TTM: I segreti di una maratona che impara. #ditantointango

Se è vero che “una mela al giorno toglie il medico di torno”, per me, Torino è la mia mela, la mia annuale dose di benessere. Almeno una visita l’anno in questa città ti ripaga da ogni affanno.

La scusa per tornare è sempre la stessa: un evento di tango. Si chiami Eroica o Torino Tango Marathon poco cambia, solo il numero di partecipanti, la sede è quella meraviglia del Fortino che si specchia nelle acque dinamiche della Dora.

Torino vale sempre il viaggio, ve lo dico. La città è semplicemente meravigliosa, pur aggirandomi in un perimetro non enorme se confrontato all’estensione della città, ogni volta faccio nuove scoperte che mi sorprendono.

Sono passati i tempi in cui mi presentavo puntuale a ballare la prima tanda, adesso, se il contesto fuori milonga mi attrae, arrivo con gran calma, a ballerini già “accesi”.

L’esperienza regala questa saggia malizia: si sfoghino prima i giovani con i giovani, poi entrano le serie d’annata che vanno apprezzate per le sfumature e il sapore più deciso. A ognuno il suo ritmo.

TTM non ha deluso le mie aspettative: passato il momento di stupore nel vedere in pista l’esatta metà dei partecipanti rispetto alla sua maratona maggiore, ne ho apprezzato tutte le sfumature.

La premessa d’obbligo è una: le maratone moderne sono diventate una situazione d’incontro democratica ed eterogenea, in cui i livelli di ballo spaziano da tangueros intermedi a quelli avanzati e oltre. Non come accadeva nel decennio precedente dove il taglio di ingresso era molto più alto.

Ciò detto mi sono goduta delle gran tandas e, cosa più interessante, ho ballato con molte persone nuove e stranieri il che ha dato una sferzata di gran gusto all’evento intero.

I torinesi imparano e fanno tesoro delle esperienze.

Un anno fa, scrissi un post questo, nel quale lamentavo il disordine imperante della ronda. Ricordo che feci scalpore, toccando un tasto sensibile per tutti gli organizzatori di grandi eventi.

Tornata quest’anno non potevo credere ai miei occhi. Sulla pista, disegnati i corridoi di ballo, dal più esterno a quello centrale, un’infografica illustrava il flusso delle danze ben visibile a tutti e gli organizzatori che, di tanto in tanto, ricordavano di mantenersi nei propri canali, senza invadere gli spazi altrui.

Questo significa stare sul pezzo, credere che si possa fare qualcosa per migliorare un aspetto problematico, ed ha funzionato! Il flusso si è sempre mantenuto scorrevole, concedendo ai danzanti la serenità di godersi la tanda senza dover impiegare troppe risorse fisiche e mentali per governare un traffico caotico. Chapeau!

Un apprezzamento che mi sento di fare è riservato al buffet. Per tutta la durata della maratona i nostri palati sono stati coccolati- letteralmente- da squisitezze dolci fatte in casa. Una meraviglia! A metà pomeriggio dopo che si è tanto camminato e ballato la merendina della nonna è il non plus ultra. Quel panettone affogato una vera chicca!

La cena sociale, alla quale non ho partecipato solo per non rischiare di non entrare più nei vestiti che mi ero portata, è un esempio di buona pratica. Si condivide anche il cibo, come si fa con gli abbracci. Lo trovo poetico, ma Torino mi fa questo effetto.

Sono rientrata a casa desiderosa di tornare ancora. I sabadudi, senza fare troppo rumore, con il loro savoir faire ti conquistano diventando un “ne voglio ancora, ancora!”.

Segnate in agenda: a marzo la magia si ripete!

Pimpra

QUANDO LA LUCE SI SPEGNE E L’OMBRA IMPARA A BALLARE. #ditantointango

Novembre è il mese dei morti e il motivo non è, semplicemente, legato alla loro festa. C’ è un di più, un’energia che arriva fino dentro le ossa e chiede di essere percepita.

