12 ORE DI TANGO. MA PERCHE’?

Giovedì. E’ trascorso un giorno e mezzo dalla “mia” 12 ore, in realtà “solo” 6 ore. Sto iniziando a riprendere il corretto ritmo circadiano sonno/veglia, benchè punteggiato – ancora! – da insistenti sbadigli.

Giunta quest’anno alla sua 15 edizione, la kermesse “triestina”, in realtà in quel di Sistiana per dovere di geolocalizzazione, continua a richiamare appassionati, anche foresti. Ottimo per il movimento tanguero regionale, in specie, triestino.

In tanti mi hanno scritto per accertarsi che la comunità tanguera oriunda partecipasse a questa milonga “doppia”? si potrebbe definire così? per essere vieppiù certi di trovare pane per le loro zanne affamate di tandas indimenticabili.

C’è sempre un particolare fermento quando si avvicina la data fatidica, “tu ci sarai? quando pensi di andare?” e domande simili.

Questa tipologia di evento non è affatto rara, se ne organizzano parecchie in ogni regione italiana e all’estero ovviamente, ma per i triestini e non ha un sapore particolare.

La nostra 12 ore scandisce inesorabile l’arrivo del culmine della stagione estiva, avendo luogo esattamente la settimana che precede ferragosto, indicando l’inizio del lento avvicinarsi di settembre e del cambiamento di stagione.

Sono ben 15 anni che gli amanti del tango si danno appuntamento a Sistiana, nell’incantevole baia che con le sue falesie e il respiro della risacca, contribuisce a rendere unici gli abbracci scambiati in pista, aggiungiamoci la falce di luna e un bel venticello di borino a raffrescare gli animi roventi e abbiamo lo scenario perfetto!

Ma perchè 12 ore? Cosa andiamo mai cercando per sottoporre il nostro fisico a una tenuta così pesante, a tante ore di ballo? Dalle prime luci del tramonto fino a quelle dell’alba?

Mi sono data più spiegazioni: dal tramonto all’alba è una meravigliosa metafora del cerchio della vita celebrata dentro un abbraccio, godendo dei colori rossastri del sole adagiato sul mare e delle luci acquerellate dell’alba.

E’ una prova fisica importante ballarle tutte e 12 le ore, può essere una sfida per i più audaci, il desiderio di dimostrare a se stessi di poterlo fare.

Fame, desiderio, curiosità che esplodono al loro meglio con più tempo a disposizione? Chissà forse per taluni è così.

Personalmente la mia formula esce dal paradigma 12, poichè me la vivo a metà, per me 6 ore sono più che sufficienti. Ma non scelgo mai delle ore a caso. Arrivo dopo la mezzanotte, con il corpo ancora addormentato (mi scuso con i primi ballerini che mi hanno invitata!), entro nella notte come fossi un gatto, delicatamente i piedi diventano polpastrelli ovattati e il corpo inizia a rispondere a musica e abbracci. La mente si perde ed è come se, ballando, riprendessi a sognare, ma ad occhi aperti.

L’alba arriva dolcemente accarezzando gli occhi ancora abituati alla notte. Foto di gruppo di rito e, come tanti pipistrelli, voliamo alla ricerca del buio e di un buon sonno ristoratore.

Pimpra

DATEVI UNA REGOLATA. #ditantointango

Avete presente il traffico congestionato stile esodo di ferragosto, le lunghe code, il fastidio di quelli – disgraziati! – che pensano di avere il diritto di arrivare in villeggiatura prima di te, ecco, è quello che ancora accade in certe milonghe.

E’ passata una settimana dalla serata in uno dei luoghi sicuramente più entusiasmanti dove ballare a Trieste, quello che noi locali chiamiamo ancora “Cantera” che ad oggi è stato rinominato “Base Sistiana”.

Un musicalizador meraviglioso che non era possibile pensare di star sedut*, meteo bizzarro come l’estate che stiamo vivendo e quindi utilizzo esclusivo della sala interna. Mica piccola sia chiaro. Pavimento adatto, nuovo piacevole allestimento, non fosse per quella assurda luce sulla pista che rendeva gli abiti fosforescenti (il mio caso – sorvolo sull’imbarazzo).

