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Millemila passi di trasformazione. Da fuori a dentro.
Ho smontato pezzo a pezzo le scorie di resistenza della mia mente.
Ho affrontato i severi giudizi che mi sono data.
Ho accolto i limiti del mio corpo.
Quando tocco le assi di legno della pista oggi so chi sono, consapevole dei miei confini e dei tratti unici che mi contraddistinguono come ballerina.
Il mio tango è passato da fuoco d’artificio a fiume, come il Timavo del mio nord est.
Sono diventata acqua che scorre e s’inabissa. Entro in profondità, nel buio, in grotte e anfratti nascosti dove si aprono cupole inesplorate.
Intorno solo il verseggiare dell’acqua, ora più ciarliera ora più silente dentro un movimento compatto che resta perpetuo.
Sento molto di più di un tempo.
Nel buio, la vibrazione delle emozioni si espande elettrica raggiungendo ogni molecola dell’essere. Non ho più bisogno di mostrarmi, non cerco lo sguardo, ricevo e restituisco calore e movimento.
Aspetto di riemergere, trasparente e cristallina. Quando sarà il momento, foce piena e consapevole di tutta me.
Il fine settimana lungo di aprile traghetta nello splendido mese di maggio, dove fioriscono rose e spose mentre la primavera ancora non ha fatto capolino.
Per quasi tutti la piccola sosta consente di aprirsi a una piacevole occasione di relax, di gite fuori porta e grigliate con amici.
Il concetto di “pausa” è ignoto al tanguero di tipo errante o stanziale: dove c’è un ponte o un fine settimana allungato, c’è una ghiotta occasione da non farsi sfuggire, un evento imperdibile, una milonga di quelle giuste.
Anche se l’armadio urla “cambio di stagione”, l’appartamento “mettimi in odine”, il balcone “occupati di piante e fiori”, la crew felina “vogliamo stare tutti in compagnia”, pure la sottoscritta non è sfuggita alla sacra regola: A BAILAR!
Con una organizzazione del mio tempo libero degna di una “bionda e svampita”, ho pensato bene di recarmi per due giorni di fila, a due eventi lontani 250 km da casa, facendo ritorno all’ovile dopo ogni serata. Due conti alla mano, circa 5 ore di macchina per ballarne al massimo 6. Irrazionalità allo stato puro. Ma tant’è.
La prima pomeridiana qui, mi ha sorpresa per la spumeggiante offerta musicale che, per la prima volta, mi ha fatto soffermare sull’importanza delle cortinas a cui, in precedenza, non avevo mai dato particolare peso.
La musica, nella mia testa famelica di tango, partiva dall’inizio brano alla scansione delle tande previste, pausetta e via un nuovo giro, una nuova corsa. Il tempo in mezzo l’ho sempre vissuto come “funzionale a”: tornare al posto/cambiare posto/mirare/riballare.
Invece, nel dì del 30 aprile dell’anno del Signore 2023, ho capito che una cortina ben pensata, è un catalizzatore emotivo/energetico/d’atmosfera che prelude e prepara alla tanda successiva. La pomeridiana, benchè sovraffollata, con la pista che buttava in caciara per l’entusiasmo fuori controllo dei danzanti, ha regalato un su e giù energetico coinvolgendo i presenti in una buonissima onda come non ricordavo da tempo.
La cortina dava l’accordo, la tanda completava il movimento.
Il giorno successivo, nella mia personale maratona più chilometrica che tanguera, ho festeggiato il primo maggio, in quel luogo pazzesco che è lo spazio Orvett. Ogni volta che vi ho ballato, sono tornata a casa appagata, l’atmosfera del luogo unita alla cordialità del gruppo degli organizzatori, rende la festa una bellissima festa.
Inizio il mio martedì di maggio con un solo miraggio davanti agli occhi: una dormita di almeno 6 ore.
In ogni settore della vita, dal lavoro agli hobby, allo sport. La necessità di mettersi sempre in gioco per alzare l’asticella, non dando per scontate capacità o doti personali, senza sedersi mai su presunti allori di obiettivi raggiunti.
La vita è un lungo cammino da riempire di piccoli e grandi traguardi, di sfide accettate e vinte, costellato da cadute clamorose e da giorni zero, quelli in cui si tira una linea e si riparte.
Nei giorni scorsi, grazie a un incontro che ho fatto per caso, vedendo il video di una ballerina che mi piace molto, ho scoperto chi fosse la sua Maestra, la prima, quella che ne ha definito le fondamenta e l’ho contattata.
In realtà ci eravamo già incontrate in milonga ma non avevamo avuto l’occasione di parlarci, di conoscerci meglio.
Le domande che mi ha posto relativamente a cosa cercassi nella lezione mi hanno immediatamente fatto comprendere che ero nel posto giusto, con la persona giusta. “Sento che qualcosa non va, credo si tratti di questo e di quello, vorrei che il mio tango fosse così, ma non so esattamente. Ti chiedo solo la verità, non farmi sconti, anche se è tutto da ridefinire”.
Con tatto, maieutica, spiegazioni verbali e fisiche talmente chiare, mi ha fatto capire senza alcun dubbio su cosa devo lavorare.