I miei novembre mi hanno sempre guardata diritto negli occhi, passandomi i messaggi che dovevano.

L’ho capito piano, come tutte le cose che ci fanno male. Sempre meno fotografie, primo sintomo evidente che la luce si sta spegnendo.

All’inizio non ci ho fatto troppo caso, ma, nell’ultimo periodo è diventato chiaro. Non ci sei per lo sguardo del fotografo, non esisti più. L’assioma è duro e diretto. Come un pugno.

Lo elaboro, con la testa della donna matura che sono diventata e capisco che devo lasciare andare. Un periodo brillante della mia vita, nel quale, per qualche ragione, avevo una luce che splendeva.

Oggi non è più così.

Si cambia, e anche se dentro crediamo di essere sempre noi stessi, dobbiamo disfarci di una pelle che non ci corrisponde più. Un po’ come si fa con gli abiti.

Ballare il tango non perdona. La vita e la persona sono tutte lì e non si può fingere non sia così. Ogni tanguero o tanguera ha un’emivita che dura un tot poi si volatilizza. Può essere presente e continuare a partecipare ma, nei fatti, la sua esistenza ai bordi della pista, scolora.

Sento ancora tutto: la gioia che mi prende quando una tanda mi ricarica di energia, la voglia di migliorare, il desiderio di coltivare questo splendido linguaggio corporeo ma… non è più come prima.

La fame di tande è minore. Non mi interessa più ballare per ore facendo “ginnastica”, oggi voglio la tanda che mi lascia il segno, quella che mi porto a casa, che ricorderò.

La qualità della ricerca evidenzia una maturazione compiuta ma, allo stesso tempo, un percorso che ha chiuso il suo ciclo.

Pensavo di appendere le scarpette al chiodo, per non essere una marionetta a bordo pista, l’ombra sfocata di quella che ero. Voglio celebrare la donna e la tanguera che sono diventata, ma mi servono altri sguardi, più profondi, più curiosi, più intensi.

Sono arrivata a un bivio importante: ritirarmi o continuare.

Sento la vertigine dell’una e il rischio dell’altra. La tanguera di oggi non è più abbagliante, ma è più vera.

La verità, anche se meno luminosa, è l’unica luce che mi permette di ballare senza paura del buio. Con la pelle che ho scelto e non con quella che ho perso.

A bordo pista, sapendo che non è la vita ma solo un suo onesto riflesso, aspetterò la tanda che mi toglierà il fiato. Se mai arriverà.

Pimpra

TANGO, SUDORE E PRELIBATEZZE. L’800 TANGO PARTY E’ SERVITO! #ditantointango

Immagine di Ludovica Paloma

A fine evento Ale Parise mi ha detto: «Cerco di imparare dai miei errori e di fare meglio». Se questo è il metro, l’ultima edizione di 800 Tango Party l’ha vinta: meglio della precedente in ogni dettaglio.

Tre giorni di festa nell’ex Teatro Verdi di Ferrara, una sala circolare con la pista al centro — non il luogo più ovvio per mirada e cabeceo, ma con buona volontà si trova sempre il modo.

Per la mia seconda edizione ho scelto di posizionarmi sulla scalinata che porta alla pista, osservando dall’alto. Da lì, l’onda che si gioca in pista arriva con un riverbero amplificato, l’energia dei ballerini si espande raggiungendo i punti più lontani.

Ho ignorato il cartello che indicava “via di fuga,” perché, se so muovermi a razzo in pista, so anche sgomberare una scala. (Un’auto-giustificazione che nessun addetto alla sicurezza accetterebbe, ma che mi ha permesso di godermi al meglio le serate).

La formula collaudata della due giorni si è arricchita del venerdì, traghettando il “party” in una piccola maratona.

Valentina Ialacci — napoletana verace — ha acceso la milonga del venerdì: il suo set mi ha regalato le prime vesciche ai piedi e un entusiasmo contagioso. Dalla mia “piccionaia” non ho visto volti delusi: l’energia ha roteato luminosa per tre giorni.

