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Tutti gli articoli nella categoria vecchiaia in armonia
Millemila passi di trasformazione. Da fuori a dentro.
Ho smontato pezzo a pezzo le scorie di resistenza della mia mente.
Ho affrontato i severi giudizi che mi sono data.
Ho accolto i limiti del mio corpo.
Quando tocco le assi di legno della pista oggi so chi sono, consapevole dei miei confini e dei tratti unici che mi contraddistinguono come ballerina.
Il mio tango è passato da fuoco d’artificio a fiume, come il Timavo del mio nord est.
Sono diventata acqua che scorre e s’inabissa. Entro in profondità, nel buio, in grotte e anfratti nascosti dove si aprono cupole inesplorate.
Intorno solo il verseggiare dell’acqua, ora più ciarliera ora più silente dentro un movimento compatto che resta perpetuo.
Sento molto di più di un tempo.
Nel buio, la vibrazione delle emozioni si espande elettrica raggiungendo ogni molecola dell’essere. Non ho più bisogno di mostrarmi, non cerco lo sguardo, ricevo e restituisco calore e movimento.
Aspetto di riemergere, trasparente e cristallina. Quando sarà il momento, foce piena e consapevole di tutta me.
La decima edizione: un bivio. O si evolve e si sboccia in una nuova epoca o si sfiorisce. Colegiala ha scelto il Big Bang!
La Colegiala ha festeggiato il suo compleanno con una festa che ha scritto un nuovo punto di partenza per le maratone che verranno.
Ma veniamo ai fatti. Il cambio di location sulle prime mi ha preoccupato, sono un’abitudinaria. Colegiala era la colonia della Fiat, la Torre circolare, le ridicole stanzette con il bagno in comune, l’ascensore che due volte su tre non arrivava. Nonostante il poco appeal sotto l’aspetto prettamente “logistico”, tutto il contesto era semplicemente favoloso. La spiaggettina di fronte alla sala pranzo, il baretto dei caffè del mattino e delle infinite chiacchiere tra amici, la pista da ballo così bella e spaziosa.
Colegiala era un marchio di fabbrica.
Al decimo compleanno ha traslocato in un complesso residenziale a 4 stelle, dentro una pineta di altissimi pini marittimi, circondata da verde. C’era la Spa, il mare incazzoso a due passi, un’atmosfera di fine fine estate che accarezzava l’umore.
La stanza d’albergo era una vera stanza, il servizio di ristorazione come MAI goduti in questi lunghi anni di trasferte tanguere. Una qualità nell’offerta alimentare, nel servizio, negli spazi a disposizione che hanno lasciato tutti i partecipanti senza parole.
La squadra è sempre la stessa, meno male!, rodata dopo lustri di maratone organizzate e, anche in questo caso, non ha sbagliato un colpo. Sabato mattina a modificare i posizionamenti delle sedie per favorire gli ingressi in pista e permettere almeno un minimo sindacale di mirada. Tutto ciò che andava sistemato è stato corretto con piccoli aggiustamenti per dare a tutti il comfort e la piacevolezza di sempre.
La pista perfetta, morbida il giusto, nessun mostruoso mal di piedi alla fine delle danze. E le colonne hanno fatto il loro aiutando i maratoneti a seguire la ronda. Top!
Anche la serata a tema, un topos irrinunciabile di Colegiala, è stato pensato per agevolare quelli come me che sono poco creativi quando si tratta di mascherarsi.
Abbiamo assistito a due pomeridiane da incorniciare, le mie prefertite, dove un Piscitello ha creato un’onda di energia vibrazionale di cui tutti ci siamo accorti. Dieci minuti di applausi alla fine della sessione lo hanno testimoniato.
E poi, il Re, monarca assoluto del mio cuore tanguero, il caro Mauro Berardi, che ha risposto tanda dopo tanda alle gioiose provocazioni del suo predecessore.
Avevo qualche perplessità si potesse perdere il “dna Colegialo” cambiando sede, invece mi sono dovuta ricredere, semplicemente abbiamo fatto upgrade, dalle superiori all’università, questo è il nuovo spirito.
Per l’anno prossimo devo ricordarmi il costume che la Spa mi attende.
E a tutti gli organizzatori attenti: l’asticella si è alzata. E di molto.
