MARATONGUERA 8.0. LA MAGIA DEL CERCHIO #ditantointango

Se dovessi descrivere l’ultimo fine settimana, penserei alla magia di un cerchio. Forma perfetta che tutto contiene.

Una gita tanguera ad alto tasso di chilometri in un paesino incastonato sulla costa sabbiosa e verdeggiante di quel tratto di Liguria.

Maratonguera ha festeggiato la sua ottava edizione eppure, una volta arrivati, sembra il tempo si sia fermato. La locanda del Pilota che ospita l’evento all’aperto è fedele a se stessa dal 1923 conferendo quella patina di sicurezza delle cose che durano nel tempo.

La terrazza a piccolissimi mosaici azzurri, il fiume Magra affronta gli ultimi metri prima di tuffarsi in mare, la brezza non manca mai, la frittura di pesce si gusta tra un D’Arienzo e un Biagi quando scendono finalmente le ombre della sera.

La Maratonguera è un evento atipico, si tratta più di un ritrovo di amici con la stessa passione tanguera che si danno appuntamento in un luogo più o meno comodamente raggiungibile per tutti (triestini a parte, ça va sans dire).

Hai voglia: balli. Hai voglia: chiacchieri. Hai voglia: sorseggi dal tuo calice una bollicina. Le parole d’ordine sono: relax, “scialla”, prendila con calma, qui nessuno ha fretta.

Questo clima è contagioso, perchè, oltre ad impegnarti per sopravvivere al gran caldo che quest’anno è stato davvero poderoso, altro non devi fare che divertirti. I convenuti lo sanno e non perdono un solo attimo di piacevole gaudio.

All’una la musica si ferma e inizia un’altra festa. Il cerchio di persone si forma, il prosecco comincia a riempire i bicchieri perchè bisogna festeggiare. La vita, la gioia di ritrovarsi ogni anno, il piacere di aver ballato insieme.

La notte cala, siamo stanchi ma il potere di quel cerchio che unisce ci tiene legati.

La luna si specchia nella lingua di fiume alle nostre spalle, regalandoci uno spicchio della sua inconfondibile luce. Penso a Sole. A lei, che ci guarda da lassù, e forse sorride del nostro piccolo, meraviglioso cerchio.

Pimpra

I GIORNI IN CUI NON SUCCEDO.

Ci sono giorni in cui non succede niente. Non un pensiero brillante, non un desiderio, non un sogno da fare ad occhi aperti.

L’estate finalmente brucia sulla pelle, ma tu non sei sintonizzata su quell’onda calda.

Telefonate lunghe, confidenze sussurrate. Ti rendi conto che la tua vita è uguale a quella di mille altri. Rincuora ma fa pensare.

La noia si abbatte dentro ore bruciate di sole. Una voce ti rimprovera e ti dice così non va bene.

Da sola mi sento un gigante. La libertà che ho nelle mani esplode in scintille di godimento. No non posso ridurmi a vegetare, voglio vivere.

L’acqua è di un tenue azzurro, riflette le piastrelle chiare del fondo della piscina. La luce è così potente che trafigge le pupille. Respiro il delicato aroma del cloro. Ascolto il canticchiare dell’acqua mossa da mani asincrone. Mi connetto. Indosso la cuffia, gli occhialini scuri e salto dentro il liquido.

Bracciata dopo bracciata il pensiero svanisce, la mente si libera. Uno due uno due. I punti di leva del mio corpo si fanno caldi e morbidi. Il corpo prende la forma dell’acqua.

Non sono più un’atleta, il mio ritmo è lento e inesorabile.

Uno due, uno due.

Non c’è più nulla intorno, solo lo sciabordio dell’acqua, la luce che riverbera forte, il respiro ritmato e il cuore che accompagna questa danza.

Uno due, uno due.

La miglior pausa pranzo di sempre. E sto.

Pimpra

MILONGA INDOOR O OUTDOOR: SUDARE O RESPIRARE?

Come per la scuola, anche per le milonghe si apre la stagione estiva e con essa si lasciano le sale da ballo al chiuso per godere di spazi all’aperto.

In ogni città dove si balla si effettua questo switch, vediamo, tra il serio e il faceto, vantaggi e svantaggi dell’una e dell’altra situazione.

Il tango all’aperto: poesia e imprevisti

Alzare lo sguardo e fondere gli occhi nel riflesso della luna sul mare, godere dello sbrilluccichio delle stelle, farsi accarezzare dalla brezza della sera. Che meraviglia ballare all’aperto!

