L’ABBRACCIO: IL TUO PRIMA E DOPO NEL TANGO. #ditantointango

Avete mai pensato ai prima e dopo della vostra vita? Quei passaggi epocali per cui, dopo, qualcosa cambia profondamente dentro di voi.

Nella vita ne esistono parecchi, sono pietre miliari, penso al percorso degli studi, al lavoro, ai cambi di lavoro, quando si lascia la casa genitoriale, la convivenza, il matrimonio i figli, l’arrivo del primo animale domestico. Gli esempi sono davvero infiniti.

Poi c’è il tango. Dal primo abbraccio ad oggi, quanto siamo diversi, cambiati.

Ci pensavo tornando dall’ultima maratona. Ho fatto mente locale a quante persone, per lo più estranee, ho abbracciato in questi ultimi vent’anni.

Adesso mi sembra una cosa assolutamente normale, anzi “naturale”, me lo avessero chiesto vent’anni fa avrei risposto “Ehhh abbracciare un estraneo? Non se ne parla!”. Oggi non solo li abbraccio senza provare alcun pudore, ma non mi scompongo minimamente ad appoggiare la mia guancia alla loro, in un atto che, oggettivamente, può essere letto come “intimo”.

L’abbraccio del tango, per me, è stato ed è tuttora, terapeutico.

Studi scientifici dimostrano che abbracciare qualcuno per più di un minuto sviluppa ossitocina, l’ormone del legame, del benessere, figuriamoci quanto ne produciamo nel corso di una sola serata di tango!

Eppure non è solo questo.

Abbracciare significa fidarsi, aprirsi all’altro che non si conosce, dare una possibilità a un incontro senza paracadute. Anzi il paracadute c’è eccome, la fine della tanda. Di sicuro nell’abbraccio del tango il controllo non esiste (balleremmo tutti malissimo), la mente si libera e si connette con parti profondissime che, troppo spesso nella vita quotidiana, restano nascoste, marginali, silenti.

Gli abbracci mi hanno fatta rinascere tante volte, sempre in modo diverso ma altrettanto struggente e profondo.

L’abbraccio del tango, l’ho scritto numerose volte, ha permesso alla mia donna di nascere veramente, di uscire allo scoperto senza che la mia volontà potesse nulla, puro istinto, pura verità.

Quante cose dell’altro si percepiscono in un solo abbraccio, sottilissime sfumature che, se colte, lo avvicinano a noi come essere umano. Difficile fingere, difficile farlo a lungo, la verità dell’essere si svela.

Mi piacerebbe poter contare tutte le persone che mi sono passate tra le braccia, credo che in una vita “normale” non ne avrei mai avuto la possibilità e penso alle emozioni, alle sensazioni che sono scaturite da questi scambi.

Molti si innamorano, non fatico a capirlo, come se il terreno fosse fertile per un incontro che si spinge oltre a una condivisione di passi.

Gli abbracci tornano indietro, ci pensate? Tanto si offre all’altro, tanto si ottiene, a volte anche molto di più, ricevendo una sorta di “affetto particolare” dal nostro partner, in quella tanda. Un calore che entra e, da qualche parte, ci cura.

Pimpra

Image credit: Lisbona Tango Marathon

MARATONGUERA 8.0. LA MAGIA DEL CERCHIO #ditantointango

Se dovessi descrivere l’ultimo fine settimana, penserei alla magia di un cerchio. Forma perfetta che tutto contiene.

Una gita tanguera ad alto tasso di chilometri in un paesino incastonato sulla costa sabbiosa e verdeggiante di quel tratto di Liguria.

Maratonguera ha festeggiato la sua ottava edizione eppure, una volta arrivati, sembra il tempo si sia fermato. La locanda del Pilota che ospita l’evento all’aperto è fedele a se stessa dal 1923 conferendo quella patina di sicurezza delle cose che durano nel tempo.

La terrazza a piccolissimi mosaici azzurri, il fiume Magra affronta gli ultimi metri prima di tuffarsi in mare, la brezza non manca mai, la frittura di pesce si gusta tra un D’Arienzo e un Biagi quando scendono finalmente le ombre della sera.

