UN MONDO DI MERDA

Mendicante-ginocchia-memoria_540 Stamattina, ancora completamente immersa nei recenti sogni notturni, mentre percorro i pochi metri mancanti all’ingresso in gabbietta, vedo, ancora, una donna, mia coetanea, accovacciata a terra, con un fazzoletto in testa e un piccolo cestino di vimini davanti a sè, mentre aspetta che qualche passante le dia qualcosa.

E’ quasi “invisibile”, nel senso che la logora giacca blu che indossa (anche d’estate) la mimetizza pressocchè completamente con l’asfalto che la ospita.

Vedendola la prima volta, mi sono chiesta perchè non cercasse una posizione dove fosse più “visibile”.

Le ho dato più volte denari. Non so resistere alla tristezza e al vuoto di certi sguardi, a certa condizione in-umana.

Quando non c’è, mi chiedo dove sia finita. Lei non è di quei poveri insistenti, questuanti, lei è il Silenzio.

Stamattina l’ho rivista.

Tra me e me ho pensato che non ho il potere di risolverle la vita con i pochi euro che sono in grado di lasciarle.

Ho proseguito e sono entrata dal “gioielliere” (il fruttivendolo più caro della città), dove ho acquistato una mela. Di lì a qualche passo avrei speso € 3,5 di cingomme, droga che mi serve per sopravvivere alle mie quotidiane frustrazioni in gabbietta.

Mi sono fermata dopo due passi, dietrofront, e sono rientrata dal gioielliere. Ho deciso di offrirle del cibo, non qualche misero euro, e così ho fatto.

Passandole davanti, le ho lasciato il pacchettino di frutta, i suoi occhi si sono illuminati e mi ha ringraziato tantissimo.

Non mi sono sentita bene, nè un essere umano migliore. Affatto. Nè, tantomeno, ho pensato di avere ottenuto un piccolo “credito” per la mia anima, all’induista maniera.

Sono entrata nel tabacchino e ho acquistato ciò che dovevo.

Pimpra

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DALLO SCOMPARTIMENTO DEL TRENO

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Non immaginavo come un banale viaggio in treno, potesse raccontare così tanto.

Illuminata d’immenso, sul sudicio sedile di un vagone.

In principio sono rimasta colpita dalla perdita di quella che, un tempo, veniva definita “cavalleria”. L’aiuto, oggi, si deve chiedere e non è affatto scontato che si ottenga. Certo, dipende da come ci si pone. Un sorriso, un “per favore”, sono sempre elementi necessari, ma di qui a vedere negli occhi dell’altro la più totale indifferenza… caspita, è incredibile.

Credo si tratti di educazione, di sensibilità, di senso civico, di solidarietà. Nessuno vince stellette al merito, certo, ma se TUTTI fossimo almeno un po’ più aperti verso l’altro, staremmo TUTTI certamente meglio.

E’ come se fossimo assetati e nessuno disposto a condividere una goccia d’acqua, perchè “è mia”, è la “mia” vita, è il “mio” mondo.

Si è perso il rispetto e l’educazione verso il prossimo, non si insegna ai giovani come comportarsi in modo civile.

Nello scompartimento, una ragazzina sui 10 anni, stufa di dover stare seduta, ha preso il corridoio del regionale per la sua pista di atletica, mettendosi a correre su e giù come una pazza, saltando e dimenandosi. Non serve dire che rompeva i maroni a tutti gli adulti seduti, creando una sorta di elastico rumorosissimo sul pavimento dello scompartimento.

Al terzo passaggio, lei mi guarda con aria di sfida e io le rispondo con uno sguardo “adulto” molto convincente. Non serve, continua. Al che, cerco gli occhi degli altri viaggiatori, che condividono con me il fastidio, per capire se la pazza sono io. Non è così, ovivamente.

Avevo l’ipod e non so se qualcuno le ha detto di smettere, ma dopo qualche altro avanti e indietro, finalmente si è quietata. Non l’avesse fatto, avrei allungato il piede per farle lo sgambetto e mettere fine al fastidio. Insegnandole, peraltro, che correre nel corridoio di un treno in corsa non è precisamente esente da rischi. Per poco non l’ho fatto, ma ci è mancato un soffio.