Osservando la ronda-fracassina, ricordo di aver pensato “meno male che non ballo da leader”, garantisco che una pista più maleducata fatico a ricordarla. Allora mi chiedo: PERCHE’.

Se esiste quella che si chiama ronda un motivo ci sarà: si gira IN TONDO, non si fanno i zig zag, non si supera a destra e a manca, non si centra la coppia che precede o che segue. Si balla, si rispetta il flusso, come si fosse fatti d’acqua.

I principianti devono stare nel cerchio interno, perché è loro sacrosanto diritto prendersi il tempo per ragionare sul da farsi- passo, musica, ballerina, e, allo stesso modo, per lasciare spazio ai più avanzati di procedere con maggiore fluidità nel perimetro esterno.

Non è difficile, lo capisco pure io che con numeri/geometria e scienza esatta faccio a pugni!

Questo roteare informe, farcito di fretta ingestibile, ha reso, quella che poteva essere una serata strepitosa, un incubo.

E così non va bene per niente e non lamentiamoci poi, se i pochi foresti che passano da noi a ballare, non tornano più. Per tutti, si rende vieppiù necessaria la patente del milonguero. Ecco, l’ho detto.

Pimpra

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IL TANGO NON MENTE

Ho preso la sana abitudine di ascoltare il podcast di una coach americana, tale Mel Robbins, mentre mi accingo a fare la passeggiata quotidiana che mi porta in ufficio. Trovo sia un eccellente modo di sfruttare 30 minuti della mia giornata ascoltando argomenti interessanti, esercitando al contempo una lingua straniera.

L’argomento di oggi: il linguaggio del corpo, tema per la sottoscritta, estremamente affascinante, come lo sono tutte le discipline che indagano l’essere umano, nella psiche e nel fisico.

Il corpo non mente assioma condiviso da tutti, saper leggere i micro segnali che esso invia (lo fa 5” prima della parola), è strumento potente per comprendere chi si ha di fronte.

Ho provato ad immaginare tutti i segnali che ricevo quando ballo con qualcuno e pure quelli che io stessa – il più delle volte inconsciamente- invio agli altri.

Facendo mente locale, la prima cosa che ho pensato è che, con un po’ di esercizio all’ascolto, dai primi secondi in cui tocchiamo la mano dell’altro, anche prima di abbracciarlo, inizia il processo di decodifica e interpretazione dei messaggi fisici.

Trovo molto interessante che lo facciamo senza accorgercene, lasciando semplicemente accese le antenne di ricezione che parlano in linea diretta anche al nostro subconscio.

È lì che ce la giochiamo senza saperlo (a livello cosciente), perché, gran parte delle nostre “voci” interiori che si esprimono in atti, in gesti e poi in parole, trovano casa in queste nostre profondità.

Se accettiamo questo postulato, allora è molto più facile capire la diffidenza di taluni, l’ansia di talaltri, così come pure la gioia, la seduzione e tutte le sfumature che possiamo leggere, percepire, immaginare passino dentro un abbraccio tanguero.

È questo tipo di approccio fisico che il tango regala che è capace di sconquassare le fragili pareti delle maschere che ci siamo costruiti strada facendo, perché, e lo sappiamo molto bene, nell’abbraccio c’è tutto: noi e la nostra essenza, senza finzione e senza sconti.

Rileggendo con questa lente come ho ballato ieri sera alla pratica (malissimo – ahimè), ho interpretato in modo diverso i messaggi che il mio subconscio mi ha trasmesso, li ho accolti e, al posto della frustrazione mi è entrata una sensazione di “ok, tranquilla, posso lavorarci su e sistemarla questa faccenda. C’è rimedio, non è tutto da buttare”.

