Ci pensavo con amici questo fine settimana, andando in una milonga fuori dai confini regionali. In un momento di amarcord la mente è volata ai nostri esordi tangueri, oramai vent’anni or sono. Un tempo davvero lunghissimo se pensiamo a una passione del tempo libero, un divertissement per alleggerire la mente dai pensieri, muoversi un po’, godere della socialità.
Vent’anni hanno segnato l’avvicendarsi di una generazione di tangueros, forse due. Rammento i primi passi, le prime milonghe, i primi eventi, le maratone, i festival.
Ricordo le esibizioni di tango nuevo che aveva letteralmente spaccato il filo rosso del tango tradizionale, portando una ventata di modernità in una danza dai codici non scritti ma tramandati di ballerino in ballerino. Ricordo quel fermento creativo, quella febbre nella ricerca di dinamiche sempre più fluide, movimenti che danzavano nell’aria e sul piso. C’era fame di sapere, di provare, di mettersi in gioco, eravamo come drogati dalla pista, impossibile darsi una regolata, meno che meno smettere.
Abbiamo vissuto le fazioni che si sono scontrate sul campo, i milongueri classicisti, i saloneri, i nuevisti ognuno con il suo credo e le sue emozioni, i suoi miti danzanti. Eravamo parti di correnti creative diverse eppure, in milonga, andavamo insieme e ballavamo insieme.
Essere follower all’epoca richiedeva massima apertura mentale e conoscenza tecnica. Ballavamo con tutti, poi, evidentemente, la preferenza per uno stile o l’altro emergeva naturalmente, ma, la maggior parte era in grado di rispondere a qualsiasi tipo di marca, a qualsiasi genere di abbraccio di qualsiasi “corrente tanguera”.Non era sempre facile, per le milonguere, amanti dell’abbraccio stretto, trovarsi a volteggiare in dinamiche fuori asse, era una sfida da cogliere, così come per le amanti del “nuevo” trovarsi ingabbiate in un abbraccio troppo contenitivo, un duello tra anima e ragione.
Anche i tangueros hanno vissuto momenti di alta competitività (con loro stessi in primis) quando dovevano imparare movimenti complessi, dinamiche non particolarmente naturali, da proporre a ballerine che non sempre comprendevano le intenzioni.
Abbiamo studiato tanto, e, quelli che non hanno ancora smesso, continuano, ben consapevoli che il tango non perdona. “No studio, no tango” (o tango di scarsissima qualità).
All’epoca le milonghe e gli eventi erano pochi, bisognava spostarsi ed approfittare di ogni occasione. Ci si incontrava tutti insieme e insieme, giovani e meno giovani, si ballava.
L’esplosione degli ultimi anni di eventi, dalle piccole milonghe agli incontri del weekend, ha polverizzato una parte di socialità e di scambio, penalizzando i tangueros. Spesso le milonghe sono sguarnite ed è entrato quel terribile virus che separa le persone invece che unirle. Giovani con giovani, comprensibile ma non scontato, meno giovani maschi con giovani, meno giovani femmine sedute anche se ballerine di alto rango. Non se ne viene fuori ed è un peccato.
Illo tempore i più “anziani”, tangueristicamente parlando, passavano il testimone ai più giovani ma lo facevano in modo democratico, ovvero anche i giovani ballavano con grande orgoglio con le follower più grandi. Ballavano sentendosi onorati. Ai giorni nostri questo passaggio di testimone si è perso.
Quando osservo la pista, la maggior parte delle volte, vedo volteggiare l’ormone, quello sì democraticamente spartito tra uomini e donne di tutte le età, meno si vede ballare il “tango per il tango”.
Ora, essendo tutti animali (qui inteso nel senso alto del termine), l’aspetto della mera attrazione fisica, la ricerca di un contatto che possa trascendere la pista, è sempre esistito e nessuno si scandalizza, anzi , rilevo però che c’è un oggettivo sbilanciamento nelle intenzioni dei danzanti.
Ciò detto, mi chiedo come avverrà la transazione definitiva dalla generazione dei tangueros degli anni pre Covid alla nuova generazione di ragazzi e ragazze che si sono affacciati in questi ultimi anni.
Non nascondo che mi piacerebbe assai, per dovere di passaggio di testimone, che ci fosse la stessa apertura mentale, la stessa curiosità che abbiamo vissuto noi, in modo che, dallo scambio, possano nascere nuovi stimoli per tutti.
Ma forse la mia è solo l’utopia di una visionaria.
Pimpra
Image credit da qui



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