E’ così che di noi diamo il peggio del peggio, quando altri esseri umani non rispettano il limite della loro libertà, infrangendo pesantemente il nostro.

Ma la colpa non è della ragazzina vivace, è di sua madre che non le insegna a comportarsi in modo educato.

E con questo, ho detto tutto…

Pimpra

LE FERITE DEL CUORE

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Mi rendo conto che, spesso negli ultimi tempi, mi lamento del lavoro che faccio.

In realtà, lo amo profondamente. Ma come ogni amore che si rispetti, si vivono momenti di fastidio. Che poi passano.

È impagabile l’opportunità che mi viene data, di mettere il naso fuori dell’ordinaria gabbietta, di uscire dai noti confini ed esplorare territori diversi.

Questa settimana è stata la volta di Genova, una città che non conoscevo, non fosse per una veloce visita di tanti anni addietro.

L’ho sentita immediatamente affine, come se un sottile filo la legasse alla cugina speculare del Nord est. Una città di mare e di vento, intensa ed emozionante come la quinta teatrale dei suoi palazzi, segreta ed intima nel rincorrersi dei suoi vicoli a ridosso del porto, sfuggente allo sguardo nel declinare delle scalinate nascoste nella tela delle stradine che si snodano lungo il suo golfo.

Una gioia rincorrere l’ispirazione e farsi portare dallo sguardo, sempre puntato verso l’alto, ad ammirare dettagli architettonici, sfumature di forme e di colori sempre diverse.

Una città nella città, porta aperta verso il mondo, verso il mare e il vento eterni compagni di giochi e di sfide. Accanto a questa, però c’è anche la la Genova ferita, piegata e messa in ginocchio dalle stesse acque, divenute strumento di distruzione in mano alla Natura.

Vedere con i miei occhi gli effetti devstanti di quanto accaduto pochi giorni fa, è stato un colpo allo stomaco.

Vedere la dignità, l’orgoglio e la voglia di reagire dei genovesi, una grande lezione di vita.

Qui, nonostante tutto, non hanno perso il sorriso, si sono rimboccati le maniche ed hanno reagito.

E, come dopo un fortunale, si contano i danni e si inizia la ricostruzione.

Chapeau.

Pimpra

LA MIA VITA “SOCIAL”

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Devo prendere atto che, la mia vita, ha preso una forte impronta “social”, nel senso che, una buona parte della mia esistenza “vera” filtra anche dentro pixel virtuali.

Nell’analisi dei costi/benefici di questo che, per la sottoscritta, è una presa d’atto di una mutata realtà esistenziale e, soprattutto, comportamentale, a fronte delle critiche molto pesanti dei miei cari, mi sento di difendere questo aspetto nuovo di me.

Premesso che il narcisismo dilagante della società si è preso anche me, abbattendo ogni inibizione a “mostrarmi” che sia scrivendo, fotografando, ebbene qualcosa ha funzionato in modo egregio.

Chi mi segue conosce la mia passione per il tango argentino, il piacere di andare a ballare in molti luoghi, spesso lontani dalla propria città. È noto anche che, il lavoro che faccio, in certi periodi, mi porta a frequentare città diverse, all’esterno della mia regione.

Il miracolo social che sto vivendo è questo: amici, molto spesso solo “virtuali”, sapendo, via web, che mi trovo nei loro luoghi, si offrono di aiutarmi in tutti i modi a loro noti. Regalandomi preziose informazioni, offrendosi come ciceroni delle loro città, in modo che, nel pochissimo tempo libero che mi resta dal lavoro, mi possa fare un’ idea vera della realtà del luogo.

Vi rendete conto di quanto ciò sia prezioso?

Bisogna che i detrattori della vita virtuale facciano un passo indietro, accettando l’assunto che, dietro uno schermo, sia di un pc che di uno smartphone, c’ è una persona viva e vera.

Da questo blog, a FB a instagram, ho ricevuto il dono di “conoscere” meravigliosi essere umani che mi hanno donato molto, non fosse altro che il loro tempo e la loro attenzione.

