RACCONTI DI BORA

 

bora-scoote

Martedì 17 gennaio, una data che istintivamente mi fa venir voglia di appoggiare le mani dove non è elegante metterle, poi sono una femmina e, comunque, sarebbe pure inutile.

Inverno con due palle così, non di neve, ma quasi.

A Trieste si vola, letteralmente spazzati via dalla Regina incontrastata della città, la Bora nera, quella più cattiva.

Un grado di temperatura, meno 10° quella percepita, ma non è questo il problema. Contro il freddo pungente ci viene incontro la tecnologia, tessuti, piumini, materiali a prova di tutto, ventaccio compreso.

Il problema, per ogni triestino che si rispetti ovvero, per l’80% della popolazione attiva, che è composta da motociclisti o scooteristi, è restare in piedi, non essere brutalmente tirati giù come birilli dalle raffiche scatenate.

Perché non prendete l’autobus? Perché siamo triestini, appunto!

Oggi ho rischiato di brutto. Dimenticandomi di inserire la modalità “guida sicura in caso di bora forte”, procedevo come sempre sulla linea di demarcazione tra le due corsie quando, una raffica annunciatasi con un gran botto (sono quelle, per capirci, che superano di un bel po’ i 100 km all’ora), mi ha investita di lato (tremendo!) portandomi in allegro trionfo sulla parte opposta della carreggiata.

Quando si viene travolti da tale furia le possibilità sono tre: 1. assecondare la raffica, rallentando e facendosi portare dal vento. Soluzione che, di solito, permette di rimanere in sella, ma con il rischio di essere investiti da auto in arrivo. Si deve valutare al volo una serie di costi/benefici. 2. Opporre resistenza. Di solito  si cade e vince Lei. 3.  Pregare e sperare che la raffica sia breve e tutto vada bene.

Riesco a farcela, stavolta mi è andata bene. Il 50% è fatto, manca il ritorno a casa stasera, speriamo bene.

Arrivata a destinazione, mica è finita, devi parcheggiare controvento, altrimenti ti ritrovi il prezioso mezzo, come quelli della foto!

A Trieste, di necessità, siamo tutti un pochino marinai, eccerto, conosciamo ogni sfumatura in cui le raffiche, i nostri “refoli”, si presentano: si guardano i tornelli di foglie a terra che girano vorticosamente, si ascolta quell’istante di silenzio prima dell’arrivo di un colpo di vento più forte, si conosce ogni angolo della città che, più di altri, viene massacrato dalla Bora.

Sua Maestà, voi sapete già che l’amo, è un amore di vento. Non poteva che essere femmina per quanto è stronza e imprevedibile, fredda o calda, a seconda di come le gira, si manifesta come un’attrice che si fa desiderare, per uno, tre, cinque o sette giorni di fila e poi, come niente, sparisce e torna la calma.

Calma sticazzi…

Bottini della spazzatura che corrono come fossero palle, tegole che si staccano dai tetti e piombano in testa, per non parlare dei vasi e di ogni cosa non sia ancorata in modo forte e sicuro.

Ma a noi piace così, non a tutti a onor del vero… a me sì, perché trono bambina, quando mi divertivo a stare controvento cercando di non farmi buttare a terra o quando, in età più adulta, mi divertivo a fare foto sull’amatissimo Molo Audace violentato dalla furia del vento.

Oggi va così, umore spumeggiante come il mare, berretto  calato sugli occhi e via andare… nella poesia ventosa del nord est…

Pimpra

 

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4 commenti

  1. Von Calypso

     /  17 gennaio 2017

    io credo che finchè non la proverò in prima persona non avrò alcuna idea di cosa significhi…:-)

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  2. Nei quattro anni di Università lì è arrivata raramente….. però capisci a cosa servono i lunghi e stretti passamano di ferro nelle strette salite più ripide 🙂

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