L’ABBRACCIO: IL TUO PRIMA E DOPO NEL TANGO. #ditantointango

Avete mai pensato ai prima e dopo della vostra vita? Quei passaggi epocali per cui, dopo, qualcosa cambia profondamente dentro di voi.

Nella vita ne esistono parecchi, sono pietre miliari, penso al percorso degli studi, al lavoro, ai cambi di lavoro, quando si lascia la casa genitoriale, la convivenza, il matrimonio i figli, l’arrivo del primo animale domestico. Gli esempi sono davvero infiniti.

Poi c’è il tango. Dal primo abbraccio ad oggi, quanto siamo diversi, cambiati.

Ci pensavo tornando dall’ultima maratona. Ho fatto mente locale a quante persone, per lo più estranee, ho abbracciato in questi ultimi vent’anni.

Adesso mi sembra una cosa assolutamente normale, anzi “naturale”, me lo avessero chiesto vent’anni fa avrei risposto “Ehhh abbracciare un estraneo? Non se ne parla!”. Oggi non solo li abbraccio senza provare alcun pudore, ma non mi scompongo minimamente ad appoggiare la mia guancia alla loro, in un atto che, oggettivamente, può essere letto come “intimo”.

L’abbraccio del tango, per me, è stato ed è tuttora, terapeutico.

Studi scientifici dimostrano che abbracciare qualcuno per più di un minuto sviluppa ossitocina, l’ormone del legame, del benessere, figuriamoci quanto ne produciamo nel corso di una sola serata di tango!

Eppure non è solo questo.

Abbracciare significa fidarsi, aprirsi all’altro che non si conosce, dare una possibilità a un incontro senza paracadute. Anzi il paracadute c’è eccome, la fine della tanda. Di sicuro nell’abbraccio del tango il controllo non esiste (balleremmo tutti malissimo), la mente si libera e si connette con parti profondissime che, troppo spesso nella vita quotidiana, restano nascoste, marginali, silenti.

Gli abbracci mi hanno fatta rinascere tante volte, sempre in modo diverso ma altrettanto struggente e profondo.

L’abbraccio del tango, l’ho scritto numerose volte, ha permesso alla mia donna di nascere veramente, di uscire allo scoperto senza che la mia volontà potesse nulla, puro istinto, pura verità.

Quante cose dell’altro si percepiscono in un solo abbraccio, sottilissime sfumature che, se colte, lo avvicinano a noi come essere umano. Difficile fingere, difficile farlo a lungo, la verità dell’essere si svela.

Mi piacerebbe poter contare tutte le persone che mi sono passate tra le braccia, credo che in una vita “normale” non ne avrei mai avuto la possibilità e penso alle emozioni, alle sensazioni che sono scaturite da questi scambi.

Molti si innamorano, non fatico a capirlo, come se il terreno fosse fertile per un incontro che si spinge oltre a una condivisione di passi.

Gli abbracci tornano indietro, ci pensate? Tanto si offre all’altro, tanto si ottiene, a volte anche molto di più, ricevendo una sorta di “affetto particolare” dal nostro partner, in quella tanda. Un calore che entra e, da qualche parte, ci cura.

Pimpra

Image credit: Lisbona Tango Marathon

MARATONGUERA 8.0. LA MAGIA DEL CERCHIO #ditantointango

Se dovessi descrivere l’ultimo fine settimana, penserei alla magia di un cerchio. Forma perfetta che tutto contiene.

Una gita tanguera ad alto tasso di chilometri in un paesino incastonato sulla costa sabbiosa e verdeggiante di quel tratto di Liguria.

Maratonguera ha festeggiato la sua ottava edizione eppure, una volta arrivati, sembra il tempo si sia fermato. La locanda del Pilota che ospita l’evento all’aperto è fedele a se stessa dal 1923 conferendo quella patina di sicurezza delle cose che durano nel tempo.

La terrazza a piccolissimi mosaici azzurri, il fiume Magra affronta gli ultimi metri prima di tuffarsi in mare, la brezza non manca mai, la frittura di pesce si gusta tra un D’Arienzo e un Biagi quando scendono finalmente le ombre della sera.

La Maratonguera è un evento atipico, si tratta più di un ritrovo di amici con la stessa passione tanguera che si danno appuntamento in un luogo più o meno comodamente raggiungibile per tutti (triestini a parte, ça va sans dire).

Hai voglia: balli. Hai voglia: chiacchieri. Hai voglia: sorseggi dal tuo calice una bollicina. Le parole d’ordine sono: relax, “scialla”, prendila con calma, qui nessuno ha fretta.

