La dittatura delle scarpe: anatomia di una schiavitu’ glamour. #ditantointango

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Il cambio di stagione che per fortuna ho già fatto, impone, come ogni anno da 20 anni a questa parte, non solo di sostituire gli abiti “borghesi” ma pure quelli da tango, scarpe comprese.

Possiedo, come la maggior parte delle tangueras che hanno iniziato con me e che continuano, una collezione fototonica di scarpe da tango con il tacco.

Ricordo perfettamente che, agli esordi, cercavo lo stiletto più stiletto che ci fosse in commercio, più sottile possibile per svettare come fossi il cigno bianco di Tchaikovsky, eterea e leggiadra nell’abbraccio del mio ballerino.

Ne ho comprate paia su paia che, se potessi monetizzarle oggi, un biglietto per fare il giro del mondo lo avrei già in tasca. Più ne avevo, più ne volevo, compiacendomi come una pavonessa degli sguardi arrapati dei feticisti tangueri alla visione delle sublimi calzature.

Così l’estetica prese il sopravvento sulla funzionalità, divorando la funzione primaria dell’oggetto: ballare e mentre io credevo di diventare leggiadra, dinamica, in asse perfetto, un giorno una maestra mi disse “Senti, perchè non scendi dai trampoli che balleresti meglio?”

Una doccia fredda alla mia vanità, uno sgarbo alla mia infinita collezione di sandali, uno schiaffo morale alla mia ballerina interiore che si sentiva una libellula, issata sui 10,5 cm di tacchi a spillo.

Per fortuna sono una donna intelligente e riconosco i miei limiti e, soprattutto, do credito a chi ne sa più di me, quindi ascoltai l’insegnante e scesi di 1,5 cm. Mi pareva di viaggiare sulle nuvole del comfort, percepivo nettamente di muovermi sulla pista con più sicurezza, con più dinamica e stabilità.

Sul fronte dell’orgoglio vanesio, ancora potevo reggere, io e il mio codazzo di ammiratori feticisti che quel centimetro e mezzo di meno si poteva tollerare.

Continuando a ballare senza sosta, sempre di più, per più ore arrivò il giorno in cui scesi di un altro centimetro per assestarmi, per lungo tempo, su tacchi da 8 cm.

Quale meraviglia, la caviglia poteva estendersi, le dita grippare la soletta e aderire ancora meglio al pavimento, le catene muscolari che dalle estremità risalivano fin su alla schiena e oltre mi ringraziavano per il bel gesto.

Per molti anni ho continuato così, e pure la frenetica corsa all’acquisto scarpe si è acquietata, perchè oramai mi era chiaro che volevo ballare bene e meno mi importava di richiamare lo sguardo sulle scarpe che indossavo, quanto piuttosto sulla qualità dei miei appoggi a terra.

Il tempo passa, lo stile si modifica, le mode cambiano, dagli abiti “solo tango” siamo passati a quelli che usiamo al di fuori della pista anche in pista e successivamente, direttamente da Buenos Aires, sono arrivati loro, gli stivaletti alla caviglia, 3 cm di alzata (non si può nemmeno parlare di tacco!), che avvolgono il piede stanco in una morbida carezza di pelle di bufalo.

ORRORE IN PISTA ma PARADISO ai piedi, quella sincera sensazione di “sto volando”.

I feticisti del tango, e ce ne sono molti, ogni volta inorridiscono poichè una piazza come quella della milonga era la cornice ideale per l’espressione della loro parafilia, dichiarano convintamente “Io con quella non ci ballerò mai! Che orrore!”, sentito con le mie orecchie.

Molte tangueras di oggi, al contrario, hanno abbracciato questa rottura degli schemi, delle convenzioni, il dover essere sempre seducenti, sexy, brillanti, a scapito di provare dolore.

La scarpa torna alla sua funzione originale: oggetto utile a ballare (bene). Pertanto, chi ce la fa continua a troneggiare dall’alto degli stiletti, ma si sta affacciando una nuova generazione di ballerine che alternano molto volentieri le scarpe da pratica a quelle più alte.

La dittatura del tacco è finita! Evviva la comodità!

E tu, che ballerina sei? 😉

Pimpra

1° maggio come si deve! La Revoltosa. #ditantointango

Tradizione vuole che, il 1 maggio, si faccia pic nic con gli amici, piuttosto che andare al concerto in piazza, o, comunque, fare una gita fuori porta, trascorrere il tempo possibilmente all’aperto. Spiace per tutti quelli che, loro malgrado, debbano lavorare durante le feste comandate. La vita non è affatto democratica, si sa.

Quest’anno ho seguito la tradizione, complice fra le altre una bellissima giornata di primavera molto avanzata e, con la solita truppa di oramai “congiunti” tangueri, abbiamo raggiunto la ridente Bassano del Grappa per recarci all’Hangar dove si è celebrata la consueta festa del 1 maggio insieme ai Revoltosi.