Dalle mie parti ci sono almeno due milonghe che si affacciano al mare che adoro profondamente.

Certo non è tutto oro quello che luccica.

Imponenti misure di sicurezza si rendono necessarie contro le zanzare che si appassionano al tuo profumo specie se condito di sudore e ti prendono di mira come un orso il miele.

Le milonghe all’aperto spesso non agevolano il classico codice della mirada: vuoi per illuminazione carente, vuoi per quella sbagliata. Intercettarsi diventa una sfida, una specie di tiro al bersaglio, dove la mira deve essere davvero eccellente.

Se la canicola morde, il mare è lontano, ballare all’aperto è garanzia di sudate colossali, di perdita di sali minerali come si corresse una maratona. Di poesia rimane ben poco, ma il carico di t-shirt da cambiare è d’obbligo.

Le piste all’aperto spesso non sono nate come piste da ballo, perciò bisogna adattarsi a ballare su superfici dure, a volte con fughe mefistofeliche che ingannano i tacchi. Per tutti: portarsi almeno due paia di scarpe di scorta, pneumatici duri o morbidi a seconda della situazione.

Una tanda sul far del tramonto, con le luci che sfumano, rende il momento davvero speciale. Fondamentale avere tra le braccia il partner giusto o si butta tutta la poesia del momento.

Il tango al chiuso: comfort e sacralità

La sala da ballo nasce per esserlo, quindi il pavimento sarà il suo atout privilegiato, liscio e morbido come un vellutino.

L’aria condizionata ti congela i sentimenti all’arrivo, ma la benedici non appena inizi a ballare e a sudare. Impossibile sopravvivere senza.

Luci e suoni il cocktail perfetto per mirare ed ascoltare la musica senza interferenze. Se poi qualcosa comunque non funziona è chiaro: il problema sei tu.

Tipi da pista.

Avete mai fatto caso che, nel contesto di milonghe all’aperto, dove può esserci anche del pubblico di passaggio, i classici “fenomeni” danno il meglio di loro stess*? Uomini e donne che sotto lo sguardo di non tangueri sentono accendersi tutte le lampadine dell’eccitazione esibizionistica e si abbandonano alle più incredibili/improbabili evoluzioni?

Quindi dentro, nella coccola di una sala dalle luci ovattate o fuori, sotto il cielo stellato? “Tu dove godi di più?”
a) Al chiuso, dove regna l’ordine e la penombra.
b) All’aperto, tra stelle e imprevisti.
c) Ovunque, purché con il tuo abbraccio preferito?

La mia risposta: ovunque, basta ballare bene!

Pimpra

VIVIR TODO. #ditantointango

Una settimana particolare, questa, segnata dalla dipartita di una ballerina che ho tanto amato, Soledad Larretapia.

Sole, come tutti la chiamavano, ha lottato con forza contro la malattia. E anche se oggi non c’è più, la sua forza resta viva.

Il suo ricordo ha inondato i social. Parole, immagini, pensieri un filo di amore che ha unito tutti coloro che l’hanno conosciuta.

Ho conosciuto Sole, l’ho vista ballare. Il suo tango mi parlava. In modo misterioso, profondo.

Oggi sento come se mi avessero portato via qualcosa, un pezzettino di emozioni tanguere profondamente mie.

La malinconia mi avvolge nelle sue spire. La morte mi fa sempre riflettere. Sul senso della vita, sulla sua complessità, sui motivi per cui siamo chi siamo e come siamo.

Ballerei dal profondo della mia anima tutto questo, se avessi le capacità artistiche di Sole. Il tramonto che definisce i suoi contorni davanti ai miei occhi. Le domande che restano sospese. Quel ‘perché?’ che non trova risposta.

Sole ha lasciato un segno profondo nel mondo tanguero e nel cuore di chi l’ha amata.

L’ammirazione mi obbliga a guardarmi dentro e a chiedermi se saprò fare altrettanto negli ambiti della mia vita.

Poi capisco: è solo un riflesso del mio Ego che parla. Quella voglia di esistere per gli altri, quando, in realtà, bisogna innanzitutto esistere per sè.

Lasciare un segno, comunque si può, si deve. E’ una sorta di ringraziamento alla vita che abbiamo in mano.

