Un martedì senza empatia, non è mai una buona giornata.

Nella società moderna, così fluida, veloce ed effimera, sono sempre più carenti alcuni tratti fondamentali del vivere collettivo, tra questi cito l’empatia.

EMPATIA= dal greco En, dentro; PATHOS, sentimento.

Stamattina ho accompagnato l’anziana madre a un controllo medico per validare la terapia che sta seguendo da un mese e che le procura qualche fastidio.

Si trattava di una visita “al buio”, nel senso che il medico non sapevamo chi fosse, solo la specialità: neurologo.

La madre, come moltissimi altri pazienti triestini e non, ha perso quel faro di umanità, competenza, disponibilità che era la compianta prof.ssa Rita Moretti e, come molti altri, stiamo cercando di capire come proseguire l’opera iniziata dalla dott.ssa tristemente e improvvisamente deceduta.

Mia madre,

Mia madre, ça va sans dire, non si è occupata del “post Moretti”, non essendo capace di farlo, non fosse per l’età avanzata, sicchè sono stata io a mettermi al telefono per trovare il filo iniziale dell’intricata matassa.

Le telefonate si sono susseguite in una serie di scivolamenti verso il non detto, alla mia domanda “Ma la dott.ssa aveva dei collaborator* fidati?” , nessuno che si fosse sbottonato, la mia non era una richiesta perentoria, solo la ricerca di un suggerimento, un consiglio: “Mettetevi nei miei panni, a chi chiedereste per vostra madre?”. Niente, tutti, dagli infermieri di reparto ai segretari del primario della clinica ospedaliera, abbotonatissimi. Mi suggeriscono di chiedere una visita, cosa che faccio ed eccoci.

Ci accoglie un medico donna, dall’aspetto gentile, il seno florido che rimanda immediatamente alla “madre” archetipale, mi sembra bene. Parte la domanda a bruciapelo a mia madre “Lei perchè è qui?” e lei, ansiosa di prima generazione, perde l’uso della parola e diventa tutta rossa, fin sotto alla mascherina. Faccio per rispondere io, per aiutarla, e perchè la visita di controllo e verifica terapia era un’idea mia ma il medico mi blocca con fare severo.

La madre, sempre più rossa, comincia a biascicare qualcosa, facendo vieppiù innervosire il medico. Al che mi intrometto e spiego la ratio della visita.

Rimprovero n. 2: non dovevamo andare lì, che il farmaco da controllare lo dispensano solo centri specializzati particolari che hanno un registo e che lei non poteva fare nulla.

Mia mamma tramortita. Io, piuttosto imbizzarrita, avrei voluto rispondere per le rime, assecondando il movimento delle mie emozioni, ma sono stata saggia e, invece di inveire contro un simile trattamento, mi sono scusata dicendo che, per chi sta – come noi – dall’altra parte della scrivania, non è affatto scontato trovare i percorsi scorretti perchè non è il nostro mestiere.

La dott.ssa dalle grandissime tette, evidentemente mossa a compassione, depone un poco le armi e afferma che la visita l’avrebbe fatta comunque. Ed è stato così, e pure senza fretta.

I test verbali somministrati a mia madre dalla dottoressa dal corpo accogliente ma dalla parola tagliente, hanno vieppiù accresciuto lo stato di stress, specie alla domanda “Quanto fa 100-7?”: panico, mia mamma paonazza, in difficoltà come un uccellino caduto dal nido, alza la voce e quasi urla “Non lo so!”.

Ero a disagio per lei, perchè i numeri ci sono sempre stati osptili, ma un conto è cercare di gestirli in stato di tranquillità, altro è con lo stress da interrogazione.

Concluso il test verbale e fisico, la neurologa ha stilato un’approfondita anamnesi e ci ha indirizzato nel posto giusto. Amen.

Però così non si fa.

All’uscita la madre era ancora stremata dalla prova, in imbarazzo per la brutta figura (soffre di un serio disturbo della memoria), incavolata per essere stata trattata con “severità”.

Capite quanto sia importante nella vita, specie nelle relazioni, entrare in “vibrazione” con l’altro, percepirne lo stato d’animo, specie se si esercitano professioni che entrano prepotentemente a contatto con le emozioni, i sentimenti dell’altro?

Di sicuro il rispetto dei ruoli, va portato in entrambe le direzioni, non possiamo pretendere empatia se, noi per primi, non la offriamo.

All’uscita dall’ospedale l’ho presa sottobraccio rassicurandola, dai mamma adesso abbiamo capito da chi andare e lei, con gli occhi umidi di commozione, ha risposto “Mi manca la mia Rita, le volevo davvero bene”.

Questo è il lascito che dovremmo essere capaci di scrivere nelle persone che ci hanno conosciuto, indipendentemente da chi siamo, cosa facciamo, solo perchè siamo essere umani evoluti.

Mica facile…

Pimpra

ELEGIA ADRIATICA

image credit Alessandra Cechet

Sono una sostenitrice accanita della “poetica delle piccole cose”, istanti di vita quotidiana che si palesano allo sguardo carichi di bellezza.

Vivo in una piccola città del lontano nord est adriatico, uno scrigno di tesori disseminati qua e là dalle raffiche di bora.

Dalle alture del carso, le generose fronde degli ippocastani centenari delle osmize offrono un approdo di gioiosa tranquillità, fino a scendere in riva al mare, dove il respiro dell’Adriatico infrange, sugli scogli di Barcola, la sua risacca.

Un piccolo mondo fatto di tante delicate perle, le passeggiate in Cittavecchia, arricchite dalla gaiezza di numerosi locali che offrono ai curiosi ogni tipo di scelta enogastronomica.

Ai triestini piace fare festa. Nella consuetudine burbera di alcune giornate in cui i volti che si incrociano per strada sono piuttosto tesi, manifestando un conclamato fastidio, specie il lunedì, arrivata l’estate, si rilassano in un giocondo sorriso.

La casa è rifugio obbligatorio solo in certe gelide giornate d’inverno, quando la bora nera si impossessa della città frustandola con le sue spire di ghiaccio. Solo allora, le pareti domestiche diventano ricovero necessario e quindi amato.

Ma d’estate…

L’invito dell’amica del cuore a fare il “TOCETO” del tardo pomeriggio, a Barcola. Ci andiamo in scooter, in doppia, approfittando del tragitto per scambiare una trama fittissima di parole. La costa è popolata come fosse giorno, non me lo aspettavo. Si direbbe che verso le 18.30 ci sia proprio un “cambio di turno” tra coloro che hanno trascorso l’intera giornata al mare e i nuovi arrivati.

Il sole è basso e poco prima dell’abbraccio al mare, colora l’orizzonte di un rosa intenso che sfuma in una calda nota arancione.

L’acqua è tiepida, offre un’immersione di liquido amniotico, il corpo si rilassa lasciandosi accarezzare dalle lievi increspature del mare.

Dalla bisaccia escono due calici, una piccola bottiglietta e del melone a tocchi, l’aperitivo perfetto, nel luogo perfetto, con la compagnia giusta.

Tutto vibra di gioia satura che mi viene voglia di fare il ponte, lì, sul mio asciugamano. La mia amica si vergogna un po’ ma mi lascia fare, è abituata oramai alle mie stranezze.

Il tempo ci scivola sulla pelle umida di salsedine, mentre ci godiamo questi attimi piccoli ed estremamente preziosi.

Tu chiamala estate.

Pimpra

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