ETICA MINIMA

Il titolo del post rimanda al testo del filosofo, scrittore Pier Aldo Rovatti , che vi invito a leggere. Il seguito, nulla ha a che vedere con il suo scritto.

Da molto non affronto più le tematiche legate alla pandemia e a tutte le implicazioni sociali e relazionali che ne sono scaturite. Oggi però ho deciso di rompere il silenzio, ponendomi una domanda:

per un professionista del mondo sanitario, dal gradino più piccolo della scala a quello più alto, come è possibile rifiutarsi di fare il vaccino? E’ come dichiarare la propria perplessità nei confronti della scienza, della ricerca.

Personalmente delle domande me le porrei, se fossi un sanitario: perché ho scelto la professione?

I provvedimenti che cominciano ad essere presi verso il personale sanitario che si dichiara contrario al vaccino, mi trovano assolutamente d’accordo. Non è conciliabile rivestire un ruolo professionale in sanità ed essere allo stesso tempo detrattori della ricerca che sta alla base di qualunque terapia.

Mi viene in mente un episodio che mi capitò tanti anni or sono: mi recai al consultorio per la prescrizione di un anticoncezionale adatto alle mie esigenze. Ebbene incappai in un medico obiettore di coscienza che, in tutti i modi e con la persuasione più becera, tentò di spingermi a fare un figlio al più presto, perché con il mio profilo ormonale, potevo essere a rischio sterilità e che lui giammai mi avrebbe prescritto la pillola.

All’epoca ero una giovane donna di 20 anni, frequentavo l’università e, all’uscita dal consultorio provai solo una grandissima rabbia per il ginecologo ma non lo segnalai all’autorità competente. La segnalazione, a mio parere, era dovuta, poiché se una donna, per una serie di ragioni personali, ritiene di voler e dover provvedere alla contraccezione (e non parlo di aborto) il medico ha il sacrosanto DOVERE di consigliare/suggerire il metodo più adatto. Punto.

Immaginiamo se al posto mio, allora, ci fosse stata una ragazza senza gli strumenti culturali/economici (poi feci la visita privata ed ottenni iò che mi serviva – senza alcun nefasto effetto collaterale, tra l’altro), che avrebbe fatto? Sarebbe rimasta incinta senza un lavoro, senza alcuna prospettiva? Solo perché un medico le aveva suggerito di “provvedere quanto prima a fare un figlio”?

Con i vaccini, mi sembra la stessa cosa: il personale sanitario, senza battere ciglio, dovrebbe vaccinarsi e promuovere la vaccinazione presso la cittadinanza, così come i responsabili cittadini, compatibilmente alle condizioni di salute, dovrebbero vaccinarsi. Non c’è spazio a credo personali.

Punto.

Ci sono situazioni in cui, quella sbandierata libertà di cui tanto ci riempiamo la bocca, è solo un vessillo per nasconderci dietro a forme di meschinità prive di qualsiasi visione globale.

Etica sociale, in cui il comportamento di ognuno possa essere anche votato al bene della comunità, facendo dei sacrifici, se necessario, mettendo a disposizione del bene superiore, un particella della propria libertà personale.

Pimpra

CORONAVIRUS E IL TEMPO DELLA NOIA

Non vedo l’ora arrivi il tempo in cui la grande emergenza epidemiologica mondiale sia rientrata, aspetto quel momento come tutti, nel frattempo, cerchiamo di sopravvivere.

La mia solidarietà a tutti coloro che rischiano il lavoro a causa delle misure restrittive per contenere il contagio. Spero che il Paese sappia rialzarsi, la nostra storia lo racconta, a noi tutti dimostrare che siamo capaci, una volta in più.

Il momento che stiamo vivendo ha mutato in noi tutti e senza preavviso, le abitudini, dal lavoro alla vita di famiglia a quella sociale passando per gli sport e il tempo libero.

Come una gigantesca onda siamo stati travolti e, pur con estrema fatica, malcelata rassegnazione, siamo chiamati ad attenerci strettamente alle nuove – restrittive – regole del vivere civile.

A nessuno piace subire una decisione, specie se la stessa ci priva del diritto sacrosanto alla nostra libertà, anche se la ragione è di salute pubblica, quindi assolutamente condivisibile.

Sono rimasta colpita dalla sofferenza di molti nel non sapere come riempire il tempo, svuotato dalle abituali attività.

Adulti che faticano immensamente a gestire LA NOIA.

Cos’è esattamente?

Da Treccani on line: nòia s. f. [prob. dal provenz. nojaenoja; v. noiare e annoiare]. – 1. a. Senso di insoddisfazione, di fastidio, di tristezza, che proviene o dalla mancanza di attività e dall’ozio o dal sentirsi occupato in cosa monotona, contraria alla propria inclinazione, tale da apparire inutile e vana (…)

Mi soffermo su “Senso di insoddisfazione, di fastidio, di tristezza, che proviene o dalla mancanza di attività” . Come adulti, fatichiamo a gestire la “mancanza”, essere privi di qualcosa che riempie qualcos’altro, un vuoto nascosto.

Sono la prima della fila a temere la noia, quindi vi capisco, ma posso anche aggiungere che la noia serve, ci insegna molte cose.

La prima, per me la più interessante, è che ci costringe a stare in silenzio, in compagnia di noi stessi. Cosa affatto facile, specie se il silenzio esteriore, amplifica il caos interiore. Se non lo facciamo mai, questo contatto, può essere estremamente pauroso, inquietante, ansiogeno perché a se stessi non si sfugge, meno che meno ai propri demoni, alle inquietudini che portiamo.