Organizzare eventi di tango in questo periodo è diventata una vera sfida. Di settimana in settimana fioriscono nuove milonghe, maratone, festival, e chi più ne ha più ne metta. Tutti quegli incontri che potremmo definire “storici” vedono minate le basi del loro pubblico di fedelissimi, rischiando di chiudere o – peggio- di organizzare un evento fallimentare.
Nel weekend appena trascorso, solo in Italia abbiamo contato almeno due maratone, un encuentro milonghero, e numerose milonghe. È facile che la popolazione tanguera si disperda in mille rivoli facendo sì che i pienoni di un tempo possano diventare lontani ricordi.
Nonostante questo rischio, la varietà, se supportata da qualità di offerta e capacità organizzative, è sempre benvenuta, nella gioiosa illusione che la quota di tangueros aumenti e le giovani generazioni prosperino felici. E noi “antichi” possiamo divertirci insieme a loro, perchè no.
Premessa doverosa per definire il quadro tanguero attuale nel quale la storica maratona Romagna Porteña ci ha accolti a braccia aperte durante il fine settimana appena trascorso.
Il lunedì arriva una sola volta alla settimana. Meno male! Sono devastata di stanchezza ma con un morale così radioso come non mi accadeva da tempo.
Ovviamente la panacea dei miei fastidi esistenziali trova la sua cura nella calorosa terra dell’Emilia Romagna.
Ho trascorso un weekend pazzesco dove ho ballato come non mai (vedi il record di passi/giornata), con un tale gusto che fatico a rendermene conto.
La Romagna Porteña è una maratona con una storia alle spalle, solo io ne ho frequentate almeno 3 edizioni. Ci torno sempre con grande piacere ed ogni volta mi porto a casa un sapore nuovo, una nuova emozione.
Questa edizione ha spostato alla fine di settembre le sue danze, regalandoci comunque una piccola illusione d’estate. Certo trascorrere il fine settimana a Riccione senza sguazzare nelle acque del suo mare è curioso (alcuni l’hanno fatto eccome!), ma le attività extra maratona non sono comunque mancate.
Non so ancora quale sia il loro segreto ma la crew degli organizzatori ci sa davvero fare perché la sala è stata immersa di good vibes -musica pazzesca, ghiottonerie irresistibili e conseguenti abbracci indimenticabili!- per tutta la durata della festa.
Personalmente sono partita male il venerdì, troppo stanca della settimana, dalla giornata stessa di lavoro, dal lungo viaggio. Cenato, il mio corpo urlava di tuffarmi nel letto invece di andare a ballare. Al motto di “non si molla mai” mi sono presentata. Dovevo ascoltarlo: ho ballato con la fluidità di un asse da stiro, altro che giaguara danzante! Poveri ballerini che mi hanno presa quel venerdì sera, mi scuso anche da qui per la pessima ballerina che sono stata.
La notte di sonno, l’entusiasmo hanno fatto il resto e dalla pomeridiana di sabato non mi sono fermata un attimo. Tanda dopo tanda un piacere a crescere, una gioia che mi ha preso ogni cellula.
30.000 passi non sono pochi specie se ballati per la quasi interezza. E sono la testimonianza più grande che una maratona costruita con il cuore si fonde con il cuore dei suoi partecipanti regalando emozioni belle, di quelle che ti porti a casa.
Non mi resta che passare dalle mani della mia fisioterapista per rimettermi in sesto tutti i pezzi di corpo che mi fanno ancora male per giocarmi i prossimi 30.000 con la stessa allegria!
A fine evento Ale Parise mi ha detto: «Cerco di imparare dai miei errori e di fare meglio». Se questo è il metro, l’ultima edizione di 800 Tango Party l’ha vinta: meglio della precedente in ogni dettaglio.
Tre giorni di festa nell’ex Teatro Verdi di Ferrara, una sala circolare con la pista al centro — non il luogo più ovvio per mirada e cabeceo, ma con buona volontà si trova sempre il modo.
Per la mia seconda edizione ho scelto di posizionarmi sulla scalinata che porta alla pista, osservando dall’alto. Da lì, l’onda che si gioca in pista arriva con un riverbero amplificato, l’energia dei ballerini si espande raggiungendo i punti più lontani.
