LA CAMPAGNA VACCINI IN FVG. ASPETTI DI CRITICITA’

Premetto che, a criticare il lavoro o il metodo di lavoro degli altri, sono bravi tutti e non voglio di sicuro cadere nella trappola di coloro che puntano il dito.

Provo ad esporre i fatti di un’esperienza personale che mi fa riflettere.

Campagna vaccini, terza fase, fascia 75-79 e persone ad alta fragilità. Nella mia famiglia, a tutela delle due nonne, organizziamo una squadra per far sì che loro non debbano andare a fare code per prenotare l’appuntamento. Mia cognata prova con il CUP telefonico e, nel caso sia impossibile prendere la linea, sono pronta a presidiare la farmacia, prima dell’orario di apertura, per essere certa di riuscire nell’impresa.

Studio la strategia: meglio una farmacia centrale o periferica e scelgo quella periferica. Sono la 5 in fila alle ore 8.10 del mattino, in coda, prima di me, le persone destinatarie del vaccino, ovvero over 75. Arriva ben presto un signore con stampelle e, siamo oramai in 15, decidiamo all’unanimità di farlo entrare per primo.

Premetto che, alle 8.05 mia cognata mi chiama e mi dà la ferale notizia: il CUP che è riuscita a contattare dopo 140 chiamate senza esito (mi ha mandato lo screen shot del cellulare!) le ha risposto che la campagna su Trieste ancora non è aperta, di riprovare il giorno successivo.

Sono sincera, dalla mia bocca sono uscite parole indegne per una signora. Decidiamo che vado comunque in farmacia che non si sa mai.

Al mio arrivo, comunico alle persone prima di me, quanto scoperto tramite CUP e loro mi rispondono che le farmaciste avevano appena confermato la partenza delle prenotazioni sulla città. Mi metto il cuore in pace, non senza pensare che il CUP deve essere una FONTE SICURA di informazioni corrette, precise, aggiornate. Non è così.

Al mio turno dinnanzi alla gentile farmacista, mi viene chiesta la tessera sanitaria delle due vaccinande che io non ho con me, poiché il CUP ha detto che era sufficiente presentare il codice fiscale. La dottoressa, pur rimanendo perplessa, è riuscita a portare a termine la procedura.

Ho i due appuntamenti ma, nonostante questo, provo un notevole disappunto.

Innanzitutto mi aspetto che il CUP sia FONTE AUTOREVOLE primaria presso la quale potermi informare, ma i fatti dimostrano che così non è.

A un anno esatto da inizio emergenza, con una campagna vaccinale dalla portata storica, immagino che i servizi telefonici del CUP potessero essere potenziati esponenzialmente, specie i primissimi giorni in cui si aprono le prenotazioni del vaccino a nuove fasce di popolazione.

Se è ben vero che vi è estrema difficoltà nel trovare chi fisicamente inoculerà il farmaco, fatico a credere che non si possano ingaggiare/istruire professionalità da call center DEDICATO, ovvero limitato alla prenotazione del solo appuntamento vaccinale, da poter assumere a tempo parziale, per fronteggiare l’emergenza.

Il mio pensiero va ai vecchiettini meno fortunati dei miei che non hanno figli o parenti o amici giovani che possano aiutarli a prenotare l’appuntamento e accompagnarli (il vaccino di fa alla Centrale Idrodinamica in Porto Vecchio e bisogna anche arrivarci!).

Per oggi ho detto tutto. Amen.

Pimpra

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INSEGNANTI, MAESTRI, ALLIEVI E TANGO ARGENTINO

L’odioso virus ha colonizzato tutti gli ambiti della nostra vita lasciandoci pochissimo margine di azione e di libertà di essere e di fare come e ciò che vorremmo.

L’essere umano è nato per adattarsi e così sia, sebbene con le ossa rotte e l’umore a terra, stiamo tutti imparando a vivere di nuovo in modo diverso.

Il mondo del tango è tra quelli più colpiti dai nuovi divieti legati alla pandemia. Dopo lo choc iniziale di vedermi costretta ad appendere le scarpette al chiodo, ho sfruttato il periodo per riflettere su alcuni aspetti.

Ripensavo a quanti maestri ho incontrato nei miei anni di studio. Tanti, sicuramente, ricordo gli stage seguiti con professionisti famosissimi, gli innumerevoli corsi, le lezioni private che ho frequentato.

La distanza obbligata a cui la situazione contingente mi costringe, ha fatto luce su un criterio che, in precedenza, nella scelta di percorsi/corsi/stage, non avevo valutato con sufficiente attenzione.

Immagino il maestro come colui che ducit et docet, mi aspetto che egli/ella oltre alla competenza di materia che – ovviamente – gli riconosco, ci metta un ingrediente in più.

Per me il maestro vuole essere generoso del suo sapere, poiché il suo successo passa attraverso il percorso di crescita del suo allievo.

Ho quindi ripercorso tutti gli anni in cui ho studiato, rendendomi conto che tante volte ho incontrato insegnanti che fingevano di essere maestri poiché il dono che facevano del loro sapere arrivava solo fino ad un certo punto.

Insegnare una materia come la danza ha evidentemente mille sfumature, ma resto della mia idea che insegnare, richieda in primis generosità. Si fa dono di se stessi, del proprio percorso, della propria esperienza all’allievo che, a sua volta, evidentemente, elaborerà con i suoi strumenti e le sue capacità, quanto ricevuto.