Questo clima è contagioso, perchè, oltre ad impegnarti per sopravvivere al gran caldo che quest’anno è stato davvero poderoso, altro non devi fare che divertirti. I convenuti lo sanno e non perdono un solo attimo di piacevole gaudio.

All’una la musica si ferma e inizia un’altra festa. Il cerchio di persone si forma, il prosecco comincia a riempire i bicchieri perchè bisogna festeggiare. La vita, la gioia di ritrovarsi ogni anno, il piacere di aver ballato insieme.

La notte cala, siamo stanchi ma il potere di quel cerchio che unisce ci tiene legati.

La luna si specchia nella lingua di fiume alle nostre spalle, regalandoci uno spicchio della sua inconfondibile luce. Penso a Sole. A lei, che ci guarda da lassù, e forse sorride del nostro piccolo, meraviglioso cerchio.

Pimpra

SIX.Q CLAUDIO COPPOLA. #ditantointango

Non sempre serve un microfono per raccontare una storia.

A volte bastano quattro tanghi, una cortina e uno sguardo dalla consolle. È così che Claudio Coppola parla con la musica, da anni. Ma cosa si nasconde dietro le sue scelte, i suoi silenzi, le sue “furberie” in pista? In una sera bolognese l’ho conosciuto da vicino, e ne è nata questa intervista che, ne sono certa, vi farà ballare con l’anima ancor prima che con i piedi.

Godetevela!

***

1. Sei un ottimo tanguero con esperienza internazionale, italiano di origine, vivi a Parigi, sei cittadino del mondo. Cosa ti ha spinto a diventare un tj? Vocazione o bisogno di creare?

Grazie Michaela per le belle parole.

Il principale spingitore (cit) è stato il bisogno di dissetarmi le orecchie: volevo ascoltare certe canzoni che a volte non c’erano in milonga. Non parlo di pezzi rari, erano proprio i classici che mi mancavano, così mi sono messo in consolle.

C’era poi anche un altro bisogno, più materiale: ho iniziato a ballare da studente universitario e da statuto non c’avevo una lira, mi son detto: chissà, magari un giorno mi chiameranno pure in quegli eventi che non posso permettermi. Un giorno mi suona il telefono ed era un organizzatore di un evento in cui avevo sempre sognato di andare e non avevo i mezzi per andarci. un cerchio si era chiuso e saltavo dalla gioia.

2. Hai mai “mentito” con una scelta musicale per salvare la serata? Un brano che non ami, una cortina ruffiana, una tanda “furba”. Cosa succede quando il gusto personale cede il passo alla regia emotiva della pista?

Una volta un dj più esperto di me mi ha detto: la cosa più difficile in consolle é mettere da parte i propri gusti per far posto a quello che serve alla gente. Un altro mi ha detto: metti una tanda per te, una per un amico e una per un nemico.

Sono consigli preziosi che mi porto sempre dietro, oggi quando metto la tanda per il “nemico” non credo di star mentendo, credo di star servendo la gente.

Detto ciò, voglio essere onesto e rispondere completamente alla tua domanda: sì, ho fatto-e a volte faccio ancora-scelte populiste.

Perché le faccio? perché mi sembra che é quello che voglia la gente in quel momento.

Cosa succede? Niente di grave, il veleno sta nella dose: una tanda ruffiana si può tollerare, una canzone che parla alla pancia ci può stare, una cortina ruffiana passa, non muore nessuno.

Poi a volte la quantità di ruffianate necessarie per salvare la serata sono tante, la dose di veleno aumenta e quelle serate fanno un po’ male, sento di non aver fatto un buon lavoro, che non sono riuscito a far apprezzare le cose più belle che il tango ci offre, ammesso che quello che piace a me sia bello.

3. Quanto è importante il “tempo” nella tua costruzione musicale? Il tempo della serata, delle coppie, del locale. Come scegli quando osare e quando restare nel comfort?

Il tempo è fondamentale, il pubblico pensa che il dj scelga le canzoni, in realtà lavoriamo più col tempo che coi brani. Il momento in cui metti una canzone è importante tanto quanto la canzone scelta: immagina un tandone di Pugliese come prima tanda della serata… si potrebbe farne una formula: bella tanda +momento sbagliato = dj di merda.

Cerchiamo di seguire il tempo della serata e allo stesso tempo ne manipoliamo la percezione: acceleriamo il tempo con canzoni o cortine incalzanti, lo rallentiamo, lo dilatiamo, lo rendiamo denso o leggero…

Per questi e altri cento motivi una playlist, anche se ottima, non può rimpiazzare un buon dj: una playlist è fissa, la serata respira.

