Stamattina, ancora completamente immersa nei recenti sogni notturni, mentre percorro i pochi metri mancanti all’ingresso in gabbietta, vedo, ancora, una donna, mia coetanea, accovacciata a terra, con un fazzoletto in testa e un piccolo cestino di vimini davanti a sè, mentre aspetta che qualche passante le dia qualcosa.
E’ quasi “invisibile”, nel senso che la logora giacca blu che indossa (anche d’estate) la mimetizza pressocchè completamente con l’asfalto che la ospita.
Vedendola la prima volta, mi sono chiesta perchè non cercasse una posizione dove fosse più “visibile”.
Le ho dato più volte denari. Non so resistere alla tristezza e al vuoto di certi sguardi, a certa condizione in-umana.
Quando non c’è, mi chiedo dove sia finita. Lei non è di quei poveri insistenti, questuanti, lei è il Silenzio.
Stamattina l’ho rivista.
Tra me e me ho pensato che non ho il potere di risolverle la vita con i pochi euro che sono in grado di lasciarle.
Ho proseguito e sono entrata dal “gioielliere” (il fruttivendolo più caro della città), dove ho acquistato una mela. Di lì a qualche passo avrei speso € 3,5 di cingomme, droga che mi serve per sopravvivere alle mie quotidiane frustrazioni in gabbietta.
Mi sono fermata dopo due passi, dietrofront, e sono rientrata dal gioielliere. Ho deciso di offrirle del cibo, non qualche misero euro, e così ho fatto.
Passandole davanti, le ho lasciato il pacchettino di frutta, i suoi occhi si sono illuminati e mi ha ringraziato tantissimo.
Non mi sono sentita bene, nè un essere umano migliore. Affatto. Nè, tantomeno, ho pensato di avere ottenuto un piccolo “credito” per la mia anima, all’induista maniera.
Sono entrata nel tabacchino e ho acquistato ciò che dovevo.
Pimpra
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