno. Se la qualità cala una domanda me la farei, sono sincera.

Quanto agli uomini, loro affrontano una tematica affine ma diversa su altri aspetti, direi che pure per loro possa valere lo stesso discorso: a che punto sta la qualità del tango che posso offrire? Certo entrambi i sessi devono essere molto sinceri con se stessi e posizionare la loro asticella nel punto corretto della scala. Senza abbondanze e senza sconti.

Non siamo porteñi, in Italia/Europa non abbiamo la tradizione della milonga come normale asset sociale, per noi è e rimane una passione importata e come tale non possiamo viverne appieno le sfumature che ci consentirebbero la gioiosa partecipazione alle milonghe anche a 80 anni compiuti, se le gambe ci reggessero.

Mi auguro di poter godere ancora per molto del sapore unico di abbracci scambiati dentro le note incantevoli del tango, spero di non scadere mai nel ridicolo e di accorgermi per tempo quando sarà il mio tempo di salutare la milonga.

Nel frattempo però… DAJE!

Pimpra

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ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE. IL LEADER E I SUOI BENEFIT. #ditantointango

Da qualche tempo a questa parte, una follower spaiata che si iscrive a qualsiasi tipo di evento che preveda il bilanciamento dei ruoli, si vede spesso arrivare nella casella di posta, lunghe mail di scuse degli organizzatori per averla collocata nella black list degli esclusi “la waiting list”.

La waiting list, al 99% delle volte, non si sblocca e la malcapitata follower sa che quell’evento per lei è bruciato.

Da vent’anni a questa parte e, ovviamente, da molto tempo prima, la vita sociale della single follower è stata in salita, ma in questi tempi moderni, è diventata un martirio. Se a questo aggiungiamo magari un’età non più verdissima della malcapitata, l’impresa di essere “IN” ha del miracoloso.

Una volta, arrivata la mail asciutta in cui leggevi la fatidica frasetta maledetta “waiting list”, chiudevi la mail, la eliminavi, “Non è andata, pazienza, tanto si sa che da sole è difficile”.

Oggi, la stessa letterina arriva con un panegirico di scuse da parte degli organizzatori – pure loro spaesati- poichè, ad iscrizioni aperte, in un men che non si dica, orde di ballerine spaiate si iscrivono e i maschi se la prendono con molto calma, permettendosi l’iscrizione all’ultimo momento, consapevoli che, con la fame di leader che c’è, vengono presi di sicuro.

Allora sapete che vi dico – sticazzi! Questa non è democrazia sociale ma un vero e proprio abuso di posizione dominante!

Se ci fossero organizzatori con due palle così potrebbero imporre una regola: vuoi partecipare, tu, maschio leader principe assoluto del piso, allora hai tempo di farlo entro tot dalla data dell’evento, perchè, se lo fai dopo, la quota di iscrizione per te cresce del 20% in più (o una parcentuale fastidiosa e pesante a scelta) e, oltre una certa dead line, non puoi proprio iscriverti più. (Organizzatori lo fate di già?)

Non è affatto democratico che le follower, pur viaggiando con l’agendina aggiornatissima all’ora in cui si aprono le iscrizioni, precise come orologi svizzeri nell’inviare puntualissime i loro form compliati senza errori, debbano sempre e sempre più spesso fare i conti con la frustrazione di vedersi, una volta in più, mettere in quel purgatorio infame della lista d’attesa. Forse un NO secco è meglio dell’inutile illusione di questa fastidiosa lista di attesa.

Quanto ai leader, bella la vita a surfare tra i corteggiamenti delle ballerine alla ricerca spasmodica di un cavaliere con il quale poter fare questo cavolo di match così da non danneggiare il balance dell’evento. Proprio una bella vita. Mi rivolgo a voi: siete i re del mondo, i più belli, favolosi, incredibili e performanti potenziali compagni di ballo di ogni follower che calpesta il piso, fate un atto di benevolenza al mondo, scendete dal vostro piedistallo e iscrivetevi agli eventi in tempo ragionevole, come se – veramente- foste interessati a partecipare, perchè ballare lì in quella location, in quel periodo dell’anno, è una cosa che desiderate veramente fare! Organizzatevi come facciamo noi e prendete le decisioni in tempo reale.