Come scegliere quando osare? cerco di usare il buonsenso, un po’ si va a esplorare un po’ torna a casa al sicuro, e dopo un po’ si torna a esplorare. Col passare della serata l’esplorazione diventa più profonda, si scava, prima una piccola buca nel giardino e poi si respira, e poi di nuovo a scavare più a fondo, finché la musica non ti porta a scavare dentro di te.

4. Ti capita mai di “testare” la pista come un laboratorio? Osservi, misuri, provochi. Ci sono momenti in cui la tua selezione diventa quasi un esperimento sociale?

Non ho mai vissuto la milonga come un esperimento sociale, magari un giorno mi capiterà. So però di colleghi che la vivono più così, alcuni sono bravissimi e fanno delle belle serate.

Ho testato delle tande, specialmente a inizio serata, però la maggior parte delle volte che propongo qualcosa di nuovo non è un test, è un rischio che prendo, che a volte va bene, altre meno.

Poi si sa che ci sono delle cose che inducono risposte quasi pavloviane: una canzone che se la metti in un certo momento parte un coro di sospiri, un’altra che sai che scatta la risata, un’altra l’applauso, un’altra che sai che alla fine le persone fanno fatica a staccarsi… alla fine, come i cani di Pavlov siamo delle bestie anche noi umani.

5. Come immagini il futuro musicale delle milonghe? Vinyl revival, contaminazioni elettroniche, IA, nuove generazioni… quali fermenti senti nascere dalla pista? Cosa ti entusiasma e cosa ti fa paura del tango che verrà?

Per il futuro musicale del tango ho un po’ paura: sempre più spesso sento dire che la tanda da 4 è troppo lunga, perché “con la tanda da 4 le donne non ballano” … a mio modo di vedere queste sono stupidate: il fatto è che se vuoi stare 4 canzoni con una persona devi essere capace di starci, ci vuole attenzione, concentrazione, presenza, impegno, ascolto, creatività, tutte cose che non mi sembrano tanto di moda. Più facile dire che la tanda da 4 è lunga.

Riguardo l’IA, alcuni dj hanno già proposto canzoni create con l’intelligenza artificiale, Io stesso ho fatto dei test con degli amici dj e nessuno si è reso conto che fosse una canzone generata da un computer, però personalmente non ho ancora fatto proposte in milonga, comunque la tanda dell’orchestra «intelligenza atipica» prima o poi ci sarà.

Una cosa che mi piacerebbe sentire un giorno, per curiosità personale, sono i «what if ».

Tipo: come sarebbe Uno se Di Sarli l’avesse registrata? Come suonerebbe un Troilo se Podestà fosse diventato un suo cantante?

Poi credo che sentiremo più registrazioni di orchestre vive, ci saranno più dj populisti, “cafoni” direbbe qualcuno, e penso che questo genererà movimenti opposti, tipo quello che vediamo coi vinili.

Spero solo che continuino ad esserci i dj fuoriclasse, quelli capaci di integrare le diverse anime del tango in un’unica serata, dandoci sensazioni speciali, di buono, giusto e onesto.

6. Che cos’è per te il silenzio tra un tango e l’altro? È solo una pausa tecnica o un tempo emotivo che scegli di orchestrare? Raccontaci cosa accade nel vuoto tra una tanda e la successiva.

Il silenzio per un dj è come il silenzio per un musicista: è musica.

Quel silenzio tra un pezzo e un altro suona come una canzone: hai presente quei dj che non lasciano neanche un secondo tra una canzone e un’altra? Oppure se passano troppi secondi tra i due pezzi? In entrambe i casi viviamo emozioni forti che amplificano o smontano quelle date dalle canzoni.

Ci sono tanti dj che giocano con quel silenzio per dare energia, intensità, intimità, fluidità alla serata.

Il vuoto del dj non coincide temporalmente con quello dei ballerini: il vuoto del dj è quando non ha ancora trovato la prossima tanda, e spesso succede mentre la gente balla. Delle volte la trovi facile: quello che ti viene in mente è quello che ci vuole. Altre volte la tanda è un parto, non c’hai l’ispirazione e allora devi trovarla di mestiere, con l’esperienza.

A volte ti arriva durante la cortina, e la sensazione è tra adrenalina e infarto.

Magari un giorno un dj ci lascerà le penne, speriamo solo che non sia io.

***

Dopo aver letto le sue parole, vi invito ad riascoltarlo in milonga con orecchie nuove. Le sue scelte musicali parlano, scavano, accompagnano. E ora che ne conosciamo un po’ di più la visione e il mestiere, sarà ancora più bello lasciarsi portare da lui in quel viaggio chiamato tango.