La Maratonguera è un evento atipico, si tratta più di un ritrovo di amici con la stessa passione tanguera che si danno appuntamento in un luogo più o meno comodamente raggiungibile per tutti (triestini a parte, ça va sans dire).

Hai voglia: balli. Hai voglia: chiacchieri. Hai voglia: sorseggi dal tuo calice una bollicina. Le parole d’ordine sono: relax, “scialla”, prendila con calma, qui nessuno ha fretta.

Questo clima è contagioso, perchè, oltre ad impegnarti per sopravvivere al gran caldo che quest’anno è stato davvero poderoso, altro non devi fare che divertirti. I convenuti lo sanno e non perdono un solo attimo di piacevole gaudio.

All’una la musica si ferma e inizia un’altra festa. Il cerchio di persone si forma, il prosecco comincia a riempire i bicchieri perchè bisogna festeggiare. La vita, la gioia di ritrovarsi ogni anno, il piacere di aver ballato insieme.

La notte cala, siamo stanchi ma il potere di quel cerchio che unisce ci tiene legati.

La luna si specchia nella lingua di fiume alle nostre spalle, regalandoci uno spicchio della sua inconfondibile luce. Penso a Sole. A lei, che ci guarda da lassù, e forse sorride del nostro piccolo, meraviglioso cerchio.

Pimpra

I GIORNI IN CUI NON SUCCEDO.

Ci sono giorni in cui non succede niente. Non un pensiero brillante, non un desiderio, non un sogno da fare ad occhi aperti.

L’estate finalmente brucia sulla pelle, ma tu non sei sintonizzata su quell’onda calda.

Telefonate lunghe, confidenze sussurrate. Ti rendi conto che la tua vita è uguale a quella di mille altri. Rincuora ma fa pensare.

La noia si abbatte dentro ore bruciate di sole. Una voce ti rimprovera e ti dice così non va bene.

Da sola mi sento un gigante. La libertà che ho nelle mani esplode in scintille di godimento. No non posso ridurmi a vegetare, voglio vivere.

L’acqua è di un tenue azzurro, riflette le piastrelle chiare del fondo della piscina. La luce è così potente che trafigge le pupille. Respiro il delicato aroma del cloro. Ascolto il canticchiare dell’acqua mossa da mani asincrone. Mi connetto. Indosso la cuffia, gli occhialini scuri e salto dentro il liquido.

Bracciata dopo bracciata il pensiero svanisce, la mente si libera. Uno due uno due. I punti di leva del mio corpo si fanno caldi e morbidi. Il corpo prende la forma dell’acqua.

Non sono più un’atleta, il mio ritmo è lento e inesorabile.

Uno due, uno due.

Non c’è più nulla intorno, solo lo sciabordio dell’acqua, la luce che riverbera forte, il respiro ritmato e il cuore che accompagna questa danza.

Uno due, uno due.

La miglior pausa pranzo di sempre. E sto.

Pimpra

SIX.Q CLAUDIO COPPOLA. #ditantointango

Non sempre serve un microfono per raccontare una storia.

A volte bastano quattro tanghi, una cortina e uno sguardo dalla consolle. È così che Claudio Coppola parla con la musica, da anni. Ma cosa si nasconde dietro le sue scelte, i suoi silenzi, le sue “furberie” in pista? In una sera bolognese l’ho conosciuto da vicino, e ne è nata questa intervista che, ne sono certa, vi farà ballare con l’anima ancor prima che con i piedi.

Godetevela!

***

1. Sei un ottimo tanguero con esperienza internazionale, italiano di origine, vivi a Parigi, sei cittadino del mondo. Cosa ti ha spinto a diventare un tj? Vocazione o bisogno di creare?

Grazie Michaela per le belle parole.

Il principale spingitore (cit) è stato il bisogno di dissetarmi le orecchie: volevo ascoltare certe canzoni che a volte non c’erano in milonga. Non parlo di pezzi rari, erano proprio i classici che mi mancavano, così mi sono messo in consolle.

C’era poi anche un altro bisogno, più materiale: ho iniziato a ballare da studente universitario e da statuto non c’avevo una lira, mi son detto: chissà, magari un giorno mi chiameranno pure in quegli eventi che non posso permettermi. Un giorno mi suona il telefono ed era un organizzatore di un evento in cui avevo sempre sognato di andare e non avevo i mezzi per andarci. un cerchio si era chiuso e saltavo dalla gioia.