Ho ignorato il cartello che indicava “via di fuga,” perché, se so muovermi a razzo in pista, so anche sgomberare una scala. (Un’auto-giustificazione che nessun addetto alla sicurezza accetterebbe, ma che mi ha permesso di godermi al meglio le serate).
La formula collaudata della due giorni si è arricchita del venerdì, traghettando il “party” in una piccola maratona.
Valentina Ialacci — napoletana verace — ha acceso la milonga del venerdì: il suo set mi ha regalato le prime vesciche ai piedi e un entusiasmo contagioso. Dalla mia “piccionaia” non ho visto volti delusi: l’energia ha roteato luminosa per tre giorni.
Così è partita questa brillantissima edizione migliorando la sua già rodata e funzionante macchina organizzativa.
C’entra anche il cibo? Molto probabile! Tra una prelibatezza e l’altra, abbiamo condiviso tandas e litri di sudore, perché la “settembrata” ferrarese ha raggiunto temperature africane.
Questo lunedì mi pesa le ore non dormite sono tutte dipinte sul mio volto, ma nonostante questo resta quella speciale beatitudine che il tango ti sa dare.
Entrare all’edizione invernale (febbraio) non è per tutti: se la carta d’identità non riporta almeno il 1995 e sei donna single, è probabile che sia più semplice rinunciare. Io ho provato lo stesso — e mi hanno proposto la versione estiva, più “soft”: ho detto di sì.
Popolazione più matura, meno competizione. Mi si prospettava una maratona comunque di livello unita al piacere di visitare una bellissima città che non conoscevo.
Una settimana di vacanza, condita di visite a una città di una bellezza stupefacente, passeggiate infinite, scoperte meravigliose, amicizia. Anche se non avessi fatto una sola tanda, ne sarei comunque uscita contenta. [Bugia!]
La sala rispecchia perfettamente l’anima della città, richiami art nouveau, una illuminazione calda, begli spazi, ottimo pavimento di legno. Ad accompagnare le lunghe sessioni di ballo, un’offerta costante di cibo e di snack di qualità, compreso lo strudel finale a coronare lo spirito paneuropeo della manifestazione. Non posso che dirne bene.
Un’amica che frequenta da sempre la maratona invernale, mi aveva rassicurato dicendomi che la versione estiva fosse molto più easy: parliamone!
Ballarci è difficile, inutile nascondersi dietro un dito. Le donne, specie le over 40, e ce n’erano parecchie, per lo più attendevano sguardi che faticavano ad arrivare. Osservando la pista, si notavano ottime ballerine giovani accanto ad altre giovanissime e ben più in erba. Le senior, quelle tangueristicamente ‘navigate’, facevano da tappezzeria.
Difficile non farsi prendere dal malumore. Cosa che, ovviamente, mi è capitata. Ritrovandomi a fare la mirada andando a segno con grande difficoltà, mi sono fatta immediatamente delle domande: non ballo abbastanza bene? Sono diventata lenta? Sono fuori età massima? Sono brutta?
Il castello di fantasmi che minano l’autostima si è presentato alla mente in pompa magna suonandomi la fanfara del “non vali niente”.
Poi, per fortuna, la mia partner in crime è venuta a soccorrermi, mi ha dato una rassettata. Ho cercato di fare pace con i mostri che avevo in testa. Non facile, ma necessario.
Le belle tande arrivano. Perché è sempre una questione di energia, di quella vibrazione sottile che metti nell’aria. Non basta sorridere con il viso, devi sorridere con l’anima, altrimenti non funziona.
Più che una maratona, come quelle a me care, quelle in cui balli a fondere le scarpe e ti diverti da matti, è stata una grande lezione di vita.
Il tango c’entra poco, il tango è sempre fedele a se stesso, se balli bene, se l’abbraccio funziona, se mente e corpo sono connessi, balli. Prima o poi balli. È tutto il contorno che ti mette alla prova.
Ho scoperto tante cose di me che credevo di aver superato.
La timidezza ad esempio. Chi mi conosce probabilmente fatica a crederlo, eppure, in fondo, sono (molto) timida.
Mi crea disagio dover “combattere” a forza di miradas assassine per poter ballare. Fatico a mettermi nelle posizioni strategiche di uscita dalla pista dove stanno tutti per “adescare” il ballerino.