Pimpra

MILONGA INDOOR O OUTDOOR: SUDARE O RESPIRARE?

Come per la scuola, anche per le milonghe si apre la stagione estiva e con essa si lasciano le sale da ballo al chiuso per godere di spazi all’aperto.

In ogni città dove si balla si effettua questo switch, vediamo, tra il serio e il faceto, vantaggi e svantaggi dell’una e dell’altra situazione.

Il tango all’aperto: poesia e imprevisti

Alzare lo sguardo e fondere gli occhi nel riflesso della luna sul mare, godere dello sbrilluccichio delle stelle, farsi accarezzare dalla brezza della sera. Che meraviglia ballare all’aperto!

Dalle mie parti ci sono almeno due milonghe che si affacciano al mare che adoro profondamente.

Certo non è tutto oro quello che luccica.

Imponenti misure di sicurezza si rendono necessarie contro le zanzare che si appassionano al tuo profumo specie se condito di sudore e ti prendono di mira come un orso il miele.

Le milonghe all’aperto spesso non agevolano il classico codice della mirada: vuoi per illuminazione carente, vuoi per quella sbagliata. Intercettarsi diventa una sfida, una specie di tiro al bersaglio, dove la mira deve essere davvero eccellente.

Se la canicola morde, il mare è lontano, ballare all’aperto è garanzia di sudate colossali, di perdita di sali minerali come si corresse una maratona. Di poesia rimane ben poco, ma il carico di t-shirt da cambiare è d’obbligo.

Le piste all’aperto spesso non sono nate come piste da ballo, perciò bisogna adattarsi a ballare su superfici dure, a volte con fughe mefistofeliche che ingannano i tacchi. Per tutti: portarsi almeno due paia di scarpe di scorta, pneumatici duri o morbidi a seconda della situazione.

Una tanda sul far del tramonto, con le luci che sfumano, rende il momento davvero speciale. Fondamentale avere tra le braccia il partner giusto o si butta tutta la poesia del momento.

Il tango al chiuso: comfort e sacralità

La sala da ballo nasce per esserlo, quindi il pavimento sarà il suo atout privilegiato, liscio e morbido come un vellutino.

L’aria condizionata ti congela i sentimenti all’arrivo, ma la benedici non appena inizi a ballare e a sudare. Impossibile sopravvivere senza.

Luci e suoni il cocktail perfetto per mirare ed ascoltare la musica senza interferenze. Se poi qualcosa comunque non funziona è chiaro: il problema sei tu.

Tipi da pista.

Avete mai fatto caso che, nel contesto di milonghe all’aperto, dove può esserci anche del pubblico di passaggio, i classici “fenomeni” danno il meglio di loro stess*? Uomini e donne che sotto lo sguardo di non tangueri sentono accendersi tutte le lampadine dell’eccitazione esibizionistica e si abbandonano alle più incredibili/improbabili evoluzioni?

Quindi dentro, nella coccola di una sala dalle luci ovattate o fuori, sotto il cielo stellato? “Tu dove godi di più?”
a) Al chiuso, dove regna l’ordine e la penombra.
b) All’aperto, tra stelle e imprevisti.
c) Ovunque, purché con il tuo abbraccio preferito?

La mia risposta: ovunque, basta ballare bene!

Pimpra

SOTTO IL VESTITO… IL TANGO? #ditantointango

Vent’anni fa entrai nella mia prima milonga come si entra in un tempio. E ne uscii stregata.

Gli occhi rapiti dai piedi delle ballerine, dai loro tacchi feticcio. Quegli abbracci che cingevano e si liberavano in sinapsi velocissime e nitide.

Ero assolutamente abbagliata di bellezza, l’anima coccolata da note che sapevano essere dolci o melanconiche, passionali o tristi. Un equilibrio perfetto di tutto quello che andavo cercando in quel periodo della mia vita: emozioni.

I miei esordi corrispondevano all’età dell’oro del tango “nuevo”. Musica, movimenti sperimentali, e così gli abiti.

Stratificazioni di tuniche, pantaloni larghi. I tessuti svolazzavano, creando alchimie visive, traiettorie liquide che catturavano lo sguardo. L’estetica non rincorreva l’eleganza formale ma una dose di sensualità libera, fuori dalle righe, fortemente espressiva.

Poi arrivò Noelia, icona e spartiacque di un nuovo modo di essere tanguera.