Prestare un ascolto diverso a quanto ci accade come singoli tangueros e come coppia (ovvero i due singoli danzatori che uniscono l’abbraccio per la tanda) può essere una ulteriore chance per la crescita individuale, soggettiva e di ballerini, che ci permette di resettarci in modo consapevole anche durante la tanda, al fine di far fluire al meglio il dialogo danzante.

Alla fine torna sempre un concetto: osservazione, ascolto attivo, desiderio di comunicare.

Per oggi il pippolotto è finito, ballate in pace. 😀

Pimpra

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LA COPPIA NEL TANGO. Più costi o più benefici?

Argomento stuzzicante la coppia sentimentale nel tango.

Se ne vedono moltissime nell’ambiente, se ne formano altrettante e… per equilibrio cosmico, un buon numero scoppia.

È un bene o è un male essere una coppia e ballare il tango? È un rischio o un’opportunità?

La prima risposta che mi viene in mente è: ognuna di queste.

In prima battuta i vantaggi sono indubbi:

  • si frequentano insieme i corsi/stages/lezioni
  • ci si iscrive agli eventi e di solito si entra
  • si possono condividere le spese
  • si viaggia in compagnia

Poi però ci sono aspetti che cominciano a delinearsi e che, non sempre, vestono il rosa del “va tutto nel migliore dei modi”. Spesso, il tango per la coppia, è come un catalizzatore di quello che non funziona, a partire dalla comunicazione.

Si vedono a lezione le coppie che si prendono a male parole, che litigano per incomprensioni su un movimento, sulla sua esecuzione. E tornano a casa ancora più frustrati quando non arrabbiati, con i volti scuri.

L’altra faccia della medaglia è rappresentata dagli innamorati della prima ora che, a lezione pur non capendo una cippalippa di quanto richiesto, si guardano in faccia con gli occhi a forma di cuore. E se ne tornano a casa, ancora più contenti di come sono arrivati.

Ciò che fluisce o che trova ostacoli nella coppia tout court, il tango tira fuori. A quel punto non si può fare finta che tutto funzioni, perché non è così.

Inserisco questo aspetto in quelli che definisco “rischi” ma che, a ben guardare, risulta una incredibile “opportunità”: di riparlarsi, di trovare il modo di comunicare ancora, di ritrovarsi.

Avere un partner sentimentale con cui condividere la passione tanguera può sicuramente contribuire a scrivere la cifra stilistica della coppia tanguera: gli amanti danzano la loro relazione, le loro affinità, il loro modo di stare insieme. Esce tutto: l’energia vibra forte, l’abbraccio è catartico, l’espressione corporea esprime un sottile legame, una profonda complicità, una intimità radicata. Mi sembra indubbiamente meraviglioso ballare una tanda, esprimendo e godendo di tutto questo.

Possono, in taluni casi e circostanze, entrare dei rumori di fondo, come la gelosia, il fastidio come se qualcun* entrasse a casa nostra senza essere invitato. Lì la coppia deve essere forte, ben strutturata per affrontare questo genere di “sfide relazionali”.

Ne ho visti tantissim* cadere, sedott* da uno sguardo più torbido ed emozionante della loro quotidianità senza onde. Cedere alle sirene di un abbraccio sconosciuto ed avvolgente. Anche questa è vita, non resta che accettarlo. Il tango accelera i tempi: se la coppia è destinata a scoppiare, lo fa con anticipo.

Ho in mente meravigliose coppie che, al contrario, nel tango hanno trovato un cemento che ha reso ancora più solida la relazione, regalando momenti di gioia condivisa, di stimoli funzionali a nutrire un percorso insieme rendendolo nuovo ogni giorno.

Ho pure negli occhi molti tanguer*s rifiorit* dopo la chiusura di una relazione divenuta arida.

Concludendo, specie per tutte le amiche che non hanno mai provato il tango in coppia, credo che sperimentare cosa significhi ballare con il proprio partner sentimentale, sia un’esperienza potente, molto emozionante ma, aggiungo, non per tutti.