Mentalmente ho risposto all’obiezione che più volte ho sentito ribattere, ovvero “io non posso/non voglio plasmare a mia immagine e somiglianza l’allievo”. E su questo sono d’accordo ma, senza imporre la mia visione del mondo come unica e assoluta, ciò non vieta all’insegnante di aprire la sua valigia di esperienza e di condividerla.

Questo maledetto periodo, alla fine, qualcosa mi ha insegnato: adesso so chi andare a cercare.

Pimpra

SENSAZIONALISMO GIORNALISTICO E TRAPPOLE

Un cosa l’ho imparata, proprio ieri, dopo uno scambio su Twitter.

Un primario triestino, positivo al Covid e per questo in quarantena obbligatoria, è stato fermato e multato per essere uscito di casa con la spazzatura e sprovvisto di protezioni.

L’articolo di denuncia, apparso sul quotidiano locale “Il Piccolo” titola:

I CONTROLLI DELLE FORZE DELL’ORDINE

È infetto ma esce di casa: denunciato il primario di Geriatria al Maggiore di Trieste

L’articolo è stato più volte rilanciato sui profili FB di numerosi amici e, più me lo ritrovavo davanti agli occhi, più mi montava la rabbia.

Ho esternato, in modo sicuramente poco signorile e decisamente gratuito, quello che pensavo su Twitter. Pronta la risposta di un collega medico che, sulle prime mi ha molto fatto arrabbiare (la categoria si difende coesa), ma, successivamente, mi ha riportato a più miti consigli.

Ho imparato che un articolo di giornale non fornisce tutti gli elementi necessari per esprimere un giudizio, specie riferito a un comportamento che viola una norma. L’articolo è solo una rappresentazione, molto spesso deformata, quanto non direttamente sommaria, dei fatti.

Cui prodest una diffamazione mediatica del genere, riguardante il comportamento, presumibilmente, opinabile del soggetto in questione che va valutato, comunque, nella sua complessità di aspetti?

Ci sono caduta con tutte le scarpe, il mio sdegno, la rabbia, la frustrazione riversate sul medico che, a mio avviso, si è macchiato di un reato gravissimo. Non ero presente all’accaduto, non conosco i retroscena e neppure se egli ha agito seguendo il buonsenso.

La lezione che mi porto a casa è questa: trattenermi dal giudicare i comportamenti altrui, non cadere in certe trappole mediatiche di sensazionalismo giornalistico, specie in momenti, come quello attuale, in cui i nervi sono a fior di pelle.

Con questo post desidero pubblicamente scusarmi con il dott. Ceschia per la mia esternazione su Twitter che ha travalicato il senso civico e il buon gusto di cui, normalmente, sono sana portatrice.

Pimpra

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DIARIO DI UNA QUARANTENA

Inutile ce la raccontiamo, la strada di quarantena che abbiamo davanti sarà ancora lunga. Nel Friuli Venezia Giulia, tutto sommato, non viviamo una situazione grave di emergenza (per fortuna), ci hanno messi a casa con cordiale lungimiranza, prima che fosse attraversata la soglia del non ritorno e del contagio esponenziale.

Anche qui i numeri ci sono, ma, fortunatamente, non siamo in alto nella graduatoria delle regioni a più alto contagio. Meno male.

I giorni scorrono tutti uguali, come un filo di seta invisibile, sul quale, equilibristi del nostro destino, cerchiamo a fatica di non cadere.

Ho definitivamente abbandonato le videochiamate, non fanno per me, fatico a vedere la mia faccia di gomma assumere le più strane espressioni quando favello. Per caso ho scovato un articolo su Repubblica on line nel quale spiegano, probabilmente alle attempate come me, come “posare” davanti all’obiettivo deformante del proprio cellulare, così da risultare meno spiacevoli agli occhi dell’interlocutore nel corso delle videochiamate.

In questi momenti, il tempo pesa come un macigno sulla vita che ci stiamo reinventando.

Bisogna metterci creatività e liberare la mente, aprendo la porta della fantasia, ove quella di casa deve inesorabilmente rimanere chiusa.

La sola nuova esperienza del periodo, almeno per quanto mi riguarda, è l’opportunità di lavorare a casa, lo smart working.

La situazione contingente ha obbligato le istituzioni più restie alla modernità a farne uso a piene mani.

Io dico: meraviglia!

Nessuna distrazione, silenzio, musica o rumore del vento, illuminazione e temperatura ideali, ambientazione preferita, Gattonzole a tenermi compagnia. I pensieri fluiscono più freschi, luminosi. Nessun essere umano a me sgradito nei paraggi, nessuna di quelle inutili e fastidiose chiacchiere da grande organizzazione, nessun leccapiedi a portata di vista e di udito.

Lo smart working è il mio piccolo paradiso.

Certo, alcuni colleghi mi mancano molto, ma, per fortuna, la tecnologia permette sia di lavorarci insieme, se serve, sia di contattarli visivamente.

Il mio mondo del lavoro ideale, quello perfetto, dove vali per quello che fai, per come lo fai, per il contributo che porti, dove tutte le cianfrusaglie relazionali di cui i mediocri si servono per emergere e per affossare gli altri, svaniscono magicamente come vampiri al sorgere del sole.

La terza settimana di quarantena sta iniziando a piacermi.

Chissà che non sia in atto la mia metamorfosi in donna/lupo.

Chissà…

VI ABBRACCIO.

Pimpra

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