Dopo un mese esatto di lockdown casalingo, oggi ho rimesso un filo di trucco.
La conference call del pomeriggio è stata la scusa per presentarmi meno sciatta al mio interlocutore, nel tentativo di non apparire esattamente alla stregua del cassonetto che visito con grande piacere ogni giorno.
La casa che mi ospita è piena di specchi, oramai non ci faccio più caso ma prima, passando davanti a uno di essi, ho visto il mio volto diverso, avendo la sensazione di indossare una maschera. Non ho riconosciuto più me stessa, per quel filo di rossetto e di matita sugli occhi.
Mancava l’unicità di un volto naturalmente segnato, lo sguardo meno brillante, la bocca meno sensuale.
Sono rimasta colpita dall’effetto che ho fatto a me stessa e la mente è tornata al periodo pre epidemia, in cui, la faccia che davo al mondo era sempre piuttosto truccata, oggi direi “artefatta”.
L’umore non sta andando bene nell’ultimo periodo, mi sto lentamente ma inesorabilmente inabissando. Non trovo l’allegria, non percepisco gli stimoli, sono buttata nella mia giornata come fossi una pianta.
Oggi volevo fare un passaggio al supermercato per dei piccoli acquisti, arrivata davanti, ho girato sui tacchi perché c’era la fila.
Non ho pazienza, non ho desideri, elettroencefalogramma piatto.
E sono costretta a fare i conti con me stessa, con la noia che mi corrode e che non so gestire, con l’umanità che vorrei intorno e dalla quale vorrei anche stare lontana. Non sto bene, questo è. La salute, quella, per fortuna, è a posto ma la testa non gira, è piantata nella melma e sta lentamente affondando.
Vorrei non essere come sono.
Vorrei prendermi cura di me, ricordarmi di farmi bella, cercare di passare questo tempo solitario, investendo in attività che mi facciano crescere.
Vorrei, ma non posso.
Come se le ruote dell’ingranaggio si fossero di colpo fermate e io stessi in attesa di essere riparata.
Vorrei, ma non posso.
Poi leggo, osservo, ascolto le voci degli altri e mi pare che dietro ai sorrisi che decidiamo di dedicarci, ci sia più un intento di farci un coraggio collettivo, più che vera allegria. Allora mi dico che stiamo a pezzi, e questi pezzi sono piccoli e sono tantissimi e che per rimetterli insieme ci vuole una santa pazienza e molto tempo.
Allora mi dico va bene così, oggi, ieri, domani non sarò brillante, non riuscirò a sorridere probabilmente, sarò torva, forse arrabbiata o indolente e accetterò queste sfumature sbagliate, così poco social e sociali ma tant’è.
Perchè in questo delirio almeno una cosa mi è chiara: quando passo davanti a uno specchio voglio vedere me, non una maschera.
VI ABBRACCIO.
Pimpra
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