A M E N. Andate in pace.

Pimpra

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IL RESPIRO DEL TANGO.

Ieri sera, in compagnia di amiche non tanguere, raccontavo di tango. Le dinamiche dell’invito, la mirada, l’abbraccio, la musica. Incantate dalle mie storie, più di una volta hanno affermato con certezza che mai sarebbero capaci di cimentarsi nel sensuale (a detta loro) ballo.

Morale: abbiamo organizzato un weekend in campeggio dove farò provare i primi passi. Gli ettolitri di birra croata sono certa aiuteranno i partecipanti a superare eventuali tabù.

Nel mentre, mi sono riaffiorate delle immagini, sonore questa volta, relative agli ultimi eventi a cui ho partecipato.

Il respiro del tango: non è un caso il titolo del post, credo di non aver mai letto nulla a proposito.

Ne parlo riportando la mia percezione da sportiva.

Quando ballo una milonga al fulmicotone, piuttosto che una tanda languida, non posso fare a meno di percepire il… vivace respiro del leader. Ovvio stando così a contatto, ma un conto è respirare normalmente un conto è ansimare.

Ansimare nel tango.

Non è la versione argentina di 50 sfumature di rosso, è la versione nostrana di un* ballerin* in affanno. Punto. Fame d’aria, polmoni poco espansi, bassa soglia aerobica, in una parola fisico non allenato a sufficienza.

Le emozioni sicuramente, in taluni casi, concorrono a “tagliare il fiato” di color* che sono più sensibii, ma non è possibile che ogni tanda procuri tale effetto.

I ballerini competitori debbono sostenere la visita di idoneità agonistica, elettorcadiogramma sotto sforzo, spirometria, misurazione della pressione ecc ecc, un motivo ci sarà. Ballare è a tutti gli effetti anche un’attività sportiva!

Bailar el tango es como caminar” sticazzi, perchè se cammini per 6 ore di fila, cambiando costantemente ritmo, fai fatica come se corressi una 10 chilometri!

Tutto questo per stimolare quei tangueros, uomini e donne, che – quasi da subito- respirano piuttosto affannosamente nell’orecchio del partner, manifestando chiara sindrome da affaticamento.

A me succede sempre di ascoltare il concerto ritmico del respiro del leader che si fa più veloce, più corto, più affannato. Non mi dà fastidio, sia chiaro, ma – confesso – a volte mi distrae perchè penso “Mamma mia ma non gli verrà mica un coccolone?”, sposto immediatamente il pensiero nefasto, rasserenandomi sul fatto che conosco molto bene le prime manovre di rianimazione, anche se mai vorrei metterle in pratica.

Ballare molto, specie per coloro che da un pezzo hanno superato gli anta, facendo le ore piccole, magari dopo settimane di lavoro stressante e problemi vari, fa certamente strabene all’umore ma, attenzione, può minare un fisico non sufficientemente preparato.

Io cerco di correre, se non riesco perchè ho qualche acciacco che me lo impedisce, cammino molto, a passo svelto cosicchè la pompetta sia sempre in esercizio e i polmoni pure. Inoltre, le attività aerobiche fatte all’aria di solito utilizzano i piedi, rinforzandoli aiutandoci anche a spingere meglio quando balliamo.

Il pippolotto è finito, andate in pace.

Parola d’ordine: riguardatevi, allenatevi e ballate.

Un bel sospiro di piacere, di seduzione, di apprezzamento intimo – credetemi – poggia su note vellutate ben lontane da un ansito. Poi vedete voi…

Pimpra

PS: se poi il rantolo del* tanguer* è condito da afflati alcolici… vabbè ma che ve lo dico a fare…

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NO LEADER? NO PARTY! #ditantointango

La butto in caciara ma, in realtà, credo si tratti di un argomento pesante, specie per il pubblico femminile.

Non disporre di un partner di ballo. Praticamente l’80% delle donne danzanti che conosco vive questa condizione.

Non avere un parter fisso cosa comporta?