2. Hai mai “mentito” con una scelta musicale per salvare la serata? Un brano che non ami, una cortina ruffiana, una tanda “furba”. Cosa succede quando il gusto personale cede il passo alla regia emotiva della pista?

Una volta un dj più esperto di me mi ha detto: la cosa più difficile in consolle é mettere da parte i propri gusti per far posto a quello che serve alla gente. Un altro mi ha detto: metti una tanda per te, una per un amico e una per un nemico.

Sono consigli preziosi che mi porto sempre dietro, oggi quando metto la tanda per il “nemico” non credo di star mentendo, credo di star servendo la gente.

Detto ciò, voglio essere onesto e rispondere completamente alla tua domanda: sì, ho fatto-e a volte faccio ancora-scelte populiste.

Perché le faccio? perché mi sembra che é quello che voglia la gente in quel momento.

Cosa succede? Niente di grave, il veleno sta nella dose: una tanda ruffiana si può tollerare, una canzone che parla alla pancia ci può stare, una cortina ruffiana passa, non muore nessuno.

Poi a volte la quantità di ruffianate necessarie per salvare la serata sono tante, la dose di veleno aumenta e quelle serate fanno un po’ male, sento di non aver fatto un buon lavoro, che non sono riuscito a far apprezzare le cose più belle che il tango ci offre, ammesso che quello che piace a me sia bello.

3. Quanto è importante il “tempo” nella tua costruzione musicale? Il tempo della serata, delle coppie, del locale. Come scegli quando osare e quando restare nel comfort?

Il tempo è fondamentale, il pubblico pensa che il dj scelga le canzoni, in realtà lavoriamo più col tempo che coi brani. Il momento in cui metti una canzone è importante tanto quanto la canzone scelta: immagina un tandone di Pugliese come prima tanda della serata… si potrebbe farne una formula: bella tanda +momento sbagliato = dj di merda.

Cerchiamo di seguire il tempo della serata e allo stesso tempo ne manipoliamo la percezione: acceleriamo il tempo con canzoni o cortine incalzanti, lo rallentiamo, lo dilatiamo, lo rendiamo denso o leggero…

Per questi e altri cento motivi una playlist, anche se ottima, non può rimpiazzare un buon dj: una playlist è fissa, la serata respira.

Come scegliere quando osare? cerco di usare il buonsenso, un po’ si va a esplorare un po’ torna a casa al sicuro, e dopo un po’ si torna a esplorare. Col passare della serata l’esplorazione diventa più profonda, si scava, prima una piccola buca nel giardino e poi si respira, e poi di nuovo a scavare più a fondo, finché la musica non ti porta a scavare dentro di te.

4. Ti capita mai di “testare” la pista come un laboratorio? Osservi, misuri, provochi. Ci sono momenti in cui la tua selezione diventa quasi un esperimento sociale?

Non ho mai vissuto la milonga come un esperimento sociale, magari un giorno mi capiterà. So però di colleghi che la vivono più così, alcuni sono bravissimi e fanno delle belle serate.

Ho testato delle tande, specialmente a inizio serata, però la maggior parte delle volte che propongo qualcosa di nuovo non è un test, è un rischio che prendo, che a volte va bene, altre meno.

Poi si sa che ci sono delle cose che inducono risposte quasi pavloviane: una canzone che se la metti in un certo momento parte un coro di sospiri, un’altra che sai che scatta la risata, un’altra l’applauso, un’altra che sai che alla fine le persone fanno fatica a staccarsi… alla fine, come i cani di Pavlov siamo delle bestie anche noi umani.

5. Come immagini il futuro musicale delle milonghe? Vinyl revival, contaminazioni elettroniche, IA, nuove generazioni… quali fermenti senti nascere dalla pista? Cosa ti entusiasma e cosa ti fa paura del tango che verrà?