Ecchevelodicoafare mi reputo una persona davvero molto fortunata!

GRAZIE AMICI!!!

Pimpra

LIBERTA’, BUON GUSTO, ESPRESSIONE DEL SE’

rosa rosaeViviamo in un mondo globale che ci mitraglia gli occhi e il cervello di stimoli visivi. Di solito per farci venire una voglia matta di possedere quel particolare bene, senza il quale le nostre vite sono più grigie, tristi e spente.

Siamo bersagli fissi (o target) del consumismo che ci divora, privando la nostra essenza di quell’integrità di vedute che, probabilmente, il più delle volte, ci salverebbe da errori madornali, i primins verso noi stessi.

In questo magma movimentato di stimoli, abbiamo, come contropartita, l’illusione di esercitare il nostro libero arbitrio, o la nostra soggettiva libertà, che dir si vuole.

L’argomento vuole essere leggero: analizziamo che succede sulla superficie, sul manto delle cose, sull’esterno del nostro corpo, su quello che ci mettiamo addosso.

Ho preso spunto da una discussione nata su Fb a proposito di un certo modo di abbigliarsi di talune ballerine (o sedicenti tali) che, a quanto pare, risulta essere più una “svestizione”, una messa in mostra dei peggiori “difettucci” fisici, che un reale “abbigliamento”.

Inutile dire che la discussione si è fatta vivace, con i fautori della modernità: minigonne a gogo, leggins a chiappa al vento, scollature abissali dietro/davanti/ove possibile e, di contro, i sostenitori di un certo “aplomb” anche nel rispetto di un ballo “tradizionale” che prevede un uso più “morigerato”, signorile dell’abito.

La sostanza dei fatti, a mio  modo di vedere, assume una connotazione ben più profonda del “cosa mi metto stasera?”, nel senso che, accettando il postulato che “tutto comunica”, non è casuale la scelta di coprire o di mostrare, di rendere manifesto o di celare una o più parti del proprio sè fisico.

Il problema n. 1 si pone immediatamente: portare verso se stessi un sano giudizio sulle qualità del proprio corpo in modo da valorizzare i doni e celare i difetti, piuttosto che accettarlo nella sua totalità, nel suo bene e nel suo male, permettendosi di indossare qualsiasi cosa piaccia, a dispetto della resa “estetica”?

Problema n. 2: tutto ciò che è riconducibile alla sfera dell’ estetica è aleatorio per definizione. Pertanto, risulta difficile sceglierlo come categoria per evitare pericolose cadute nel “cattivo gusto” (e siamo daccapo: chi può definirne i confini?)

E dove la mettiamo la libertà individuale di affermare, con decisione, i tratti di personalità che, tra le altre, si manifestano anche nella scelta dell’abito?

La mia personale opinione è che la verità sta dentro ciascuno di noi.

L’errore, la caduta di stile, così come la sublimazione del proprio corpo in un abito che ci sta d’incanto, altro non sono che nostre emanazioni, di quello che siamo, di quello che sentiamo, della nostra visione del mondo, nulla più.

C’è chi è narciso, chi esibizionnista, chi timido e riservato, chi vuole farsi notare, chi vuole confondersi, chi sedurre il mondo, chi scappare… non ci sono atteggiamenti giusti nè atteggiamenti sbagliati.

L’importante è restare fedeli a se stessi, per come si è capaci, per quanto la società ci permette di farlo.

Ciò detto, alla sottoscritta, farà sempre orrore vedere chi penalizza se stesso (secondo la mia personalissima visione del mondo, ovviamente), proverò imbarazzo anche, ma non vorrò giudicare.

Il mondo e i  modi sono sfumature di una palette di possibilità infinite. Ed io ringrazio il cielo per questo, altrimenti sarebbe tutta noia.

Pimpra

 

 

IMAGE CREDIT: PIMPRA_TS

AMORI IMPERFETTI

BEHIND

Quando, se non d’estate, l’amore si presenta mostrando le sue innumerevoli sfaccettature, a dirci di prenderlo, se ne siamo capaci…

L’estate… l’avessimo vista in questo strano anno “tiepido”, strabagnato di pioggia e, quindi, un po’ melanconico per definizione… ma, tant’è.