In questa occasione a tutti i partecipanti viene chiesto un piccolo contributo in cibo e bevande per creare un buffet super guarnito di prelibatezze “home made” e pure a Km zero, preparate dalle sapienti mani degli ospiti. Il tutto piacevolmente innaffiato, tra gli altri, da ettolitri di prosecco. Siamo in Veneto e bere è una religione.

Una pomeridiana lunga, iniziata mangiando dalle 12.30 che si è protratta fino alle 21.00. I tempi dilatati dall’ottimo cibo, dalle chiacchiere scambiate assaggiando le leccornie campestri, in una modalità di “chill out” che sempre dovrebbe caratterizzare le milonghe.

Il significato di incontrarsi è pur questo: una chiacchiera, una bevuta, una tanda. In totale relax.

Sarà che la sede dell’Hangar, specie nella sua versione estiva con lo spazio all’aperto, si presta particolarmente, sarà che i Revoltosi sono uno squadrone oramai più che affiatato e collaudato, sarà che gli uccellini cinguettavano, l’aria profumava di fiori, il prosecco idratava la gola assetata e golosa, sarà che oramai – almeno di vista- conoscevo tutti, ma la giornata è stata davvero piacevole.

Stavamo così bene all’aria aperta che hanno dovuto suonare le trombe per farci entrare in pista, per poi uscirne poco dopo che ancora quell’assaggino lì al buffet ci mancava. Così per tutto il pomeriggio.

Cosa lasciano milonghe del genere? Un sapore di buono, non solo per l’ottimo cibo, ma per l’atmosfera davvero amicale che si crea. Non è sempre facile percepire quella bella sensazione di stare in un luogo dove si sta bene, dove ci si sente parte di un tutto, dove l’energia fluisce leggera.

Quando poi si balla con questa modalità di spirito, anche il tango ne beneficia, come se si accordasse al benessere generale.

Spesso ci penso quando vado in giro a ballare, quale è quell’ingrediente speciale che crea quel certo non so che di cui tutti godono. Una risposta me la sono data: i padroni di casa, quello che ci mettono, l’idea che hanno in mente quando organizzano l’evento, la loro modalità di “stare insieme” agli amici, agli ospiti, anche agli sconosciuti.

Maggio è iniziato con una sferzata di allegria, speriamo continui così!

Pimpra

I RONDAPIATTISTI. NUOVA FRONTIERA DEL TANGO MODERNO. #ditantointango

Post doppio. Partiamo con la notizia buona o quella brutta?

Iniziamo con LA BUONA NOTIZIA.

XTraordinary tango marathon.

Mancavo da Mantova da parecchi anni, sicuramente dalla pre pandemia, El viejo Almacen Papelero si conferma una sala ideale dove organizzare una bellissima milonga o una piccola maratona.

Il pavimento è uno dei migliori in cui ho messo piede, lo affermo con sicurezza perchè dopo 8-9 ore di fila a ballare sui tacchi non mi è mai venuto il devastante mal di schiena che su altre piste mi attanaglia.

L’atmosfera piacevole, il calore della sala e degli ospiti hanno fatto il resto.

A dispetto di quanto pensavo, una maratona “raccolta” mi ha permesso di ballare con tutti i ballerini con cui desideravo condividere abbracci, cosa che in quelle più grandi non accade spesso, quindi molto soddisfatta.

La defezione all’ultimo nano secondo di un Tj ha sparigliato le carte dei set musicali (ma su questo mi esprimo nella seconda parte). I professionisti presenti si sono alternati per coprire il buco, bravi.

Ho trovato la formula senza pause interessante, non trattandosi di una maratona stanziale, sono sempre rimasta in sala, fino a che le forze mi hanno sostenuta. Pausa cena compresa. Gli organizzatori si sono spesi per offrirci un menu composto da primo e secondo, tutte le sere. Farlo in uno spazio molto esiguo, ha richiesto una particolare premura nel servire le bocche affamate degli astanti.

A tal proposito, suggerisco, per le prossime occasioni, di fornire un tagliandino pasto, perchè più di qualcuno è rimasto a bocca asciutta non potendo scegliere la stessa offerta di cibo, dal momento che altri si erano fatti servire più di una volta, esaurendo le risorse. Non si fa, dovremmo saperlo, ma quando si tratta di fare la pappa regrediamo un po’ tutti diventando bambini che si tuffano letteralmente sul buffet.

Sono tornata a casa con una sensazione piena di piacevolezza, ho ballato davvero bene che è la cosa che spinge tutti noi a spostarci e fare chilometri su chilometri per raggiungere una buona pista.

Grazie Maria Elena e Marcello e allo staff che vi ha supportati, ci avete regalato una maratona soffice come la vostra deliziosa torta di rose!

LA CATTIVA NOTIZIA

Quanto segue non è riferito in particolare alla maratona di Mantova ma è un fenomeno diffuso ma che dico diffusissimo, in ogni latitudine del mondo tanguero.