Mi sembra di usare violenza, a me stessa in primis, cosa che in realtà non è.
Me lo ha spiegato bene la mia amica che, al contrario, ci sa fare benissimo. L’osservavo: alla fine di ogni tanda tornava nella zona giusta con gli occhi che le brillavano, il corpo vivace, il sorriso aperto. E non era finzione, si capiva, si percepiva la verità della sua gioia.
A casa ho portato tande speciali, di quelle che restituiscono il “senso” e pure un carico di insicurezze, tra tutte quella di non essere più giovane (abbastanza) come i ballerini desiderano e quindi molto meno interessante.
Mi sconcerta rendermi conto di come il tango mi insegni sempre qualcosa, della vita, di me.
Bisogna che ci lavori su, non mi arrenderò così facilmente, perché “nessuno mette la Pimpra in un angolo!” 😉
Le pause servono, hanno sempre un senso se si usano nel modo giusto. Dopo la pandemia è la seconda volta che ho smesso di ballare prendendomi un mese sabbatico.
Luglio mi è scivolato dalle mani: al mattino ho nuotato nella piscina all’aperto, sono stata ad un concerto, ho fatto un weekend a Veglia – da cui mancavo da tantissimi anni- una gita bellissima in mare, un’altra gita a Pirano arrivandoci in battello. E ho passato molto tempo da sola, in silenzio, tra me e me.
La pausa dalla vita sociale e dai social che oramai ne fanno parte, mi ha permesso di ritrovare il filo che unisce le mie parti più profonde, a volte anche oscure, ma integranti.
Ok, questa è la premessa. Poi, agosto è ripartito alla grande con una bellissima milonga a Parma: Violetas.
Una milonga molto conosciuta in un crocevia ideale per il centro- nord Italia, Friuli Venezia Giulia escluso: per noi 3-4 ore di macchina sono una costante.
È stata la mia seconda Violetas. La prima non è andata benissimo. Non ho quasi ballato, nonostante conoscessi -di vista e non solo- praticamente tutti i partecipanti.
Così, spinta da una certa voglia di riscatto (e anche dalla correttezza degli organizzatori), ho deciso di tornare. E ho imparato che le seconde chances vanno sempre concesse.
La seconda Violetas, anche per me, è stata come me l’avevano sempre descritta: una bellissima festa.
La location è incantevole: si balla in uno spazio al coperto ma senza le pareti, arioso e piacevole. La struttura che ospita la milonga è un ristorante attrezzato per matrimoni e banchetti e, a cena (fa parte del biglietto d’ingresso), si viene coccolati con un’offerta alimentare ricca, varia e di grande qualità.
L’unico neo è il pavimento di piastrelle che a fine serata si fa sentire su piedi e articolazioni. Ma tutto non si può avere.
I padroni di casa sono stati davvero molto gentili, augurandomi una bella pomeridiana. Così è stato. E sono rimasta davvero molto soddisfatta.
A Violetas si incontrano tangueros emiliano romagnoli, ovviamente, ma anche milanesi, toscani, veneti e non solo un mix stimolante e irrinunciabile. La formula pomeriggio+notte è assolutamente vincente, soprattutto per chi viene da lontano: si può fare una scorpaccitata di ottimo tango.
Dall’esperienza Violetas ho tratto una lezione che conoscevo molto bene, ma che ho dovuto ripassare: se non balli la colpa sei tu.
Devo ammetterlo: il mood energetico del ballerino, uomo o donna che sia, influisce pesantemente sulla scelta del partner.
L’energia che mettiamo nell’aria, pur in modo inconsapevole, non ci lascia scampo, parla per noi: se è negativa ci penalizza. Punto.
Credevo di essere di ottimo umore la prima volta. Ero curiosa, entusiasta di partecipare a una milonga che mi avevano tanto decantato. Invece qualche pensiero sotterraneo mi ha offuscato pesantemente. Morale: sono rimasta seduta a lungo.
Nella vita e nel tango è importante farsi un’analisi critica, evitando di dare colpe che spesso sono nostre, al di fuori.
Ho ancora il sapore di buono, quella vivacità e quella gioia che le belle tande ti lasciano addosso.