Per il futuro musicale del tango ho un po’ paura: sempre più spesso sento dire che la tanda da 4 è troppo lunga, perché “con la tanda da 4 le donne non ballano” … a mio modo di vedere queste sono stupidate: il fatto è che se vuoi stare 4 canzoni con una persona devi essere capace di starci, ci vuole attenzione, concentrazione, presenza, impegno, ascolto, creatività, tutte cose che non mi sembrano tanto di moda. Più facile dire che la tanda da 4 è lunga.

Riguardo l’IA, alcuni dj hanno già proposto canzoni create con l’intelligenza artificiale, Io stesso ho fatto dei test con degli amici dj e nessuno si è reso conto che fosse una canzone generata da un computer, però personalmente non ho ancora fatto proposte in milonga, comunque la tanda dell’orchestra «intelligenza atipica» prima o poi ci sarà.

Una cosa che mi piacerebbe sentire un giorno, per curiosità personale, sono i «what if ».

Tipo: come sarebbe Uno se Di Sarli l’avesse registrata? Come suonerebbe un Troilo se Podestà fosse diventato un suo cantante?

Poi credo che sentiremo più registrazioni di orchestre vive, ci saranno più dj populisti, “cafoni” direbbe qualcuno, e penso che questo genererà movimenti opposti, tipo quello che vediamo coi vinili.

Spero solo che continuino ad esserci i dj fuoriclasse, quelli capaci di integrare le diverse anime del tango in un’unica serata, dandoci sensazioni speciali, di buono, giusto e onesto.

6. Che cos’è per te il silenzio tra un tango e l’altro? È solo una pausa tecnica o un tempo emotivo che scegli di orchestrare? Raccontaci cosa accade nel vuoto tra una tanda e la successiva.

Il silenzio per un dj è come il silenzio per un musicista: è musica.

Quel silenzio tra un pezzo e un altro suona come una canzone: hai presente quei dj che non lasciano neanche un secondo tra una canzone e un’altra? Oppure se passano troppi secondi tra i due pezzi? In entrambe i casi viviamo emozioni forti che amplificano o smontano quelle date dalle canzoni.

Ci sono tanti dj che giocano con quel silenzio per dare energia, intensità, intimità, fluidità alla serata.

Il vuoto del dj non coincide temporalmente con quello dei ballerini: il vuoto del dj è quando non ha ancora trovato la prossima tanda, e spesso succede mentre la gente balla. Delle volte la trovi facile: quello che ti viene in mente è quello che ci vuole. Altre volte la tanda è un parto, non c’hai l’ispirazione e allora devi trovarla di mestiere, con l’esperienza.

A volte ti arriva durante la cortina, e la sensazione è tra adrenalina e infarto.

Magari un giorno un dj ci lascerà le penne, speriamo solo che non sia io.

***

Dopo aver letto le sue parole, vi invito ad riascoltarlo in milonga con orecchie nuove. Le sue scelte musicali parlano, scavano, accompagnano. E ora che ne conosciamo un po’ di più la visione e il mestiere, sarà ancora più bello lasciarsi portare da lui in quel viaggio chiamato tango.

Pimpra

OFF TOPIC. L’AI CHE MI PIACE #offtopic

Nuova rubrica: off topic, fuori tema.
Qui parlerò di tutto ciò che mi incuriosisce ma non è tango, il filone maestro del blog Pimpra.

Da brava acquariana, non seguo un piano editoriale preciso.
Quindi non so con quale cadenza mi allontanerò dalla strada maestra per esplorare questi territori.
Seguitemi, e lo scopriremo insieme.

Tema di oggi: AI l’intelligenza artificiale.

Noi, vetusti non-nativi digitali, da anni rincorriamo affannosamente i cambiamenti epocali e iper rapidi che la tecnologia ci mette davanti.

Il nostro, Gen X, primo salto quantico nella modernità è stato l’avvento di Internet, quando già ci sembrava di volar enell’iperspzio ci hanno messo in mano gli smart phone, le app e tutto il resto che hanno nuovamente rivoluzionato le nostre vite. E il nostro sapere.

Oggi è AI, l’intelligenza artificiale generativa che è entrata nel nostro vivere comune.

Utilizzarla è semplice, tu chiedi, lei risponde. Fa un gigantesco passo in avanti rispetto al caro amico Google (o altro motore di ricerca) che restituisce migliaia di dati che siamo noi a dover analizzare e segliere se e come farne uso.