Esiste una nuova categoria di ballerini i cosiddetti “rondapiattisti” ovvero coloro che negano assolutamente l’esistenza della ronda nella forma che noi tutti conosciamo. Per loro, andare in pista significa esprimere orbitali impazziti, senza alcuna possibilità di controllo o di logica geometrica a regolare le loro evoluzioni su pista.

I rondapiattisti sono sempre esistiti, come setta piuttosto celata, esprimendosi in unità singole, al massimo duali, in ogni milonga, nel periodo pre covid. Sono usciti allo scoperto nel post covid, invadendo le piste di tutto il mondo con l’affermazione che la ronda non esiste.

“Houston, abbiamo un problema”.

Con i miei occhi ho visto accadere incidenti in pista con una frequenza devastante: spintoni, colpi che azzoppano letteralmente, gincane assude tra coppie che stanno regolarmente procedendo.

E che vogliamo fare? Ci diamo una regolata o cosa?

Altro discorso interessante, il tj set. Prima di questa volta a Mantova, non avevo mai assistito a un’alternanza “veloce” alla consolle da parte dei tj.

Premesso che si è trattato di risolvere un’emergenza per cui – a prescindere- bravi tutti, personalmente credo che la formula non funzioni.

Mi è apparso molto chiaro come il tj debba accompagnare ogni momento del suo set musicale, accendendo la pista, portandola dentro le varie fasi, creando la buena onda che porta e sostiene l’energia dei ballerini. Ogni Tj inoltre esprime la sua personalità e la sua visione musicale che, in questo modo, risulta frammentata e non sempre coerente con ciò che prima ha preceduto o che seguirà.

Da un certo punto di vista è un peccato perchè poteva essere una nuova formula per mettere musica ma che, evidentemente, per il tango non è azzeccata. [Opinione personale, come sempre].

Osservo con sempre maggiore frequenza la presenza di principianti alle maratone. Questo mi spinge a riflettere sul cambiamento che il movimento tanguero sta vivendo. Un tempo, 15-20 anni addietro, prima di poter accedere a una maratona, si veniva studiati dall’organizzatore. Era come passare un esame: venivano valutati gli anni di ballo, lo stile, venivano indagate le referenze. Quindi una volta presi, bisognava dimostrare con i fatti di meritare quell’ingresso che significava impegnarsi, studiare, mettersi in gioco e… restare umili. Come dire: fare gavetta. Anche se partecipavi all’evento mica ti invitavano, circolo con circolo: tu facevi parte delle burbe, dovevi aspettare il tuo turno, nel mentre rubavi con gli occhi, ti facevi ispirare dai più grandi, e speravi fortissimamente di essere invitat* o di ballare con quelli più brav*.

Un percorso che faceva sì che quelli meno motivati abbandonassero. Non c’era democrazia e inclusività: o eri brav* o stavi fuori. Non c’erano così tanti eventi all’epoca, pertanto andavano sempre sold out ed esserci era come avere la tua medaglietta tanguera che non eri poi così da buttare.

Mi sembra che l’economia dei tempi moderni, obblighi, per puro budget della manifestazione, a far entrare tutti (mi riferisco sempre e solo al livello di ballo, sia chiaro), appiattendo così e uniformando l’offerta. Oramai la maratona, per lo più, è diventata una milonga che dura 3-4 giorni, dove puoi trovare il diamante ma pure molta, troppa, bigiotteria. Tempi moderni.

Per concludere il lungo pippolotto, ci auguro di ballare con varietà di anime danzanti, mescolando il nostro tango a quello di altri abbracci, di altre visioni, di diverse energie cercando quella luce che nasce da tutto questo per diventare esseri umani migliori. E’ questa la nostra magia.

Amen.

Pimpra

DI TANGO, DI MARE, DI FESTA. #ditantointango

Fine settimana, ospite di cari amici, ho calcato la pista del più affollato festival tanguero estivo di queste latitudini. Un mix perfetto di tango, mare, vacanza e – soprattutto, giovinezza.

Per chi, come me, abita al nord est è tappa estiva obbligatoria, il solo evento che non sia a numero chiuso che offre una selezione eccellente di lezioni, esibizioni di livello e millemila ore di ballo in variegati contesti.

La mia ultima volta è stata nel lontanissimo 2014, ne ho un ricordo memorabile. Poi non ci sono più tornata. Quest’anno, complice l’invito, vi ho rimesso piede.

Ben consapevole di quello che vi avrei trovato – giovinezza a tutta forza, e ottimi ballerin* da tutto il mondo, non avevo nessuna aspettativa di ballare. Sono pur sempre un’atleta, alla mia età si compete da “Master” con quelli della stessa categoria (di età), non si può entrare nella categoria “Assoluti” (tutti contro tutti, indipendentemente dall’età). Il festival in questione è storia per “Assoluti”.