Sicuramente mette in gioco ed esalta le qualità di follower: ogni uomo un abbraccio, ogni uomo una lettura musicale diversa, con ogni uomo un mix fisico diverso. [BENEFICIO]

Starci, seguire, leggere tutte le sfumature, proprio perchè non si conoscono, non sono “casa”, di certo accresce molte qualità della tanguera: sensibilità, connessione. [BENEFICIO]

Ciò detto, mi vengono in mente cose:

  1. percorso di studio: sempre più complicato trovare qualcuno con cui studiare, e penso non solo ai corsi ma agli stages, alle private…
  2. stile personale: se la follower sente dentro di sè di avere qualcosa da esprimere come tanguera, chiamiamolo uno “stile personale” un po’ più spiccato che si distingue dal tipico canone di “seguidora”, fatta eccezione per alcune follower di dichiarato talento, per tutte le altre sarà ben difficile poter lavorare ed esprimere la loro cifra stilistica più personale
  3. la fame: le vedi in sala, in attesa di quello sguardo, di quel battito di ciglia che prelude una tanda. Affamate di tango, in perenne attesa di venir soddisfatte. Molto spesso se ne tornano a casa con le pive nel sacco, perchè… non abbastanza brave, non abbastanza seguidore, non abbastanza giovani, non abbastanza qualcosa.
  4. Eventi: no leader, (quasi mai) no party. Siamo troppe e loro, sempre troppo pochi. Liste di attesa, e tantissimi no.

Da 1 a 4 solo criticità.

Poi c’è tutta la sfera psicologica che si attiva negativamente quando la follower non fa parte della/e cerchie, perchè è una cosa che si sente sulla pelle appena metti piede nella sala che “stai fuori”. Puoi essere dannatamente brava ma se non fai parte del cerchio magico, avrai poche chances di giocarti delle tandas. Come si fa a dimostrare la propria bravura se non vi è l’invito.

Non si tratta di piangersi addosso, si tratta di trovare una soluzione.

Studiare, ma stavolta da leader. Studiare da paura in versione maschia. Le migliori lo fanno già da tanto tempo, sono ballerine di livello decisamente superiore, richieste dalle loro amiche follower e pure dai leader che ne riconoscono le indubbie qualità.

Ballare il tango non è un’attività democratica, non è come fare sport che se ti alleni migliori, magari solo rispetto a te stesso.

Ballare il tango ti sbatte in faccia la realtà della vita che se non sei in equilibrio sui tacchi e con te stessa, l’energia che emani è contaminata e tutti se ne accorgono, lasciando la malcapitata a fare da sfondo alla tappezzeria.

No leader, no party.

Non scambierei comunque, per nessuna ragione al mondo, il fatto di stare nel gruppo follower, non fosse per le mie amatissime scarpe con il tacco.

No leader? I’m the party!

Pimpra

Un martedì senza empatia, non è mai una buona giornata.

Nella società moderna, così fluida, veloce ed effimera, sono sempre più carenti alcuni tratti fondamentali del vivere collettivo, tra questi cito l’empatia.

EMPATIA= dal greco En, dentro; PATHOS, sentimento.

Stamattina ho accompagnato l’anziana madre a un controllo medico per validare la terapia che sta seguendo da un mese e che le procura qualche fastidio.

Si trattava di una visita “al buio”, nel senso che il medico non sapevamo chi fosse, solo la specialità: neurologo.

La madre, come moltissimi altri pazienti triestini e non, ha perso quel faro di umanità, competenza, disponibilità che era la compianta prof.ssa Rita Moretti e, come molti altri, stiamo cercando di capire come proseguire l’opera iniziata dalla dott.ssa tristemente e improvvisamente deceduta.

Mia madre,

Mia madre, ça va sans dire, non si è occupata del “post Moretti”, non essendo capace di farlo, non fosse per l’età avanzata, sicchè sono stata io a mettermi al telefono per trovare il filo iniziale dell’intricata matassa.