Così è partita questa brillantissima edizione migliorando la sua già rodata e funzionante macchina organizzativa.

C’entra anche il cibo? Molto probabile! Tra una prelibatezza e l’altra, abbiamo condiviso tandas e litri di sudore, perché la “settembrata” ferrarese ha raggiunto temperature africane.

Questo lunedì mi pesa le ore non dormite sono tutte dipinte sul mio volto, ma nonostante questo resta quella speciale beatitudine che il tango ti sa dare.

Pimpra

LA FAI FACILE A DIRE MARATONA A PRAGA. #ditantointango

Casa danzante. Foto mia

Entrare all’edizione invernale (febbraio) non è per tutti: se la carta d’identità non riporta almeno il 1995 e sei donna single, è probabile che sia più semplice rinunciare. Io ho provato lo stesso — e mi hanno proposto la versione estiva, più “soft”: ho detto di sì.

Popolazione più matura, meno competizione. Mi si prospettava una maratona comunque di livello unita al piacere di visitare una bellissima città che non conoscevo.

Una settimana di vacanza, condita di visite a una città di una bellezza stupefacente, passeggiate infinite, scoperte meravigliose, amicizia. Anche se non avessi fatto una sola tanda, ne sarei comunque uscita contenta. [Bugia!]

La sala rispecchia perfettamente l’anima della città, richiami art nouveau, una illuminazione calda, begli spazi, ottimo pavimento di legno. Ad accompagnare le lunghe sessioni di ballo, un’offerta costante di cibo e di snack di qualità, compreso lo strudel finale a coronare lo spirito paneuropeo della manifestazione. Non posso che dirne bene.

Un’amica che frequenta da sempre la maratona invernale, mi aveva rassicurato dicendomi che la versione estiva fosse molto più easy: parliamone!

Ballarci è difficile, inutile nascondersi dietro un dito. Le donne, specie le over 40, e ce n’erano parecchie, per lo più attendevano sguardi che faticavano ad arrivare. Osservando la pista, si notavano ottime ballerine giovani accanto ad altre giovanissime e ben più in erba. Le senior, quelle tangueristicamente ‘navigate’, facevano da tappezzeria.

Difficile non farsi prendere dal malumore. Cosa che, ovviamente, mi è capitata. Ritrovandomi a fare la mirada andando a segno con grande difficoltà, mi sono fatta immediatamente delle domande: non ballo abbastanza bene? Sono diventata lenta? Sono fuori età massima? Sono brutta?

Il castello di fantasmi che minano l’autostima si è presentato alla mente in pompa magna suonandomi la fanfara del “non vali niente”.

Poi, per fortuna, la mia partner in crime è venuta a soccorrermi, mi ha dato una rassettata. Ho cercato di fare pace con i mostri che avevo in testa. Non facile, ma necessario.

Le belle tande arrivano. Perché è sempre una questione di energia, di quella vibrazione sottile che metti nell’aria. Non basta sorridere con il viso, devi sorridere con l’anima, altrimenti non funziona.

Più che una maratona, come quelle a me care, quelle in cui balli a fondere le scarpe e ti diverti da matti, è stata una grande lezione di vita.

Il tango c’entra poco, il tango è sempre fedele a se stesso, se balli bene, se l’abbraccio funziona, se mente e corpo sono connessi, balli. Prima o poi balli. È tutto il contorno che ti mette alla prova.

Ho scoperto tante cose di me che credevo di aver superato.

La timidezza ad esempio. Chi mi conosce probabilmente fatica a crederlo, eppure, in fondo, sono (molto) timida.

Mi crea disagio dover “combattere” a forza di miradas assassine per poter ballare. Fatico a mettermi nelle posizioni strategiche di uscita dalla pista dove stanno tutti per “adescare” il ballerino.

Mi sembra di usare violenza, a me stessa in primis, cosa che in realtà non è.

Me lo ha spiegato bene la mia amica che, al contrario, ci sa fare benissimo. L’osservavo: alla fine di ogni tanda tornava nella zona giusta con gli occhi che le brillavano, il corpo vivace, il sorriso aperto. E non era finzione, si capiva, si percepiva la verità della sua gioia.