La milonga serale, uno dei clou della manifestazione, si svolge in un gigantesco impianto sportivo, idoneo a contenere la folla di tangueros che vi si recano. Ho notato che, negli anni, gli allestimenti hanno reso il luogo più caldo e accogliente. Ottimo e rodato il team di accoglienza, zero inciampi, e via, dentro la bolgia a cercarsi un luogo dove sistemare le proprie cose per poi lanciarsi alla caccia di una mirada.

Gli amici mi hanno subito illustrato le postazioni: il dj set è il cuore pulsante, dove sono posizionati i tavoli dei maestri. In prossimità prendono posto coloro che, attualmente, rappresentano il gotha di specialità (alla sinistra guardando il dj), poi ci sono le schiere di quelli che spingono per entrare nel cerchio magico e, a volte, ci riescono, poi coloro che si illudono di farne parte ed infine quelli che, per la maggior parte del tempo, si limitano a guardare gli inarrivabili ma almeno gli stanno vicino.

Poi c’è il lato a sinistra del dj composto dai quelli consapevoli che la scalata al top è praticamente impossibile e dagli ignari che si accorgono che qualcosa colà accade ma non sanno bene.

In tutto questo brulicare di anime danzanti ci sono le postazioni fisse sui lati lunghi, ci sono le camminate in gran tondo che si fanno per intercettare un potenziale partner di tanda.

Questa incredibile danza della relazione, finalizzata in primis a ballare, costa una sacrosanta fatica in termini di strategia. E poi pure quella non è detto che serva se: non sei abbastanza giovane, se non sei abbastanza belloccio/a, se non sei abbastanza famos*, se non sei abbastanza brav*, se non sei abbastanza dentro i vari cerchi magici degli amici giusti che ti permettono di accedere a un bacino di potenziali tanguer* con i quali intrecciare abbracci. Per farla breve uno sbattimento di maroni che mi fa passare la voglia.

Ai giovani, al contrario, questo agone piace, perchè è naturale, è bella la sfida, la caccia grossa a quella tanda che desideri, con quella lei o lui che ti piace (in termini danzerecci e non, ovviamente).

Quindi tutto ciò detto, ricavo una morale pesante, almeno per me: ci sono contesti idonei e vantaggiosi e contesti assolutamente inappropriati. Toccare con mano che, superato il limite di una età che in chi ne è portatore rimane ancora verde, non lo è per gli occhi di chi guarda. Un sassata all’autostima.

Di buono dall’esperienza ho ricavato stimoli per lavorare sul mio tango che ho inequivocabilemtne riconosciuto come “viejo” o forse semplicemente “classico”, non al passo con i tempi. Provo una certa dose di fastidio ma preferisco avere consapevolezza di ciò che è piuttosto di illudermi di ciò che non è.

Ancora una volta è apparso chiaro come il tango sia un linguaggio universale, in costante evoluzione, come esista uno “slang tanguero” giovanile che si differenzia di molto da quello adulto, di come non sia possibile immaginare che un ragazz* dell’età di tuo figlio, faccia carte false per ballare con te, a meno che tu non sia un* megasonic* e affermat* professionista.

Un festival del genere va vissuto, se uno decide ancora di volerlo vivere, con assoluto distacco, possibilmente organizzando la trasferta con un manipolo di amici così da godere della vacanza mare/tango senza farsi male all’umore quando la mirada per troppe volte, cade nel vuoto.

Ovviamente l’anno prossimo ci riprovo, perchè mi risuonano ancora nelle orecchie le parole del mio allenatore “Non si molla mai!”

😀

Pimpra

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TOSCA 2024. TUTTO CAMBIA, NIENTE CAMBIA. #ditantointango

Non c’è primavera senza la Tosca, “La maratona” italiana per eccellenza. I primi 2 lustri scollinati con l’agilità di una gazzella, ripropone di anno in anno una formula consolidata, rodata nel tempo e garanzia di qualità.

La location ruba ogni volta il cuore, una meravigliosa villa immersa nelle colline toscane, con una pista da ballo allestita in un pavillon con vetrate sul giardino. Vale la pena partecipare anche solo per godere del luogo.

Rimane immutata la qualità dei servizi, puntuali e rigorosi, migliorati – se possibile- per agevolare in tutto e per tutto la vita dei maratoneti. Cibo ottimo, con specialità del luogo che fanno assaporare la bellezza sensuale della Toscana anche attraverso le papille gustative.

Ho perso il conto di quante edizioni di Tosca mi hanno vista partecipare e, spero che con questa mia dichiarazione di longevità, l’anno prossimo non mi vengano chiuse le porte, ho potuto vivere i cambiamenti nella grande vague tanguera degli ultimi 12 anni.