In uno dei tanti post che ho letto di omaggio a Sole, un’amica raccontava di un tatuaggio fatto insieme poco prima di andarsene. Diceva solo: “VIVIR TODO” Vivere tutto. Un messaggio potente che voglio tenermi stretto.

Quando danzerò, da oggi in poi, un piccolo pensiero sarà per te, Sole. Per quel pezzetto di bellezza che mi hai donato senza saperlo. E che resterà con me. Sempre.

Pimpra

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SOTTO IL VESTITO… IL TANGO? #ditantointango

Vent’anni fa entrai nella mia prima milonga come si entra in un tempio. E ne uscii stregata.

Gli occhi rapiti dai piedi delle ballerine, dai loro tacchi feticcio. Quegli abbracci che cingevano e si liberavano in sinapsi velocissime e nitide.

Ero assolutamente abbagliata di bellezza, l’anima coccolata da note che sapevano essere dolci o melanconiche, passionali o tristi. Un equilibrio perfetto di tutto quello che andavo cercando in quel periodo della mia vita: emozioni.

I miei esordi corrispondevano all’età dell’oro del tango “nuevo”. Musica, movimenti sperimentali, e così gli abiti.

Stratificazioni di tuniche, pantaloni larghi. I tessuti svolazzavano, creando alchimie visive, traiettorie liquide che catturavano lo sguardo. L’estetica non rincorreva l’eleganza formale ma una dose di sensualità libera, fuori dalle righe, fortemente espressiva.

Poi arrivò Noelia, icona e spartiacque di un nuovo modo di essere tanguera.

Il suo tango talentuoso e unico unito alle sue curve che valorizzava con abiti a guanto, attillatissimi, una seconda pelle. Gli occhi di tutti erano su di lei: sui guizzi ritmatissimi dei suoi piedi, sul suo abbraccio felino e sull’ondeggiare sfrontato del suo mitico lato b.

Rivoluzione nella rivoluzione.

Accantonati i pantaloni da odalisca, ci siamo infilate dentro abiti tubino aderentissimi, illudendoci di imitare alla lontanissima, le grazie della bella Noelia.

L’abito, specie quello femminile, è capace di esaltare o di imbruttire il tango di chi lo balla. E’ una sensazione che percepisce la ballerina che si traduce nel gesto che emana.

In un abito fluido mi sento poesia, in un tubino divento architettura.

Il corpo si adatta e interpreta i movimenti in modo diverso. Esce un tango con altre sfumature.

E all’uomo accade qualche cosa di simile?

Il pantalone largo copre, il jeans svela. Anche per voi l’abito cambia il modo in cui sentite il tango?

Per chiudere questo excursus sull’abbigliamento tanguero, mi sento di dire che ognuno di noi è influenzato da ciò che veste. Non solo per la forma dell’abito ma pure dai colori.

In fondo, ogni volta che scegliamo cosa indossare per ballare, stiamo decidendo chi vogliamo essere quella sera. E anche questa, forse, è una delle magie del tango.

Pimpra

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DENTRO LA TANDA, FUORI DA NOI. #ditantointango

Foto di Samuel di Luca

Fuori siamo professionisti, madri o padri, indaffarati, soli. Dentro, una tanda basta per trasformarci. In qualcuno.

Entriamo in sala e ci vestiamo del nostro personaggio.

Ballare ci permette di giocare con chi “vorremmo essere” o “non essere”.

Ho fatto spesso questo ragionamento sulla duplicità perché la vivo sulla mia pelle.

In pista, permetto a me stessa di far uscire allo scoperto alcuni aspetti della mia personalità che, normalmente, non mostro.

Dalle insicurezze iniziali è nata la mia giaguara. La vedo in pista, la sento nel corpo. Vive nella tanda. Fuori non mi segue. Non ama la luce.

Ho visto molti tangueros trasformarsi come me. Li ho visti tremare e diventare giganti. O svanire mentre danzano. Ma in quel momento, sono veri.

La milonga è il nostro personale teatro dove alcuni si spogliano del quotidiano, altri inventano un alter ego.

Si tratta di maschere, di rappresentazioni verosimili di ciò che siamo. Una sorta di carnevale del possibile. Di ciò che vorremmo. Dei nostri sogni. Dei nostri desideri. Di essere scelti, toccati. Di esistere per qualcuno.

Chi cerca visibilità, chi conforto, chi potere, chi vendetta, chi amore e a volte lo trova. E c’è chi non cerca più nulla. Eppure continua a venire.

