DI TANTO IN TANGO. ROMAGNA PORTENA MARATHON

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Quando torni a casa dopo una maratona, una delle attività più piacevoli nel disfare la valigia, è rimettere a posto le scarpette da tango.

Le mie hanno alcune mensole a loro espressamente dedicate, mi piace guardarle, osservarne l’invecchiamento, i segni che tutte le ore di ballo lasciano sulla loro struttura. Non amo mettere in ordine, se qualcuno lo facesse per me, ne sarei felice. Mi piace mettere a posto solo le mie scarpettine adorate. Ognuna di esse mi racconta una storia, mi ricorda tandas, maratone, milonghe alle quali ho partecipato.

Oggi è stato uno di quei momenti belli, in cui, rimettendo le mie piccoline al loro posto, la mente è corsa al fine settimana.

Potevano, gli amici romagnoli, non organizzare una maratona? Proprio loro che, nel DNA, hanno tatuata la parola “accoglienza”? Fortunatamente si sono decisi, rimboccandosi le maniche e hanno dato vita alla “Romagna porteña marathon” a Riccione.

Io ve lo dico, da snob con la puzza sotto al naso, nemmeno quando ero “ggiovane” mi sono recata in villeggiatura da quelle parti, troppo turismo di massa, troppa sabbia, troppa “caciara”, che mai sono stati nelle mie corde. Mi sono sempre tenuta ben lontana.

Ci ha pensato il tango a prendermi per mano e farmi arrivare lì, da signora di mezza età, anzi, ci hanno pensato loro, i romagnoli, a farmi venire la voglia e… MENO MALE!

Il “sapore di Romagna” si è già palesato con esperienze tanguere vissute nei luoghi, con una maratona in campagna, e alcune puntatine in milonghe del luogo, la RPM ha chiuso il cerchio della degustazione.

La squadra ha avuto una brillante intuizione, un geniale colpo di marketing territoriale: offriamo tango (ovviamente), condito di mare, relax e divertimento. Un cocktail che, ben shakerato, ha dato un risultato estremamente gradito.

Location in pieno centro cittadino, palazzo storico, pista grande (come piace a me), alberghi a tre minuti a piedi dalla milonga quando erano distanti, DJ set di livello, una granita al lampone zenzero e carota che me la ricorderò (che sono le coccole che ci piacciono tanto!)

Accanto a questo, il plus è stata l’energia: togli la sensazione di quelle maratone da “performance” da “tiro”, da “devo ballare con lui/lei e gli altri non li guardo neanche”, qui l’ambiente (non fosse stato per il caldo ma che ci vuoi fare se il giorno prima si rompe un pezzo dell’impianto di condizionamento: si chiama sfiga e pazienza!) era accogliente, rilassato, gentile. No performances, no serie A e serie B di ballerini, tutti insieme, appassionatamente.

I romagnoli ti abbracciano, e lo fanno per davvero, sono felici che tu sia lì, nella loro terra, e te la donano come il più bello dei fiori.

A me piacciono i girasoli che il giallo è il colore della festa e dell’allegria, esattamente come i nostri Porteñi.

Allora che aggiungere di più? Aspettiamo la prossima edizione, nel frattempo, da brava triestina, farò training per riuscire a mettere piede sulla riviera sabbiosa e godermi tintarella e mare come hanno fatto gli altri tangueros! OLE’!

GRAZIE RAGAZZI, buona la prima!!!

Pimpra

LA VIOLENZA DI CHI NON SA

violence against women

Inizio il weekend leggendo di una violenza di gruppo compiuta su una ragazzina di 12 anni da tre giovinotti tra i 17 e i 22 anni. Che siano i soliti rifugiati, ospiti delle nostre strutture di accoglienza, mi fa prudere le mani solo un po’ di più. Il problema è più ampio.

Se, culturalmente, vi sono civiltà in cui la donna altro non è che un pezzo di carne di cui usare e abusare, ebbene, è nostro compito, è compito delle civiltà diversamente evolute INSEGNARE, ACCULTURARE al nuovo modo di vivere, di pensare e di comportarsi le persone che ospitano.

Non basta aprire le porte di casa, l’integrazione nasce dall’assunzione del nuovo, dall’accettazione del diverso stile di vita che il paese ospitante richiede ed offre.

Ricordo perfettamente quando negli anni 70 vivevo in Iran, ancora ai tempi dello Scià, mia madre ed io, nel frequentare certi luoghi, assumevamo, con totale rispetto per le tradizioni e la cultura, le sembianze di una iraniana, comportandoci come richiesto da quella civiltà, dal quel paese del quale eravamo ospiti. Lo stesso in Africa e in tutti i paesi in cui ho avuto il privilegio di vivere.

L’errore cocente alla base di questo moderno fenomeno migratorio è che l’accoglienza deve necessariamente passare anche attraverso una fase di formazione, di apprendimento, di adeguamento al nuovo. Questi giovani, che per lo più sono nulla facenti e trascorrono tempo a bighellonare, attendendo che un altro giorno passi, nella totale inutilità della loro vita, prima o poi, per noia, per aggressività, per semplice modo di pensare “diverso” commetteranno degli atti assolutamente esecrabili.

Faccio tanta fatica, oggi, a casa mia, a sorridere, come ho sempre fatto, a chi, diverso da me, incontro per strada. Oggi non trovo più, o molto raramente, lo sguardo amichevole e aperto dell’altro nei miei confronti.

E’ uno sforzo che bisogna fare in due direzioni, da parte di chi arriva e da parte di chi accoglie. Uno sforzo di apertura dinamica e di reciproco scambio, di integrazione armoniosa. Un po’ come fanno gli amanti quando si innamorano, di solito funziona il mix di personalità differenti che si completano l’un l’altra.

E’ questa dinamica dei popoli che desidero per me, per la mia piccola nipote e per tutte le donne. Rispetto, convivenza pacifica e una sorta di gratitudine. In fondo, la possibilità di iniziare di nuovo, di avere l’occasione di costruire una nuova vita, sono chances che meritano tutto il rispetto e la considerazione possibili.

Adesso, linciatemi pure.

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

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