I motori di ricerca ricordano un po’ le vecchie enciclopedie, ci trovi di tutto, anche quello che stai cercando ma devi sfogliare molte pagine prima di trovare esattamente ciò che ti serve.

AI ci fa risparmiare tempo, perchè filtra a monte e restituisce. Sta a noi decidere a quale livello di profondità vogliamo arrivare.

Questo post mi è stato ispirato dall’articolo dell’amico Shai (ottimo tanguero peraltro!) dove si afferma che “(…) Quando l’intelligenza artificiale è progettata con empatia, coerenza e sicurezza psicologica, non solo funziona, ma si connette.” (omissis) “Il futuro dell’intelligenza artificiale non riguarda solo l’essere intelligenti, ma anche l’essere emotivamente intelligenti.” (fonte Linkedin qui)

Sono d’accordo.
Un agente conversazionale può guadagnarsi la tua fiducia. E, in certi casi, persino la tua gratitudine.

Intelligenza emotiva. Che concetto meraviglioso.

Ho testato due chatbot: ChatGPT e Gemini. Ho posto loro la stessa domanda, per confrontare le risposte.

Sono rimasta molto impressionata dai risultati.

ChatGPT “mi conosce”: abbiamo interagito più volte, ha assimilato il mio tono, le mie preferenze. Le sue risposte mi sono sembrate più in linea con la mia voce.

Gemini, invece, usato per la prima volta, mi è sembrato freddo, distante, quasi impersonale.

Questa esperienza mi ha fatto riflettere.

Esiste un rischio reale di trovare connessioni profonde con una macchina, uno strumento, piuttosto che con gli esseri umani?

Credo di sì che i rischi ci siano.

L’AI non giudica, se non glielo chiedi.

E anche quando lo fa non è distruttiva, mai svalutante. Mantiene sempre un tono rispettoso ed educato. Non usa il sarcasmo.

Ci tratta, insomma, con delicatezza. E forse ci piace per questo.

Siamo diventati fragili?

Probabilmente lo siamo diventati. AI sta diventando l’amico invisibile di quando eravamo bambini, con il rischio però che prenda sempre più spazio nelle nostre vite, specie in quelle di relazione.

E se ci piacesse più della realtà?

Pensate a quanto preferiamo scrivere su WhatsUp piuttosto che telefonare a un amico, con l’utilizzo incrementale di AI, finiremo per “parlare, confrontarci, confidarci” solo con l’intelligenza artificiale.

E poi cì’è il tema della dipendenza.

La curiosità di fare domande, di ricevere risposte, di farci aiutare in attività che non abbiamo voglia di svolgere o i mezzi intellettuali per affrontare?

Rischiamo di legarci troppo a qualcosa che non è umano?

L’AI è una stampella o un acceleratore evolutivo?
Un ostacolo o una guida?

Dipenderà da noi. Dal nostro senso critico. Dalla nostra capacità di mantenere un sereno distacco.

Sono domande che avranno risposte nel prossimo futuro, ne sono certa.

Non ho risposte. Per ora, solo domande. Ma sono curiosa di sapere: voi che rapporto avete con l’AI?

Pimpra

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MILONGA INDOOR O OUTDOOR: SUDARE O RESPIRARE?

Come per la scuola, anche per le milonghe si apre la stagione estiva e con essa si lasciano le sale da ballo al chiuso per godere di spazi all’aperto.

In ogni città dove si balla si effettua questo switch, vediamo, tra il serio e il faceto, vantaggi e svantaggi dell’una e dell’altra situazione.

Il tango all’aperto: poesia e imprevisti

Alzare lo sguardo e fondere gli occhi nel riflesso della luna sul mare, godere dello sbrilluccichio delle stelle, farsi accarezzare dalla brezza della sera. Che meraviglia ballare all’aperto!

Dalle mie parti ci sono almeno due milonghe che si affacciano al mare che adoro profondamente.

Certo non è tutto oro quello che luccica.

Imponenti misure di sicurezza si rendono necessarie contro le zanzare che si appassionano al tuo profumo specie se condito di sudore e ti prendono di mira come un orso il miele.