A casa ho portato tande speciali, di quelle che restituiscono il “senso” e pure un carico di insicurezze, tra tutte quella di non essere più giovane (abbastanza) come i ballerini desiderano e quindi molto meno interessante.

Mi sconcerta rendermi conto di come il tango mi insegni sempre qualcosa, della vita, di me.

Bisogna che ci lavori su, non mi arrenderò così facilmente, perché “nessuno mette la Pimpra in un angolo!” 😉

Pimpra

Se non balli la colpa sei tu. La rivincita di “VIOLETAS”. #ditantointango

Le pause servono, hanno sempre un senso se si usano nel modo giusto. Dopo la pandemia è la seconda volta che ho smesso di ballare prendendomi un mese sabbatico.

Luglio mi è scivolato dalle mani: al mattino ho nuotato nella piscina all’aperto, sono stata ad un concerto, ho fatto un weekend a Veglia – da cui mancavo da tantissimi anni- una gita bellissima in mare, un’altra gita a Pirano arrivandoci in battello. E ho passato molto tempo da sola, in silenzio, tra me e me.

La pausa dalla vita sociale e dai social che oramai ne fanno parte, mi ha permesso di ritrovare il filo che unisce le mie parti più profonde, a volte anche oscure, ma integranti.

Ok, questa è la premessa. Poi, agosto è ripartito alla grande con una bellissima milonga a Parma: Violetas.

Una milonga molto conosciuta in un crocevia ideale per il centro- nord Italia, Friuli Venezia Giulia escluso: per noi 3-4 ore di macchina sono una costante.

È stata la mia seconda Violetas. La prima non è andata benissimo. Non ho quasi ballato, nonostante conoscessi -di vista e non solo- praticamente tutti i partecipanti.

Così, spinta da una certa voglia di riscatto (e anche dalla correttezza degli organizzatori), ho deciso di tornare. E ho imparato che le seconde chances vanno sempre concesse.

La seconda Violetas, anche per me, è stata come me l’avevano sempre descritta: una bellissima festa.

La location è incantevole: si balla in uno spazio al coperto ma senza le pareti, arioso e piacevole. La struttura che ospita la milonga è un ristorante attrezzato per matrimoni e banchetti e, a cena (fa parte del biglietto d’ingresso), si viene coccolati con un’offerta alimentare ricca, varia e di grande qualità.

L’unico neo è il pavimento di piastrelle che a fine serata si fa sentire su piedi e articolazioni. Ma tutto non si può avere.

I padroni di casa sono stati davvero molto gentili, augurandomi una bella pomeridiana. Così è stato. E sono rimasta davvero molto soddisfatta.

A Violetas si incontrano tangueros emiliano romagnoli, ovviamente, ma anche milanesi, toscani, veneti e non solo un mix stimolante e irrinunciabile. La formula pomeriggio+notte è assolutamente vincente, soprattutto per chi viene da lontano: si può fare una scorpaccitata di ottimo tango.

Dall’esperienza Violetas ho tratto una lezione che conoscevo molto bene, ma che ho dovuto ripassare: se non balli la colpa sei tu.

Devo ammetterlo: il mood energetico del ballerino, uomo o donna che sia, influisce pesantemente sulla scelta del partner.

L’energia che mettiamo nell’aria, pur in modo inconsapevole, non ci lascia scampo, parla per noi: se è negativa ci penalizza. Punto.

Credevo di essere di ottimo umore la prima volta. Ero curiosa, entusiasta di partecipare a una milonga che mi avevano tanto decantato. Invece qualche pensiero sotterraneo mi ha offuscato pesantemente. Morale: sono rimasta seduta a lungo.

Nella vita e nel tango è importante farsi un’analisi critica, evitando di dare colpe che spesso sono nostre, al di fuori.

Ho ancora il sapore di buono, quella vivacità e quella gioia che le belle tande ti lasciano addosso.