E pure una graziosa vescica sotto il piede, testimonianza fedele di ore ballate senza fermarmi.
A Parma il tango profuma di buono.
Le Violetas lasciano un segno delicato e profondo di tandas perfette.
Se dovessi descrivere l’ultimo fine settimana, penserei alla magia di un cerchio. Forma perfetta che tutto contiene.
Una gita tanguera ad alto tasso di chilometri in un paesino incastonato sulla costa sabbiosa e verdeggiante di quel tratto di Liguria.
Maratonguera ha festeggiato la sua ottava edizione eppure, una volta arrivati, sembra il tempo si sia fermato. La locanda del Pilota che ospita l’evento all’aperto è fedele a se stessa dal 1923 conferendo quella patina di sicurezza delle cose che durano nel tempo.
La terrazza a piccolissimi mosaici azzurri, il fiume Magra affronta gli ultimi metri prima di tuffarsi in mare, la brezza non manca mai, la frittura di pesce si gusta tra un D’Arienzo e un Biagi quando scendono finalmente le ombre della sera.
La Maratonguera è un evento atipico, si tratta più di un ritrovo di amici con la stessa passione tanguera che si danno appuntamento in un luogo più o meno comodamente raggiungibile per tutti (triestini a parte, ça va sans dire).
Hai voglia: balli. Hai voglia: chiacchieri. Hai voglia: sorseggi dal tuo calice una bollicina. Le parole d’ordine sono: relax, “scialla”, prendila con calma, qui nessuno ha fretta.
Questo clima è contagioso, perchè, oltre ad impegnarti per sopravvivere al gran caldo che quest’anno è stato davvero poderoso, altro non devi fare che divertirti. I convenuti lo sanno e non perdono un solo attimo di piacevole gaudio.
All’una la musica si ferma e inizia un’altra festa. Il cerchio di persone si forma, il prosecco comincia a riempire i bicchieri perchè bisogna festeggiare. La vita, la gioia di ritrovarsi ogni anno, il piacere di aver ballato insieme.
La notte cala, siamo stanchi ma il potere di quel cerchio che unisce ci tiene legati.
La luna si specchia nella lingua di fiume alle nostre spalle, regalandoci uno spicchio della sua inconfondibile luce. Penso a Sole. A lei, che ci guarda da lassù, e forse sorride del nostro piccolo, meraviglioso cerchio.
Ci sono giorni in cui non succede niente. Non un pensiero brillante, non un desiderio, non un sogno da fare ad occhi aperti.
L’estate finalmente brucia sulla pelle, ma tu non sei sintonizzata su quell’onda calda.
Telefonate lunghe, confidenze sussurrate. Ti rendi conto che la tua vita è uguale a quella di mille altri. Rincuora ma fa pensare.
La noia si abbatte dentro ore bruciate di sole. Una voce ti rimprovera e ti dice così non va bene.
Da sola mi sento un gigante. La libertà che ho nelle mani esplode in scintille di godimento. No non posso ridurmi a vegetare, voglio vivere.
L’acqua è di un tenue azzurro, riflette le piastrelle chiare del fondo della piscina. La luce è così potente che trafigge le pupille. Respiro il delicato aroma del cloro. Ascolto il canticchiare dell’acqua mossa da mani asincrone. Mi connetto. Indosso la cuffia, gli occhialini scuri e salto dentro il liquido.
Bracciata dopo bracciata il pensiero svanisce, la mente si libera. Uno due uno due. I punti di leva del mio corpo si fanno caldi e morbidi. Il corpo prende la forma dell’acqua.
Non sono più un’atleta, il mio ritmo è lento e inesorabile.
Uno due, uno due.
Non c’è più nulla intorno, solo lo sciabordio dell’acqua, la luce che riverbera forte, il respiro ritmato e il cuore che accompagna questa danza.
Alzi la mano chi non ha mai stramaledetto la tanda eseguita, magari per distrazione, con un “medioman” tanguero.
DicesiMedioman tanguero quel tanguero che dopo percorsi di studio o frequentazione di più o meno svariati corsi di tango, non riesce ad esprimere interpretazione della musica, propone una due o tre sequenze di passi che sono sempre uguali, balla tango-milonga-vals, Pugliese, D’Arienzo, Troilo come se fossero la stessa cosa. Insomma il leader che è la classica X sulla schedina del piacere: non si può dire un disastro ma neppure un fuoco d’artificio, ma, soprattutto, si connota per essere troppo prevedibile.