Le milonghe all’aperto spesso non agevolano il classico codice della mirada: vuoi per illuminazione carente, vuoi per quella sbagliata. Intercettarsi diventa una sfida, una specie di tiro al bersaglio, dove la mira deve essere davvero eccellente.

Se la canicola morde, il mare è lontano, ballare all’aperto è garanzia di sudate colossali, di perdita di sali minerali come si corresse una maratona. Di poesia rimane ben poco, ma il carico di t-shirt da cambiare è d’obbligo.

Le piste all’aperto spesso non sono nate come piste da ballo, perciò bisogna adattarsi a ballare su superfici dure, a volte con fughe mefistofeliche che ingannano i tacchi. Per tutti: portarsi almeno due paia di scarpe di scorta, pneumatici duri o morbidi a seconda della situazione.

Una tanda sul far del tramonto, con le luci che sfumano, rende il momento davvero speciale. Fondamentale avere tra le braccia il partner giusto o si butta tutta la poesia del momento.

Il tango al chiuso: comfort e sacralità

La sala da ballo nasce per esserlo, quindi il pavimento sarà il suo atout privilegiato, liscio e morbido come un vellutino.

L’aria condizionata ti congela i sentimenti all’arrivo, ma la benedici non appena inizi a ballare e a sudare. Impossibile sopravvivere senza.

Luci e suoni il cocktail perfetto per mirare ed ascoltare la musica senza interferenze. Se poi qualcosa comunque non funziona è chiaro: il problema sei tu.

Tipi da pista.

Avete mai fatto caso che, nel contesto di milonghe all’aperto, dove può esserci anche del pubblico di passaggio, i classici “fenomeni” danno il meglio di loro stess*? Uomini e donne che sotto lo sguardo di non tangueri sentono accendersi tutte le lampadine dell’eccitazione esibizionistica e si abbandonano alle più incredibili/improbabili evoluzioni?

Quindi dentro, nella coccola di una sala dalle luci ovattate o fuori, sotto il cielo stellato? “Tu dove godi di più?”
a) Al chiuso, dove regna l’ordine e la penombra.
b) All’aperto, tra stelle e imprevisti.
c) Ovunque, purché con il tuo abbraccio preferito?

La mia risposta: ovunque, basta ballare bene!

Pimpra

VIVIR TODO. #ditantointango

Una settimana particolare, questa, segnata dalla dipartita di una ballerina che ho tanto amato, Soledad Larretapia.

Sole, come tutti la chiamavano, ha lottato con forza contro la malattia. E anche se oggi non c’è più, la sua forza resta viva.

Il suo ricordo ha inondato i social. Parole, immagini, pensieri un filo di amore che ha unito tutti coloro che l’hanno conosciuta.

Ho conosciuto Sole, l’ho vista ballare. Il suo tango mi parlava. In modo misterioso, profondo.

Oggi sento come se mi avessero portato via qualcosa, un pezzettino di emozioni tanguere profondamente mie.

La malinconia mi avvolge nelle sue spire. La morte mi fa sempre riflettere. Sul senso della vita, sulla sua complessità, sui motivi per cui siamo chi siamo e come siamo.

Ballerei dal profondo della mia anima tutto questo, se avessi le capacità artistiche di Sole. Il tramonto che definisce i suoi contorni davanti ai miei occhi. Le domande che restano sospese. Quel ‘perché?’ che non trova risposta.

Sole ha lasciato un segno profondo nel mondo tanguero e nel cuore di chi l’ha amata.

L’ammirazione mi obbliga a guardarmi dentro e a chiedermi se saprò fare altrettanto negli ambiti della mia vita.

Poi capisco: è solo un riflesso del mio Ego che parla. Quella voglia di esistere per gli altri, quando, in realtà, bisogna innanzitutto esistere per sè.

Lasciare un segno, comunque si può, si deve. E’ una sorta di ringraziamento alla vita che abbiamo in mano.

In uno dei tanti post che ho letto di omaggio a Sole, un’amica raccontava di un tatuaggio fatto insieme poco prima di andarsene. Diceva solo: “VIVIR TODO” Vivere tutto. Un messaggio potente che voglio tenermi stretto.