La mia prima nel 2012, la mail di risposta con quella meravigliosa parolina “IN” mi mandò ai matti dalla felicità. Ho ballato insieme al gotha del tango europeo del tempo, insieme, non “con” perché se non eri conosciut* come ballerin* e all’altezza, nemmeno potevi pensare di avvicinarti a una tanda con i mostri. Però ballarci vicino era comunque una sensazione meravigliosa che spronava a studiare per crescere e, chissà, magari un giorno, avere la possibilità di ballarci insieme.

Gli anni passano, e così il parterre muta.

L’edizione di quest’anno è stata più che mai inclusiva, accogliendo in pista anche tangueros acerbi (in termini di chilometri di tango nelle gambe), di entrambi i sessi, coppie comprese. Per noi che siamo oramai la vecchia guardia è una novità, nel senso che la maratona è diventata meno “stressante” da un certo punto di vista. Meno ansia da prestazione, più livelli di ballo, più possibilità di divertirsi per tutti.

In assoluto è questo il cambiamento più grande che ho percepito. Meno imperatori e imperatrici irraggiungibili, nonostante non mancassero i tangueros di categoria altissima, una fascia di ballerini medio alta e pure i pulcini della pista.

Se dovessi dare un titolo alla Tosca 2024 direi “INSIEME”.

Considerato il tempo che stiamo vivendo, con ciò che intorno a noi accade quotidianamente, avere la possibilità di potersi concedere un fine settimana così delizioso, è una fortuna immensa. Poterlo fare condividendo la gioia a 360 gradi, mi pare ancora meglio.

Grazie alle Tosche che non deludono mai. Il mio cuore è con voi.

Pimpra

ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE. IL LEADER E I SUOI BENEFIT. #ditantointango

Da qualche tempo a questa parte, una follower spaiata che si iscrive a qualsiasi tipo di evento che preveda il bilanciamento dei ruoli, si vede spesso arrivare nella casella di posta, lunghe mail di scuse degli organizzatori per averla collocata nella black list degli esclusi “la waiting list”.

La waiting list, al 99% delle volte, non si sblocca e la malcapitata follower sa che quell’evento per lei è bruciato.

Da vent’anni a questa parte e, ovviamente, da molto tempo prima, la vita sociale della single follower è stata in salita, ma in questi tempi moderni, è diventata un martirio. Se a questo aggiungiamo magari un’età non più verdissima della malcapitata, l’impresa di essere “IN” ha del miracoloso.

Una volta, arrivata la mail asciutta in cui leggevi la fatidica frasetta maledetta “waiting list”, chiudevi la mail, la eliminavi, “Non è andata, pazienza, tanto si sa che da sole è difficile”.

Oggi, la stessa letterina arriva con un panegirico di scuse da parte degli organizzatori – pure loro spaesati- poichè, ad iscrizioni aperte, in un men che non si dica, orde di ballerine spaiate si iscrivono e i maschi se la prendono con molto calma, permettendosi l’iscrizione all’ultimo momento, consapevoli che, con la fame di leader che c’è, vengono presi di sicuro.

Allora sapete che vi dico – sticazzi! Questa non è democrazia sociale ma un vero e proprio abuso di posizione dominante!

Se ci fossero organizzatori con due palle così potrebbero imporre una regola: vuoi partecipare, tu, maschio leader principe assoluto del piso, allora hai tempo di farlo entro tot dalla data dell’evento, perchè, se lo fai dopo, la quota di iscrizione per te cresce del 20% in più (o una parcentuale fastidiosa e pesante a scelta) e, oltre una certa dead line, non puoi proprio iscriverti più. (Organizzatori lo fate di già?)

Non è affatto democratico che le follower, pur viaggiando con l’agendina aggiornatissima all’ora in cui si aprono le iscrizioni, precise come orologi svizzeri nell’inviare puntualissime i loro form compliati senza errori, debbano sempre e sempre più spesso fare i conti con la frustrazione di vedersi, una volta in più, mettere in quel purgatorio infame della lista d’attesa. Forse un NO secco è meglio dell’inutile illusione di questa fastidiosa lista di attesa.

Quanto ai leader, bella la vita a surfare tra i corteggiamenti delle ballerine alla ricerca spasmodica di un cavaliere con il quale poter fare questo cavolo di match così da non danneggiare il balance dell’evento. Proprio una bella vita. Mi rivolgo a voi: siete i re del mondo, i più belli, favolosi, incredibili e performanti potenziali compagni di ballo di ogni follower che calpesta il piso, fate un atto di benevolenza al mondo, scendete dal vostro piedistallo e iscrivetevi agli eventi in tempo ragionevole, come se – veramente- foste interessati a partecipare, perchè ballare lì in quella location, in quel periodo dell’anno, è una cosa che desiderate veramente fare! Organizzatevi come facciamo noi e prendete le decisioni in tempo reale.

A M E N. Andate in pace.

Pimpra

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QUELLE FRIVOLEZZE A BORDO PISTA CHE TALI NON SONO. #ditantointango

Quando sono a bordo pista osservo i danzatori con interesse e curiosità. Di solito miriamo il/la partner che conosciamo, oppure andiamo alla scoperta di nuovi abbracci.