Pimpra

IMAGE CREDIT: UNUSUALLENS.COM

IO BALLO DA SOLA. Punti di forza, di debolezza, le opportunità e le minacce.

Che il tango non fosse un ambiente “democratico” l’ho sempre saputo, quando misi per la prima volta piede in una milonga. Passai molti anni di lotte interiori prima di accettare e comprendere le dinamiche dell’invito ed altrettanti anni a combattere con certe logiche non premianti, non meritocratiche che pure si esprimono in milonga.

Il mio ingresso nel mondo tanguero l’ho fatto con il ballerino di allora e l’ho continuato, per molti anni, con un successivo partner. La ruota del tempo gira portando con sé il cambiamento, massima espressione di vita, sono quindi diventata una ballerina senza partner.

All’inizio ho fatto fatica a riconoscermi nel mio nuovo status, dentro di me, da qualche parte, era come se avessi perso qualcosa. Non posso negare che l’abbraccio che mi aveva accompagnato per lunghi anni in molte ore di ballo, rappresentasse oramai la mia “casa” del tango e quindi, le prime volte, il distacco è stato piuttosto pesante. I nuovi abbracci però hanno fatto il loro dovere, ridefinendo la nuova tanguera che sono diventata: felice senza partner fisso.

A tutte le amiche che si riconoscono nella mutata situazione o che non hanno mai avuto un ballerino con cui allenarsi e ballare con assiduità, dico che non tutto il male viene per nuocere. Vi spiego il perché.

Partiamo dalle MINACCE. Che si intendono qui, ovviamente, in senso metaforico.

Non avere qualcuno con cui studiare/ballare con costanza può sicuramente limitare le possibilità di:

  • frequentare un corso con un partner di qualità (di solito sono già impegnati)
  • iscriversi ad eventi di livello più alto (mediamente finiamo in “waiting list“)
  • poter lavorare sulla definizione del proprio stile personale di ballo. (La ballerina tipicamente seguidora avrà probabilmente un po’ meno problemi di un ballerina dal carattere danzereccio più “spinto”).

Quanto ai punti di DEBOLEZZA, a mio parere, vanno a toccare maggiormente la sfera emozionale della donna, ovvero:

  • Non essere invitate perché ci “cade la faccia”, quando nessuno ci vede, ci nota, ci invita.
  • Non avere la possibilità di dimostrare le proprie capacità, l’espressività, la competenza, chi siamo in termini di tanguere perché balliamo con partner che non vogliono rischiare e quindi richiedono una personalità più delicata quando non accomodante
  • inutile aggiungere che a tutte sarà capitata almeno una volta la sindrome del “brutto anatroccolo” che sono brutto e nero e non mi vuole nessuno (e così restiamo per davvero a fare tappezzeria per l’intera serata).

Essere una ballerina senza partner offre, in realtà, delle incredibili opportunità.

Se saprò trovare la lezione in ogni brano ballato con ogni persona con cui intreccerò il mio abbraccio, diverrò sicuramente una tanguera migliore.

La motivazione (punto di forza) di crescere ed imparare mi porterà a cercare il miglior elemento per lo studio in quel momento storico della mia formazione.

La cerchia delle amicizie tanguere subirà un impulso notevole, regalando, oltre al piacevole momento della milonga, deliziosi e divertenti “fuori pista”.

Psicologicamente costringe a guardarsi dentro, costringe a tirare fuori l’energia vitale, obbliga al confronto con i propri demoni (se ci sono) per poterli rendere innocui. Rende la donna completamente indipendente, meravigliosamente avventuriera, libera come un refolo di bora.

Amiche care, mai mi stancherò di dire quanta fantastica vita c’è dentro il tango. Andiamo a prendercela tutta.

Lunga vita alla Giaguara!

Pimpra

IMAGE CREDIT: frame da foto di Mauro Tonkic

APPUNTI TANGUERI.

Il fine settimana lungo di aprile traghetta nello splendido mese di maggio, dove fioriscono rose e spose mentre la primavera ancora non ha fatto capolino.