Il suo tango talentuoso e unico unito alle sue curve che valorizzava con abiti a guanto, attillatissimi, una seconda pelle. Gli occhi di tutti erano su di lei: sui guizzi ritmatissimi dei suoi piedi, sul suo abbraccio felino e sull’ondeggiare sfrontato del suo mitico lato b.

Rivoluzione nella rivoluzione.

Accantonati i pantaloni da odalisca, ci siamo infilate dentro abiti tubino aderentissimi, illudendoci di imitare alla lontanissima, le grazie della bella Noelia.

L’abito, specie quello femminile, è capace di esaltare o di imbruttire il tango di chi lo balla. E’ una sensazione che percepisce la ballerina che si traduce nel gesto che emana.

In un abito fluido mi sento poesia, in un tubino divento architettura.

Il corpo si adatta e interpreta i movimenti in modo diverso. Esce un tango con altre sfumature.

E all’uomo accade qualche cosa di simile?

Il pantalone largo copre, il jeans svela. Anche per voi l’abito cambia il modo in cui sentite il tango?

Per chiudere questo excursus sull’abbigliamento tanguero, mi sento di dire che ognuno di noi è influenzato da ciò che veste. Non solo per la forma dell’abito ma pure dai colori.

In fondo, ogni volta che scegliamo cosa indossare per ballare, stiamo decidendo chi vogliamo essere quella sera. E anche questa, forse, è una delle magie del tango.

Pimpra

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DENTRO LA TANDA, FUORI DA NOI. #ditantointango

Foto di Samuel di Luca

Fuori siamo professionisti, madri o padri, indaffarati, soli. Dentro, una tanda basta per trasformarci. In qualcuno.

Entriamo in sala e ci vestiamo del nostro personaggio.

Ballare ci permette di giocare con chi “vorremmo essere” o “non essere”.

Ho fatto spesso questo ragionamento sulla duplicità perché la vivo sulla mia pelle.

In pista, permetto a me stessa di far uscire allo scoperto alcuni aspetti della mia personalità che, normalmente, non mostro.

Dalle insicurezze iniziali è nata la mia giaguara. La vedo in pista, la sento nel corpo. Vive nella tanda. Fuori non mi segue. Non ama la luce.

Ho visto molti tangueros trasformarsi come me. Li ho visti tremare e diventare giganti. O svanire mentre danzano. Ma in quel momento, sono veri.

La milonga è il nostro personale teatro dove alcuni si spogliano del quotidiano, altri inventano un alter ego.

Si tratta di maschere, di rappresentazioni verosimili di ciò che siamo. Una sorta di carnevale del possibile. Di ciò che vorremmo. Dei nostri sogni. Dei nostri desideri. Di essere scelti, toccati. Di esistere per qualcuno.

Chi cerca visibilità, chi conforto, chi potere, chi vendetta, chi amore e a volte lo trova. E c’è chi non cerca più nulla. Eppure continua a venire.

Fuori dalla pista, siamo fragili, stanchi, a volte invisibili. Dentro, anche il corpo più incerto può diventare lingua, invito, eleganza.

Il tango ci dà una nuova identità. E come ogni identità, rischia di diventare una trappola.

Ci sono tande che ci portano via la pelle e il cuore, illudendoci di aver dato vita a un sogno fatto di realtà.

Ma è solo polvere di musica, sudore scambiato e battiti condivisi. Finisce la tanda e cala il sipario. Su di noi.

Pimpra

NEI PANNI DI UN “MEDIOMAN” TANGUERO. #ditantointango

Alzi la mano chi non ha mai stramaledetto la tanda eseguita, magari per distrazione, con un “medioman” tanguero.

Dicesi Medioman tanguero quel tanguero che dopo percorsi di studio o frequentazione di più o meno svariati corsi di tango, non riesce ad esprimere interpretazione della musica, propone una due o tre sequenze di passi che sono sempre uguali, balla tango-milonga-vals, Pugliese, D’Arienzo, Troilo come se fossero la stessa cosa. Insomma il leader che è la classica X sulla schedina del piacere: non si può dire un disastro ma neppure un fuoco d’artificio, ma, soprattutto, si connota per essere troppo prevedibile.

Per non fare sconti a nessuno, esiste la medesima figura pure per lei. La Mediowoman tanguera è quella follower senza infamia e senza lode, quella che, sente D’Arienzo, Pugliese o Vargas, non modifica nulla nella sua energia, nei suoi movimenti, come se l’onda potente delle note non la riguardasse.

Si muove facilmente, leggera, come una foglia al vento.

Personalità non pervenuta.

Quando due medioman si incontrano nell’abbraccio ce ne accorgiamo: lui impasta le sue sequenze tutte uguali, lei lo segue con distacco. Manca la scintilla, quella connessione vibrante di anime.

