LA SUPER EMPATIA

C’era un tempo in cui una persona a me vicina mi definiva “La signora Alberti” appellativo conquistato sul campo a forza di “consulenze del cuore” offerte a piene mani ad amici e conoscenti.

E’ così da quando sono poco più di una bimbetta che alcune persone, mosse da non so quale ragione, mi venissero vicino a chiedere consigli.

E’ molto facile, per me, mettermi nei loro panni, ascoltarli, ragionare insieme sulla situazione e darne la mia personale interpretazione. Giusta o sbagliata che sia, ha sortito sempre un positivo effetto sulla persona perché, almeno, si sente ascoltata.

La mia passione per l’animo umano doveva – probabilmente- diventare la mia professione, ma altre strade hanno preso il sopravvento, e tant’è.

Ciò detto, ho riscontrato incredibili e profonde ferite esistenziali, in quella categoria di persone che possiedono un dono preziosissimo: la super empatia.

Da Treccani

Empatia

In psicologia per empatia (termine derivato dal greco ἐν, “in”, e -πάθεια, dalla radice παθ- del verbo πάσχω, “soffro”, sul calco del tedesco Einfühlung), si intende la capacità di comprendere lo stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona, in modo immediato e talvolta senza far ricorso alla comunicazione verbale. Il termine viene anche usato per indicare quei fenomeni di partecipazione intima e di immedesimazione attraverso i quali si realizzerebbe la comprensione estetica.

Voi capite che questa capacità di comprendere va assolutamente gestita, poiché, trattandosi di un’energia psichica potentissima, come una macchina sportiva, bisogna saperla guidare.

Uno dei rischi più grandi che corre l’empatico (per non parlare del super empatico, colu* che è così sensibile e in connessione da anticipare desideri, sensazioni dell’altra persona), è di perdere completamente la capacità di percepire/analizzare i dati oggettivi, i comportamenti reali, la situazione che condivide con l’altro.

Di solito sono queste persone così dotate che si mettono a completa disposizione, ascolto, supporto, sostegno… dell’altro perdendo completamente di vista se stessi, i loro desideri, la loro vita, divenendo, molto spesso, bersaglio prediletto di coloro che- assolutamente privi di empatia, ne fanno fonte primaria di approvvigionamento, in tutti i sensi che vi vengono in mente.

L’empatico, diciamocelo, se non è ben strutturato, è il primo dei fragili, di quelli che vengono manipolati e manco se ne accorgono, tanto il loro cuore è buono e pure fesso diciamocelo.

Di contro, bisogna dire che l’empatia non si insegna, è la capacità di entrare in vibrazione con altri esseri viventi, animali, piante, in modo così forte da riuscire a creare relazioni, legami.

Faccio parte pure io della squadra dei super empatici.

Fino ad ora, lo ammetto senza reticenze, ho avuto molti riscontri “di cuore” che mi hanno regalato un profondo senso di gioia, ma, molte più ferite e dolori inferti da quelle persone che l’empatia non sanno manco come si scrive.

La cura l’ho trovata, e mi ricollego a quanto ho scritto poco sopra: l’empatia è una macchina da corsa, potentissima, bisogna saperla guidare o ci si schianta.

Come si impara? Innanzitutto convergendo quelle potentissime antenne vibrazionali all’interno di noi stessi, non verso il mondo, come sempre facciamo, andando a scoprire chi realmente siamo, cosa nascondiamo, quali sono le NOSTRE ferite che non ci diamo mai il tempo di curare.

Fatta la connessione tra l’io e il me, bisogna STUDIARE, approfondire, andare alla ricerca di quel senso profondo di cui percepiamo la nota sonora ma facciamo fatica a cogliere l’intera melodia.

Quando l’orchestra che siamo comincerà a suonare e noi ad ascoltarla, sarà il giorno in cui la nostra empatia, non solo aiuterà chi ci verrà vicino, ma non permetterà a nessun* di usarla contro di noi.