Per non fare sconti a nessuno, esiste la medesima figura pure per lei. La Mediowoman tanguera è quella follower senza infamia e senza lode, quella che, sente D’Arienzo, Pugliese o Vargas, non modifica nulla nella sua energia, nei suoi movimenti, come se l’onda potente delle note non la riguardasse.
Si muove facilmente, leggera, come una foglia al vento.
Personalità non pervenuta.
Quando due medioman si incontrano nell’abbraccio ce ne accorgiamo: lui impasta le sue sequenze tutte uguali, lei lo segue con distacco. Manca la scintilla, quella connessione vibrante di anime.
Non posso smettere di chiedermi perchè ostinarsi a ballare così, senza colore, con poche forme, senza varietà, almeno energetica.
Allora penso entrino in gioco dinamiche più legate alla psiche che al puro sapere tanguero.
Il leader sente di aver bisogno del controllo per evitare l’errore. Tiene saldamente la regia della tanda. Immagina che un pacchetto preconfezionato di passi/strutture/movimenti possa soddisfare la follower.
Spesso accade che lei non si prenda spazio, non osi, non si esponga. Sta e basta. Quasi passiva mi verrebbe da dire, anche se a marca, esegue.
Qui sta il punto: eseguire non è ballare.
Esecuzione è movimento, gesto, linea. Senza l’emozione che nasce dall’incontro tra musica e abbraccio rischia di essere una combinazione vuota. Magari eseguita tecnicamente in modo ineccepibile, ma assolutamente priva di scintilla.
Ogni danza necessita di un bagaglio che deve necessariamente essere tecnico ed espressivo.
Il tango argentino credo possa essere una delle massime espressioni di questa diade: corpo e cuore.
Come follower mi aspetto, specie da leader navigati, la capacità di ballare per esprimere, non per muoversi. Se voglio solo muovermi, vado in palestra.
So che è molto difficile, specie per il leader: gestire la ronda sempre più impazzita, impegna moltissimo la concentrazione portandola via alla creatività della tanda. Ciononostante vorrei un leader che si sentisse libero di osare anche se- a causa di forza maggiore, il rischio di sbagliare è più alto.
Preferisco una tanda “sporca” ma vissuta, goduta e complice, al compitino ben eseguito.
La modalità “medioman/woman” è forse legata alla stanchezza?
Dopo 5-6 ore ininterrotte di ballo, arriva il momento in cui i serbatoi di energia, vitalità, creatività si esauriscono. E’ quello il momento di togliersi le scarpe e andare via.
Nunquam in medio.
Almeno proviamoci. Ogni volta che entriamo in quell’abbraccio.
Ne ero quasi certa, dopo lo stop forzato della pandemia, credevo di essermi ripresa in mano la vita. Attività diversificate, viaggi, interessi.
Sono passati 5 anni da allora, 3 dalla mia prima maratona post pandemia.
Ed eccomi qui, arzilla signora di mezza età, nel fior fiore della sua dipendenza!
Viaggio per andare a ballare.
Gli amici che frequento sono (quasi) tutti tangueri.
Continuo a voler frequentare le maratone.
Insisto a prendere lezioni private.
Non mi decido ad appendere le scarpette al chiodo.
E niente, questo weekend non ballo. E mi chiedo se mi perderò qualche milonga favolosa. E continuo a star dietro alle iscrizioni agli eventi.
Controllo la mail per vedere se mi hanno risposto. Non mi hanno risposto, allora non mi prendono. Cerco un altro evento da sostituire. Ho pensato di iscrivermi a un evento in Finlandia, così, solo per il brivido della conferma.
Ecco come sto messa. Ma va tutto bene eh, la mia è una dipendenza sana. Solo il conto in banca mi dice il contrario, ma si sa che non sono mai stata brava a gestire le finanze.
Uscirne si può. Dicono.
Ma io non credo di volerlo.
“Ciao sono la Pimpra. Questo weekend non ballerò.”
Applausi in sala. Sipario. Luci spente. Tranne sul sito delle iscrizioni.
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