Per quasi tutti la piccola sosta consente di aprirsi a una piacevole occasione di relax, di gite fuori porta e grigliate con amici.

Il concetto di “pausa” è ignoto al tanguero di tipo errante o stanziale: dove c’è un ponte o un fine settimana allungato, c’è una ghiotta occasione da non farsi sfuggire, un evento imperdibile, una milonga di quelle giuste.

Anche se l’armadio urla “cambio di stagione”, l’appartamento “mettimi in odine”, il balcone “occupati di piante e fiori”, la crew felina “vogliamo stare tutti in compagnia”, pure la sottoscritta non è sfuggita alla sacra regola: A BAILAR!

Con una organizzazione del mio tempo libero degna di una “bionda e svampita”, ho pensato bene di recarmi per due giorni di fila, a due eventi lontani 250 km da casa, facendo ritorno all’ovile dopo ogni serata. Due conti alla mano, circa 5 ore di macchina per ballarne al massimo 6. Irrazionalità allo stato puro. Ma tant’è.

La prima pomeridiana qui, mi ha sorpresa per la spumeggiante offerta musicale che, per la prima volta, mi ha fatto soffermare sull’importanza delle cortinas a cui, in precedenza, non avevo mai dato particolare peso.

La musica, nella mia testa famelica di tango, partiva dall’inizio brano alla scansione delle tande previste, pausetta e via un nuovo giro, una nuova corsa. Il tempo in mezzo l’ho sempre vissuto come “funzionale a”: tornare al posto/cambiare posto/mirare/riballare.

Invece, nel dì del 30 aprile dell’anno del Signore 2023, ho capito che una cortina ben pensata, è un catalizzatore emotivo/energetico/d’atmosfera che prelude e prepara alla tanda successiva. La pomeridiana, benchè sovraffollata, con la pista che buttava in caciara per l’entusiasmo fuori controllo dei danzanti, ha regalato un su e giù energetico coinvolgendo i presenti in una buonissima onda come non ricordavo da tempo.

La cortina dava l’accordo, la tanda completava il movimento.

Il giorno successivo, nella mia personale maratona più chilometrica che tanguera, ho festeggiato il primo maggio, in quel luogo pazzesco che è lo spazio Orvett. Ogni volta che vi ho ballato, sono tornata a casa appagata, l’atmosfera del luogo unita alla cordialità del gruppo degli organizzatori, rende la festa una bellissima festa.

Inizio il mio martedì di maggio con un solo miraggio davanti agli occhi: una dormita di almeno 6 ore.

E da domani si ricomincia…

Pimpra

IMAGE CREDIT: GAZ BLANCO

Ps: l’abito dell’immagine un modello di Modecreator Quincedemayo Anita

RIPARTO DA ZERO. #ditantointango

Chi smette di studiare è perduto.

In ogni settore della vita, dal lavoro agli hobby, allo sport. La necessità di mettersi sempre in gioco per alzare l’asticella, non dando per scontate capacità o doti personali, senza sedersi mai su presunti allori di obiettivi raggiunti.

La vita è un lungo cammino da riempire di piccoli e grandi traguardi, di sfide accettate e vinte, costellato da cadute clamorose e da giorni zero, quelli in cui si tira una linea e si riparte.

Nei giorni scorsi, grazie a un incontro che ho fatto per caso, vedendo il video di una ballerina che mi piace molto, ho scoperto chi fosse la sua Maestra, la prima, quella che ne ha definito le fondamenta e l’ho contattata.

In realtà ci eravamo già incontrate in milonga ma non avevamo avuto l’occasione di parlarci, di conoscerci meglio.

Le domande che mi ha posto relativamente a cosa cercassi nella lezione mi hanno immediatamente fatto comprendere che ero nel posto giusto, con la persona giusta. “Sento che qualcosa non va, credo si tratti di questo e di quello, vorrei che il mio tango fosse così, ma non so esattamente. Ti chiedo solo la verità, non farmi sconti, anche se è tutto da ridefinire”.