Dopo quasi 20 anni, sono pronta a scavare nuovamente le fondamenta della mia casa, lo faccio con gioia, con umiltà e pure con gratitudine.
Il tema dell’esprimere un giudizio tecnico/artistico agli allievi è sempre piuttosto complesso per chi, nella professione, insegna una materia che rientra nel campo semantico del “tempo libero” si tratti di un hobby, di un passatempo o di una disciplina sportiva o artistica.
Quale è il limite in cui l’insegnante può spingersi a correggere gli errori?
Non è una questione di poco peso, poichè per il docente gli allievi sono fonte di entrate, di qui il rischio di esporsi con verità che potrebbero risultare sgradite.
Faccio parte di quella schiera di vecchi atleti abituati ad essere ripresi dai loro allenatori, perciò dal mio insegnante mi aspetto questo: che mi corregga e se devo ripartire da zero, riparto da zero.
Ancora una volta il tango mi insegna la vita.
Una nuova linea tracciata, un nuovo inizio. Nuove scoperte, nuove avventure.
Quest’anno mi sta insegnando che nello zero c’è l’infinito. L’infinito delle possibilità.
Marzo è il mese delle gite scolastiche e della Tosca. Due certezze nella vita che non guastano, specie la seconda.
Mancavo dal lontanissimo 2019, in senso assoluto non è un tempo infinito, lo diventa se consideriamo tutto quello che c’è stato in mezzo, fortuntamente superato, alle spalle, dimenticato o quasi.
I segni degli ultimi terribili anni in realtà si sentono eccome. Un specie di ferita, rimarginata – certamente- ma ancora fresca, troppo fresca.
La villa monumentale e il suo parco accolgono gli ospiti nella consueta magnificenza, varcato l’ingresso gli amici di sempre, le Tosche e il team di supporto regalano sorrisi, abbracci e sguardi che raccontano il piacere e la gioia di ritrovarsi.
La Tosca è casa, non si discute.
Rivedere prima, rivivere poi gli abbracci a lungo lontani è un’emozione potente, capace di far sgorgare quel fiume incontrollato di sensazioni, di ricordi, di momenti incastonati come perle nella memoria.
Ho portato in valigia l’umiltà, dovuta, al mio periodo inglorioso di pausa. Inglorioso perchè, per ciò che si ama, ci si deve battere ed io mi sono lasciata sopraffarre, allontanandomi troppo, dall’oggetto del mio amore.
Ho portato in valigia la curiosità di osservare il cambiamento che è essenza implicita del tango. Sono rimasta sorpresa da quanto ha saputo raccontarmi.
Appoggio quanto sto per scrivere a una breve premessa che mi è utile per definire lo scenario. La Tosca è una maratona. Tradizione vuole che chi sceglie il genere si aspetti un certo tipo di partecipanti e di musica, andando alla ricerca di un’energia molto particolare, che spinge, sostiene, motiva, promuove l’impegno che ogni maratoneta mette nelle lunghissime sessioni di ballo.
La maratona non incontra i gusti di coloro che prediligono un genere di evento più “intimista”, raccolto, dalle vibrazioni molto soffuse – sebbene potenti ma, in qualche modo, interiorizzate.
Il maratoneta ha una testa e un ballo di pulsazione più marcata, nel senso che ingaggia, si muove molto, a volte rischia, spesso esagera. Per queste ragioni, deve essere tanguer* preparat*, dal momento che “la potenza è nulla senza il controllo”.
Il primo clamoroso cambiamento che ho percepito è stato nel linguaggio musicale. Ho assistito a sessioni in cui le tandas proponevano una ricerca di gesto necessariamente intimista e raccolta, ho ascoltato numerosissimi blocchi di brani con una venatura particolarmente malinconica, a tratti cupa, struggente, estremamente romantica. Il ritmo, le battute, senza guizzi come a dipingere un cuore stanco, provato da una lunga sofferenza.
Prima del buco nero degli anni Covid, il racconto in note durante la maratona era un’esplosione di colore: si ballava sulle onde di un mare molto mosso, seguendo un’onda che ti portava via veloce, lasciandoti senza fiato, senza forze ma carico di una gioia vitale che ricompensava ogni energia spesa.
Oggi è come se la gioia facesse paura, o fosse, oramai, una emozione di cui non fidarsi perchè – e lo abbiamo imparato a nostre spese – può esserci tolta da un secondo all’altro.
L’intimismo musicale si è tradotto in un messaggio diverso rimandato dagli abbracci che si sono fatti più avvolgenti e calorosi.
Ho goduto dei momenti in cui l’onda cresceva per poi lasciarmi cullare dalla sua morbida risacca, nel flusso di un respiro dolce.
Tutto cambia. A volte è faticoso accettarlo ma standoci dentro noi stessi diventiamo cambiamento e scopriamo nuove forme, nuove frasi, nuovi linguaggi.
Grazie, per una volta ancora, a questa maratona del cuore e a chi con fatica, cura e dedizione la organizza da 13 anni. Ogni edizione è una nuova scoperta.
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