LA FAI FACILE A DIRE MARATONA A PRAGA. #ditantointango

Casa danzante. Foto mia

Entrare all’edizione invernale (febbraio) non è per tutti: se la carta d’identità non riporta almeno il 1995 e sei donna single, è probabile che sia più semplice rinunciare. Io ho provato lo stesso — e mi hanno proposto la versione estiva, più “soft”: ho detto di sì.

Popolazione più matura, meno competizione. Mi si prospettava una maratona comunque di livello unita al piacere di visitare una bellissima città che non conoscevo.

Una settimana di vacanza, condita di visite a una città di una bellezza stupefacente, passeggiate infinite, scoperte meravigliose, amicizia. Anche se non avessi fatto una sola tanda, ne sarei comunque uscita contenta. [Bugia!]

La sala rispecchia perfettamente l’anima della città, richiami art nouveau, una illuminazione calda, begli spazi, ottimo pavimento di legno. Ad accompagnare le lunghe sessioni di ballo, un’offerta costante di cibo e di snack di qualità, compreso lo strudel finale a coronare lo spirito paneuropeo della manifestazione. Non posso che dirne bene.

Un’amica che frequenta da sempre la maratona invernale, mi aveva rassicurato dicendomi che la versione estiva fosse molto più easy: parliamone!

Ballarci è difficile, inutile nascondersi dietro un dito. Le donne, specie le over 40, e ce n’erano parecchie, per lo più attendevano sguardi che faticavano ad arrivare. Osservando la pista, si notavano ottime ballerine giovani accanto ad altre giovanissime e ben più in erba. Le senior, quelle tangueristicamente ‘navigate’, facevano da tappezzeria.

Difficile non farsi prendere dal malumore. Cosa che, ovviamente, mi è capitata. Ritrovandomi a fare la mirada andando a segno con grande difficoltà, mi sono fatta immediatamente delle domande: non ballo abbastanza bene? Sono diventata lenta? Sono fuori età massima? Sono brutta?

Il castello di fantasmi che minano l’autostima si è presentato alla mente in pompa magna suonandomi la fanfara del “non vali niente”.

Poi, per fortuna, la mia partner in crime è venuta a soccorrermi, mi ha dato una rassettata. Ho cercato di fare pace con i mostri che avevo in testa. Non facile, ma necessario.

Le belle tande arrivano. Perché è sempre una questione di energia, di quella vibrazione sottile che metti nell’aria. Non basta sorridere con il viso, devi sorridere con l’anima, altrimenti non funziona.

Più che una maratona, come quelle a me care, quelle in cui balli a fondere le scarpe e ti diverti da matti, è stata una grande lezione di vita.

Il tango c’entra poco, il tango è sempre fedele a se stesso, se balli bene, se l’abbraccio funziona, se mente e corpo sono connessi, balli. Prima o poi balli. È tutto il contorno che ti mette alla prova.

Ho scoperto tante cose di me che credevo di aver superato.

La timidezza ad esempio. Chi mi conosce probabilmente fatica a crederlo, eppure, in fondo, sono (molto) timida.

Mi crea disagio dover “combattere” a forza di miradas assassine per poter ballare. Fatico a mettermi nelle posizioni strategiche di uscita dalla pista dove stanno tutti per “adescare” il ballerino.

Mi sembra di usare violenza, a me stessa in primis, cosa che in realtà non è.

Me lo ha spiegato bene la mia amica che, al contrario, ci sa fare benissimo. L’osservavo: alla fine di ogni tanda tornava nella zona giusta con gli occhi che le brillavano, il corpo vivace, il sorriso aperto. E non era finzione, si capiva, si percepiva la verità della sua gioia.

A casa ho portato tande speciali, di quelle che restituiscono il “senso” e pure un carico di insicurezze, tra tutte quella di non essere più giovane (abbastanza) come i ballerini desiderano e quindi molto meno interessante.

Mi sconcerta rendermi conto di come il tango mi insegni sempre qualcosa, della vita, di me.

Bisogna che ci lavori su, non mi arrenderò così facilmente, perché “nessuno mette la Pimpra in un angolo!” 😉

Pimpra

DIARIO DI UNA QUARANTENA

Venerdì 3 aprile, sono in quarantena dal 13 marzo, esattamente da 21 giorni. Gli scienziati dicono che dalla terza settimana in poi si apprendono nuove abitudini. Confesso che rassegnarmi alla clausura forzata mi riesce particolarmente ostico. Ma tant’è.

Accantonate le ore di lavoro dovute, le restanti sembrano interminabili. Come il delta di un fiume amazzonico che arriva al mare con il suo portato d’acqua che scorre lenta, maestosa. Così percepisco il tempo a mia disposizione, mentre severo mi osserva, suggerendomi di farne buon uso.

Ci provo, anche se il più delle volte mi perdo, non finalizzandolo virtuosamente. Dopo 21 giorni non ho più bisogno di riposare, di recuperare le energie spese nella rincorsa della vita quotidiana. Adesso è il momento di riempire le ore a disposizione in modo intelligente, sia per il corpo sia per la mente.

E’ così che mi ritrovo a fare nuovamente i conti con me stessa, con quelle parti di me di cui non sono precisamente fiera. Mi scopro indolente, lassa, svogliata. Posso immaginare sia normale e giustificare parzialmente questa attitudine in taluni momenti della giornata, ma confesso di esserne toccata e preoccupata.

La quarantena, specie a chi non ha persone da accudire, siano i propri figli o persone anziane o malate, costringe ogni santo momento del giorno a stare dinnanzi a se stessi. Mica facile sostenere questo confronto constante e assolutamente veritiero, specie per chi, come me, ha spesso privilegiato le vie di fuga.

Fa male. Toccare con mano la trama bucata della propria personalità, prendere piena coscienza che, se nella vita ti sono capitate delle cose, la responsabilità è tua e solo tua, poiché agendo o non agendo come hai fatto, hai provocato tutto ciò.

Al ventesimo giorno della mia personale quaresima forzata, è esplosa una congiuntivite come mai nella vita. La mente è corsa immediatamente alla possibilità di aver contratto il virus, mentre il saggio Maestro interiore, seduto sulla riva del lago della meditazione, mi guardava negli occhi suggerendomi quello che già sapevo “Tu devi continuare a guardare, con coraggio, tutto quello che hai sempre desiderato non vedere. Ti farà molto male, lo so bene, ti porterà negli abissi, ti provocherà dolore, ma è necessario farlo”. Con gli occhi doloranti, con le palpebre gonfie e violacee, ho piegato la testa alla sua saggezza rispondendo “Lo so”.

Oggi va meglio, di certo il nuovo collirio ha fatto il suo, ma credo convintamente ci sia dell’altro. la mia accettazione di entrare in quelle stanze buie da dove mi sono sempre allontanata.

Ho fatto una scommessa con me stessa: se eviterò di scappare e aprirò tutte le stanze che devo aprire, sarò presto libera dalla prigionia casalinga.

Fatemi gli auguri che ho ancora tanto da scoprire.

VI ABBRACCIO.

Pimpra

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