Con tatto, maieutica, spiegazioni verbali e fisiche talmente chiare, mi ha fatto capire senza alcun dubbio su cosa devo lavorare.

Dopo quasi 20 anni, sono pronta a scavare nuovamente le fondamenta della mia casa, lo faccio con gioia, con umiltà e pure con gratitudine.

Il tema dell’esprimere un giudizio tecnico/artistico agli allievi è sempre piuttosto complesso per chi, nella professione, insegna una materia che rientra nel campo semantico del “tempo libero” si tratti di un hobby, di un passatempo o di una disciplina sportiva o artistica.

Quale è il limite in cui l’insegnante può spingersi a correggere gli errori?

Non è una questione di poco peso, poichè per il docente gli allievi sono fonte di entrate, di qui il rischio di esporsi con verità che potrebbero risultare sgradite.

Faccio parte di quella schiera di vecchi atleti abituati ad essere ripresi dai loro allenatori, perciò dal mio insegnante mi aspetto questo: che mi corregga e se devo ripartire da zero, riparto da zero.

Ancora una volta il tango mi insegna la vita.

Una nuova linea tracciata, un nuovo inizio. Nuove scoperte, nuove avventure.

Quest’anno mi sta insegnando che nello zero c’è l’infinito. L’infinito delle possibilità.

Che meraviglia!

Pimpra

IMAGE CREDIT: frame da immagine di Marco Piemonte

NO LEADER? NO PARTY! #ditantointango

La butto in caciara ma, in realtà, credo si tratti di un argomento pesante, specie per il pubblico femminile.

Non disporre di un partner di ballo. Praticamente l’80% delle donne danzanti che conosco vive questa condizione.

Non avere un parter fisso cosa comporta?

Sicuramente mette in gioco ed esalta le qualità di follower: ogni uomo un abbraccio, ogni uomo una lettura musicale diversa, con ogni uomo un mix fisico diverso. [BENEFICIO]

Starci, seguire, leggere tutte le sfumature, proprio perchè non si conoscono, non sono “casa”, di certo accresce molte qualità della tanguera: sensibilità, connessione. [BENEFICIO]

Ciò detto, mi vengono in mente cose:

  1. percorso di studio: sempre più complicato trovare qualcuno con cui studiare, e penso non solo ai corsi ma agli stages, alle private…
  2. stile personale: se la follower sente dentro di sè di avere qualcosa da esprimere come tanguera, chiamiamolo uno “stile personale” un po’ più spiccato che si distingue dal tipico canone di “seguidora”, fatta eccezione per alcune follower di dichiarato talento, per tutte le altre sarà ben difficile poter lavorare ed esprimere la loro cifra stilistica più personale
  3. la fame: le vedi in sala, in attesa di quello sguardo, di quel battito di ciglia che prelude una tanda. Affamate di tango, in perenne attesa di venir soddisfatte. Molto spesso se ne tornano a casa con le pive nel sacco, perchè… non abbastanza brave, non abbastanza seguidore, non abbastanza giovani, non abbastanza qualcosa.
  4. Eventi: no leader, (quasi mai) no party. Siamo troppe e loro, sempre troppo pochi. Liste di attesa, e tantissimi no.

Da 1 a 4 solo criticità.

Poi c’è tutta la sfera psicologica che si attiva negativamente quando la follower non fa parte della/e cerchie, perchè è una cosa che si sente sulla pelle appena metti piede nella sala che “stai fuori”. Puoi essere dannatamente brava ma se non fai parte del cerchio magico, avrai poche chances di giocarti delle tandas. Come si fa a dimostrare la propria bravura se non vi è l’invito.

Non si tratta di piangersi addosso, si tratta di trovare una soluzione.

Studiare, ma stavolta da leader. Studiare da paura in versione maschia. Le migliori lo fanno già da tanto tempo, sono ballerine di livello decisamente superiore, richieste dalle loro amiche follower e pure dai leader che ne riconoscono le indubbie qualità.