Guardo le movenze, ma pure i volti di entrambi, cercando di capire se la magica connessione prende i due elementi della coppia. Dagli sguardi, da piccoli segnali del corpo, con attenzione e pratica, si possono immaginare delle sensazioni dalle quali il desiderio di farsi la tanda con talun* o talatr* cresce o si spegne.

In questo gioco alla ricerca della scintilla che illuminerà la data tanda, secondo me, entra un altro elemento, dall’apparenza superficiale ma che tale non è: l’abito.

Avete mai notato nelle mirade che fate e che ricevete quanto vi rubi o meno l’attenzione l’abito dell’invitante, caso follower, o dell’invitata, caso leader?

Sono sempre più convinta che il vestito indossato abbia il potere di esaltare, modificare, definire lo “stile” di chi balla.

In quanto follower, ho l’armadio strapieno di vestiti per ballare che ci potrei fare un mercatino dell’usato, ovviamente, come la quasi totalità delle donne, quando devo decidere cosa indossare in milonga o mettere in valigia per un evento, mi sembra che l’armadio 4 stagioni sia vuoto.

Il vestito non risponde unicamente alla logica del comfort poiché ballare implica movimento ma, in primis, a una dimensione della mente, sempre diversa, che deve trovare un vantaggioso accordo tra ciò che il corpo desidera fare e l’asse mente/cuore trasmettere. Pare una banalità, ma se ci fate caso, quasi nessuno indossa cose a caso. (Ho scritto “quasi” nessuno).

Percepisco una netta differenza nel modo di ballare se indosso una gonna fluida che si muove con me e accarezza i movimenti, piuttosto che quando ballo con un abito fasciante tutt’uno con la pelle. Non si tratta di comodità per le gambe, quanto di una sensazione sottile che da dentro (emozioni/sentimenti/percezioni) riverbera all’esterno.

Non solo la forma e la struttura dell’abito ma pure il colore ci influenza, la stampa, le cromie più o meno forti o delicate.

Credo che anche per l’uomo sia un po’ la stessa cosa, con la sola differenza che - fino ad ora- è legato all’utilizzo dei pantaloni e quindi le possibilità di variazioni sul tema sono più ridotte, ma non si sa mai come il costume possa evolvere in futuro.

Di base siamo sensibili a sottigliezze di cui nemmeno ci rendiamo conto e, sia quando scegliamo la persona con la quale ballare che quando siamo scelti, anche questi dettagli, apparentemente poco importanti, finiscono per giocare un loro ruolo.

Per concludere, ricordiamoci che “mezzo è messaggio” e che l’abito – sempre - parla di noi.

Pimpra

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QUANDO DIETRO LE QUINTE CI SONO LE DONNE. BOca TANGO DAY. #ditantointango

Il mio anno tanguero ha preso vita in Emilia Romagna dando un felice imprinting alle mie velleità danzerecce, riportandomi, una volta ancora, nell’accogliente terra del tortellino (e non solo!).

Una formula che amo particolarmente: un “All you can dance” di 14 ore di fila. Un sabato dedicato all’attività preferita: ballare e – soprattutto – ballare bene.

In Emilia Romagna, diciamocelo, sono molto viziati, non c’è parquet che si calpesti dove non si trovi ottima offerta di ballerin* che siano oriundi o in trasferta, di sicuro amano ritrovarsi colà. Me compresa.

Della sede prescelta, Casa Katia Bertasi ne ho già parlato qui, ribadisco la comodità di raggiungerla, specie per la sottoscritta che ha viaggiato in treno, oltre la piacevolezza di ballare in una ampia sala vetrata con affaccio sul verde.

Quale sia la formula di una nuova milonga nel ricco panorama bolognese, non mi è difficile identificarlo: la passione di tre donne, le art director dell’evento, che, oltre alla esperienza come ballerine ed insegnanti di tango, hanno messo la sensibilità e l’organizzazione tipica delle donne.

Programma cristallino: offriamo 14 ore di ballo, piccoli snacks (non vi riempiremo la pancia perciò organizzatevi, ma noi vi forniamo tutte le informazioni per aiutarvi, compresi i cockatil al bar a prezzo convenzionato), una tonnellata di deliziose arance Resca che fanno anche bene alla salute (ps: next time provate a noleggiare il macchinario utile alla spremitura del nettarino frutto così da agevolare gli avventori dell’aranciata), una super coppia di Dj che ci hanno fatto fondere la suola delle scarpe.

Trovo interessante la formula che le tre madrine di BOca tango, Antonella, Luciana e Marianna hanno scelto, il prossimo incontro a marzo per concludere (in questa prima fase) a giugno. Diluire l’evento per dare la possibilità anche a chi non è dei luoghi di organizzarsi il viaggio, e, immagino, anche per non andare contro alle milonghe fisse di Bologna e dintorni. Sensibilità tutta femminile, a mio parere e forse, anche legata alla logistica di sala che, bella com’è, sarà spesso utilizzata per eventi.