Non posso smettere di chiedermi perchè ostinarsi a ballare così, senza colore, con poche forme, senza varietà, almeno energetica.

Allora penso entrino in gioco dinamiche più legate alla psiche che al puro sapere tanguero.

Il leader sente di aver bisogno del controllo per evitare l’errore. Tiene saldamente la regia della tanda. Immagina che un pacchetto preconfezionato di passi/strutture/movimenti possa soddisfare la follower.

Spesso accade che lei non si prenda spazio, non osi, non si esponga. Sta e basta. Quasi passiva mi verrebbe da dire, anche se a marca, esegue.

Qui sta il punto: eseguire non è ballare.

Esecuzione è movimento, gesto, linea. Senza l’emozione che nasce dall’incontro tra musica e abbraccio rischia di essere una combinazione vuota. Magari eseguita tecnicamente in modo ineccepibile, ma assolutamente priva di scintilla.

Ogni danza necessita di un bagaglio che deve necessariamente essere tecnico ed espressivo.

Il tango argentino credo possa essere una delle massime espressioni di questa diade: corpo e cuore.

Come follower mi aspetto, specie da leader navigati, la capacità di ballare per esprimere, non per muoversi. Se voglio solo muovermi, vado in palestra.

So che è molto difficile, specie per il leader: gestire la ronda sempre più impazzita, impegna moltissimo la concentrazione portandola via alla creatività della tanda. Ciononostante vorrei un leader che si sentisse libero di osare anche se- a causa di forza maggiore, il rischio di sbagliare è più alto.

Preferisco una tanda “sporca” ma vissuta, goduta e complice, al compitino ben eseguito.

La modalità “medioman/woman” è forse legata alla stanchezza?

Dopo 5-6 ore ininterrotte di ballo, arriva il momento in cui i serbatoi di energia, vitalità, creatività si esauriscono. E’ quello il momento di togliersi le scarpe e andare via.

Nunquam in medio.

Almeno proviamoci. Ogni volta che entriamo in quell’abbraccio.

Pimpra

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Tango, amore e altre catastrofi. #ditantointango

Cosa c’è di più bello di ballare una tanda legati in un abbraccio che profuma d’amore? Magari condito di una buona dose di frullato di ormoni?

Musica che soffia sul fuoco della passione, accende l’intesa, aumenta quel senso di appartenenza dell’io al tu?

Ok smettiamo di raccontarci le favole: non sono tutte rose e fiori!

Molti amici non tangueri mi chiedono come potrebbe essere iniziare il percorso di studio con il loro partner sentimentale.

Un tempo, da inguaribile romantica quale sono, avrei risposto: meraviglioso.

Oggi, da “risvegliata”, affermerei: non fatelo!

GIOIE E DOLORI DEL BALLO IN COPPIA.

Tra i vantaggi sicuramente la disponibilità del partner nell’affrontare il lungo (lunghissimo) percorso di studio.

Innegabile plus la comodità di essere coppia per partecipare ad eventi con iscrizione.

Se la coppia è fresca, giovane (sta insieme da poco), cingersi in un tango, beh, diciamocelo regala una bella botta di endorfine.

MA…

Vogliamo affrontare tutti i piccoli e grandi disagi che si presentano davanti, come minuscoli o immensi ostacoli da superare per i piccioncini che vanno a ballare insieme, coppia sentimentale.

LE REGOLE

Dopo le prime mega baruffe consumate dentro o fuori dalla pista, gli innamorati si danno delle regole, un loro cerimoniale non scritto per affrontare la serata danzante.

La prima e l’ultima tanda sono mie, tuona lei che ha bisogno di sentirsi rassicurata di essere il solo e unico soggetto di desiderio, danzante e non, presente in sala.

Non puntarmi sempre gli occhi addosso quando miro le altre, se non lo faccio non posso ballare, rincara lui che si sente dentro la casa del Grande Fratello con mille occhi addosso che registrano ogni suo movimento.

Questi sono solo due tra i tanti riti che la coppia si dà per non uscire dalla milonga con l’appuntamento dall’avvocato divorzista già prenotato.

Ma, non basta.

Tutti hanno sperimentato, da parte di lui e lei, la BLACK LIST dei ballerin* con cui vige il divieto assoluto di ballare, di mirare, di scambiare qualche parola.

Nulla è più irresistibile di una regola proibitiva: alla prima occasione balleremo proprio con il pirata (o la piratessa) RED FLAG. Come si dice: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

Andiamo la lezione. Territorio neutro.