Ballare il tango non è un’attività democratica, non è come fare sport che se ti alleni migliori, magari solo rispetto a te stesso.

Ballare il tango ti sbatte in faccia la realtà della vita che se non sei in equilibrio sui tacchi e con te stessa, l’energia che emani è contaminata e tutti se ne accorgono, lasciando la malcapitata a fare da sfondo alla tappezzeria.

No leader, no party.

Non scambierei comunque, per nessuna ragione al mondo, il fatto di stare nel gruppo follower, non fosse per le mie amatissime scarpe con il tacco.

No leader? I’m the party!

Pimpra

ALLA RICERCA DELLA “FIRMA TANGUERA”.

Tra i molteplici benefici di avere una passione è quella di poterla condividere con gli amici. Se poi ci porta a spostarci, si creano delle situazioni da gita scolastica estremamente piacevoli, quando non esilaranti.

Nella macchinata che ha portato me e una coppia di meravigliosi amici, oltre che tangueros sopraffini, a raggiungere l’agognata meta della maratona, è stata occasione per ciarlare amabilmente di tango, ça va sans dire.

Le chiacchiere più interessanti sono sempre quelle che si fanno post evento dove si scambiano opinioni, esperienze e – normalmente- si condivide l’assoluta soddisfazione, unita al godimento, di avervi partecipato.

Il mio post maratona è come se avesse acceso tutte le lampadine del cervello, per gli enormi stimoli che ho ricevuto.

In questo articolo vi racconterò della “firma tanguera”, ovvero di quell’impronta assolutamente soggettiva e personalissima che ogni tanguer* lascia, o, a mio parere, dovrebbe lasciare.

Non si tratta della forma in cui si esprime la danza, non è questione di stile, non di preparazione tecnica, neppure di abbraccio è una sfumatura sottile, unica, personalissima che non tutti i danzator* riescono a scrivere.

Cerco di spiegarmi meglio: vi sarà capitato di riuscire – dopo lunga attesa- a ballare la tanda con quel particolare ballerin* con il quale da tempo desideravate ballare. Ebbene, alla fine vi resta un’immensa delusione, non determinata dalla incapacità del soggetto ma, semplicemente, dalla mancanza di un colore personale della sua danza che, all’interno dell’abbraccio, non avete percepito.

Una tanda che definisco “neutra”, non cattiva ma nemmeno particolarmente saporita, una pasta al burro, per cercare la metafora culinaria. Anche qui si può aprire una discussione: moltissime persone adorano la pasta al burro, anche la pasta al burro ha una sua dignità e un suo senso. Certamente ma… nell’economia di uno scambio molto frequente con tantissimi soggetti, la pasta al burro ha un’intensità che, probabilmente, la nasconde, facendola passare in secondo piano.

Tornando al concetto della firma, mi sono fatta l’idea che sia un fattore legato al carattere: la firma racconta di noi, non come ballerini, ma come persone. Ci sono soggetti che detestano mostrarsi, far conoscere all’altro chi sono una volta smessi i panni del tanguer*. Timidezza, riservatezza, altre ragioni, li portano a darsi nelle tande in maniera più “neutra”, privando così l’altro del piacere di fare la conoscenza ANCHE della persona che sta dietro al ballerin*.

Per firmarsi serve l’esperienza, lo studio, la pratica, tutte cose che restano imprescindibili in un buon tanguer* ma entra forte anche la dominanza soggettiva: mi scopro veramente, fingo astutamente, resto in silenzio, parlo a voce alta, mi esprimo sottovoce.

Personalmente in pista adoro chi mi racconta anche altro, mi parla della sua vita in qualche modo, solo abbracciandomi e portandomi nell’incredibile viaggio che può essere ogni tanda.

Forse firmare è legato all’empatia, me lo chiedo.

Ad ogni modo, la prossima volta che ballerete, provate a percepire se quanto ho scritto in questo articolo vi risuona, mi piacerebbe sentire la vostra opinione, se vi va.