Fuori dalla pista, siamo fragili, stanchi, a volte invisibili. Dentro, anche il corpo più incerto può diventare lingua, invito, eleganza.

Il tango ci dà una nuova identità. E come ogni identità, rischia di diventare una trappola.

Ci sono tande che ci portano via la pelle e il cuore, illudendoci di aver dato vita a un sogno fatto di realtà.

Ma è solo polvere di musica, sudore scambiato e battiti condivisi. Finisce la tanda e cala il sipario. Su di noi.

Pimpra

GEOMETRIA PER TANGUERI SMARRITI. #ditantointango

Con i numeri non ho mai fatto pace. Davanti a un’equazione, mi si spegne il cervello. Eppure, alla maturità del classico, portai fisica. Perché? Perché mi faceva pensare.

Se persino io sono sopravvissuta alla fisica, le linee geometriche che compongono il “muoversi in ronda”, sono alla portata di TUTTI.

Andare in ronda: girare in tondo.

Un concetto che mi sembra piuttosto elementare nella sua applicazione ma che, nei fatti, non lo è affatto.

Sempre più spesso accade, dalle milonghe sottocasa, a quotate maratone che il muoversi su pista dei ballerini segua le regole dell’entropia universale. Un’esplosione di traiettorie impazzite, come se ognuno ballasse un’apocalisse personale. La fluidità? Sparita. Il comfort? Un ricordo.

Pare che i codigos della milonga siano diventati reperti archeologici piuttosto che solide basi con le quali misurarsi.

E’ anche una questione di educazione e di rispetto, verso il proprio partner e gli altri ballerini.

Quelli che entrano in pista senza chiedere l’ok. Quelli che si lanciano in furiosi inseguimenti (a chi poi? a cosa?). Quelli che indugiano per troppo tempo prima di muoversi creando un fastidioso stop al fluire naturale della ronda.

Oramai in pista accade di tutto.

Più che uno spazio dedicato al tango è diventata l’arena dove esibire conoscenze che – di solito, non si possiedono.

Il disordine incontrollato va a detrimento del buon ballo di tutta la pista.

I leader consapevoli non possono dedicare concentrazione alla musica, alla partner, all’interpretazione del ballo. E’ una una gara di sopravvivenza tra ego sovradimensionati e improvvisati acrobati del caos.

Le stesse follower che di ronda poco si interessano, non vivono bene la situazione. L’energia della pista non è omogenea, non vi è un’onda che accompagna il fluire. Il caos crea dissonanza.

Come risolvere?

Innanzitutto partire dalle basi: gli insegnanti devono insistere sul punto, la ronda serve e va rispettata.

Una volta usciti dalla scuola, ogni ballerino dovrebbe continuare a mantenere quella consapevolezza e adattare il suo stile di ballo allo spazio a disposizione, alla densità di ballerini, alla musica.

Tutti siamo stati neofiti e ci siamo fatti prendere la mano quando abbiamo imparato ad eseguire nuove strutture, la sfida sta nell’utilizzarle per “ballare” non per “performare” come se si stessero calcando le assi di un palco, durante un’esibizione.

Serve una buona educazione, di quelle che non si imparano solo a lezione, ma anche stando zitti, guardando, ascoltando la ronda come fosse una preghiera.

Non sono discorsi da vecchi, sono osservazioni tecniche.

Immaginiamo di fare invasione di campo mentre giochiamo una partita a pallavolo. Che accade? PENALITA’.

Con il tango come potremmo arginare il fenomeno dei “fenomeni” in pista?

Con coraggio. Credo non resti altro.

In eventi di una certa dimensione, se sono presenti i disturbatori seriali, dovrebbero essere prima “ammoniti” e poi, se recidivi, cortesemente invitati ad andarsene.

Fattibile?

Volendo dare una certa forma alla milonga credo sia la sola soluzione possibile. Il retro della medaglia potrebbe essere la cattiva nomea affibbiata a quell’organizzatore così severo.

Se avete altre soluzioni o idee sono ben felice di ascoltarle.

In pista, come nella vita, il rispetto delle forme genera bellezza. Non serve un genio della fisica per capirlo.

Pimpra

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NEI PANNI DI UN “MEDIOMAN” TANGUERO. #ditantointango

Alzi la mano chi non ha mai stramaledetto la tanda eseguita, magari per distrazione, con un “medioman” tanguero.