E pure una graziosa vescica sotto il piede, testimonianza fedele di ore ballate senza fermarmi.

A Parma il tango profuma di buono.

Le Violetas lasciano un segno delicato e profondo di tandas perfette.

Pimpra

TANGO DESNUDO. COSI’ E’ SE VI PIACE #ditantointango

Tra il popolo tanguero anziano che frequenta ancora FB sta spopolando, in queste ore, un video che ritrae una giovanissima donna mentre balla con un costume che definire succinto è un eufemismo.

La location del misfatto è una milonga pomeridiana a bordo piscina, in quel mondo fuori dal mondo che è rappresentato dal Mediterranean Summer Tango Festival.

Un vero e proprio shitstorm sta colpendo il corpo marmoreo, l’incredibile fondoschiena dell’ignara ballerina in erba (mi azzardo a dire).

Alcune femministe radicali molto incazzate che mettersi nude così non fa altro che esporre il corpo della donna come oggetto dell’istinto animale dei maledetti uomini.

Sedicenti portatori del verbo della tradizione tanguera argentina che urlano allo scandalo per il mancato rispetto del Signor Tango e del povero Biagi, la musica ballata in quel frangente.

AHO! ripigliatevi!

Punto primo. IL CONTESTO.

Milonga estiva, con canicola ai massimi, a bordo piscina. Come mi devo vestire se non in costume da bagno o poco più?

La ragazza in questione, per sua insindacabile scelta personale, indossa un costume estremamente succinto, mostrando al mondo la splendida rotondità del suo sedere perfetto. Che male c’è? Io aggiungo BEATA LEI!!! Difficile vedere dal vivo tanta bellezza! Quindi, perchè non mostrarla?

Punto numero due: IL TANGO

Che si trattasse di tango, di lindy hop, di salsa, di mazurka, di samba che differenza fa? Perchè condannare a priori la gioia di ballare, di condividere un momento di festa, di “pasturare” senza pudore per azzeccarsi uno o più partner potenzialmente anche sessuali? Ma dove sta il problema?

Punto numero tre: IL CORPO

Perchè continuiamo ad accanirci contro i corpi degli altri e nostro? Che male vi hanno fatto? Perchè giudichiamo l’uso che ognuno di noi fa del proprio corpo? Chi siamo Catone il censore?

Vi dico come la penso.

Magari avessi vissuto con libertà il corpo che la natura mi ha donato, nel bene e nel male. Celebrando la sua bellezza, per il fatto solo di ESISTERE. Per anni l’ho torturato con diete, allenamenti estremi, l’ho coperto che non mi sembrava andasse mai bene.

Non ho mai fatto la giaguara che si va a prendere gli uomini per il puro piacere del corpo, sia mai!

E mi ritrovo ora, una arzilla signora di cinquant’anni, a mangiarmi le mani per tutte le possibilità che non ho creato e/o che non ho saputo cogliere.

Dentro di me il giudizio, la ricerca di una perfezione da giornale patinato che era semplicemente impossibile da raggiungere (per me almeno). E poi? Come mi sarei sentita? Probabilmente come quelle donne bellissime che si trovano sempre un difetto!

Invece il corpo va onorato, in tutte le sue forme, in tutte le stagioni della vita, ogni singolo giorno. E’ il compagno che ci accompagna in tutta la vita, e che vogliamo fare? nasconderlo? martirizzarlo? negarlo?

Allora ben venga la sua celebrazione, anche in contesti che stridono, se alla base vi è il rispetto per se stessi e per l’altro.

In una parola: evviva la libertà!

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

L’ABBRACCIO: IL TUO PRIMA E DOPO NEL TANGO. #ditantointango

Avete mai pensato ai prima e dopo della vostra vita? Quei passaggi epocali per cui, dopo, qualcosa cambia profondamente dentro di voi.

Nella vita ne esistono parecchi, sono pietre miliari, penso al percorso degli studi, al lavoro, ai cambi di lavoro, quando si lascia la casa genitoriale, la convivenza, il matrimonio i figli, l’arrivo del primo animale domestico. Gli esempi sono davvero infiniti.