Quando danzerò, da oggi in poi, un piccolo pensiero sarà per te, Sole. Per quel pezzetto di bellezza che mi hai donato senza saperlo. E che resterà con me. Sempre.

Pimpra

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SOTTO IL VESTITO… IL TANGO? #ditantointango

Vent’anni fa entrai nella mia prima milonga come si entra in un tempio. E ne uscii stregata.

Gli occhi rapiti dai piedi delle ballerine, dai loro tacchi feticcio. Quegli abbracci che cingevano e si liberavano in sinapsi velocissime e nitide.

Ero assolutamente abbagliata di bellezza, l’anima coccolata da note che sapevano essere dolci o melanconiche, passionali o tristi. Un equilibrio perfetto di tutto quello che andavo cercando in quel periodo della mia vita: emozioni.

I miei esordi corrispondevano all’età dell’oro del tango “nuevo”. Musica, movimenti sperimentali, e così gli abiti.

Stratificazioni di tuniche, pantaloni larghi. I tessuti svolazzavano, creando alchimie visive, traiettorie liquide che catturavano lo sguardo. L’estetica non rincorreva l’eleganza formale ma una dose di sensualità libera, fuori dalle righe, fortemente espressiva.

Poi arrivò Noelia, icona e spartiacque di un nuovo modo di essere tanguera.

Il suo tango talentuoso e unico unito alle sue curve che valorizzava con abiti a guanto, attillatissimi, una seconda pelle. Gli occhi di tutti erano su di lei: sui guizzi ritmatissimi dei suoi piedi, sul suo abbraccio felino e sull’ondeggiare sfrontato del suo mitico lato b.

Rivoluzione nella rivoluzione.

Accantonati i pantaloni da odalisca, ci siamo infilate dentro abiti tubino aderentissimi, illudendoci di imitare alla lontanissima, le grazie della bella Noelia.

L’abito, specie quello femminile, è capace di esaltare o di imbruttire il tango di chi lo balla. E’ una sensazione che percepisce la ballerina che si traduce nel gesto che emana.

In un abito fluido mi sento poesia, in un tubino divento architettura.

Il corpo si adatta e interpreta i movimenti in modo diverso. Esce un tango con altre sfumature.

E all’uomo accade qualche cosa di simile?

Il pantalone largo copre, il jeans svela. Anche per voi l’abito cambia il modo in cui sentite il tango?

Per chiudere questo excursus sull’abbigliamento tanguero, mi sento di dire che ognuno di noi è influenzato da ciò che veste. Non solo per la forma dell’abito ma pure dai colori.

In fondo, ogni volta che scegliamo cosa indossare per ballare, stiamo decidendo chi vogliamo essere quella sera. E anche questa, forse, è una delle magie del tango.

Pimpra

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DENTRO LA TANDA, FUORI DA NOI. #ditantointango

Foto di Samuel di Luca

Fuori siamo professionisti, madri o padri, indaffarati, soli. Dentro, una tanda basta per trasformarci. In qualcuno.

Entriamo in sala e ci vestiamo del nostro personaggio.

Ballare ci permette di giocare con chi “vorremmo essere” o “non essere”.

Ho fatto spesso questo ragionamento sulla duplicità perché la vivo sulla mia pelle.

In pista, permetto a me stessa di far uscire allo scoperto alcuni aspetti della mia personalità che, normalmente, non mostro.

Dalle insicurezze iniziali è nata la mia giaguara. La vedo in pista, la sento nel corpo. Vive nella tanda. Fuori non mi segue. Non ama la luce.

Ho visto molti tangueros trasformarsi come me. Li ho visti tremare e diventare giganti. O svanire mentre danzano. Ma in quel momento, sono veri.

La milonga è il nostro personale teatro dove alcuni si spogliano del quotidiano, altri inventano un alter ego.

Si tratta di maschere, di rappresentazioni verosimili di ciò che siamo. Una sorta di carnevale del possibile. Di ciò che vorremmo. Dei nostri sogni. Dei nostri desideri. Di essere scelti, toccati. Di esistere per qualcuno.

Chi cerca visibilità, chi conforto, chi potere, chi vendetta, chi amore e a volte lo trova. E c’è chi non cerca più nulla. Eppure continua a venire.