Pimpra

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2 commenti

  1. Una volta la pensavo più o meno così riguardo all’empatia.
    E mi ritenevo una persona “empatica”.

    Però, ad un certo punto della mia vita ho cominciato a riflettere sul fatto seguente: come posso essere sicura di quello che un altro sente se non prova a verbalizzare quello che sente?
    Ovvero, come posso essere sicura che non sto proiettando su un altro quello che sento io… senza accorgermene?

    Quindi, anche se è tutto molto bello, sinceramente io sono convinta che non si ha la certezza di quello che passa nella testa degli altri. L’empatia è qualcosa di personale, ovvero: uno stato mentale solo di chi si ritiene “empatico”. Non è necessariamente qualcosa che “connette” due persone.

    Mi spiego meglio: io sono fatta in una certa maniera e interpreto in un certo modo quello che vedo… le persone tendono a “completare i dati mancanti” a seconda delle loro esperienze personali. Esempio: ho sofferto un rifiuto nella sfera affettiva, e vedo una giovane madre, che è visibilmente triste. Penso: “sicuramente ha problemi con marito, lui la fa soffrire” solo perché questo è quanto è successo a me. Magari, invece, la giovane madre piange perché l’amante non le risponde… tutto è possibile!

    La mia posizione attuale è la seguente: visto che ci sono persone molto diverse, non possiamo assolutamente assumere quello che stanno provando, e quello che passa loro per la testa, solo perché sentiamo un trasporto e coinvolgimento interiore. Quello funziona solamente se conosciamo un po’ la persona, attraverso conoscenza pluriennale, e personale… ma non ne possiamo essere certi mai. Occorrerebbe una conferma verbale, e occorrerebbe la certezza che non ci stanno mentendo.

    Alla fine, più che i sentimenti e l’empatia parlano i fatti.
    L’empatia, che mi faceva sentire “bene”, “buona”, “speciale”, io credo sia solo un inganno della mente.

    Non possiamo veramente sapere cosa passa nella testa di un altro. Possiamo intuire, ma l’intuizione è solo in base alla nostra esperienza… hai presente “omnia munda mundis”? Ci sono nefandezze che mai avrei pensato, che mai la mia mente avrebbe partorito, ma ho subito. Ora, la mia mente le ha acquisite e mi forzo di metterle in conto. Non posso pensare che tutti siano come me. Ognuno ha le sue caratteristiche, alcuni soffrono la solitudine, alcuni stanno bene da soli, tanti sono onesti ma tanti sono manipolativi… Quindi, solo i fatto parlano. Il resto poco conta, per me.

    Scusa ho scritto tantissimo… inoltre, sottolineo che non è un commento polemico. È la mia opinione, e al momento io agisco in base a questo…

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    • Ciao Nuvola, grazie per il tuo interessante contributo.

      Condivido razionalmente quanto hai scritto, anche perché è oggettivamente più che logico e ragionevole, allo stesso momento – ma è solo la mia personale posizione- di quello che tu chiami “intuito”, ho deciso di fidarmi molto di più.

      Mi spiego: nella sfera personale, quella nella quale entrano le persone che conosci di più, dagli amici agli affetti più vicini, l’intuito può guidare. La sensazione di “disagio”, il “semaforo rosso” che percepiamo in taluni frangenti, con talune persone, dicono molto di più di quanto non siamo disposti a credere. Certo, è un discorso che vale solo se ego riferito, cioè vale per me che percepisco la sensazione sgradevole, non posso farlo per altra persona.

      Se mi fossi fidata di ciò che l’istinto mi aveva immediatamente paventato, relativamente a una persona che conobbi molti anni or sono, se solo lo avessi ascoltato (e più e più volte mi diede certi segnali) beh, non avrei vissuto un’esperienza di cui avrei fatto molto volentieri a meno.

      Quando affermo che l’empatia va controllata, intendo anche questo: entrare in sintonia è anche saper ascoltare senza preconcetti, in modo libero e franco, dalla dinamica dell’ascolto, insieme all’altra persona, possono nascere utili confronti.

      Su quanto affermi relativamente ai FATTI e non parole, non posso che sottoscrivere con convinzione!

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