Le baruffe micidiali che ho visto e vissuto sulla mia pelle con il partner sentimentale. Imparare è anche un gioco di potere dove si riaffermano gli equilibri forti all’interno della coppia, nessuno è disposto a cedere su territori faticosamente conquistati.

Capiamo bene, è un problema: rinfacciare gli errori o le inesattezze del partner con fare insistente o- peggio, insultandolo malamente, non porteranno lontano. Anzi no, spingeranno la coppia direttamente sull’orlo del baratro. Non solo tanguero.

Libertà.

Se ballo in una dimensione psicologica nella quale mi sento libero, ballerò meglio. Senza preoccupazioni di come si sente il mio partner di vita, senza sentirmi a disagio perchè lui/lei si sta divertendo massimamente mentre la mia serata non decolla.

Ci sono tantissime sfumature che possono essere direttamente letali per una coppia che non sia ben equilibrata, stabile, con basi forti.

Per tutti gli altri è come mettere la prua della nave puntando dritto dentro la tempesta.

Può essere una prova (AUGURI!), può essere un escamotage per finirla prima (epperò siete bastard*! non è meglio dirsi prima che non siamo più convinti di stare insieme?), può essere anche la celebrazione dell’amore, dell’armonia, della complicità.

Personalmente ho vissuto entrambe le possibilità: ho ballato da moglie (ora ex – guarda un po’! 😉 ), da compagna, da single.

Il tango migliore, secondo me, lo ballo da single. Nessuno mi scruta, nessuno mi giudica e vado a casa a serata finita con il cuore leggero.

A voi la scelta!

Pimpra

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Le 7 tragedie in milonga che solo una tanguera può capire. #ditantointango

A tutte le amiche tanguere in ascolto saranno capitate le avventure più disparate in pista – e ovviamente anche fuori, ma quelle le custodite nel vostro scrigno segreto di ricordi.

Oggi voglio proporvi un gioco: le 7 tragedie vissute in milonga.

Inizio io e aspetto da voi divertenti contributi!

Tragedia n.1 — Il crollo strutturale

In una bella milonga estiva in riva al mare, parte la tanda di milonga. Intercetto un ballerino favoloso, dinamico. Dopo meno di un minuto un rumore sinistro all’altezza del tallone e un cedimento strutturale mi fanno crollare.

Fortuna volle che il cavaliere oltre che bravo fosse forte: mi ha trattenuta prima che finissi a terra.

Scarpe nuove. Mai successo prima. Imprecazioni interne. Cambio scarpe e via, ho ripreso a ballare.

Morale: anche se la milonga è sottocasa, partire sempre con il cambio gomme, un paio di scarpe in più.

Tragedia n.2 — L’invito che non arriva mai

Una delle situazioni che mi hanno sempre fatto infuriare, specie nella mia verde età di tanguera, è quando la mirada non solo non veniva accettata ma direttamente schifata. Sei trasparente, non esisti, sei un ectoplasma. Ricordo quanto ci stavo male, la malattia che ne facevo all’epoca.

Il mondo crollava in testa e l’autostima scendeva sotto il pavimento.

Anni dopo, quelle mirade hanno fatto centro. Ho ballato con quelli che erano stati i miei oggetti di desiderio tanguero. Una delusione assoluta. Io sono andata avanti, loro sono rimasti lì.

Morale: ho imparato che non ha alcun senso prendersela per inviti mancati. A volte è meglio evitarsi l’esperienza! Ma questo lo capisci dopo!

Tragedia n.3 — La tanda eterna

Vogliamo parlare della tanda eterna quella che non finisce mai? Il primo brano già ti parla di fuga. Al secondo ti rassegni. Al terzo ti chiedi se puoi emigrare senza passare per il guardaroba.

Morale: la prossima volta portati il revolver nella giarrettiera, almeno la fai finita più velocemente. Ovviamente ti liberi di lui!

Tragedia n.4 —Il wrestler

Il tanguero che non deve chiedere mai. Quello che ti abbraccia e sei sua.

Ti mette in gabbia e decide di marcarti anche il respiro. Ma mica con le buone eh! con una marca da wrestler, manco fossi un frigorifero senza le gambe.

Quando chiede un boleo, lo fa con una tale selvaggia virulenza che senti, una dopo l’altra, le vertebre scricchiolare e speri che la struttura regga il colpo!

Morale: alcuni li vedi e li eviti. Quelli mascherati ti fregano. Non ti resta che pregare e sperare che il tuo corpo regga i colpi. In fondo tutta la palestra che fai servirà pure a qualcosa!

Tragedia n.5 —L’igiene, questa sconosciuta

Arriva il momento che hai aspettato per anni, il ballerino dei tuoi sogni.