Le telefonate si sono susseguite in una serie di scivolamenti verso il non detto, alla mia domanda “Ma la dott.ssa aveva dei collaborator* fidati?” , nessuno che si fosse sbottonato, la mia non era una richiesta perentoria, solo la ricerca di un suggerimento, un consiglio: “Mettetevi nei miei panni, a chi chiedereste per vostra madre?”. Niente, tutti, dagli infermieri di reparto ai segretari del primario della clinica ospedaliera, abbotonatissimi. Mi suggeriscono di chiedere una visita, cosa che faccio ed eccoci.

Ci accoglie un medico donna, dall’aspetto gentile, il seno florido che rimanda immediatamente alla “madre” archetipale, mi sembra bene. Parte la domanda a bruciapelo a mia madre “Lei perchè è qui?” e lei, ansiosa di prima generazione, perde l’uso della parola e diventa tutta rossa, fin sotto alla mascherina. Faccio per rispondere io, per aiutarla, e perchè la visita di controllo e verifica terapia era un’idea mia ma il medico mi blocca con fare severo.

La madre, sempre più rossa, comincia a biascicare qualcosa, facendo vieppiù innervosire il medico. Al che mi intrometto e spiego la ratio della visita.

Rimprovero n. 2: non dovevamo andare lì, che il farmaco da controllare lo dispensano solo centri specializzati particolari che hanno un registo e che lei non poteva fare nulla.

Mia mamma tramortita. Io, piuttosto imbizzarrita, avrei voluto rispondere per le rime, assecondando il movimento delle mie emozioni, ma sono stata saggia e, invece di inveire contro un simile trattamento, mi sono scusata dicendo che, per chi sta – come noi – dall’altra parte della scrivania, non è affatto scontato trovare i percorsi scorretti perchè non è il nostro mestiere.

La dott.ssa dalle grandissime tette, evidentemente mossa a compassione, depone un poco le armi e afferma che la visita l’avrebbe fatta comunque. Ed è stato così, e pure senza fretta.

I test verbali somministrati a mia madre dalla dottoressa dal corpo accogliente ma dalla parola tagliente, hanno vieppiù accresciuto lo stato di stress, specie alla domanda “Quanto fa 100-7?”: panico, mia mamma paonazza, in difficoltà come un uccellino caduto dal nido, alza la voce e quasi urla “Non lo so!”.

Ero a disagio per lei, perchè i numeri ci sono sempre stati osptili, ma un conto è cercare di gestirli in stato di tranquillità, altro è con lo stress da interrogazione.

Concluso il test verbale e fisico, la neurologa ha stilato un’approfondita anamnesi e ci ha indirizzato nel posto giusto. Amen.

Però così non si fa.

All’uscita la madre era ancora stremata dalla prova, in imbarazzo per la brutta figura (soffre di un serio disturbo della memoria), incavolata per essere stata trattata con “severità”.

Capite quanto sia importante nella vita, specie nelle relazioni, entrare in “vibrazione” con l’altro, percepirne lo stato d’animo, specie se si esercitano professioni che entrano prepotentemente a contatto con le emozioni, i sentimenti dell’altro?

Di sicuro il rispetto dei ruoli, va portato in entrambe le direzioni, non possiamo pretendere empatia se, noi per primi, non la offriamo.

All’uscita dall’ospedale l’ho presa sottobraccio rassicurandola, dai mamma adesso abbiamo capito da chi andare e lei, con gli occhi umidi di commozione, ha risposto “Mi manca la mia Rita, le volevo davvero bene”.

Questo è il lascito che dovremmo essere capaci di scrivere nelle persone che ci hanno conosciuto, indipendentemente da chi siamo, cosa facciamo, solo perchè siamo essere umani evoluti.

Mica facile…

Pimpra

COSA MI HA INSEGNATO IL TANGO SULLE DONNE.

foto credit Riccardo Lavia

Oggi i ricordi di Fb si spingono molto lontano nel tempo, a questa immagine di 10 anni fa.

Una me rispettosa del codice della milonga che chiedeva di indossare qualcosa di verde, in onore dei musicisti, il Duo Ranas.

Il verde è il colore che indossano le donne sicure di sé, quelle che credono/sanno/sono/si vedono belle. Rovistando negli armadi per prepararmi alla festa, non ho trovato verde da nessuna parte.