L’amore. Si è incupito pure lui? Ha perso smalto acquerellando le sue sfumature porno soft da ombrellone? Stemperato le passioni brucianti?

Dov’è Amore?

Me lo chiedo perchè, di qua e di là dal mio sguardo, mi giungono voci di storie che finiscono, di amori che si perdono, si rompono, non lasciano traccia di sè.

Proprio ieri ho notzia di una coppia che non è più tale, con mia grandissima sorpresa.

Amore che sembrava “perfetto”, da manuale della nonna papera, un lui “perfettamente” innamorato, preso, raccolto tutto intorno alla sua donna. Coccolata, vezzeggiata, protetta, amata, onorata.

Forse troppo. Troppo zucchero, troppo dolcificante in un rapporto che, alla fine, ha fatto cariare i denti, perdere l’interesse e decretare la sua fine.

Sono rimasta stupefatta. Un tatuaggio, con il nome dell’amata che, adesso, racconterà solo dell’ennesima sconfitta di Amore.

Perchè, mi chiedo, va quasi sempre a finire così?

Forse è solo l’imperfezione dell’Amore a rendere calda la magia, a far risplendere di luce la relazione, senza illuminarla d’immenso che tanto è solo illusione.

Allora ben vengano gli Amori difficili, quelli per i quali ci si pelano le mani chè sono percorsi accidentati di montagna e si cade e ci si pestano le ginocchia.

Amori imperfetti, costruiti e voluti fortemente da Esseri imperfetti.

Forse è solo questa la possibilità.

Uccidere il Principe azzurro della nostra educazione sentimentale e far fuori la Principessa del pisello.

Vedersi come nuvole e rincorrersi nel cielo, cambiando sempre forma.

Chissà…

Pimpra

IMAGE CREDIT: PIMPRA_TS

 

USCIRE DALLE DIPENDENZE. VERY PROUD OF ME

 

caramella

Un anno.

365 giorni.

8 765,81277 ore.

525 948,766 minuti.

Un anno senza mai mettere sotto i denti la più confortevole, rilassante, divertita, infantile consistenza che conosca.

E’ passato esattamente un anno dall’ultima gommosa e morbida. Dall’ultima carezza al palato di una liquirizia o dall’abbraccio appiccicoso di uno stick alla coca-cola.

Un anno senza di voi. Il primo anno.

Non è stato facile, specie all’inizio. Tremavo quando vi avevo davanti e tutta me voleva mettere mano sul bottino gommoso.

Invece ce l’ho fatta. Adesso non mi mancate più. Guardo divertita i vostri improbabili colori di chimica accesa, le confezioni ghiotte che vi contengono e no, oggi, non sento più il vostro canto di sirene.

Eppure, so di non essere “salva”. So di non potere abbassare la guardia, perchè, alla prima che metto in bocca, se ne infilerebbero subito tantissime altre e la magia sarebbe finita.

Uscire da una dipendenza non è mai conclusivo, non è mai definitivo. Lei è sempre lì a guardare, pronta a fare un balzo e a riprendersi te, la tua volontà e la tua determinazione.

E’ passato un anno e mi sento molto bene. E continuo ad avere paura, di ricaderci, di non avere la forza di smettere.

Forse, solo così, resterò lontano da voi.

… è passato un anno ed io sono “very proud of me!”

STICAZZI!

🙂

Pimpra

 

 

GLOBALIZZAZIONE

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Uscita dal negozio gestito da cinesi ma – inaspettatamente- battente bandiera italiana (chissà poi perchè), riflettevo, tra me e me, su questo nostro mondo globale.

Ho comprato gadget tecnologici (adattatori per ipod, notoriamente, ed altre piacevolezze del genere), benedicendo la lunga mano dei cinesi che, su certo tipo di mercanzia, mi fa tanto risparmiare…

Poi però la testa si è messa a galoppare e…

Il mondo globale presenta sicuramente vantaggi e svantaggi. Nei primi metto l’innegabile praticità di avere a portata oggetti/cibo e amenità varie che altrimenti non tutti potrebbero conoscere, e questo è l’aspetto più “democratico” della faccenda.