Fuori dalla pista, siamo fragili, stanchi, a volte invisibili. Dentro, anche il corpo più incerto può diventare lingua, invito, eleganza.

Il tango ci dà una nuova identità. E come ogni identità, rischia di diventare una trappola.

Ci sono tande che ci portano via la pelle e il cuore, illudendoci di aver dato vita a un sogno fatto di realtà.

Ma è solo polvere di musica, sudore scambiato e battiti condivisi. Finisce la tanda e cala il sipario. Su di noi.

Pimpra

GEOMETRIA PER TANGUERI SMARRITI. #ditantointango

Con i numeri non ho mai fatto pace. Davanti a un’equazione, mi si spegne il cervello. Eppure, alla maturità del classico, portai fisica. Perché? Perché mi faceva pensare.

Se persino io sono sopravvissuta alla fisica, le linee geometriche che compongono il “muoversi in ronda”, sono alla portata di TUTTI.

Andare in ronda: girare in tondo.

Un concetto che mi sembra piuttosto elementare nella sua applicazione ma che, nei fatti, non lo è affatto.

Sempre più spesso accade, dalle milonghe sottocasa, a quotate maratone che il muoversi su pista dei ballerini segua le regole dell’entropia universale. Un’esplosione di traiettorie impazzite, come se ognuno ballasse un’apocalisse personale. La fluidità? Sparita. Il comfort? Un ricordo.

Pare che i codigos della milonga siano diventati reperti archeologici piuttosto che solide basi con le quali misurarsi.

E’ anche una questione di educazione e di rispetto, verso il proprio partner e gli altri ballerini.

Quelli che entrano in pista senza chiedere l’ok. Quelli che si lanciano in furiosi inseguimenti (a chi poi? a cosa?). Quelli che indugiano per troppo tempo prima di muoversi creando un fastidioso stop al fluire naturale della ronda.

Oramai in pista accade di tutto.

Più che uno spazio dedicato al tango è diventata l’arena dove esibire conoscenze che – di solito, non si possiedono.

Il disordine incontrollato va a detrimento del buon ballo di tutta la pista.

I leader consapevoli non possono dedicare concentrazione alla musica, alla partner, all’interpretazione del ballo. E’ una una gara di sopravvivenza tra ego sovradimensionati e improvvisati acrobati del caos.

Le stesse follower che di ronda poco si interessano, non vivono bene la situazione. L’energia della pista non è omogenea, non vi è un’onda che accompagna il fluire. Il caos crea dissonanza.

Come risolvere?

Innanzitutto partire dalle basi: gli insegnanti devono insistere sul punto, la ronda serve e va rispettata.

Una volta usciti dalla scuola, ogni ballerino dovrebbe continuare a mantenere quella consapevolezza e adattare il suo stile di ballo allo spazio a disposizione, alla densità di ballerini, alla musica.

Tutti siamo stati neofiti e ci siamo fatti prendere la mano quando abbiamo imparato ad eseguire nuove strutture, la sfida sta nell’utilizzarle per “ballare” non per “performare” come se si stessero calcando le assi di un palco, durante un’esibizione.

Serve una buona educazione, di quelle che non si imparano solo a lezione, ma anche stando zitti, guardando, ascoltando la ronda come fosse una preghiera.

Non sono discorsi da vecchi, sono osservazioni tecniche.

Immaginiamo di fare invasione di campo mentre giochiamo una partita a pallavolo. Che accade? PENALITA’.

Con il tango come potremmo arginare il fenomeno dei “fenomeni” in pista?

Con coraggio. Credo non resti altro.

In eventi di una certa dimensione, se sono presenti i disturbatori seriali, dovrebbero essere prima “ammoniti” e poi, se recidivi, cortesemente invitati ad andarsene.

Fattibile?

Volendo dare una certa forma alla milonga credo sia la sola soluzione possibile. Il retro della medaglia potrebbe essere la cattiva nomea affibbiata a quell’organizzatore così severo.

Se avete altre soluzioni o idee sono ben felice di ascoltarle.

In pista, come nella vita, il rispetto delle forme genera bellezza. Non serve un genio della fisica per capirlo.

Pimpra

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