Dicesi Medioman tanguero quel tanguero che dopo percorsi di studio o frequentazione di più o meno svariati corsi di tango, non riesce ad esprimere interpretazione della musica, propone una due o tre sequenze di passi che sono sempre uguali, balla tango-milonga-vals, Pugliese, D’Arienzo, Troilo come se fossero la stessa cosa. Insomma il leader che è la classica X sulla schedina del piacere: non si può dire un disastro ma neppure un fuoco d’artificio, ma, soprattutto, si connota per essere troppo prevedibile.

Per non fare sconti a nessuno, esiste la medesima figura pure per lei. La Mediowoman tanguera è quella follower senza infamia e senza lode, quella che, sente D’Arienzo, Pugliese o Vargas, non modifica nulla nella sua energia, nei suoi movimenti, come se l’onda potente delle note non la riguardasse.

Si muove facilmente, leggera, come una foglia al vento.

Personalità non pervenuta.

Quando due medioman si incontrano nell’abbraccio ce ne accorgiamo: lui impasta le sue sequenze tutte uguali, lei lo segue con distacco. Manca la scintilla, quella connessione vibrante di anime.

Non posso smettere di chiedermi perchè ostinarsi a ballare così, senza colore, con poche forme, senza varietà, almeno energetica.

Allora penso entrino in gioco dinamiche più legate alla psiche che al puro sapere tanguero.

Il leader sente di aver bisogno del controllo per evitare l’errore. Tiene saldamente la regia della tanda. Immagina che un pacchetto preconfezionato di passi/strutture/movimenti possa soddisfare la follower.

Spesso accade che lei non si prenda spazio, non osi, non si esponga. Sta e basta. Quasi passiva mi verrebbe da dire, anche se a marca, esegue.

Qui sta il punto: eseguire non è ballare.

Esecuzione è movimento, gesto, linea. Senza l’emozione che nasce dall’incontro tra musica e abbraccio rischia di essere una combinazione vuota. Magari eseguita tecnicamente in modo ineccepibile, ma assolutamente priva di scintilla.

Ogni danza necessita di un bagaglio che deve necessariamente essere tecnico ed espressivo.

Il tango argentino credo possa essere una delle massime espressioni di questa diade: corpo e cuore.

Come follower mi aspetto, specie da leader navigati, la capacità di ballare per esprimere, non per muoversi. Se voglio solo muovermi, vado in palestra.

So che è molto difficile, specie per il leader: gestire la ronda sempre più impazzita, impegna moltissimo la concentrazione portandola via alla creatività della tanda. Ciononostante vorrei un leader che si sentisse libero di osare anche se- a causa di forza maggiore, il rischio di sbagliare è più alto.

Preferisco una tanda “sporca” ma vissuta, goduta e complice, al compitino ben eseguito.

La modalità “medioman/woman” è forse legata alla stanchezza?

Dopo 5-6 ore ininterrotte di ballo, arriva il momento in cui i serbatoi di energia, vitalità, creatività si esauriscono. E’ quello il momento di togliersi le scarpe e andare via.

Nunquam in medio.

Almeno proviamoci. Ogni volta che entriamo in quell’abbraccio.

Pimpra

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Tango, amore e altre catastrofi. #ditantointango

Cosa c’è di più bello di ballare una tanda legati in un abbraccio che profuma d’amore? Magari condito di una buona dose di frullato di ormoni?

Musica che soffia sul fuoco della passione, accende l’intesa, aumenta quel senso di appartenenza dell’io al tu?

Ok smettiamo di raccontarci le favole: non sono tutte rose e fiori!

Molti amici non tangueri mi chiedono come potrebbe essere iniziare il percorso di studio con il loro partner sentimentale.

Un tempo, da inguaribile romantica quale sono, avrei risposto: meraviglioso.

Oggi, da “risvegliata”, affermerei: non fatelo!

GIOIE E DOLORI DEL BALLO IN COPPIA.

Tra i vantaggi sicuramente la disponibilità del partner nell’affrontare il lungo (lunghissimo) percorso di studio.

Innegabile plus la comodità di essere coppia per partecipare ad eventi con iscrizione.

Se la coppia è fresca, giovane (sta insieme da poco), cingersi in un tango, beh, diciamocelo regala una bella botta di endorfine.

