Un’estate che definisco strana. Sembra quasi tutto normale ma sappiamo bene che non lo è, una gran parte delle nostre vite precedenti sono e restano ancora come congelate.
Abbiamo imparato a convivere con strane regole, ci adattiamo a nuovi modi di vivere il nostro tempo libero in un regime che definirei di semi libertà.
In tutto questo la vita va avanti, come se nulla fosse.
Venerdì pomeriggio, palestra. Praticamente vuota, situazione ideale: i macchinari sono liberi, non ci sono fastidi, odori molesti, gente che intralcia. Penso che sono diventata una selvaggia asociale, ma tant’è.
Parto con la prima serie di esercizi, sto per iniziarne un’altra mentre lascio la postazione a un ragazzo che conosco di vista, frequenta anche lui lo stesso luogo, più o meno ai miei orari.
Per la prima volta mi saluta chiedendomi come va.
Tolgo le micro cuffiette e gentilmente rispondo “Tutto bene grazie, fino a quando potremo continuare a venire qui” aggiungo “bene anche tu mi sembra” .
“Sì infatti” risponde il giovane. Un volto dai lineamenti delicati, elegante nei modi, riservato, un bel fisico fresco, asciutto e armonicamente muscoloso. L’avevo notato nella massa dei giovinetti che pompano i muscoli, menando vanto dei pesi sollevati e delle incredibili performance tra le lenzuola. Lui mai, sempre in disparte, in silenzio ad allenarsi, come me.
Rimetto le cuffiette, faccio per recuperare il cellulare e, come per magia, non lo trovo più. Deve essere lì, era accanto a me durante l’esecuzione dei primi esercizi, non posso averlo messo altrove. Guardo, cerco e nulla, come fosse sparito.
Il giovane capisce che qualcosa non va e mi porge il suo cellulare, iphone di ultimissima generazione, dicendomi di chiamare il mio numero, cosa che faccio e, incredibile, il cellulare era esattamente alla base dei miei piedi. Lo vedo, rido, ringrazio per l’aiuto, rimetto le cuffiette e continuo l’allenamento.
Tra me e me penso a quanto sono accecata, decretando che, la prossima volta, mi tocca assolutamente mettere le lenti a contatto (che non sopporto).
Doccia, vestizione e scappo a casa. Nello spazio antistante agli spogliatoi, il giovane sta armeggiando con il cellulare, saluto con un ciao e mi avvio.
Girato l’angolo, già in sella allo scooter lo rivedo, mi avvicina e mi chiede dove abito. Resto basita ma, come un automa, rispondo. Poi mi chiede se sono libera.
“Cosaaaa?” mi esce una faccia a forma di pesce con occhi a palla. Ma che domande sono, non conosco neppure il suo nome! Rilancia immediatamente dicendomi che non parla bene l’italiano, me ne ero accorta, al che chiedo di dove fosse. Kossovo, risponde.
Nella mia immaginazione era uno dei tanti studenti che frequentano la palestra, oppure un giovane professionista, e niente, invece mi dice che ha una ditta di costruzioni. Traduco nella mia testa pensando che lavora in una ditta di costruzioni.
Rilancia immediatamente facendomi una domanda così diretta da arrivamrmi come una sassata in faccia “Posso venire a casa tua?”
EEEEEEEEH?????????!!!!!!!!!!!!
Trasalisco imbarazzatissima, non so se incavolarmi a morte o ridere. Istintivamente mi viene da ridere perché reputo la situazione assolutamente surreale.
“Certo che non puoi venire a casa mia, ciao eh”.
Accendo il motore e parto. Lui si avvia con le pive nel sacco.
Alla sera, mi chiama per 3 volte. Non solo ardito ma pure stalker. L’ho bloccato e via.
Estate 2021 modalità ON.
😀
Pimpra
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