Poi c’è il tango. Dal primo abbraccio ad oggi, quanto siamo diversi, cambiati.

Ci pensavo tornando dall’ultima maratona. Ho fatto mente locale a quante persone, per lo più estranee, ho abbracciato in questi ultimi vent’anni.

Adesso mi sembra una cosa assolutamente normale, anzi “naturale”, me lo avessero chiesto vent’anni fa avrei risposto “Ehhh abbracciare un estraneo? Non se ne parla!”. Oggi non solo li abbraccio senza provare alcun pudore, ma non mi scompongo minimamente ad appoggiare la mia guancia alla loro, in un atto che, oggettivamente, può essere letto come “intimo”.

L’abbraccio del tango, per me, è stato ed è tuttora, terapeutico.

Studi scientifici dimostrano che abbracciare qualcuno per più di un minuto sviluppa ossitocina, l’ormone del legame, del benessere, figuriamoci quanto ne produciamo nel corso di una sola serata di tango!

Eppure non è solo questo.

Abbracciare significa fidarsi, aprirsi all’altro che non si conosce, dare una possibilità a un incontro senza paracadute. Anzi il paracadute c’è eccome, la fine della tanda. Di sicuro nell’abbraccio del tango il controllo non esiste (balleremmo tutti malissimo), la mente si libera e si connette con parti profondissime che, troppo spesso nella vita quotidiana, restano nascoste, marginali, silenti.

Gli abbracci mi hanno fatta rinascere tante volte, sempre in modo diverso ma altrettanto struggente e profondo.

L’abbraccio del tango, l’ho scritto numerose volte, ha permesso alla mia donna di nascere veramente, di uscire allo scoperto senza che la mia volontà potesse nulla, puro istinto, pura verità.

Quante cose dell’altro si percepiscono in un solo abbraccio, sottilissime sfumature che, se colte, lo avvicinano a noi come essere umano. Difficile fingere, difficile farlo a lungo, la verità dell’essere si svela.

Mi piacerebbe poter contare tutte le persone che mi sono passate tra le braccia, credo che in una vita “normale” non ne avrei mai avuto la possibilità e penso alle emozioni, alle sensazioni che sono scaturite da questi scambi.

Molti si innamorano, non fatico a capirlo, come se il terreno fosse fertile per un incontro che si spinge oltre a una condivisione di passi.

Gli abbracci tornano indietro, ci pensate? Tanto si offre all’altro, tanto si ottiene, a volte anche molto di più, ricevendo una sorta di “affetto particolare” dal nostro partner, in quella tanda. Un calore che entra e, da qualche parte, ci cura.

Pimpra

Image credit: Lisbona Tango Marathon

DENTRO LA TANDA, FUORI DA NOI. #ditantointango

Foto di Samuel di Luca

Fuori siamo professionisti, madri o padri, indaffarati, soli. Dentro, una tanda basta per trasformarci. In qualcuno.

Entriamo in sala e ci vestiamo del nostro personaggio.

Ballare ci permette di giocare con chi “vorremmo essere” o “non essere”.

Ho fatto spesso questo ragionamento sulla duplicità perché la vivo sulla mia pelle.

In pista, permetto a me stessa di far uscire allo scoperto alcuni aspetti della mia personalità che, normalmente, non mostro.

Dalle insicurezze iniziali è nata la mia giaguara. La vedo in pista, la sento nel corpo. Vive nella tanda. Fuori non mi segue. Non ama la luce.

Ho visto molti tangueros trasformarsi come me. Li ho visti tremare e diventare giganti. O svanire mentre danzano. Ma in quel momento, sono veri.

La milonga è il nostro personale teatro dove alcuni si spogliano del quotidiano, altri inventano un alter ego.

Si tratta di maschere, di rappresentazioni verosimili di ciò che siamo. Una sorta di carnevale del possibile. Di ciò che vorremmo. Dei nostri sogni. Dei nostri desideri. Di essere scelti, toccati. Di esistere per qualcuno.