Cosa posso aggiungere se non che è sempre un piacere assistere a un “ciack si gira” di una prima edizione che finisce con l’esclamazione “buona la prima”!

Felice di essere stata presente e ballare il vostro successo!

Pimpra

QUANDO TI DICE “NO”, NON E’ TRATTABILE. #ditantointango

Milonga in una delle sedi che preferisco, splendida atmosfera, amici, tango per tutti i livelli, dai beginners ai più navigati, pomeridiana unita alla serale, in una parola festa grande.

Partecipo con un’amica, balliamo, ci divertiamo.

Mentre sono tutta presa in una tanda, con la coda dell’occhio colgo il suo sguardo disperato e noto il ballerino che la cinge.

Qui, serve fare una doverosa premessa:

siamo stati tutti principianti, quindi possiamo accogliere le difficoltà che ambo i sessi sperimentano nel grande agone della milonga. E’ compito dei più esperti agevolare le giovani leve, accompagnarle nella loro crescita, anche spiegando per bene il bon ton del tanguer*, al fine di evitare al lui o lei di turno pessime figure che sporcheranno la “fedina tanguera” a volte, pregiudicando per sempre, un piacevole e sereno percorso.

Due sono le regole d’oro che vanno tatuate nel comportamento dei danzatori: si invita con mirada e cabeceo, il no (eventualmente ricevuto – poi ne parliamo) è un no che va rispettato.

Torno alla mia amica, finisce la tanda e con rabbia mi racconta il suo vissuto: un uomo, pure di età piuttosto avanzata, non solo le si para davanti (non si conoscevano) e la invita verbalmente, mentre lei, nel momento in cui si era accorta che si stava avvicinando, aveva girato lo sguardo da altra parte, manifestando con rispetto la chiara intenzione di NON ballare con dato soggetto. L’uomo, indifferente, piantandosi davanti a lei “Balli?”, “NO GRAZIE, non mi va la milonga”, “Non ti devi preoccupare, faccio tutto io” e, porgendole la mano, con tono imperioso, l’ha costretta ad alzarsi e andare.

Quando me lo ha raccontato le ho parlato del sacrosanto diritto di dire di NO e di NON accettare – per nessuna ragione- un invito che risulta sgradito, ma poi, a mente fredda, ho analizzato meglio la situazione, comprendendo quante leve emozionali, una simile prevaricazione – altro che patriarcato! – muove nell’animo di una donna.

Lui era fisicamente imponente, anziano, con modi decisi. Lei molto più giovane, educata e gentile, la classica “brava ragazza” abituata a comportarsi bene. E’ facile dire “Ti dovevi alzare e lasciarlo lì”, per lei, al contrario, sebbene le facesse raccapriccio l’idea di quella tanda, si è alzata quasi obbedendo a una voce interiore e ha ballato una tanda tremenda.

Proviamo a metterci nei panni dell’altro e impariamo a scovare, anche in un luogo di divertimento, comportamenti di fatto aggressivi. La violenza si traveste di moltissimi abiti, non solo di urla, parole ferenti, minacce più o meno velate, botte. Violenza è anche costringere qualcuno a fare qualcosa che non gradisce, impedendogli di agire il suo libero arbitrio, come in questo caso, di declinare un invito.

E’ violenza anche quando un ballerino che non conosci e che scansi con lo sguardo, ti si para davanti, “obbligandoti” con il corpo ad accettare l’invito. Non tutte le donne sono forti abbastanza per ribellarsi, in tante – ancora, si piegano a certi soprusi.

Il tango è democratico, sociale, e, soprattutto, rispettoso di entrambi i sessi e di entrambi i ruoli. Mai vorrei incrociare chi, con fisica insistenza, mi costringesse a fare ciò che non desidero o nel momento in cui non lo desidero.

Tutti noi dobbiamo imparare ad accettare i NO, essi ci servono per riflettere, per imparare e per crescere. Ricevere un NO in milonga non significa che siamo esseri umani senza valore (o valore tanguero), infinite sono le ragioni – logiche, illogiche, di pancia- che fanno sì che a quella tal persona, in quel tempo, siamo sgradit*. Pensiamo che può essere “per sempre” o momentaneamente.

Quando ero una giovane ballerina, leggi principiante, e mi riempivo gli occhi guardando i bravi, sognavo ad occhi aperti di essere invitata da uno di loro. Immaginavo il giorno in cui sarebbe successo (ho sempre voluto essere ottimista! 🙂 ) e come mi sarei sentita, e il percorso di crescita che avrei fatto.