MA…

Vogliamo affrontare tutti i piccoli e grandi disagi che si presentano davanti, come minuscoli o immensi ostacoli da superare per i piccioncini che vanno a ballare insieme, coppia sentimentale.

LE REGOLE

Dopo le prime mega baruffe consumate dentro o fuori dalla pista, gli innamorati si danno delle regole, un loro cerimoniale non scritto per affrontare la serata danzante.

La prima e l’ultima tanda sono mie, tuona lei che ha bisogno di sentirsi rassicurata di essere il solo e unico soggetto di desiderio, danzante e non, presente in sala.

Non puntarmi sempre gli occhi addosso quando miro le altre, se non lo faccio non posso ballare, rincara lui che si sente dentro la casa del Grande Fratello con mille occhi addosso che registrano ogni suo movimento.

Questi sono solo due tra i tanti riti che la coppia si dà per non uscire dalla milonga con l’appuntamento dall’avvocato divorzista già prenotato.

Ma, non basta.

Tutti hanno sperimentato, da parte di lui e lei, la BLACK LIST dei ballerin* con cui vige il divieto assoluto di ballare, di mirare, di scambiare qualche parola.

Nulla è più irresistibile di una regola proibitiva: alla prima occasione balleremo proprio con il pirata (o la piratessa) RED FLAG. Come si dice: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

Andiamo la lezione. Territorio neutro.

Le baruffe micidiali che ho visto e vissuto sulla mia pelle con il partner sentimentale. Imparare è anche un gioco di potere dove si riaffermano gli equilibri forti all’interno della coppia, nessuno è disposto a cedere su territori faticosamente conquistati.

Capiamo bene, è un problema: rinfacciare gli errori o le inesattezze del partner con fare insistente o- peggio, insultandolo malamente, non porteranno lontano. Anzi no, spingeranno la coppia direttamente sull’orlo del baratro. Non solo tanguero.

Libertà.

Se ballo in una dimensione psicologica nella quale mi sento libero, ballerò meglio. Senza preoccupazioni di come si sente il mio partner di vita, senza sentirmi a disagio perchè lui/lei si sta divertendo massimamente mentre la mia serata non decolla.

Ci sono tantissime sfumature che possono essere direttamente letali per una coppia che non sia ben equilibrata, stabile, con basi forti.

Per tutti gli altri è come mettere la prua della nave puntando dritto dentro la tempesta.

Può essere una prova (AUGURI!), può essere un escamotage per finirla prima (epperò siete bastard*! non è meglio dirsi prima che non siamo più convinti di stare insieme?), può essere anche la celebrazione dell’amore, dell’armonia, della complicità.

Personalmente ho vissuto entrambe le possibilità: ho ballato da moglie (ora ex – guarda un po’! 😉 ), da compagna, da single.

Il tango migliore, secondo me, lo ballo da single. Nessuno mi scruta, nessuno mi giudica e vado a casa a serata finita con il cuore leggero.

A voi la scelta!

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

Questo weekend non ballerò. #ditantointango

Credevo di esserne uscita.

Ne ero quasi certa, dopo lo stop forzato della pandemia, credevo di essermi ripresa in mano la vita. Attività diversificate, viaggi, interessi.

Sono passati 5 anni da allora, 3 dalla mia prima maratona post pandemia.

Ed eccomi qui, arzilla signora di mezza età, nel fior fiore della sua dipendenza!

Viaggio per andare a ballare.

Gli amici che frequento sono (quasi) tutti tangueri.

Continuo a voler frequentare le maratone.

Insisto a prendere lezioni private.

Non mi decido ad appendere le scarpette al chiodo.

E niente, questo weekend non ballo. E mi chiedo se mi perderò qualche milonga favolosa. E continuo a star dietro alle iscrizioni agli eventi.

Controllo la mail per vedere se mi hanno risposto. Non mi hanno risposto, allora non mi prendono. Cerco un altro evento da sostituire. Ho pensato di iscrivermi a un evento in Finlandia, così, solo per il brivido della conferma.

Ecco come sto messa. Ma va tutto bene eh, la mia è una dipendenza sana. Solo il conto in banca mi dice il contrario, ma si sa che non sono mai stata brava a gestire le finanze.

Uscirne si può. Dicono.

Ma io non credo di volerlo.

“Ciao sono la Pimpra. Questo weekend non ballerò.”

Applausi in sala. Sipario. Luci spente. Tranne sul sito delle iscrizioni.

Pimpra

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