Vado a prendere la stilografica… 😉

Pimpra

SI RIAPRONO LE DANZE. TOSCA TANGO MARATHON

Marzo è il mese delle gite scolastiche e della Tosca. Due certezze nella vita che non guastano, specie la seconda.

Mancavo dal lontanissimo 2019, in senso assoluto non è un tempo infinito, lo diventa se consideriamo tutto quello che c’è stato in mezzo, fortuntamente superato, alle spalle, dimenticato o quasi.

I segni degli ultimi terribili anni in realtà si sentono eccome. Un specie di ferita, rimarginata – certamente- ma ancora fresca, troppo fresca.

La villa monumentale e il suo parco accolgono gli ospiti nella consueta magnificenza, varcato l’ingresso gli amici di sempre, le Tosche e il team di supporto regalano sorrisi, abbracci e sguardi che raccontano il piacere e la gioia di ritrovarsi.

La Tosca è casa, non si discute.

Rivedere prima, rivivere poi gli abbracci a lungo lontani è un’emozione potente, capace di far sgorgare quel fiume incontrollato di sensazioni, di ricordi, di momenti incastonati come perle nella memoria.

Ho portato in valigia l’umiltà, dovuta, al mio periodo inglorioso di pausa. Inglorioso perchè, per ciò che si ama, ci si deve battere ed io mi sono lasciata sopraffarre, allontanandomi troppo, dall’oggetto del mio amore.

Ho portato in valigia la curiosità di osservare il cambiamento che è essenza implicita del tango. Sono rimasta sorpresa da quanto ha saputo raccontarmi.

Appoggio quanto sto per scrivere a una breve premessa che mi è utile per definire lo scenario. La Tosca è una maratona. Tradizione vuole che chi sceglie il genere si aspetti un certo tipo di partecipanti e di musica, andando alla ricerca di un’energia molto particolare, che spinge, sostiene, motiva, promuove l’impegno che ogni maratoneta mette nelle lunghissime sessioni di ballo.

La maratona non incontra i gusti di coloro che prediligono un genere di evento più “intimista”, raccolto, dalle vibrazioni molto soffuse – sebbene potenti ma, in qualche modo, interiorizzate.

Il maratoneta ha una testa e un ballo di pulsazione più marcata, nel senso che ingaggia, si muove molto, a volte rischia, spesso esagera. Per queste ragioni, deve essere tanguer* preparat*, dal momento che “la potenza è nulla senza il controllo”.

Il primo clamoroso cambiamento che ho percepito è stato nel linguaggio musicale. Ho assistito a sessioni in cui le tandas proponevano una ricerca di gesto necessariamente intimista e raccolta, ho ascoltato numerosissimi blocchi di brani con una venatura particolarmente malinconica, a tratti cupa, struggente, estremamente romantica. Il ritmo, le battute, senza guizzi come a dipingere un cuore stanco, provato da una lunga sofferenza.

Prima del buco nero degli anni Covid, il racconto in note durante la maratona era un’esplosione di colore: si ballava sulle onde di un mare molto mosso, seguendo un’onda che ti portava via veloce, lasciandoti senza fiato, senza forze ma carico di una gioia vitale che ricompensava ogni energia spesa.

Oggi è come se la gioia facesse paura, o fosse, oramai, una emozione di cui non fidarsi perchè – e lo abbiamo imparato a nostre spese – può esserci tolta da un secondo all’altro.

L’intimismo musicale si è tradotto in un messaggio diverso rimandato dagli abbracci che si sono fatti più avvolgenti e calorosi.

Ho goduto dei momenti in cui l’onda cresceva per poi lasciarmi cullare dalla sua morbida risacca, nel flusso di un respiro dolce.

Tutto cambia. A volte è faticoso accettarlo ma standoci dentro noi stessi diventiamo cambiamento e scopriamo nuove forme, nuove frasi, nuovi linguaggi.

Grazie, per una volta ancora, a questa maratona del cuore e a chi con fatica, cura e dedizione la organizza da 13 anni. Ogni edizione è una nuova scoperta.

Pimpra

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