Perché ho imparato ad apprezzare la noia?

Mi ha insegnato moltissimo, mi ha portata ad esplorare dei territori dove non volevo assolutamente andare, ho scoperto aspetti interessanti che non conoscevo, ho visto in faccia i miei demoni.

Con la noia abbiamo una possibilità di crescere, per questo gli educatori invitano gli adulti a creare spazi di noia per i propri figli, ci si confronta con le parti più nascoste di noi, si scoprono risorse.

La noia indolente di questi giorni, per esempio, mi ha spinta a provare a far funzionare la macchina da cucire. Ho fatto più tentativi, ho provato frustrazione, ma ho insistito e alla fine ce l’ho fatta. Non mi ci sarei mai messa, nel mio quotidiano vivere, presa da altre attività più pressanti. Invece, il periodo di noia, impedendomi di disperdere il mio tempo, mi ha portata esattamente dove il mio sé più nascosto, quello legato alla creatività, voleva andassi.

Mi piace condividere con voi questa piccola riflessione, perché se impariamo a trovare l’opportunità in un contesto che sembra solo funesto, vivremo meglio.

La noia è un tema caro alla letteratura, approfittiamo di questo strano tempo per annaffiare lo spirito, sono certa che germoglieremo insieme alla primavera nascente.

Pimpra

Suggestioni: qui, qui, qui, qui, qui

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Il coraggio dell’empatia. Il coraggio del pensiero. Il coraggio della parola. Il coraggio di comunicare.

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Il lavoro che faccio è molto stimolante, in questo periodo lo è in modo particolare. Oggi, presentazione del progetto “Condivido” per le scuole, per portare nelle aule i 10 comandamenti della comunicazione non ostile. Vi invito caldamente a leggere qui  , qui  e qui .

Stamane, la presentazione alle scuole, con diretta streaming da Milano e diverse città italiane collegate. Un bel progetto, una splendida idea per diffondere la cultura della “non ostilità” in rete presso il popolo millennials e non solo.

Il conduttore della mattinata, Paolo Ruffini, livornese, classe 1978, giovane al punto giusto per la audience. Si presenta immediatamente come uno di loro, l’amico di 5° quando te sei un pischello primino. Battute a go go, ne ha per tutti, giovani e meno giovani, la platea ride e ascolta, ascolta e ride.

Il tono sale e il “parlare volgare” pure: le parolacce si sprecano, lo stile è quello della periferia, dei sobborghi, dei giovani popolari, non di quelli con il naso in su.

Ridiamo, ridono, noi, dalla sede distaccata, non perdiamo una sola parola.

Percepisco strane vibrazioni intorno a me: gli adulti, insegnanti e non solo, cominciano a provare disagio per il tono scurrile e per l’argomento affrontato: una discussione sulla omosessualità e i comportamenti potenzialmente negativi, di odio e violenza, che scatena nei suoi detrattori. Scandalo, quelle parole non si dicono, un tema così poco politically correct, non può uscire libero, dalle parole di un conduttore, chiamato e pagato per fare altro.

In una sede, staccano la spina. Il collegamento viene interrotto perché gli adulti del luogo non gradiscono il tenore della discussione  e il portato semantico delle parole utilizzate.

Quello che era uno spettacolo educativo, ricordo per chi l’avesse dimenticato che educare=educere ovvero tirare fuori, allevare, si è trasformato all’improvviso in una pippa semi noiosa, non fosse per il desiderio dei ragazzi in sala, di ribellarsi alla censura.

Vi rendete conto: censura. Non mi piace quello che sento o non lo condivido, che faccio? stacco la spina.  Cosa insegno ai giovani? Che se non sono d’accordo, giro le spalle e me ne vado? Oppure intervengo e cerco di spiegare le mie motivazioni per cui un’idea/opinione/modo espressivo non posso accettarlo?

Questo è accaduto a Trieste, una città in cui hanno sempre vissuto eminenti liberi pensatori, intelligenze della cultura della scienza e dell’arte. Trieste oggi ha staccato la spina perché il Paolo ha affrontato un tema spinoso, non concordato, utilizzando il volgare gergo giovanile.

Mi piace ricordare che siamo stati tutti adolescenti, ribelli e testoni, mi piace ricordare che poco ci piaceva ascoltare il pippolotto dell’adulto di turno che, dall’alto, ci declamava le sue lezioni su ciò che è giusto e ciò che non lo è.

Se devo fare divulgazione, se desidero entrare in connessione emotiva con la mia audience, specie se questa si trova nella complicatissima età dell’adolescenza, devo per forza scendere dalla cattedra e sporcarmi i lati della bocca con un baffo di ketchup, non posso permettermi di essere il colto e raffinato insegnante che sono se, alla ciurma che ho dinnanzi, parlo con un linguaggio, un tono e uno stile che non “entrano” nella testa e nel cuore e che non sono capiti.

Lo spettacolo e lo show possono e devono avere un certo tipo di dinamiche anche poco ortodosse, il lavoro in aula dell’insegnante sarà quello di modulare, tradurre i contenuti portandoli a una soglia più elevata, ma mai rarefatta.

Per comunicare e per farlo bene ci vuole un gran coraggio.

E, comunque, la censura mai.

Pimpra

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