Ricordo che anche all’epoca, mi venne questo pensiero in testa: perché non ho mai considerato il verde? Mi piace pure, nelle sue diverse sfumature, intensità, più caldo o più brillante o freddo come il ghiaccio.

Io non ero all’altezza di vestirmi di verde, eh no.

La milonga fu un successo strepitoso: mi divertii tantissimo, ballai a fondere la suola delle scarpe, il concerto fu potente e magnifico. Una serata magica.

Chiesi la foto che vedete a un amico tanguero, ovviamente mi misi in posa, scimmiottando in modo assolutamente poco credibile, per non dire grottesco, la posa di una donna fatale, una che con il verde ci va a nozze. Sono passati 10 anni e, tanda dopo tanda, quella piccola donna in me è cresciuta e vive felice.

La Giaguara (dentro e fuori la milonga), non deve per forza indossare completi leopardati, tacchi a spillo H24, rossetto rosso carminio o mattone notte, per essere una vera Giaguara.

Si tratta di una dimensione dell’anima, di uno stato di totale riconoscimento della donna UNICA che si è.

Il tango, questo mi ha dato, a me che ho sempre avuto pudore di mostrarmi, non pensando mai di poterlo fare temendo di essere ridicola.

Poi lo stop della pandemia, due anni lontana dagli abbracci così cari, dalla musica capace di smuovemri sempre qualcosa dentro, lontana dal quel gioco di seduzione che si esprime sulla tenuta di uno sguardo, sulla mirada convinta, sicura, sorniona, giaguara.

Mi manca e pure io manco a me stessa.

Le tonalità del mio armadio sono molto coerenti, perchè mi piace quello che piace a me, ma il verde, nuovamente, manca.

E’ decisamente giunta l’ora di andarmelo a riprendere. Costi quel che costi, perchè la vita va avanti. Sempre.

Pimpra

PS: questo post stava nelle bozze da tanti mesi, non è frutto di un impulso odierno. Solo le ultime frasi lo sono, questo per dire che faccio molta fatica a sorridere e a fare finta che la vita di oggi sia uguale a quella di soli 3 anni fa.

Ma ho imparato che continuare a vivere, a resistere, ad essere resilienti è una dimensione dell’anima che dobbiamo nutrire perchè questo ci stanno insegnando i tempi: la vita cambia in un istante, senza preavviso.

Il mio cuore urla LOVE AND PEACE.

SOLO IO STO COSI’ ALLA C@@@O?

Oggi non è una buona giornata.

Ci sta. L’umore non decolla rimanendo a rullare sulla pista della giornata senza spiccare il volo. Ho messo in atto tutte le pratiche che conosco, sono pure passata per una degustazione di gommose e morbide davanti al pc, mentre lavoravo. Niente.

Allora ho detto a me stessa che il malumore va analizzato, bisogna “starci dentro” e, come sono entrata “in contatto con me stessa”, il detto malumore è aumentato in maniera esponenziale, allora sai che c’è, ho pensato non fosse una gran buona idea quella di “connetermi con me”.

Pausa pranzo, sono uscita, giornata fredda, splendidamente cristallina, di quelle per intenderci che non possono non regalarti benessere, sono andata a veder cazzate da Tiger che ha il potere di farmi tornare adolescente, niente, assortimento schifoso, solo giocattoli inutili e residui natalizi in liquidazione: mi ha quasi depresso di più.

Allora ho scelto un grande magazzino sulla strada per il caffè del pomeriggio: ho aggiunto strazio allo strazio vedendo merce pessima in qualità e gusto.

Il caffè era buono. Meno male.

Provo allora con la terapia musicale, mi faccio accrezzare le orecchie e l’umore (spero) da calde note funk/soul che mi ritemprano, ma non basta.

Ma che cosa mi succede? Dove sono finite le endorfine della mia esistenza? Dove si è accasciata la mia serotonina? In che paese si è trasferita la dopamina?

Non ne ho idea. So solo che rivoglio la mia vita, la mia vita di prima. Mi sento legata a un palo, alla catena, giro in tondo senza andare da nessuna parte.

Meno male che il sole è nuovo ogni giorno.

STICAZZI.

Pimpra

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