La stanza è molto chiara, un bianco ottico esaltato dalla luce fredda dei neon. Numerose sedie di legno assiepate come soldatini intorno a un centro che non è visibile. Ordine monastico, bianco assoluto, nessun segno che personalizza le pareti, eccetto il grande orologio nero.
Fuori persone dallo sguardo basso, perduto dentro ai ricordi o spento nel piccolo schermo dello smartphone, aspettano. In un attimo, senza segno apparente, questa umanità colonizza la stanza bianca.
Li osservo in silenzio, cercando di leggere la loro storia perduta, i ricordi infranti in un muro di oblio. Guardo i loro corpi tremare, come scossi da una silenziosa energia vibrante.
E quegli occhi.
Dentro lo sguardo di un uomo si legge tutto. Non è questione di verità o di naturalezza, l’Anima sceglie gli occhi come finestra sul mondo.
Nessuno è interessato al suo vicino, tutti contano i minuti. La democrazia del tempo che li rende uguali.
Il tempo, scandito dall’orologio nero, imprigiona di sé i presenti.
Un uomo prende la parola e racconta il suo inferno. Silenzio.
Energia vibrante si diffonde e ammanta tutti di sé. Qualcuno piange, qualcuno trema di più, qualcuno si copre il volto con le mani.
Osservo l’uomo, mi sta di fronte.
La normalità di chiunque. La banalità di chiunque. L’assoluta unicità di chiunque.
Il suo inferno è passato. La lotta, vinta. Ma, dice, ha paura.
Applausi, lacrime. Commiato.
La vita mi scorre davanti danzando la sua macabra danza, eppure sorrido. Sorrido delle debolezze, della profonda umanità, della vulnerabilità, e di quella sensazione cosciente di essere piccoli eppure immensi allo stesso istante.
Gli occhi, adesso, si animano e il loro movimento è stabile. Sanno dove guardare.
Mi alzo e vado via.
Pimpra
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