Chi cerca visibilità, chi conforto, chi potere, chi vendetta, chi amore e a volte lo trova. E c’è chi non cerca più nulla. Eppure continua a venire.

Fuori dalla pista, siamo fragili, stanchi, a volte invisibili. Dentro, anche il corpo più incerto può diventare lingua, invito, eleganza.

Il tango ci dà una nuova identità. E come ogni identità, rischia di diventare una trappola.

Ci sono tande che ci portano via la pelle e il cuore, illudendoci di aver dato vita a un sogno fatto di realtà.

Ma è solo polvere di musica, sudore scambiato e battiti condivisi. Finisce la tanda e cala il sipario. Su di noi.

Pimpra

Tango, amore e altre catastrofi. #ditantointango

Cosa c’è di più bello di ballare una tanda legati in un abbraccio che profuma d’amore? Magari condito di una buona dose di frullato di ormoni?

Musica che soffia sul fuoco della passione, accende l’intesa, aumenta quel senso di appartenenza dell’io al tu?

Ok smettiamo di raccontarci le favole: non sono tutte rose e fiori!

Molti amici non tangueri mi chiedono come potrebbe essere iniziare il percorso di studio con il loro partner sentimentale.

Un tempo, da inguaribile romantica quale sono, avrei risposto: meraviglioso.

Oggi, da “risvegliata”, affermerei: non fatelo!

GIOIE E DOLORI DEL BALLO IN COPPIA.

Tra i vantaggi sicuramente la disponibilità del partner nell’affrontare il lungo (lunghissimo) percorso di studio.

Innegabile plus la comodità di essere coppia per partecipare ad eventi con iscrizione.

Se la coppia è fresca, giovane (sta insieme da poco), cingersi in un tango, beh, diciamocelo regala una bella botta di endorfine.

MA…

Vogliamo affrontare tutti i piccoli e grandi disagi che si presentano davanti, come minuscoli o immensi ostacoli da superare per i piccioncini che vanno a ballare insieme, coppia sentimentale.

LE REGOLE

Dopo le prime mega baruffe consumate dentro o fuori dalla pista, gli innamorati si danno delle regole, un loro cerimoniale non scritto per affrontare la serata danzante.

La prima e l’ultima tanda sono mie, tuona lei che ha bisogno di sentirsi rassicurata di essere il solo e unico soggetto di desiderio, danzante e non, presente in sala.

Non puntarmi sempre gli occhi addosso quando miro le altre, se non lo faccio non posso ballare, rincara lui che si sente dentro la casa del Grande Fratello con mille occhi addosso che registrano ogni suo movimento.

Questi sono solo due tra i tanti riti che la coppia si dà per non uscire dalla milonga con l’appuntamento dall’avvocato divorzista già prenotato.

Ma, non basta.

Tutti hanno sperimentato, da parte di lui e lei, la BLACK LIST dei ballerin* con cui vige il divieto assoluto di ballare, di mirare, di scambiare qualche parola.

Nulla è più irresistibile di una regola proibitiva: alla prima occasione balleremo proprio con il pirata (o la piratessa) RED FLAG. Come si dice: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

Andiamo la lezione. Territorio neutro.

Le baruffe micidiali che ho visto e vissuto sulla mia pelle con il partner sentimentale. Imparare è anche un gioco di potere dove si riaffermano gli equilibri forti all’interno della coppia, nessuno è disposto a cedere su territori faticosamente conquistati.

Capiamo bene, è un problema: rinfacciare gli errori o le inesattezze del partner con fare insistente o- peggio, insultandolo malamente, non porteranno lontano. Anzi no, spingeranno la coppia direttamente sull’orlo del baratro. Non solo tanguero.

Libertà.

Se ballo in una dimensione psicologica nella quale mi sento libero, ballerò meglio. Senza preoccupazioni di come si sente il mio partner di vita, senza sentirmi a disagio perchè lui/lei si sta divertendo massimamente mentre la mia serata non decolla.