Ti alzi con fare felino, avanzi verso di lui senza togliergli gli occhi di dosso, mano destra nella sua, ti avvicini, lo abbracci e… vieni tramortita da un terribile odore di ascelle.

Il risveglio dal sogno tanguero è traumatico. Gli effluvi funesti nelle narici non ti fanno godere nulla, nulla, nulla. Non vedi l’ora che finisca.

Morale: il tango ti insegna a non avere aspettative. Mai, su niente e nessuno. Una lezione di vita.

Tragedia n.6 —Wardrobe malfunction

Ho ballato per un pomeriggio intero con un copricapezzoli sull’ombelico. Stendo un velo pietoso sull’imbarazzo che ho provato quando me ne sono accorta. Ma le amiche dov’erano?

Morale uno: buttate i copricapezzoli di silicone. Sudore e abbracci li fanno migrare.

Morale due: situazioni come questa mettono luce su chi avete vicino.

Tragedia n.7 —Essere “catafaro”

I dolori improvvisi che attanagliano nel bel mezzo della tanda. Sperimentato mai fitte ai piedi così forti da risultare invalidanti? Il medico ha sentenziato troppa sollecitazione e uso eccessivo di tacchi.

Morale: Arrivi a casa e ti fa male tutto. Ti senti peggio di un maratoneta dopo 42 km di corsa ma sai già che alla prossima milonga ci caschi di nuovo!

Adesso tocca a voi!

Pimpra

BALLARE PER NON CROLLARE. IL TANGO OLTRE LA CRISI #ditantointango

Immagine di Radu

Non è sempre tutto scintillante.

Una festa dentro la notte, un farsi dell’alba stretti in abbracci indimenticabili.

A volte è maschera di un sorriso che nasconde una ferita.

Ballare -come lo sport, e forse meglio ancora- ci connette al corpo, che è la più potente medicina quando l’anima e il cuore soffrono.

Il corpo ci riporta nel qui e ora. Ci ancora alla realtà. Ci tiene vivi.

Nel 2023 il mio piccolo mondo mi è crollato in testa.

Senza fare rumore. In un silenzio peggiore di qualsiasi esplosione.

Il cuore si è sciolto, così pure le immagini che aveva creato, rivelando uno scenario squallido.

Ci sono stati momenti in cui non ho più percepito emozioni, sensazioni, ho vissuto dentro una linea piatta, fatta di routine, di gesti conosciuti e oramai meccanici, senza provare alcunchè, dolore e rabbia compresi.

La vita scivolava a gocce scolorite, così i giorni. Il corpo si muoveva come un automa. Vuoto di senso. Vuoto di stimoli. Solo vuoto.

Poi, una mattina, nella quotidiana passeggiata verso l’ufficio, la playlist del cellulare mi ha sbattuto in faccia uno dei miei tanghi preferiti. Un monito. Un richiamo. Uno schiaffo alla mia apatia.

Ho concluso il mio anno orribile andando in maratona da sola, viaggiando da sola, restando da sola. Un’iniziazione. Una consacrazione alla mia nuova me. Alla giaguara ferita, ma ancora palpitante di vita, pronta a rialzarsi.

E così è stato. Weekend dopo weekend, ho ripreso a viaggiare e a ballare. Tanto. Con tutti.

Non era una fuga, la mia, era la dimostrazione della mia resistenza ai colpi della vita, agli inganni delle persone, alla solitudine.

E sono rinata.

E il mio tango è rinato.

Anzi: è nato per la seconda volta.

Gli abbracci sono una forma di regolazione emotiva, riducono l’ansia, ricompongono la frammentazione. Pezzo dopo pezzo, il tango ha incollato i miei cocci, riassemblandomi in un insieme decisamente migliore.

Gli abbracci del tango non chiedono nulla eppure ti restituiscono tutto. Ti rimettono in mano la tua vita, la tua persona, i tuoi desideri. Riaccendono i sogni.

Le crisi oggi arrivano a onde, come la risacca. Tornano, sempre.

A vent’anni cerchi il tuo posto nel mondo.

A cinquanta ti chiedi chi sei diventato.

In tutto questo il tango. Che resta, accoglie, contiene, racconta.

Oggi, quando tocco le assi di legno della milonga mi emoziono ancora. Quel tango, quello che mi ha salvato, mi risuona dentro.

Da allora ho la mia playlist di preferiti, brani che sanno suonare dentro di me tutte le note delle emozioni.

Chiudo gli occhi e inizio a muovere i passi.

Rinasco, una volta ancora.

Pimpra

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