Per sopportare l’attesa, ho ideato il gioco della bandierina. Immaginandomi un’alpinista di vette himalayane, quando – finalmente!, fosse arrivato l’invito tanto sperato, avrei assegnato alla tanda la bandierina di vetta conquistata. Con gli anni, la pratica, lo studio, l’umiltà dell’attesa, le bandierine sono arrivate numerose e, ancora oggi, con immutata gioia, continuano a sorprendermi.

Cari uomini all’ascolto, quelli che credendo di ballare una quadriglia ottocentesca si parano con manina tesa davanti alla tanguera riluttante, fate cinque passi indietro, trovate la giusta posizione in cui potreste intercettare il suo sguardo e guardatela, non va bene la prima volta, riprovateci, con serenità e costanza. E, se per quella milonga non andrete a segno, non fatene una malattia, ci saranno altre occasioni.

Siate cavalieri rispettosi dell’altrui volontà. Così vi vogliamo.

Pimpra

IMAGE CREDIT: Immagine di cookie_studio su Freepik

COLEGIALA N. 8 E FATTORE “A” #DITANTOINTANGO

Per chi non lo sapesse ancora, questi cinque volti sorridenti sono l’anima pulsante della Colegiala, maratona in quel posto pazzesco, ex colonia estiva della Fiat, che rappresenta – per me- la chiusura con bacio sulla fronte, delle maratone “estive”.

Quest’anno giunta alla sua 8 edizione, con una verve, un desiderio di stupire, di divertire, ai massimi livelli infatti i numeri ne sono stati la testimonianza: 300 e più persone di fedelissimi e nuove leve. Questi sono i numeri del successo!

Quando la data del weekend si avvicina mi sale un’allegria mista di curiosità e desiderio immaginando le sorprese che sempre ho trovato, in tutte (5?) le mie Colegiala.

Ogni anno mi ripeto e dico che l’ultima maratona è la più bella, anche questa lo conferma. Ogni anno ne assaporo maggiormente i dettagli e le sfumature organizzative. Una macchina da divertimento perfetta.

Su 300 eravamo un gran bel mix di provenienze, di età, di “stili” che hanno creato un curry di tango speziato di gran gusto.

Ai miei Colegiali del cuore, a quelle Anime adorabili che l’hanno pensata e ogni anno l’organizzano, il mio sentito GRAZIE, dal profondo della mia anima tanguera! ❤

Affrontiamo adesso il “fattore A”. Avete già capito? Se non vi è chiaro vi offro un esempio: una sala enorme, piena di gente, di gente che fa una cosa per cui praticamente tutti sono accettabilmente brav*, dove – ovviamente – vi sono dei soggetti particolarmente brav*, dove quella cosa accade con brama e desiderio in una zona particolare della sala dove prendono posto quell* dai 20 ai 39 che a 40 butta già male.

Il fattore età, miei cari, quei maledetti segni su pelle e sul corpo che ci qualificano come “passati, andati, decrepiti, vecchi, cariatidi ecc. (…)”. Chi ha superato la boa ed ha messo piede nei meravigliosi “anta” e balla il tango, comincia a farci i conti: si diventa, piano piano, come persone trasparenti oppure invisibili, non si occupa più uno spazio fisico, si fatica a portare la propria luce tra le mura della milonga.

Ci sono “anta” da sballo, giovanili, virtuos* ballerin* che riescono ancora a giocarsela molto bene, ma se tiriamo i remi in barca e smettiamo di darci da fare, la simbolica morte sulla pista è garantita.

Mentre osservavo le dinamiche cercavo di capire certe motivazioni alla base di un invito accettato o respinto, volevo chiarirmi i motivi che spingono molte persone a voler ballare sempre/solo con cert* senza avere l’azzardo, la curiosità di provare o riprovare altri “sapori”. Credevo che 3 giorni di balli matti e forsennatissimi aprissero la possibilità di fare tande nuove, intendo fuori dagli schemi: giovane/figa+adulto normale, giovane/figo+”madre di famiglia” (definizioni che vogliono essere scherzose, sia chiaro), magari che so osando un giovane/adultissim* così, magari per farsi una risata.

Eh no, i tempi non sono affatto maturi per produrre simili acrobazie relazionali. Accettiamolo e basta. Nel mentre, però, per chi è entrato a pieno diritto nella soglia “anta, anta…” il consiglio rimane sempre lo stesso: bisogna STUDIARE. Già il corpo, ci piaccia o no, invecchia, non ci basta più (ma credo non fosse mai sufficiente) dedicarsi a ballare e ballare e ballare. Bisogna affinare, migliorare, smussare ovvero studiare.

È questo il punto a cui siamo giunti, insieme ai miei compagni di viaggio, nella disamina del perché, a un certo momento del nostro percorso di tangueros, cominciamo a stare fermi al palo. Forse, senza saperlo, siamo diventati ballerini arrugginiti, pertanto le lamentele ci tornano indietro.

Il piacere di ballare in una maratona oramai va conquistato con la volontà e il sacrificio. Non ci sono alternative possibili. Una, in realtà: il divano di casa. 😀

Pimpra

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