Ci sono tantissime sfumature che possono essere direttamente letali per una coppia che non sia ben equilibrata, stabile, con basi forti.

Per tutti gli altri è come mettere la prua della nave puntando dritto dentro la tempesta.

Può essere una prova (AUGURI!), può essere un escamotage per finirla prima (epperò siete bastard*! non è meglio dirsi prima che non siamo più convinti di stare insieme?), può essere anche la celebrazione dell’amore, dell’armonia, della complicità.

Personalmente ho vissuto entrambe le possibilità: ho ballato da moglie (ora ex – guarda un po’! 😉 ), da compagna, da single.

Il tango migliore, secondo me, lo ballo da single. Nessuno mi scruta, nessuno mi giudica e vado a casa a serata finita con il cuore leggero.

A voi la scelta!

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

TANGO “OVER”: IL CORPO CAMBIA, LA DANZA EVOLVE. #ditantointango

Quando si è agli esordi, spesso non ci si pensa, tanto siamo travolti dal desiderio di imparare, poi, più avanti si porta la passione, più ci rendiamo conto di un fattore importante: il tempo balla con noi.

Quando il corpo è nella sua verde età, diciamocelo, gli puoi far fare qualsiasi cosa e gli effetti collaterali sono minimi e di breve durata. Serate infinite, seguite da levatacce orrende per tornare al lavoro, ore ed ore issate su tacchi, piedi/caviglie/ginocchia/schiena devastati da pavimenti inidonei eppure, ogni fastidio, nel giro di poco sparisce e si riparte con foga.

Una costante rimane: le litrate di caffè ingurgitate per reggere i ritmi infernali, perchè, quando la passione brucia, bisogna stare dentro la sua fiamma e pensare di fermarsi e riposare non sono opzioni ammissibili.

Ballare da “over” è altro, è come stare sulla luna e guardare da lontano quel che accade sulla terra. Si percepisce tutto, si conosce molto bene il “pianeta tango” ma si è al contempo “dentro e fuori”.

Ci sono trasformazioni oggettive nel nostro involucro esterno che influenzano moltissimo anche l’aspetto emotivo di noi tangueros diversamente giovani.

Si abbassa la soglia di energia fisica, se non altro per affontare le sessioni lunghissime che un tempo si ballavano senza battere ciglio, c’è meno fame di mangiarsi più e più volte tutto ciò che il banchetto tanguero propone in termini di ballerin*, non ci interessa più assaggiare “tutto” ma solo ciò che ci piace veramente.

Il Tanguero over viaggia con una pochette in più, quella dei rimedi per affontare tutti i dolori che attanagliano i vari distretti del corpo. Oramai il Voltaren è un fedele compagno, da condividere con gli amici se sprovvisti.

Se tutto ciò può essere inteso come un panorama di decadenza, e fisicamente un po’ lo è per forza, dall’altro lato si apre un nuovo sipario che svela un inedito palcoscenico: impariamo a ballare per la gioia di noi stessi, non per piacere agli altri, per farci vedere quanto siamo bravi e belli.

Si apre la stagione dell’intimità vissuta in profondità, scambiata con il partner di tanda, lontana da frenesie vibranti giovinezza. E’ un dialogo diverso, raffinato, seduttivo in modo più intrigante e silenzioso.

Oramai scegliamo di ballare con chi ci fa stare bene, non con chi è reputat* vip della pista.

Le milonghe sono dominate dall’estetica giovane? Gli over sono valorizzati o trascurati? C’è spazio per tutte le età nel tango?

Ad ognuna delle domande risponderei di sì e di no, assecondando il valzer della vita, la risacca dell’onda, che viene e va.

Danzo, quindi sono. E’ il solo senso per cui sto, per cui mi accollo ancora chilometri per trovare gli abbracci e le milonghe preferite, per cui ho sempre voglia di studiare. Nonostante tutto.

Il tango over come atto di resistenza, di identità e di amore per sé.

Lunga vita alla Giaguara. Per il resto: STICAZZI!

Pimpra

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