
Correre. Un verbo che, al solo pensarlo, sento un brivido sulla pelle. L’adrenalina risponde immediata facendomi salire le pulsazioni.
Correre. E’ la stessa eccitazione del sesso, o di una tanda perfetta.
Correre. Sono io.
Ci sono tantissimi effetti collaterali che ho vissuto in prima persona, quando il corpo piega se stesso in dolori lancinanti che da semplici fastidi che lo sportivo accetta come moneta da pagare in cambio delle sue endorfine, diventano così potenti da costringerti a smettere.
Quando è accaduto a me, ho chiuso definitivamente. Ho lasciato gli amici della pista con cui ho sputato sudore, lacrime, sangue e infiniti sorrisi. Era troppo doloroso dire a me stessa “Sei arrivata al capolinea, ti fa troppo male”.
E’ come dichiarare il fallimento di un grande amore o vivere un lutto. Entrambe le cose insieme. Tanta roba.
Il tempo scorre veloce e, un giorno, capisci che non hai altra medicina, perché tutte quelle che hai provato, non ti bastano più.
Lo osservavo sempre, quel rullo nero di gomma che ti rimbalza sotto ai piedi, cantando la sua nenia rumorosa e ritmica, lo osservavo da lontano, trattenendo il mio desiderio di domarlo a forza di falcate.
L’ho amato da lontano.
Ho fatto l’indifferente per lunghi anni, fino al tempo in cui il mio corpo è invecchiato ancor di più ma è guarito dai traumi dei miei anni trascorsi sulla pista di tartan.
Ieri ci siamo amati, come due amanti a lungo separati.
Ieri ho corso.
Ieri ho respirato.
Ieri ero viva e vibrante.
Ieri ho amato. Di nuovo, me stessa.
Ieri ho corso.
Pimpra
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