Dall’altro lato poter mettere mano su quasi tutto, direttamente dal proprio luogo natio, toglie il mistero della scoperta, della ricerca di quanto è diverso e per questo speciale.

Con la crisi che imperversa, la globalizzazione in fondo è un balsamo per coloro che hanno le tasche vuote, permettendo, ad esempio, almeno un “volo di forchetta” nei numerosi ristoranti etnici che popolano tutte le città.

E’ già qualcosa, anche se i profumi veri si respirano e si vivono solo andando nel paese ma, in mancanza di… è sempre una possibilità di aprire una finesrta sull’universo dell’altro.

Oggi, scorrazzando sui pixel, sono rimasta affascinata dalla possibilità data da itunes: cambia paese (anche se l’hanno messa in fondo alla pagina, secondo me, nascondendola un po’). E via a scoprire musica in cima alle classifiche di altri paesi, leggere di gruppi/cantanti mai sentiti prima (ma sono molto ignorante in materia e non faccio particolarmente testo…).

Mi è piaciuto, lo confesso, lo spazio, in questo modo, si annulla e tutto appare qui e ora.

Penso anche, banalmente, a tutto ciò che possiamo acquistare on line, direttamente dal nostro pc (o smartphone o tablet), come se si potesse virtualmente allungare la mano in ogni dove e procurarsi questa o quella cosa.

Comodo, stimolante, incredibile per certi versi.

Ma, cosa ci perdiamo?

Che cosa ci resterà da immaginare?

Manterremo ancora il piacere della scoperta? L’ebbrezza di trovare percorsi, pensare le cose e poi andare a vederle a toccarle?

Restermo persone “originali”? stampi unici? o finiremo per diventare un gregge senza forma e senza colore?

Riflessioni di una grigia giornata di luglio…

 

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

BARCOLA_BEACH MOOD

Bivio moodDopo quasi un mese di fine settimana in giro per l’Italia, mi sono fermata, arresa alle richieste del mio piccolo nido che abbisognava delle mie cure.

Esaurite le faccende, organizzo la borsa per il mare. E’ giunta l’ora di andare al Bivio.

Trieste, per chi non la conosce, è dotata di una amena costa, il Carso si affaccia sul mare, producendo un paesaggio molto verde in cui l’Adriatico abbraccia gli scogli calcarei creando un colpo d’occhio d’effetto. Le falaises italiane.

I triestini sono tossici di sole e di mare. Si dice che non abbiano molta voglia di lavorare, a differenza dei cugini friulani, più dediti ai doveri.

No, a noi piace vivere. In tutti i sensi e con tutti i sensi, pelle compresa. E quindi vai di spiaggia senza ritegno.

Spiaggia “si fa per dire”, non esiste la sabbia da queste parti, ci sono gli scogli, c’è il cemento e a noi piace così.

E poi c’è il Bivio. Ultimo baluardo di triestinità, dopo i “topolini”, il “California”, la “Marinella”, tutti siti posti sulla strada Costiera, che da Trieste porta fuori, verso il resto del mondo.

In questa appendice di terra dimenticata nel nord est del Bel Paese, tutte le estati si perpetua una specie di “danza sacra”: la giornata al mare.

C’è un rito da rispettare:

fase 1: allestimento della borsa da mare che prevede anche vettovaglie e generi di sopravvivenza varia, se la sessione si protrarrà per l’intera giornata.

fase 2: sistemazione del bagaglio e (per i più) annessa brandina, sullo scooter. In macchina per le famigliole o gli over 60. I restanti in bus, con la 6.

fase 3: presa di posizione del posto, possibilmente “in prima fila” che significa più fronte mare possibile. A Trieste solo 2 file possono crearsi, trattandosi di “bagnasciuga” sito su strada pedonale, ma sempre strada. Al triestino piace tornare sempre (possibilmente) nello stesso metro quadrato di costa, è piuttosto abitudinario.

fase 4: “inzivamento” (leggi: “incremazione” di tutto il corpo, capelli compresi) con varie pozioni magiche, possibilmente senza filtro solare (i più talebani) con filtro per i triestini evoluti (era ora!)

fase 5: inizio delle “ciacole” da spiaggia, gossip, lettura de “Il Piccolo” ed eventuale commento delle notizie di cronaca e – soprattutto – esternazioni variopinte sui morti del giorno.

fase 6: bagno solare, “tocio” in acqua – anti collasso/svenimento da colpo di calore, bagno solare, ciacole, gossip, caffè.

fase 7: (opzionale, dipende de la seduta si tiene durante la settimana lavorativa, nella pausa prnazo, oppure nel week end): allestimento pranzetto, con apertura Tupperware, contenenti, in formato ridotto, un pranzo estivo. [Parentesi: i triestini, al mare, sono abbastanza “pudici”, nel senso che non abbondano mai con libagioni esagerate, anche se sono in sovrappeso. Vige una sorta di pruderie che evita di mostrarsi in pubblico nel pieno delle proprie attività  mandibolari (eccessive)].

fase 8: dopo un numero di ore (per la sottoscritta) improponibili, impacchettamento di tutto e via a casa.

Ciò che è incredibile è che si potrebbe sintonizzare un orologio sulla precisione dei flussi migratori da e per il mare e sul target di popolazione.

I pensionati e gli over over 60 sono i più mattinieri, poi arrivano le mamme con i figlioli ancora lattanti, poi il grande cambio ora e turno tra le 12.30 e le 13.30 in cui arrivano i lavoratori e i più giovani che sono in vacanza da scuola e/o gli universitari (che hanno fatto bisboccia la sera precedente).

Che ve lo dico a fare, per noi sono riti ancestrali quelli di goderci la nostra Barcola, amarla in ogni sua pietra, in ogni anfratto, in ogni centimetro quadrato del suo lungomare.

E vuoi mettere quanto sia divertente osservare la gente nel suo momento di relax… ma questo ve lo racconto la prossima volta! 😉

Pimpra

IMAGE CREDIT: Pimpra_Ts

 

DI TANTO IN TANGO. MODE E MODI: IL “CIABAT_TANGO

ciabat_tangoPrendiamola con la leggerezza del periodo estivo, prendiamola a sorrisi, a lievi discorsi da ombrellone…

Dopo la rivelazione choc del nuovo trend presso alcune ballerine di tango argentino, leggi qui, una nuova vague si sta imponendo nel multiforme e colorato mondo dei tangueros: il “ciabat_tango”.

I fedelissimi alle sacre regole del buon gusto, del decoro e dell’eleganza, inorridiscono ogni volta che, sui social network, passano immagini che vedono fulgidi danzatori/trici avvinghiati in tandas estreme, indossando le flip flop da mare e/o ballando scalzi.

Sulla ciabatta di gomma fuori contesto, sapete bene come la penso (qui), epperò, in questo caso, mi sento di spezzare una lancia a favore.

Premesso che l’eleganza è l’armonia che ci portiamo dentro, un modo che abbiamo di vivere, di esprimere una parte dell’essenza che ci connota in quanto esseri umani, tutto ciò detto, in alcune occasioni un salto nel trash è permesso e, forse, necessario.

Ci sono situazioni danzerecce estive che si sviluppano in contesti assai poco formali, vicino alla spiaggia, in campagna, a bordo piscina, a ore diurne, dal primo pomeriggio in poi. Ebbene in questi casi particolari, trovo sia molto più ridicolo presentarsi vestiti di tutto punto, come previsto per una milonga serale.

Ben vengano quindi i calzari più comodi che permettono con grande rilassatezza di passare dalla pista alla piscina/mare senza distrazione.

Danzare in pareo o short non è un crimine contro l’umanità, non è mancare di rispetto al nostro dio tango, è semplicemente saperlo vivere nella sua reale umanità e semplicità.

Un abbraccio sudato, vissuto a pelle nuda, mette ancor più in contatto, libera da sovrastrutture e permette di pensare solo ed esclusivamente al ballerino/a che ci cinge e alla musica che ci avvolge.

Ben venga quindi il “ciabat_tango” estivo, vissuto con naturalezza e libertà…

… O NO???

😉

Pimpra

IMAGE CREDIT: ELENA UGOLINI

 

 

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